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Il sé indifeso: Il Sentiero dell'Integrità Spirituale
Il sé indifeso: Il Sentiero dell'Integrità Spirituale
Il sé indifeso: Il Sentiero dell'Integrità Spirituale
E-book475 pagine5 ore

Il sé indifeso: Il Sentiero dell'Integrità Spirituale

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In una società in cui la sicurezza viene considerata un valore più importante della verità e dell'amore, la mancanza di difese viene vista più come un difetto da correggere che come un obbiettivo da perseguire. In questo suo libro, l'autrice offre una descrizione chiara e pratica dei principi del Sentiero di Eva Pierrakos, secondo i quali la vera sicurezza la si può raggiungere solo aprendo le porte del proprio io difeso alle energie amorevoli e rigeneranti del Vero Sé.
 
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2017
ISBN9788871835402
Il sé indifeso: Il Sentiero dell'Integrità Spirituale

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    Anteprima del libro

    Il sé indifeso - Susan Thesenga

    PREFAZIONE

    L’impulso profondo - che esiste in ogni cuore umano - verso uno stato di coscienza più gratificante ed una maggiore capacità di vivere in modo positivo, presto o tardi ci spinge a guardare dentro noi stessi. Il raggiungimento di obiettivi materiali e/o affettivi spesso non coincide col raggiungimento della felicità. Grazie alla desolante scoperta di questo fatto, la nostra attenzione si sposta gradualmente dall’esterno all’interno di noi stessi. Cominciamo allora a porci degli interrogativi di fondo: Chi sono io? Cos’è la vera felicità? Come posso eliminare gli ostacoli che mi impediscono di raggiungerla? Qual è lo scopo della mia vita? Chi è Dio e soprattutto come posso contattarlo? Queste domande possono mettere in moto una ricerca interiore mirata alla comprensione della natura essenziale del mondo nelle sue molteplici manifestazioni. E se tale ricerca andrà avanti, condurrà prima o poi al desiderio di individuare dei sentieri già sperimentati da altri viaggiatori.

    In questo libro - che si propone come una possibile risposta a questo desiderio - vengono delineati i principi di una disciplina spirituale contemporanea che può offrire strumenti, suggerimenti e tracce di lavoro a chi si accinge ad esplorare, interpretare e strutturare la vasta realtà interiore. Il Sentiero - questo il nome di tale disciplina - invita ad affrontare, per comprenderle ed affrancarle, tutte le nostre dualità, individuando in tale operazione il passaggio indispensabile per accedere ad una esistenza condotta in pieno amore, unione e verità. L’invito che il Sentiero rivolge immediatamente ad ogni ricercatore spirituale, è quello di abbandonare ogni difesa del proprio sé per recuperare uno stato di vulnerabilità propedeutico ad ogni vera e profonda conoscenza.

    Il Sentiero fa sua l’esperienza spirituale di Eva Broch Pierrakos che dal 1955 fino all’anno della sua morte (1979), ha lavorato per sviluppare un sistema di ricerca interiore che, arricchendosi del contributo di terapeuti, guaritori ed altri insegnanti spirituali, procede lungo un asse di costante evoluzione. Il Sentiero è insegnato e praticato negli Stati Uniti, in Europa e in America del Sud in centri dove piccoli gruppi di persone provenienti da ogni parte del mondo s’incontrano periodicamente per studiarne e applicarne i principi spirituali.

    Eva Broch canalizzava un’entità spirituale alla quale abbiamo dato il nome di Guida, ai cui insegnamenti questo libro è ispirato.(¹) Questa disciplina, che io pratico e insegno da oltre vent’anni, ci offre la speranza di poterci affrancare dal male presente in noi stessi e, conseguentemente, nel mondo.

    Per rendere più chiara la comprensione di alcuni concetti ho riportato nel libro anche molti episodi e circostanze che ho rilevato o vissuto durante il mio viaggio spirituale insieme ad altre persone. I nomi ovviamente sono stati cambiati, per ragioni di discrezione. Gli aneddoti introducono ciascun capitolo e sono ripresi lungo tutto il libro. Ogni capitolo termina con alcuni esercizi diretti a favorire la comprensione del materiale presentato. I capitoli sono stati ordinati seguendo l’ordine naturale in cui il Sentiero si sviluppa attraverso le sue varie fasi. Infine, perché siano meglio comprensibili le origini della mia esperienza spirituale, desidero iniziare questo lavoro partendo dal breve racconto della mia storia personale.

    LA STORIA DI SUSAN

    Nacqui il mese dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe di Hitler, e quando finalmente la Seconda Guerra Mondiale finì avevo sei anni. Durante la celebrazione della vittoria gettai in aria coriandoli fatti in casa, e provai un’eccitazione che non riuscivo a spiegare. Sapevo solo che era accaduto qualcosa di importante: una terribile minaccia era stata allontanata dal mondo.

    Allora non potevo saperlo, ma Hitler e il suo Olocausto sarebbero diventati per me un evento di forte valenza simbolica, alla comprensione del quale ho dedicato la mia vita. Se fossi stata più intellettuale, l’impatto del nazismo avrebbe potuto fare di me una storiografa. Se fossi stata più combattiva, mi avrebbe portato a dedicarmi alla giustizia sociale. Invece la mia indole di ricercatrice interiore mi ha spinto a tentare di comprendere l’Hitler che vive in me e in ogni altro cuore umano.

    Fin da quando riesco a ricordare, il problema del bene e del male è sempre stato vivo in me. Ero una bambina seria, e dai nove agli undici anni tenni un diario dove annotavo tutto il bene e il male che vedevo, con preghiere per il male e ringraziamenti per il bene. Un giorno, quando non riuscii più a trovare la mia bicicletta, mi dissi che si trattava di una punizione per non aver aiutato mia madre nelle faccende di casa. Quando fuggii da un incendio nel bosco, esaminai a lungo il mio cuore, per capire se si era trattato di un atto di coraggio o di codardia.

    Sin dai miei primissimi anni di vita cercai di liberarmi dal quel torpore tipico di una tranquilla vita di periferia. Le verità che si nascondono sotto la superficie della vita sono sempre state quelle che mi hanno attratta di più.

    Malgrado il sincero e intelligente agnosticismo dei miei genitori, m’interessai avidamente alla religione. Quando avevo dieci anni, un cugino cattolico di nove anni morì a causa di un incidente in bicicletta. Quella morte fu per me un grande insegnamento. Quando mio padre cercò di farmi credere che Johnny era andato in paradiso, ci guardammo negli occhi, sapendo entrambi che si trattava di una bugia di convenienza per coprire la nostra ignoranza. Mi avvicinai a diverse chiese, cercando di saperne di più. Volevo sapere cos’era la morte, cos’era il bene e cos’era il male.

    Dopo aver rifiutato il cattolicesimo, frequentai per un periodo una chiesa protestante, che aveva conquistato il mio cuore con un rituale il cui ricordo ancora mi commuove. Il Venerdì Santo una croce di legno nera veniva innalzata nella parte frontale della chiesa, e la realtà della morte si sovrapponeva ai quadri graziosi e ai merletti che coprivano l’altare. Una volta restai in chiesa per ore, occupata ad assorbire il messaggio di quella croce nera. Diventai una cosa sola con il nero, e vidi il pavimento sotto la croce aprirsi, rivelando una profusione di stanze riccamente decorate con oggetti misteriosi provenienti da tutto il mondo. C’erano anche molti tesori orientali, e tutto era estremamente diverso dal condominio di periferia dove vivevo. Qualunque cosa ci fosse dopo la morte, sembrava di una vastità indicibile, e non era più così spaventosa.

    Poi, la domenica di Pasqua, tutti i membri della congregazione portavano fiori, che incollavano alla croce fino a farla diventare un monumento fiorito e brillante. Quel simbolo della resurrezione di Cristo rafforzava in me l’idea che la morte non fosse il punto finale della vita, ma solo un punto sulla circonferenza di una ruota. Tutti sapevano che la morte segue la nascita, ma io cominciai a intuire che a sua volta la nascita segue la morte. Il mistero del fatto che lo spirito trascende il corpo, e che l’incarnazione fisica è solo l’inizio di una realtà molto più profonda, provocava nella mia anima giovane e seria un grande senso di gioia e di reverenza.

    Quando mi trovai ad affrontare i problemi pressanti dell’adolescenza, smisi di andare in chiesa, e iniziai invece ad andare in campeggio. Il fatto di trovarmi immersa nella natura non solo mi risparmiò una buona parte delle follie adolescenziali, ma divenne il mio modo preferito di avvicinarmi a Dio. In quegli anni conobbi per la prima volta degli ebrei, e arrivai a ossessionarmi con la lettura di racconti personali dell’Olocausto. Cercavo di capire come una tale malvagità avesse potuto mettere radici. Qual era l’irresistibile attrazione del male?

    Avevo già terminato l’università quando incominciai a chiedermi seriamente se tutto ciò che studiavo era davvero in rapporto con il mio vero desiderio: quello di diventare una persona migliore. Mi domandavo se l’istruzione non fosse soltanto un’altra maschera, irrilevante rispetto alle lezioni profonde che in qualche modo sapevo di dover imparare.

    Mentre insegnavo inglese alle matricole della Howard University, mi venne offerta la prima occasione di fare ‘qualcosa di buono’ nel mondo. Il movimento per i diritti civili era al culmine, e saltai anch’io sul carrozzone morale. Mi immersi nella cultura afroamericana, il che allargò i miei orizzonti, e partecipai a molti momenti storici degli anni Sessanta. Nel 1963, durante la ‘Marcia su Washington’ in cui Martin Luther King pronunciò l’indimenticabile discorso ‘Ho fatto un sogno’, ebbi una fortissima esperienza di espansione di coscienza. Nell’estate del ’64 mi spostai al sud, insieme con molti altri bianchi di classe media, ben intenzionati ed estremamente ingenui. Insegnai in una piccola università negra vicino Jackson, Mississippi, e lì ebbi il mio primo contatto con il terrore, quando fui arrestata mentre mi trovavo in macchina con dei negri.

    Il lavoro nel movimento per i diritti civili aumentò il mio odio per gli oppressori, che identificavo con gli uomini bianchi, e particolarmente con quelli che lavoravano per il ‘Sistema’, come mio padre. In seguito mi resi conto che si trattava di un odio nevrotico. Il mio fervore morale derivava più da sentimenti irrisolti verso mio padre, che dai problemi politici a cui mi interessavo. Questa comprensione mi fece avvicinare alla psicoterapia, e in seguito alle terapie alternative.

    Partecipare al mio primo gruppo d’incontro, nel 1967, fu come tornare a casa. All’improvviso mi era permesso dire apertamente quello che avevo sempre saputo: che sotto i modi civili e la maschera della cortesia, le persone sono piene di una quantità di sentimenti confusi e strani, di rabbia e di lacrime, e di montagne di dolore. Tali realtà interiori ci fanno fare una quantità di cose di cui in seguito ci pentiamo, e che ci fanno allontanare dalla felicità che diciamo di desiderare. Il mondo interiore dei sentimenti per me è sempre stato più reale e palpabile delle regole e dei ruoli esterni, ma a quel tempo ancora non sapevo dare un nome a tante cose della cui realtà ero certa.

    Da allora in poi mi rimpinzai di esperienze di gruppo e terapeutiche: Tavistock, Gestalt, psicologia umanistica, consapevolezza sensoriale, bioenergetica. Sentivo che un pozzo profondo di deprivazione finalmente si stava riempiendo, ma sapevo che c’era dell’altro. Durante un viaggio in California nel 1969, mentre leggevo un libro di R.D. Laing e ascoltavo una delle prime audiocassette di Ram Dass, seppi che la mia mente si stava aprendo a una realtà molto più vasta di quanto potevo immaginare. Iniziai a sentire che un potente influsso spirituale stava penetrando nella coscienza collettiva. Quando arrivai all’Istituto Esalen di Big Sur, sapevo di aver ceduto il controllo a una parte di me più grande e senza nome. Mi sembrava di essere attaccata a una corda, l’altro capo della quale era legato a una carrucola gigante, che mi tirava inesorabilmente verso qualcosa che non sapevo definire.

    A Esalen, in un incontro di gruppo intensamente drammatico, conobbi Donovan Thesenga, il mio futuro marito. Anni di studio e di pratica del buddismo zen, ed esplorazioni profonde delle esperienze trascendentali per mezzo dell’LSD, l’avevano portato a un livello di comprensione spirituale che superava di molto tutto ciò che conoscevo. D’altra parte, la mia apertura emotiva fu per lui la porta verso profondità di sentimento insospettate. Insieme cominciammo a crescere, e cresciamo ancora.

    Donovan e io ci sposammo nel 1970, trasferendoci subito dopo in Virginia, dove cominciammo a guidare seminari e gruppi di bioenergetica. Comprammo un terreno e fondammo un centro di crescita, che in seguito divenne il Centro Sevenoaks del Sentiero, dove ancora viviamo e lavoriamo.

    Nell’estate del 1972, mentre seguivo un corso di bioenergetica, con Alexander Lowen e John Pierrakos, conobbi Eva Broch Pierrakos, e seppi immediatamente che sarebbe stata la mia insegnante spirituale.

    Come fa uno a sapere queste cose? Tutto di lei mi piaceva. Era un’ebrea austriaca, fuggita a Zurigo durante la guerra. Era bella e terrena, ma allo stesso tempo impegnata in una profonda ricerca spirituale. Era un ‘canale’ per un’entità spirituale, e aveva iniziato quel lavoro quando io andavo ancora a scuola.

    Studiando le Lezioni della Guida canalizzate da Eva, mi sentivo piena di una spiritualità elettrica, in cui l’eccitazione più forte si combinava con la calma più profonda. Non mi ero mai sentita più viva, più piena della presenza di Dio. Eva era vitale, vibrante, con una gran voglia di vivere, e allo stesso tempo era la persona più serena che avessi mai conosciuto. Sembrava avere, anzi incarnare, le risposte a domande che io appena iniziavo a pormi.

    All’epoca in cui la incontrai, mi sentivo come chi sta andando alla deriva su una zattera che è in procinto di spaccarsi in due. Una metà della zattera era rappresentata dal mio profondo coinvolgimento nella terapia personale. L’altra metà era il mio impegno egualmente profondo verso il buddismo zen. La prima ignorava il mio potenziale spirituale. L’altra non teneva in considerazione la mia personalità. Per ciò che mi riguardava, ciascuna delle due discipline conteneva solo una parte della verità, e non riuscivo a trovare una sintesi.

    L’incontro con Eva e la lettura delle Lezioni della Guida, mi permisero di risolvere finalmente le contraddizioni filosofiche tra la psicologia occidentale e il misticismo orientale. Intravidi la strada attraverso cui potevo esplorare le mie preoccupazioni per il male e per la morte, riconciliare la mia sessualità con il cammino spirituale e unire la mia attività esteriore con la quiete interiore. Potevo andare verso l’unità accettando i miei dualismi, e spostarmi verso la libertà imparando a conoscere intimamente le mie difese. La mia zattera interiore cominciò a ricomporsi.

    Ma lavorare con Eva non era sempre facile. Era una donna capace di conciliare la sua serietà di ricercatrice spirituale con una forte carica di sensualità. Entrambi questi aspetti della sua natura mi facevano sentire minacciata e sfidata. Spesso, quando arrivavo da Eva per una seduta, dopo parecchie ore di meditazione al New York Zen Center, lei mi salutava allegramente dicendo: Come va il sesso con Donovan? Era proprio l’argomento che mi sentivo meno incline a discutere in quei momenti! Eva credeva che il mio cammino spirituale avesse molto a che vedere con il fatto che mi abbandonavo a mio marito in modo sempre più profondo. Alla fine cominciai a crederlo anch’io.

    Durante un periodo di forte crisi del mio matrimonio, Eva mi fece prendere coscienza del mio desiderio di controllare Donovan, e mi costrinse a guardarmi dentro, permettendomi di vedere che la mia infelicità derivava dalla dipendenza e dalla chiusura. Dovetti fare una virata di 180 gradi, smettendo di accusare e cominciando a prendermi la responsabilità di me stessa. Quella non fu l’unica volta che Eva e il Sentiero mi dissero cose che non desideravo ascoltare, e che invece erano precisamente le verità di cui avevo bisogno.

    Amavo Eva profondamente. Nessun’altra persona, a parte mio marito, mi ha influenzato e cambiato così profondamente. Eva fu per me un modello e una maestra per sette anni, fino alla sua morte. La comunità che si era raccolta intorno a lei e a suo marito John Pierrakos divenne per me la famiglia intima ed emotivamente onesta che non avevo mai avuto.

    Ma poiché non ero realmente cresciuta con Eva e con la comunità, la sua morte per me fu devastante, e segnò l’inizio di un altro e più profondo viaggio spirituale. Le nostre comunità del Sentiero scivolarono nel dolore nel disorientamento, molti membri se ne allontanarono e arrivò la crisi finanziaria. I primi anni ’80 furono per me un periodo di paura e depressione.

    L’immagine idealizzata che avevo di Eva iniziò a svanire, iniziai a soffrire e maledire la perdita della mia madre spirituale. Odiavo il fatto di dovermi ormai assumere la responsabilità di me stessa e della mia crescita spirituale. Avrei preferito morire piuttosto che crescere, e di fatto rimasi in questo stato di disperazione per diversi anni.

    Mi ero allontanata dal Sentiero, un passo pieno di confusione ma necessario, e mi ritrovavo ad andare di nuovo alla deriva. A volte avevo paura di annegare nella mancanza di senso, ma ciò nonostante ero determinata a non compromettere la mia integrità, a non salire su una barca incapace di tenere il mare. La pratica di non afferrarmi a nulla e di lasciarmi andare alla deriva, a un certo punto divenne la mia nuova disciplina spirituale. Galleggiavo in mare aperto senza nessun tipo di zattera, e avevo abbandonato le mie illusioni come inutili tavole di legno. Ogni tanto, un relitto delle mie vecchie convinzioni mi tornava vicino, e mi ci aggrappavo per riposare un po’. Nonostante la mancanza di chiarezza che provavo riguardo al Sentiero, l’abitudine a confrontare onestamente me stessa era ormai talmente radicata in me, che non potevo evitare di continuare il lavoro interiore, tenendo vivi i principi che avevo acquisito negli anni di frequentazione del Sentiero.

    Dopo la morte di Eva, scoprii gradualmente dentro di me una fede profonda, molto simile a quella che avevo provato seguendo gli insegnamenti della Guida del Sentiero. Mi trovai a ricostruire il Sentiero in me stessa, dall’interno verso l’esterno. Più mi guardavo intorno, alla ricerca di altri sistemi o pratiche spirituali, più mi convincevo della verità essenziale e della profondità del Sentiero.

    Oggi considero Eva come una persona reale, dotata di profonde qualità spirituali: quando il mio idolo crollò, lasciò al suo posto un essere umano straordinario.

    IL SÉ INDIFESO

    Questo libro è in qualche modo il racconto del mio viaggio spirituale durante questi ultimi dodici anni.

    All’inizio, come discepola devota di Eva, cominciai a correggere un suo manoscritto del 1965, intitolato Il sé indifeso. Poi il mio lavoro nel Sentiero subì un arresto drammatico: non sapevo neppure se avrei trovato una casa e un lavoro, figuriamoci la capacità di scrivere un libro. Venni poi chiamata a scrivere un mio sommario personale delle lezioni della Guida, anch’esso intitolato Il sé indifeso, e destinato a essere usato nei centri del Sentiero, oltre che per l’addestramento spirituale di persone in sintonia con gli insegnamenti del Sentiero. Vi inserii anche alcuni aneddoti personali, mascherati dall’uso di nomi di comodo. Il presente libro, che è una versione riveduta e corretta del primo, è destinato a un pubblico molto più vasto di terapeuti, guaritori, e persone interessate a un cammino vibrante che conduce alla scoperta di sé in senso psicologico e spirituale.

    Offro questo libro al vostro cuore, oltre che alla vostra mente. Vi invito a guardare dentro di voi, e ad accettare tutto ciò che vi troverete, senza mai smettere di guardare. Condivido con voi l’impegno di cercare l’accesso alla verità più profonda della vita e il desiderio di proseguire un cammino lungo il quale poter raccogliere tutto l’amore possibile.

    Se questo libro tocca qualcosa dentro di voi, è segno forse che il momento d’incamminarvi lungo il Sentiero è giunto. Ma quand’anche nulla vi trovaste, vi invito a continuare a cercare, in altri libri, in altri sentieri, lo spiraglio attraverso cui la vostra luce interiore possa emergere e ricongiungersi con la luce del sole. Cercate ovunque, a cominciare dalla vita quotidiana, le cui esperienze altro non sono che opportunità a noi generosamente offerte di accedere alla nostra verità interiore.

    Siate benedetti nel vostro viaggio.

    Susan Thesenga

    Sevenoaks Pathwork Center

    Madison, Virginia

    1)  Un elenco completo dei titoli delle Lezioni della Guida del Sentiero si trova alla fine del libro.

    1

    ACCETTARE IL DUALISMO

    Una voce interiore vi dice che nella vostra vita e in voi stessi c’è molto di più di ciò che potete immaginare in questo momento.

    Lezione della Guida n. 204: Cos’è il Sentiero

    SOLTANTO SUSAN: LASCIAR FLUIRE LA VITA

    È un mattino d’inverno in Virginia, e cammino attraverso i boschi. Foglie marroni incrostate di brina scricchiolano sotto le mie Reebok nere. Intorno a me ci sono querce ed olmi, alcuni pini bianchi, e in alto un cielo azzurro e sereno. Ora una macchia d’edera copre il terreno. Mi muovo velocemente, verso la statale che passa appena oltre il bosco. La consapevolezza del mio passo mi spinge a fermarmi ad ascoltare. È difficile raggiungere la quiete interiore necessaria per ascoltare il bosco invernale, dove non cantano uccelli, non fischia il vento, non si ode il raspare di nessun animale, e non c’è nessun suono eccetto quello sordo proveniente dalla statale. Ma comincio a udire, o forse a ‘sentire’ qualcosa, un battito basso e costante. Sembra la vita che pulsa negli alberi. Mi accorgo che la mia presenza disturba qualcosa, e che farei meglio ad andarmene. Così torno indietro a passo svelto. Chi ascolta questo messaggio? Chi è questa Susan che corre attraverso il bosco in un mattino gelato?

    Mi è sempre piaciuto il fatto di avere un nome ordinario. Mi aiuta a fare in modo che i deliri di grandezza che mi prendono di tanto in tanto non durino più di un attacco di influenza. Ho anche un nome segreto, uno che uso soltanto io: ‘Donna Che Guarda Dentro’. Mi venne in mente mentre leggevo Seven Arrows, diversi anni fa, e in fondo mi sembra abbastanza modesto. Non è uno di quei nomi, come Shanti, Ananda o Shakti, che trasmettono l’idea che si è già entrati in contatto con la propria essenza. A volte, quando mi sento intrappolata in uno di quei pozzi di ansia e dubbi su me stessa che si trovano proprio dall’altro lato della montagna dei deliri di grandezza, desidero un nome sacro, o un mantra magico che mi rassicuri sulla mia essenza divina. Ma poi ricordo che il lavoro è quello di far entrare il divino attraverso Susan, ‘soltanto Susan’.

    Anni fa, mentre mi crogiolavo nella mia identità di praticante di buddismo zen, espressi in un incontro di gruppo il desiderio di manifestare in modo più perfetto la calma interiore che potevo ottenere durante le lunghe sedute in posizione zazen. Ero estremamente impaziente con i miei normali stati mentali, dispersivi e agitati. Qualcuno mi suggerì di rappresentare il mio sé imperfetto e ansioso con un cuscino, a cui avrei dovuto parlare e spiegare senza incertezze come doveva modellarsi. Spostandomi per sedermi sul cuscino, sentii il dolore del mio giudizio su me stessa, e piansi come la bambina non amata che esisteva dentro di me. Il genitore critico e il bambino rifiutato, il vincitore e il perdente. Un’impasse. Un amico intervenne e disse teneramente che forse essere soltanto Susan, in ogni momento, era l’essenza dello Zen. Non era necessario niente di più (e niente di meno) che la piena accettazione della mia esperienza, momento per momento. Fu una rivelazione. Soltanto Susan.

    Quando arrivo sulla statale, inizio il lavoro che ho scelto: raccogliere i rifiuti lasciati dagli automobilisti. A Sevenoaks abbiamo ‘adottato’ questa parte della strada. Camminando in fretta mi chino molte volte per stipare nel mio sacco di plastica arancione i rifiuti della nostra civiltà usa e getta. Si tratta di carta stagnola di McDonald, Taco Bell, Tastee Freeze. Poi ci sono bottiglie e lattine di birra, pacchetti di sigarette vuoti. Mentre mi piego e infilo roba nel sacco, la mia coscienza è tutta nell’atto di camminare e respirare, e si manifesta nel vapore che emetto con ogni respiro. Soltanto camminare, soltanto respirare.

    A un tratto ricordo una storia che mi ha raccontato Pamela, la mia bambina di dieci anni. Due bambini nel cortile della scuola, appena prima delle vacanze natalizie, fumavano sigarette di cioccolato esalando vapore dalla bocca, ed erano riusciti a ingannare un insegnante, facendogli credere che si trattava di vere sigarette. Bambini e sigarette di cioccolato. Riesco quasi a sentire la dolcezza bianca della mia infanzia, quando anch’io succhiavo sigarette di cioccolato ed esalavo boccate di vapore nell’aria fredda del mattino. Non è cambiato nulla da allora, nonostante i quarantadue anni che mi separano da mia figlia. Io però non avrei avuto il coraggio, o l’astuzia, di ingannare un insegnante. Ero una bambina brava, zelante e spaventata.

    Appena sotto la superficie della coscienza, avverto una leggera tensione. Di cosa si tratta? Ah, è una piccola superiorità morale che cerca di affermarsi mentre cammino facendo una buona azione, quella di raccogliere le immondizie dei miei vicini. Perché questo sforzo di essere buona? Fare del bene mi rende speciale? Per che cosa? Serve a giustificare in qualche modo la mia esistenza, perché essere soltanto me stessa non è abbastanza? Ricordo mio padre, così critico e coscienzioso. Cercavo in tutti i modi di guadagnarmi la sua approvazione. Non ero mai sicura di averla ottenuta, o per lo meno di averne ottenuta abbastanza da farmi sentire che valevo qualcosa. Lavoravo duro per soddisfare tutti i criteri della sua approvazione. Ma ciò ovviamente non mi dava mai quel senso di sicurezza e di valore che tutti noi vogliamo ricevere dai nostri genitori, credendo erroneamente che sia in loro potere conferircelo. Ora so che non ci sono più Mamme e Papà. Non è il momento di abbandonare l’infantile istanza di riconoscimento da parte degli altri (e di me stessa) della mia bontà? Posso finalmente liberarmi? Posso camminare su questa strada perché cammino su questa strada, non per fare del bene o per migliorare il mondo, ma solo perché camminare su questa strada e raccogliere rifiuti è ciò che sta accadendo?

    Passa una macchina, e faccio un cenno di saluto alla mia nuova vicina e amica. Una negra, o bisogna dire afroamericana? La mia famiglia probabilmente è arrivata in America dopo la sua, eppure io non mi definisco una scozzese-americana. Tra i negri d’America la ricerca delle definizioni culturali è molto forte, e comporta molto dolore razziale. I cambiamenti a livello delle parole riflettono la ricerca continua di un’identità dignitosa. In che modo la mia pelle bianca mi definisce? Interiormente, mi sento multiculturale, colore dell’arcobaleno, di genere dualistico. Eppure sono consapevole dei limiti percettivi che derivano dall’identità esteriore che ho in questa vita: quella di una donna bianca di mezza età. Potrò mai riuscire ad abbandonare l’idea di un sé fisso e costante?

    La mia coscienza si semplifica, osservando all’esterno le Reebok nere in salita sulla strada grigia, e all’interno il respiro, adesso un po’ affannato per lo sforzo di mantenere un passo svelto. Poi noto su un lato della strada lunghi ciuffi d’erba ingiallita coperti di ghiaccio, che brillano al sole. La luce attraverso il ghiaccio crea migliaia di minuscoli prismi. Il sole che illumina l’acqua, che si tratti di gocce di pioggia, di rugiada o di ghiaccio, mi commuove sempre. Mi fermo, con le gambe stanche, e sento il mio corpo vibrare con lo stesso splendore elettrico dei riflessi sul ghiaccio. Il mio campo visivo si fa più indefinito, l’energia mi pulsa lungo le gambe, comincia a dissolvere quel senso di me stessa definito dai confini della pelle, e mi estendo all’esterno per accogliere la bellezza di questo momento. Lo stupore riempie lo spazio che fino a un attimo prima era delimitato dalle scarpe e dalla fascia intorno alla testa. L’acqua congelata che riflette la luce diventa un regalo del creato: l’ordinario diventa straordinario.

    Torno di nuovo a mettere a fuoco tutto, vedo i rifiuti alla base dell’erba gelata, un bicchiere di polistirolo proveniente da un Seven Eleven, che promette: Vi manteniamo su di giri. Il rumore della statale ora è più vicino, come il rumore della vita. Un lampo di disprezzo per chi vuol essere su di giri e per chi abbandona rifiuti. Eppure, se riesco a penetrare i luoghi interiori dove dimora la mia crudeltà, come ho fatto, posso trovare la coscienza del disseminatore di rifiuti. Anche lui è in me.

    A un tratto penso a Pamela, e sento un dolore nel cuore. Ieri, come a volte fa quando non andiamo d’accordo, o quando ha bisogno di affermare la sua identità separata, Pamela è ‘scappata di casa’, portando la sua valigia in un’altra costruzione della proprietà di Sevenoaks. Come al solito, mezz’ora dopo mi ha telefonato perché andassi a prenderla, ma io ho risposto: No, chi è grande abbastanza per scappare di casa può anche tornare indietro a piedi. Lei è tornata senza la valigia, e più tardi io ho ceduto e l’ho accompagnata in macchina a prenderla, pensando tutto il tempo che assecondare le sue manipolazioni era un errore.

    Appena entrati in macchina, Pamela mi ha detto: Ti voglio bene, mamma. Le ho risposto, cinicamente: Vuoi dire che sei contenta che ti stia facendo questo favore? E lei, senza mostrare di essere ferita, ha detto: No, pensavo soltanto che avevi bisogno di sapere che ti voglio bene. Lasciando penetrare in me ciò che aveva detto, ho ribattuto: Non mi sento particolarmente amabile, in questo momento. Lo so, per questo ti ho detto che ti voglio bene. Okay, grazie. Ho ceduto, ma soltanto un secondo, chiedendole subito dopo perché quella mattina, tornando dalla festa di compleanno della sua amica Sonia, dove si era fermata a dormire, era di pessimo umore. Pamela mi ha detto che la sua amica aveva chiesto alla madre di lasciarle sole, e la madre aveva obbedito. Questo l’aveva fatta arrabbiare con me. Perché quando le mie amiche dormono qui tu non ci lasci sole? Perché sei tu a decidere quando dobbiamo andare a letto, e non ci lasci decidere da sole? Io, ancora sulla difensiva, ho replicato: Perché tu ti comporti in modo meno maturo di Sonia, quando ci sono i tuoi amici. Appena pronunciate, quelle parole mi hanno fatto male. Pamela ha risposto, tristemente: È quello che dici sempre. Poi la conversazione è cessata.

    Solo ora posso udire la cattiveria nella mia voce, e rimpiango di aver perso l’opportunità di onorare il nostro mutuo bisogno di negoziare i nostri confini. Stamattina ho sfogliato un libro di Alice Miller che parla della violenza sui bambini, e sono acutamente consapevole di com’è facile per un genitore abbandonarsi a un senso di superiorità inconscio, piuttosto di aprirsi alla verità che il bambino sta cercando di esprimere. Dovrei onorare la consapevolezza che Pamela ha del fatto che tra noi bisogna cambiare qualcosa, e pensare che insieme potremmo scoprire un modo di migliorare le cose. Neppure per un momento, durante la discussione, ho smesso di considerarla il socio di minoranza. Forse stasera avrò una possibilità di riprovarci, o forse no. Il momento è passato. Una fitta di tristezza e un senso di disapprovazione di me stessa si mescolano nel cuore, mentre mi sforzo di mantenere il mio passo da aerobica. Faccio un lungo sospiro. Così sia.

    Ora sono davanti alla cassetta della posta di Sevenoaks, e lascio lì il mio sacco arancione pieno di rifiuti,

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