Abbi cura di te e prendi il largo. Piccolo manuale di etica quotidiana
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Anteprima del libro
Abbi cura di te e prendi il largo. Piccolo manuale di etica quotidiana - Paola Peverelli
ANTEFATTO: GETTATA NEL MONDO
Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo
(Albert Camus)
Gettata nel mondo
. Era così che si sentiva Zoe, nei suoi vent’anni appena compiuti e in quel suo essere nel mondo che non riusciva a decifrare ma che sintetizzava a sé stessa attraverso le parole di un filosofo che aveva studiato negli anni del liceo classico: si chiama Heidegger quel filosofo, ma poco le importava. E non si ricordava alcunché del suo pensiero, se non quel essere gettato nel mondo
che da subito le era sembrato definirla e che, al contempo, le rammentava la sua incapacità di decidere cosa fare nella e della sua vita. Anche perché Zoe, nel suo sentirsi gettata, si ritrovava ad avere i piedi poggiati in più mondi che a volte coesistevano, a volte si sovrapponevano, a volte sembravano essere in contrasto. A vent’anni non è facile decifrare il mondo! Ripeteva a sé stessa. La sua era una famiglia di condizione umile, nessuno in casa sua aveva studiato e anzi il papà, un operaio gran lavoratore e dallo spirito molto pratico, guardava con una certa diffidenza il mondo della cultura: nella sua idea della vita, bastavano quattro nozioni ed un solido lavoro e se proprio gli avevano detto, da quando era piccola , che la sua Zoe era dotata di una singolare intelligenza e doveva studiare
, era sempre guardingo e, in silenzio, chissà quali pensieri coltivava nella sua mente. Si era come rassegnato, insomma, che Zoe avesse studiato, fino a tardi la sera, davanti a quei due enormi libroni uno dei quali si chiamava Rocci
e che aveva un aspetto davvero sinistro, se Zoe continuava a guardarlo, consultarlo, sfogliarlo più volte, rispondendo alla mamma, che le chiedeva il perché occorresse rimanere tanto tempo attorno ad un dizionario: Per forza mamma, le parole e i verbi in greco hanno un sacco di significati…li devo guardare tutti e capire all’interno della frase quale è il più corretto!
. L’altro libro, poggiato anche lui sull’unico tavolo della casa che serviva, al contempo, da scrivania di Zoe e tavolo per pranzare e cenare, era il dizionario di latino: tutti collocati in quel soggiorno-cucina in cui Zoe studiava e aveva ripetuto, per i cinque anni del liceo, le lezioni alla mamma. La mamma l’aveva sempre ascoltata, che si trattasse della lezione su Pirandello, o dei paradigmi dei verbi greci, o della storia della lettura latina: e se alla sera, stanca, qualche volta le si erano chiusi gli occhi nell’ascoltare Zoe nel suo ripetere le lezioni ad alta voce, poco importa. La cosa davvero che contava per Zoe era esserci e la mamma c’era: a ben pensarci, l’esserci era un’altra sintesi di vita che Zoe aveva imparato sempre da quel filosofo, Heidegger appunto. Non avrebbe saputo dire altro, se non l’importanza di quella spazialità esistenziale che per lei era tutto: la mamma era lì, sempre lì accanto a lei.
Gli ultimi mesi del liceo classico avevano consegnato a Zoe tanti interrogativi che si mischiavano, nell’essere considerati, a pensieri e dubbi di provenienze antiche, sepolte in lei e pronte a riaffacciarsi, ogniqualvolta aveva dovuto nella vita prendere decisioni: che cosa fare? Come continuare? Quale facoltà universitaria scegliere? E i soldi? E il papà? E la mamma? E lei, Zoe, cosa voleva davvero dalla sua vita? Ed era davvero possibile inseguire un sogno, il proprio sogno? E ancor prima, cos’era un sogno? Un sogno era un desiderio?
Si era poi iscritta all’università, facoltà di lettere: studiare e scrivere era ciò che le riusciva meglio ma era certo una motivazione debole, quella. Le sarebbe piaciuto fare psicologia ma avrebbe dovuto vivere lontana da casa, trovare un alloggio nella città dove c’era l’università, con costi che la sua famiglia non poteva certo sostenere. Così aveva scelto la facoltà di lettere, che prevedeva un indirizzo psicologico. Era più vicina a casa.
Era sempre inquieta Zoe, con interrogativi che affollavano la sua mente nel viaggio di andata e di ritorno, sul treno che la conduceva a Milano, in università: le sembrava, ancora una volta, di essere stata gettata in un pezzetto di vita dove le coordinate del tempo e dello spazio la portavano in braccio come una bambina piccola che non sapeva prendere possesso, da sola, della terra da percorrere. Proprio lì, a Milano, in un’aula universitaria dove non aveva neppure trovato posto a sedere, ma era rimasta appoggiata ad un muro con un quaderno e la biro in mano per prendere appunti della lezione di storia medioevale, aveva conosciuto Nicola. Lui sì che era seduto, concentrato ad ascoltare il professore che parlava di castelli, e nel suo maglioncino color panna, gli occhiali spessi spessi, i capelli già radi nonostante la giovane età, si era voltato verso Zoe e le aveva detto entusiasta: Interessante!
. Zoe, che era sì concentrata ma non sui castelli di cui parlava il professore bensì sui suoi dubbi esistenziali, nei suoi jeans stretti e un lungo maglione rosso, nei capelli mossi che le incorniciavano un bel viso illuminato da due grandi occhi verdi, era trasalita: Interessante cosa?
. Nicola aveva riso sommessamente, poi le avevo sussurrato, con la confidenza con cui ci si rivolge a chi si conosce da una vita intera insieme ad un accento ironico: Forse la lezionee?
, trascinando la e
a lungo come per dirle: cos’altro può essere interessante, se non la lezione?
Ah sì, la lezione…
aveva risposto distrattamente Zoe, che invece si chiedeva cosa ci facesse lei lì, alle dieci del mattino, a sentir parlare di castelli.
Ho capito, non ti piacciono i castelli. Peccato!
l’aveva punzecchiata Nicola.
Non tanto…
aveva ammesso Zoe per poi correggersi o meglio, ci sono cose che preferisco ai castelli, diciamo così…
Tipo?
si era incuriosito Nicola e da quella curiosità era nata la loro amicizia. Erano proprio diversi e a Nicola piaceva tanto Zoe, così selvatica, così autentica, così diversa dal mondo in cui aveva condotto i suoi primi vent’anni, tra intellettuali, professori, dottori. Suo padre era un primario di psichiatria e la mamma era anche lei medico. Questo era il riassunto che avrebbe fatto Zoe a chi le avesse chiesto chi fosse Nicola, nei primi giorni in cui l’aveva conosciuto. Però, col tempo, aveva scoperto che Nicola era un essere speciale, capace di penetrarla e di farla tanto ridere: non aveva amici perché coloro che appartenevano al suo giro gli sembravano monotoni e poco profondi. Era stato attratto da Zoe per la sua vitalità, per quel suo saltare su e giù dai muretti dei marciapiedi per poi correre a perdifiato e nascondersi, ricomparendo poi dal dietro mentre lui la cercava ovunque, preoccupato, con i suoi occhiali spessi da intellettuale. Così, serioso, sentenziava: Ti diverti, eh? Mi sento di essere il nonno con la nipotina. Per punizione, adesso ti becchi un mio monologo sui castelli!
. E poi, piano piano, Nicola aveva intuito la profondità di Zoe che, nella leggerezza delle movenze e delle parole, era capace però di racchiudere un animo delicato e sensibile, molto sensibile: quell’attenzione agli ultimi per strada, quel suo chinarsi verso chi soffriva, quel suo cercare il senso oltre l’apparenza, tanto che a volte, ammirato , la guardava quasi rapito e le ritraeva in pochi schizzi su dei foglietti, in cui a lei ,con i suoi jeans e i lunghi capelli, seduta su un muretto, con lo sguardo sempre rivolto al cielo, faceva dire dentro una nuvoletta: Non sono di questo mondo…
. Era un bravo vignettista Nicola, collaborava già in qualche giornale e coglieva con un tratto di matita l’essenza della vita e del cuore.
Un giorno Zoe gli aveva detto: Sai, Nicola, quando tu mi disegni e mi fai dire, nelle tue vignette…che non sono di questo mondo…forse hai ragione. Intendo dire, cerco altro, sento un richiamo a qualcosa d’altro. Sto pensando di lasciare l’università, ma devo dirti che…forse quello che devo dirti non lo capirai…
Cos’è che devo capire, Zoe?
l’aveva guardata perplesso Nicola.
Ho conosciuto un ragazzo!
E…?
Non hai capito, non un ragazzo qualunque. Un ragazzo che mi fa riflettere, non per quello che dice, ma per essere stato gettato nella mia vita, così, d’improvviso. E avrà certo un significato!
Zoe, devo chiamare mio padre e chiedergli se può vederti subito? Una visita psichiatrica urgente?
aveva scherzato Nicola, facendo ridere Zoe che non aveva tardato a ricordargli: Ti ricordo che quando me l’hai presentato l’altra volta, tuo padre, quando abbiamo pranzato insieme a casa tua…sei stato tu a dirmi che tuo padre ti ha poi detto: che bel carattere, che persona gioiosa e saggia questa ragazza!
Eh, sì…anche i migliori sbagliano! Il vecchio ha sbagliato!
aveva aggiunto, ridendo, Nicola. Poi, forse col timore di aver interrotto il fluire dei pensieri di Zoe, che sapeva essere molto intelligente e profonda, tornando serio le aveva detto: raccontami di questo ragazzo…
.
Un giorno stavo passeggiando e poi mi sono fermata su una panchina: lui si è avvicinato e abbiamo iniziato a parlare…
E fin qui, tutto normale: il tuo solito vizio di parlare con gli sconosciuti…del resto, hai fatto così anche con me!
aveva scherzato, nuovamente, Nicola.
Arrivo al dunque, Nicola…non è più uno sconosciuto, questo ragazzo. Si chiama Stefano e, soprattutto, ha una storia che mi ha colpita. Ma non me l’ha detta subito, la sua storia, intendo…
Zoe, ma a vent’anni…si può avere uno storia da raccontare?
l’aveva interrogata Nicola, e Zoe si era fermata a riflettere: No, hai ragione, a vent’anni forse non si ha una storia da raccontare, perché le storie le raccontano solo i vecchi, chi ha già vissuto e ha tempo per guardarsi indietro…ma, infatti, Stefano non mi ha raccontato proprio niente! L’ho scoperto io!
Sotto gli occhiali spessi spessi, Nicola le aveva rivolto uno sguardo divertito ma al contempo profondo, come solo lui sapeva fare, coniugando l’ironia alla serietà: Anche qui, niente di nuovo... questo vizio di voler andare sempre a impicciarti delle vite degli altri…!
.
Avevano riso tutti e due. Poi Zoe aveva continuato: Stefano vive in un quartiere malfamato della mia città…sai quello dove le volanti della polizia passano più volte al giorno, dove di sera conviene non andarci da sola…e non so neppure io cosa faccia nella vita, e neppure glielo ho mai chiesto. Ma da come parla, dalla sua dolcezza, dal senso protettivo che emana verso di me, spesso ho pensato sia un angelo. Un angelo per me. E tutte le volte, prima di rientrare a casa, mi saluta dicendomi: abbi cura di te! Mah…ti dicevo, la sua storia…non ho capito subito, e mai avrei potuto sapere perché alcuni giorni se ne andava via, misteriosamente, e non mi diceva dove: compariva e scompariva!
Fin qui, non fa una piega questo delirio…
aveva scherzato Nicola, per poi aggiungere, col tono del professore che, analizzato un