Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Capitalismo Consapevole: Liberare lo spirito eroico delle imprese
Capitalismo Consapevole: Liberare lo spirito eroico delle imprese
Capitalismo Consapevole: Liberare lo spirito eroico delle imprese
E-book499 pagine6 ore

Capitalismo Consapevole: Liberare lo spirito eroico delle imprese

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Bestseller del New York Times
Bestseller del Wall Street Journal
Apparso su Super Soul Sunday di Oprah Winfrey


John Mackey e Raj Sisodia sottopongono ad una serrata critica la narrazione secondo cui il capitalismo sarebbe la fonte di tutti i mali che affliggono la nostra società in quanto sfrutta i lavoratori, inganna i consumatori, genera disuguaglianza, disgrega le comunità locali e distrugge l’ambiente inseguendo una crescita che, alla fine, non può che rivelarsi insostenibile.
A questa versione mercantilistica e predatoria del capitalismo, gli autori contrappongono una versione più nobile, che chiamano “Capitalismo consapevole” ed è basata su quattro princìpi fondamentali:
  • Lo scopo di un’azienda consapevole non è creare valore solo per se stessa, ma per l’intera comunità per cui opera: clienti, dipendenti, fornitori, investitori e chiunque sia influenzato a qualunque titolo dalle sue attività.
  • Un’azienda consapevole non ricerca la massimizzazione del profitto ad ogni costo, ma pone al centro delle sue attività il perseguimento di scopi di ordine superiore, che sono il motivo stesso della sua esistenza.
  • Un’azienda consapevole è guidata da leader consapevoli mossi dalla dedizione nei confronti dell’impresa, di tutte le persone su cui essa ha un impatto e del pianeta che noi tutti condividiamo.
  • Un’azienda consapevole possiede una cultura aziendale autentica, innovativa e improntata al rispetto nei confronti degli altri, grazie alla quale tutti i dipendenti possono crescere come individui e sentirsi appagati come persone.
In sintesi, secondo gli autori, un capitalismo consapevole può contribuire a creare un mondo in cui miliardi di persone abbiano la possibilità di fiorire e condurre una vita piena di passione, determinazione, amore e creatività.
LinguaItaliano
Data di uscita2 giu 2021
ISBN9788885783607
Capitalismo Consapevole: Liberare lo spirito eroico delle imprese

Correlato a Capitalismo Consapevole

Ebook correlati

Sviluppo aziendale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Capitalismo Consapevole

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Capitalismo Consapevole - John Mackey

    INTRODUZIONE

    RISVEGLI

    di John Mackey

    Prima di fondare Whole Foods Market frequentai due università, dove accumulai circa 120 ore di lezioni facoltative, principalmente di filosofia, religione, storia, letteratura e altre discipline umanistiche. Mi iscrivevo solo ai corsi che mi interessavano, e se uno mi annoiava lo abbandonavo dopo poco tempo. Va da sé che seguendo una strategia educativa così autonoma imparai molte cose valide e interessanti, ma alla fine non mi laureai. Non ho mai assistito a una lezione di gestione aziendale. In realtà penso che questo negli anni mi abbia avvantaggiato nel mondo delle imprese. Nella mia attività di imprenditore, non avevo nulla da disimparare e avevo tante possibilità di innovare. Dai 18 ai 24 anni mi dedicai sorpattutto al tentativo di scoprire il senso e lo scopo della mia vita.

    La mia ricerca mi portò ad aderire al movimento della controcultura, alla fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta. Studiai le filosofie e religioni orientali (pratico ancora oggi yoga e meditazione). Studiai l’ecologia. Divenni vegetariano (da dieci anni sono vegano). Vissi per due anni in una comune/cooperativa urbana ad Austin, nel Texas e mi feci crescere barba e capelli. Dal punto di vista politico aderii gradualmente alle posizioni progressiste (o liberal, o socialdemocratiche) e sposai l’ideologia che il business e le grandi società fossero essenzialmente malvagie, perché egoisticamente cercavano solo di realizzare profitti. Diversamente dalle cattive corporation, ero convinto che le organizzazioni non-profit e i governi fossero buoni, perché operavano altrui­sti­camente per il pubblico interesse, non per il puro e semplice profitto.

    Dati questi trascorsi, nel 1978 ero evidentemente pronto per mettermi in affari. La nostra prima azienda, un negozio di generi alimentari naturali chiamato Safer Way, era un piccolo esercizio commerciale da 280 metri quadri situato in un vechio edificio; lo aprii insieme alla ragazza con cui stavo all’epoca, Renee Lawson. Avevamo a disposizione un capitale di avviamento di 45.000 dollari, raccolto da amici e familiari. Eravamo entrambi molto giovani (io avevo 25 anni e Renee 21) e idealisti, e avviammo quell’attività perché volevamo vendere cibi sani alla gente, guadagnare il necessario per vivere decorosamente e nel frattempo divertirci.

    Pur lavorando spesso più di 80 ore alla settimana, Renee e io inizialmente ci concedemmo un salario di soli 200 dollari circa al mese a testa e vivemmo nell’ufficio al piano di sopra. Non c’era una doccia né una vasca da bagno, così quando dovevamo lavarci ci facevamo una doccia usando la lavastoviglie Hobart installata nel negozio (molto probabilmente violando diverse delle norme sanitarie in vigore in città). Dopo aver gestito Safer Way per due anni, decidemmo nel 1980 di trasferirci in un edificio molto più grande, fonderci con un altro piccolo negozio di alimentazione naturale e cambiare il nome in Whole Foods Market.

    PRIMO RISVEGLIO: CREARE UN’AZIENDA

    E DIVENTARE UN CAPITALISTA

    Quando avviammo Safer Way, le idee politiche progressiste in cui credevo mi avevano insegnato che gli affari e il capitalismo erano profondamente basati su avidità, egoismo e sfruttamento: lo sfruttamento dei consumatori, dei lavoratori, della società e dell’ambiente allo scopo di massimizzare i profitti. Pensavo che il profitto nella migliore delle ipotesi fosse un male necessario, e che non fosse certamente un obiettivo desiderabile per la società nel suo complesso. Prima di creare quel negozio ero stato coinvolto nel movimento delle cooperative ad Austin. Oltre a vivere in una comune/cooperativa residenziale per due anni, avevo anche fatto parte di tre cooperative alimentari diverse nel tempo. Per diversi anni fui convinto che il movimento delle cooperative fosse il modo migliore per riformare il capitalismo, perché era basato sulla cooperazione invece che sulla concorrenza. Se un negozio fosse stato di proprietà dei suoi clienti, invece che di investitori affamati di profitti, sarebbe stato meno caro e più giusto da un punto di vista sociale. Condividevo il motto delle cooperative alimentari, cibo per la gente, non per fare profitti. Ma alla fine rimasi disilluso da quel movimento, perché sembrava lasciare poco spazio alla creatività imprenditoriale; praticamente ogni decisione era politicizzata. I membri più attivi sul fronte politico esercitavano il controllo su una cooperativa perseguendo fini personali, e si spendeva molta più energia per decidere quali aziende boicottare che per capire come migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi per i clienti. Pensavo che avrei potuto creare un negozio migliore di ciascuna delle cooperative di cui avevo fatto parte, e decisi di diventare imprenditore per dimostrarlo.

    Il fatto di intraprendere l’attività imprenditoriale e avviare un’impresa cambiò completamente la mia vita. L’esperienza mi dimostrò che tutto quello che avevo pensato sul mondo degli affari era sbagliato. La cosa più importante che appresi nel mio primo anno in Safer Way è stata che gli affari non sono affatto basati solo sullo sfruttamento o la coercizione. Piuttosto, scoprii che si fondano sulla cooperazione e sullo scambio volontario. Le persone scelgono liberamente di effettuare degli scambi per ottenere un beneficio reciproco.

    Nessuno è costretto a effettuare degli scambi con un’impresa. I clienti hanno a disposizione offerte competitive sul mercato, i dipendenti possono scegliere fra diversi datori di lavoro che si fanno concorrenza per accaparrarseli, gli investitori hanno numerose alternative in cui investire i propri capitali e i fornitori hanno molti clienti diversi a cui vendere i loro prodotti e servizi. Investitori, lavoratori, manager, fornitori: tutti devono cooperare per creare valore per i clienti. Se cooperano, il valore creato congiuntamente viene spartito equamente fra i soggetti che l’hanno creato mediante processi basati sulla concorrenza di mercato, che tengono approssimativamente conto del contributo complessivo dato da ogni stakeholder. In altre parole, stare in affari non è un gioco a somma zero, vale a dire, non prevede che ci siano un vincitore e un perdente. È un gioco win, win in cui vincono tutti, ma proprio tutti — cosa che a me piace davvero tanto.

    Scoprii, inoltre, che malgrado le mie migliori intenzioni e il mio desiderio di creare una buona azienda, c’erano molte sfide da superare. I clienti pensavano che i nostri prezzi fossero troppo alti; i dipendenti ritenevano di essere pagati troppo poco; i fornitori non ci concedevano prezzi convenienti, perché eravamo troppo piccoli; il settore non-profit di Austin ci chiedeva continuamente donazioni; e le amministrazioni a più livelli ci imponevano canoni, licenze, multe e imposte di vario tipo sulle nostre attività.

    Il fatto di non sapere un granché di come gestire un’impresa ci penalizzò parecchio il primo anno, perché riuscimmo a perdere oltre il 50 per cento del capitale che c’era stato affidato, cioè 23.000 dollari. Scoprimmo che creare un’attività di successo non è facile. Malgrado le perdite sofferte, fummo accusati dai critici del capitalismo di sfruttare i clienti mediante l’imposizione di prezzi elevati e i dipendenti mediante salari insufficienti. Le mie buone intenzioni non mi avevano impedito di diventare in certo qual modo un uomo d’affari avido ed egoista. Per i miei amici delle cooperative ero diventato uno dei cattivi. Ma io sapevo nel profondo del cuore di non essere né avido, né egoista, né cattivo. Ero ancora un grande idealista che voleva cambiare il mondo, e pensavo di poterlo fare nel modo migliore gestendo un negozio che vendesse cibi sani alla gente e offrisse buoni impieghi.

    Quando lo capii iniziai gradualmente ad abbandonare le idee socialdemocratiche della mia gioventù, perché non spiegavano più in modo adeguato il funzionamento reale del mondo. Mi guardai in giro alla ricerca di narrazioni diverse per capire il senso del mondo.

    Mentre divoravo incessantemente decine e decine di libri di economia per cercare di aiutare Safer Way ad avere successo lessi le opere di diversi studiosi e pensatori a favore della libera impresa, tra cui Friedrich Hayek, Ludwig von Mises, Milton Friedman, Jude Wanniski, Henry Hazlitt, Robert Heinlein, Murray Rothbard, Thomas Sowell e molti altri. Pensai: Wow, tutto questo ha senso. È così che funzionano davvero le cose. La mia visione del mondo era cambiata enormemente.

    Appresi che lo scambio volontario teso a ottenere un beneficio reciproco ha consentito all’umanità di godere di una prosperità senza precedenti. Come mostreremo nel capitolo 1, il progresso compiuto collettivamente dagli esseri umani negli ultimi duecento anni è semplicemente incredibile. Imparai che la libera impresa, se abbinata ai diritti di proprietà, all’innovazione, allo stato di diritto e a un governo democratico soggetto a limiti costituzionali, dà luogo a società che massimizzano la propria prosperità e creano condizioni che promuovono la felicità e il benessere di tutti — non solo dei ricchi, ma della società nel suo insieme, compresi gli indigenti.

    Ero diventato un uomo d’affari e un capitalista, e avevo scoperto che business e capitalismo, pur non essendo perfetti, erano entrambi essenzialmente buoni ed etici.

    SECONDO RISVEGLIO: GLI STAKEHOLDER CONTANO

    DAVVERO, E IL POTERE DELL’AMORE

    Uno degli eventi fondamentali nella storia di Whole Foods Market ebbe luogo oltre trent’anni fa, nel Memorial Day* del 1981, quando avevamo solo un negozio. Operavamo da solo otto mesi circa con il nome di Whole Foods, dopo aver lasciato la sede di Safer Way e cambiato denominazione. Il nostro nuovo negozio ottenne rapidamente un grande successo. Ai clienti piaceva molto farci la spesa, e ai membri dei nostri team piaceva molto lavorarci; credevano appassionatamente in ciò che stavano facendo, avevano molta libertà per esprimere la propria individualità e si divertivano con i colleghi e servendo i clienti.

    Quel giorno però Austin fu colpita dalla sua peggiore inondazione da settant’anni. Morirono tredici persone, e il disastro causò alla città danni per oltre 35 milioni di dollari (pari a circa 100 milioni di oggi). Il nostro negozio fu invaso dall’acqua fino a quasi due metri e mezzo d’altezza. Tutte le apparecchiature e i prodotti al suo interno furono distrutti; perdemmo all’incirca 400.000 dollari. L’alluvione praticamente ci spazzò via. Non avevamo né risparmi, né un’assicurazione, né scorte in magazzino. Non avevamo alcun modo di riprenderci contando sulle nostre risorse; eravamo distrutti dal punto di vista finanziario.

    Quando noi fondatori e i dipendenti arrivammo in negozio il giorno dopo il disastro e lo vedemmo devastato, a molti di noi vennero le lacrime agli occhi. I dipendenti ebbero la sensazione che fosse la fine del migliore impiego che avessero mai avuto. A noi fondatori sembrò la fine di un sogno bello ma di breve durata. Quando cominciammo a cercare di salvare il salvabile in preda allo sconforto, avvenne una cosa meravigliosa e del tutto inaspettata: iniziarono ad arrivare decine di clienti e vicini. Poiché era il Memorial Day, molti avevano la giornata libera e vennero in abiti da lavoro, portando secchi e stracci e qualunque cosa gli fosse sembrata utile. In pratica ci dissero: Avanti, ragazzi: mettiamoci al lavoro. Ripuliamo tutto e rimettiamo in sesto questo posto. Non lasceremo che questo negozio chiuda. Asciugatevi il moccio dal naso e iniziate a passare il mocio!

    Potrete immaginare l’effetto galvanizzante che questo ebbe su di noi; di punto in bianco trovammo nuove energie e provammo un barlume di speranza all’idea che forse non fosse tutto perduto. La cosa non finì lì. Nelle settimane successive decine e decine di clienti continuarono a venire per aiutarci a pulire e riparare il negozio. Chiedevamo loro, Perché lo state facendo?. Ci davano risposte come: Whole Foods è davvero importante per me. Non sono neanche sicura che vorrei vivere ad Austin se non ci fosse Whole Foods, se smettesse di esistere. Ha cambiato enormemente la mia vita. È difficile sovrastimare l’effetto che questo fece su di noi; ci sentimmo così amati dai clienti che trovammo la determinazione ad aprire di nuovo. Pensammo: Questi clienti ci adorano così tanto e ci hanno dato così tanto che dobbiamo fare tutto il possibile per riaprire e dare loro il miglior servizio umanamente possibile. Glielo dobbiamo.

    Non furono solo i nostri clienti ad aiutarci. Ricevemmo una valanga di supporto anche dagli altri stakeholder, che intervennero tutti per salvarci. Dopo l’inondazione eravamo in bancarotta e non potevamo pagare gli stipendi, così molti membri del team lavorarono gratis per un certo periodo. Naturalmente li pagammo quando riavviammo l’attività, ma in quella fase non c’erano garanzie del fatto che saremmo davvero riusciti a riaprire. Decine di nostri fornitori si offrirono di consegnarci i prodotti a credito, perché tenevano alla nostra impresa e confidavano che avremmo riaperto e li avremmo pagati. Questo fece sorgere nella nostra azienda una profonda lealtà verso quei fornitori, con molti dei quali siamo ancora in affari oggi, più di trent’anni dopo. I nostri investitori credevano in Whole Foods Market e attinsero alle proprie finanze per iniettare ulteriori capitali. La nostra banca ci prestò altri soldi per aiutarci a rimpinguare le scorte. Di fatto tutti i nostri principali stakeholder — clienti, dipendenti, fornitori e investitori — intervennero dopo l’alluvione per assicurarsi che Whole Foods Market non chiudesse e che fossimo in grado di riaprire. E così facemmo, appena ventotto giorni dopo il disastro.

    L’esperienza che vivemmo dopo quell’episodio creò una forte coesione all’interno della nostra giovane impresa. Ci dimostrò che tutti i nostri stakeholder hanno il potenziale per instaurare uno stretto rapporto con noi, per averci a cuore e prendere un forte impegno nei nostri confronti. I membri del nostro team strinsero un rapporto più stretto, e il nostro impegno verso i clienti si approfondì considerevolmente. Capimmo che stavamo davvero facendo una differenza importante nella vita delle persone.

    Pensare oggi a quello che sarebbe successo se tutti i nostri stakeholder in quel momento non avessero tenuto così tanto alla nostra azienda ci fa sentire umili. Senza dubbio, Whole Foods Market avrebbe smesso di esistere. Un’azienda che oggi ha un fatturato annuale di oltre 11 miliardi di dollari avrebbe chiuso nel suo primo anno di attività, se i nostri stakeholder non avessero provato affetto e interesse per noi — e non li avrebbero provati se non fossimo stati il tipo di impresa che eravamo. Quante aziende normali attirerebbero un esercito di clienti e fornitori disposti a fare volontariato per aiutarle nel momento del bisogno? Questo è uno dei motivi per cui siamo così consapevoli dell’importanza degli stakeholder e della potenza dell’amore nel business, perché furono loro a farci capire quanto erano importanti per il nostro successo. Non solo non ne avremmo avuto senza di loro, ma non saremmo neanche sopravvissuti. Di quali altre prove avevamo bisogno per convincerci che gli stakeholder contano, che incarnano il cuore, l’anima e la linfa vitale di un’azenda?

    ALTRI RISVEGLI

    Lo spirito imprenditoriale può essere un fantastico motore di crescita e di apprendimento a livello sia personale, sia organizzativo. Io ho sperimentato molti altri risvegli a mano a mano che Whole Foods è cresciuta ed è evoluta negli ultimi trent’anni. Ne condivideremo alcuni in tutto il corso del libro. Il punto più importante è che ho imparato che la vita è breve e che siamo semplicemente di passaggio qui. Non possiamo restare. È dunque essenziale che troviamo delle guide di cui ci fidiamo e che possano aiutarci a scoprire e raggiungere i nostri obbiettivi più elevati prima che sia troppo tardi.

    Prima di compiere venticinque anni presi una decisione che si è dimostrata saggia: mi impegnai a seguire il mio cuore per tutta la vita ovunque mi avrebbe condotto. Intrapresi così quello che è stato un meraviglioso viaggio fatto di avventure, determinazione, creatività, crescita e affetto. Sono arrivato a capire che si può vivere in questo mondo con un cuore aperto e pieno d’amore. Ho imparato che possiamo convogliare i nostri impulsi creativi più profondi con amore verso il raggiungimento dei nostri scopi più elevati, e contribuire a far sì che il mondo evolva diventando un posto migliore.

    Abbiamo aperto questo libro raccontando alcuni dei risvegli che ho avuto nella vita, perché questa è una metafora efficace del viaggio che ho svolto nella mia vita privata e in quella lavorativa per diventare sempre più consapevole. Questo percorso mi ha aiutato a cogliere alcune verità fondamentali sul mondo degli affari, che prima erano fuori dalla mia portata. Ho visto la potenza di questa consapevolezza in azione nella mia stessa azienda e in altre, e ho capito che il mondo ha un urgente bisogno di una filosofia e di una narrazione più ricca, più olistica e più umanistica del business rispetto a quella che si trova nei manuali di economia, nelle lezioni impartite nelle business school e persino nelle parole e nei testi scritti da molti leader aziendali di primo piano.

    PERCHÉ ABBIAMO SCRITTO QUESTO LIBRO

    I risvegli che mi hanno permesso di pervenire a un livello superiore di coscienza sono stati accompagnati dall’evoluzione che ha portato Whole Foods Market a entrare in contatto con il suo scopo più profondo e la sua capacità di avere un impatto sulla società. Guardando al di là della nostra azienda, vedo che molti aspetti del mondo degli affari e del capitalismo precedentemente inconsci, stanno diventando coscienti. Il cambiamento più entusiasmante, seppur non annunciato, che la società abbia sperimentato da molto tempo è probabilmente il fatto che stiamo iniziando a risvegliarci collettivamente in modo da cogliere l’incredibile potenziale di un’imprenditoria praticata in modo più consapevole.

    Il coautore di questo libro, Raj Sisodia, ha condotto un viaggio a sé stante, alla ricerca di verità più profonde sul business, nei suoi ventotto anni di esperienza come professore, autore e consulente di numerose aziende. È arrivato a scoperte simili alle mie studiando varie imprese (fra cui Whole Foods Market) che sono amate da tutti i loro stakeholder e che di conseguenza hanno avuto un successo straordinario nella creazione di ricchezza e benessere. Ha indagato su ciò che le rendeva speciali e l’ha descritto nel suo influente libro del 2007, colmo di ispirazione, dal titolo Firms of Endearment: How World-Class Companies Profit from Passion and Purpose.

    Negli ultimi cinque anni, insieme a diversi autorevoli leader aziendali e studiosi, Raj e io abbiamo seguito una chiamata condivisa a cambiare il modo in cui si riflette sul business, lo si insegna e lo si pratica, attraverso il lavoro che abbiamo svolto nell’ambito del movimento del capitalismo consapevole. Nel 2009 Raj ha fondato il Conscious Capitalism Institute, che si è fuso oggi con Conscious Capitalism Inc. (www.consciouscapitalism.org), un’organizzazione non-profit di cui siamo entrambi amministratori fiduciari. Data la passione che condividiamo per lo straordinario potenziale di una forma più cosciente di capitalismo, era davvero il caso che scrivessimo questo libro insieme.

    L’obiettivo principale che ci siamo prefissi era quello di ispirare la creazione di altre imprese consapevoli, cioè galvanizzate da una serie di scopi più elevati che promuovono e allineano gli interessi di tutti i loro stakeholder più importanti; imprese con leader consapevoli che sono al servizio di quegli scopi, delle persone su cui si ripercuotono e del pianeta in cui viviamo; imprese con una cultura aziendale flessibile e premurosa, grazie a cui chi lavora al loro interno trae una grande gioia e un senso di realizzazione. Siamo davvero convinti che questo porterà a un mondo migliore per tutti noi. Insieme, i leader aziendali possono scatenare la straordinaria potenza dell’imprenditorialità e del capitalismo in modo che possano creare un mondo in cui ogni persona conduca una vita piena di amore, buoni propositi e creatività — un mondo di libertà, compassione e prosperità. Questa è la nostra visione riguardo al capitalismo consapevole.

    COME È STRUTTURATO IL LIBRO

    Nel capitolo 1 offriamo un’analisi storica del capitalismo basato sulla libera impresa, analisi di cui a nostro parere c’è molto bisogno: che cos’è, quanto ha contribuito a trasformare il nostro mondo in un posto migliore e quali sfide deve affrontare oggi. Questo capitolo lancia anche a voi lettori un appello a partecipare attivamente all’avventura tesa a cambiare la narrazione del capitalismo. Nel capitolo 2 sviluppiamo l’idea del capitalismo consapevole, una forma più evoluta di capitalismo e di imprenditoria che fa fronte alle sfide che siamo chiamati a superare oggi e promette di offrirci un futuro radicalmente migliore.

    Ciascuna delle parti successive del libro è dedicata a uno dei quattro princìpi del capitalismo consapevole. La Prima parte (capitoli 3 e 4) riguarda lo scopo: spieghiamo perché avere uno scopo è così essenziale, proponiamo alcune tipologie generiche di scopi e spieghiamo come ogni azienda possa scoprire il suo vero scopo. Rivolgiamo poi l’attenzione agli stakeholder: nella Seconda parte (capitoli dal 5 al 12) ci occupiamo del modo in cui un’impresa cosciente considera ogni stakeholder, da quelli principali a quelli secondari. Spieghiamo anche come possa far leva sui rapporti di interdipendenza che esistono fra gli stakeholder, un punto fondamentale della filosofia del capitalismo consapevole. Nella Terza parte (capitoli 13 e 14) passiamo al nocciolo del concetto di leadership consapevole: che cosa significa e come la si possa coltivare. Nella Quarta parte (capitoli 15 e 16) parliamo dell’ultimo principio: la cultura e il management consapevoli. Questi due capitoli descrivono gli elementi fondamentali di una cultura consapevole – in particolare l’amore e la cura – oltre a delineare un approccio al management che è in linea con una cultura consapevole e ne sfrutta i punti di forza. Nel capitolo 17 diamo alcuni suggerimenti su come avviare un’impresa consapevole, oltre a proporre un certo numero di linee guida su come un’azienda già esistente possa compiere dei passi per diventare più consapevole. Concludiamo questo libro con il capitolo 18, in cui parliamo di come possiamo diffondere in modo più ampio e rapido questa filosofia e proponiamo un manifesto del capitalismo consapevole.

    Il libro contiene anche tre Appendici. L’Appendice A spiega come e perché le imprese consapevoli nel lungo periodo hanno una performance migliore di quelle tradizionali. L’Appendice B offre un confronto fra il capitalismo consapevole e altri modelli proposti di recente come il capitalismo naturale, il capitalismo creativo, lo shared-value capitalism, le B Corporation e la tripla bottom line. L’Appendice C si occupa di alcune domande e alcuni malintesi frequenti sul capitalismo consapevole.

    Una nota stilistica: mentre questa Introduzione è scritta come se fossi io a parlare, il resto del libro è il frutto di uno sforzo congiunto ed è espresso attraverso la nostra voce, compresi alcuni passaggi in cui raccontiamo aspetti della storia di Whole Foods. In alcuni punti tornerò a parlare in prima persona per descrivere episodi del mio percorso personale.

    *Il Memorial Day, che cade ogni anno l’ultimo lunedì di maggio, è la festa che si celebra negli Stati Uniti per commemorare i caduti di guerra (NdT).

    1

    IL CAPITALISMO: MERAVIGLIOSO,

    FRAINTESO, DENIGRATO

    Nel lungo arco della Storia, nessuna creazione umana ha mai avuto un impatto tanto positivo, rapido e diffuso quanto il capitalismo. Si tratta indiscutibilmente del più grande sistema di innovazione e cooperazione sociale mai esistito. Ha dato a miliardi di noi l’opportunità di guadagnarci da vivere e dare un senso alla nostra vita, creando valore gli uni per gli altri. In soli 200 anni, il capitalismo ha trasformato il volto del nostro mondo e la vita quotidiana di gran parte degli uomini. Le straordinarie innovazioni scaturite da questo sistema hanno affrancato molti di noi dalla routine meccanica a cui era sempre stata condannata la gente comune e hanno creato le condizioni per rendere la nostra vita più piena e soddisfacente. Fantastiche tecnologie hanno ridotto i tempi e le distanze, trasformando l’umanità in un tessuto omogeneo di cui noi tutti facciamo parte e che si estende fino ai più remoti angoli del pianeta.

    Si è fatto veramente tanto, ma molto altro resta da fare. I benefici che questo meraviglioso sistema promette di offrire alla cooperazione fra gli esseri umani sono lungi dall’essersi pienamente materializzati. Troppe persone nel mondo non hanno ancora sposato i suoi princìpi fondamentali, di conseguenza il nostro stato collettivo è molto meno prospero e soddisfacente di quanto potrebbe essere.

    Gran parte del XX secolo può essere vista come una lunga guerra intellettuale fra due filosofie socioeconomiche diametralmente opposte: il capitalismo basato sulla libera impresa (liberi mercati e libere persone) e il comunismo (dittatura e controllo economico da parte del governo). Se consideriamo qualunque indicatore obiettivo, questo scontro è stato chiaramente vinto dal capitalismo. Gli Stati Uniti si sono dimostrati molto più dinamici economicamente e più evoluti socialmente rispetto all’Unione Sovietica, il loro più importante rivale improntato al comunismo. Lo stesso è avvenuto per la Germania Occidentale rispetto a quella Orientale; per la Corea del Sud rispetto a quella del Nord; e per Taiwan, Hong Kong e Singapore rispetto alla Cina. Con la caduta del muro di Berlino nel 1989, un Paese dopo l’altro negli anni Novanta e Duemila iniziò a svoltare verso una maggiore libertà politica ed economica, a mano a mano che si raggiungeva una maggiore consapevolezza dei pessimi risultati economici e sociali dei vari esperimenti socialisti condotti nel XX secolo. Mentre questa conquista di una maggiore libertà si consolidava, molti Paesi sperimentarono una rapida crescita economica e centinaia di milioni di indigenti riuscirono a sfuggire alla morsa della povertà.

    Come tutti sappiamo, è da circa duecento anni ormai che gran parte del mondo occidentale gode dei frutti di questo sistema. Il modo in cui è riuscito a migliorare la nostra qualità di vita sotto un’infinità di aspetti rappresenta la storia più straordinaria — seppure incompresa —di questi due secoli. Grazie al capitalismo l’umanità ha potuto progredire a una velocità senza precedenti nella Storia. Qualche dato:

    •l’85 per cento della popolazione mondiale solo duecento anni fa viveva in condizioni di estrema povertà (avendo un reddito inferiore a un dollaro al giorno); la percentuale oggi è appena del 16 per cento.¹ Il capitalismo basato sulla libera impresa ha creato prosperità non solo per pochi, ma per miliardi di persone ovunque;

    •a livello mondiale, come mostra la Figura 1.1,² il reddito medio pro capite dal 1800 a oggi è aumentato del 1.000 per cento. Nei Paesi sviluppati l’incremento è stato del 1.600 per cento. In Giappone, se prendiamo come data di partenza il 1700, la percentuale è stata del 3.500 per cento. Tenendo conto del potere d’acquisto e dei miglioramenti qualitativi, la qualità della vita dei comuni cittadini statunitensi dal 1800 ai giorni nostri è aumentata del 10.000 per cento!³ Ma il dato più sbalorditivo forse è che il prodotto interno lordo (PIL) della Corea del Sud dal 1960 a oggi si è moltiplicato di 260 volte, trasformando questo Paese — che era uno dei più poveri del mondo — in uno di quelli più ricchi e avanzati;⁴

    •la popolazione del pianeta per decine di migliaia di anni è aumentata molto lentamente, ed è spesso diminuita quando enormi epidemie come la peste e l’influenza hanno causato milioni di vittime. Ha finito per superare la soglia del miliardo di persone nel 1804, dopodiché è avanzata a passo spedito fino a raggiungere quota 7 miliardi, soprattutto grazie ai progressi compiuti in termini di igiene, medicina e produttività agricola;

    •negli ultimi duecento anni l’aspettativa media di vita a livello mondiale è salita a 68 anni, rispetto a una media storica di trent’anni o meno;

    •la percentuale di persone malnutrite nel mondo è scesa dal 26 per cento al 13 per cento negli ultimi quarant’anni.⁷ Se il trend in atto continuerà, la fame dovrebbe essere praticamente eliminata entro la fine del XXI secolo;

    •da un mondo quasi completamente analfabeta ci siamo trasformati, in appena due secoli, in un mondo nel quale l’84 per cento degli adulti sa leggere;

    •grazie all’aumento della libertà economica, il 53 per cento della popolazione mondiale oggi vive in un Paese con un governo democratico eletto mediante suffragio universale, mentre solo 120 anni fa nessuno si trovava in questa condizione, dato che perfino le democrazie negavano il diritto di voto alle donne, alle minoranze o a entrambe;

    •contrariamente all’opinione diffusa, nei Paesi prosperi le persone sono più soddisfatte della propria vita. L’autodeterminazione associata al libero mercato, unita alla maggiore prosperità, le fa sentire più felici. Il 25 per cento della popolazione mondiale che gode di più libertà economica registra un indice di soddisfazione nella vita pari a 7,5 su 10, mentre il 25 per cento che ne ha di meno è fermo a 4,7.¹⁰

    Figura 1.1

    Popolazione mondiale e prodotto interno lordo (PIL) pro capite

    Fonte: Dati tratti da Angus Maddison, Statistics on World Population, GDP and Per Capita GDP, 1–2008 AD sito web del Groningen Growth & Development Centre, marzo 2010.

    Nel suo recente libro Bourgeoisie Dignity, Deirdre McCloskey, economista della University of Illinois di Chicago, sostiene in modo convincente che i fattori più importanti che hanno determinato il successo del capitalismo siano stati l’imprenditorialità e l’innovazione, abbinati alla libertà e alla dignità degli imprenditori e dei lavoratori.¹¹ Le invenzioni che hanno cambiato la nostra vita — automobile, telefono, benzina, Internet, antibiotici, computer, aeroplano — non sono comparse automaticamente o per un editto di Stato; hanno richiesto tutte enormi quantità di innovazione. La creatività umana, in parte individuale, ma perlopiù collaborativa e cumulativa, è alla base di ogni progresso economico.

    In un’economia basata sulla libera impresa i veri eroi sono gli imprenditori, che sono i motori del progresso del mondo degli affari, della società e dell’intero pianeta. Prendono dei problemi esistenti e li risolvono, immaginando creativamente modi diversi in cui il mondo potrebbe e dovrebbe andare. Immaginazione, creatività, passione ed energia: grazie a tutte queste cose essi sono i principali responsabili dei cambiamenti che si propagano nel mondo. Sanno vedere nuove possibilità e arricchire la vita di tutti gli altri creando cose che non erano mai esistite prima.

    L’educatrice Candace Allen, moglie del vincitore del premio Nobel per l’Economia Vernon Smith, ha spiegato con parole commoventi perché la società ha bisogno di eroi con uno spirito imprenditoriale e qual è il grande impatto che hanno sulla nostra vita: L’eroe in fin dei conti è il rappresentante del nuovo — il fondatore di una nuova era, una nuova religione, una nuova città, il creatore di un nuovo modo di vivere o di proteggere il villaggio da eventuali danni; lo sviluppatore di processi o prodotti che migliorano la vita delle persone della sua comunità e del mondo intero. Ciò che sosterrò in questa sede è che nel nostro mondo moderno, i creatori di ricchezza — cioè gli imprenditori — seguano a tutti gli effetti il percorso dell’eroe, e che siano audaci e coraggiosi esattamente quanto gli eroi che combatterono contro i draghi o sconfissero il male.¹²

    PERCHÉ IL CAPITALISMO È SOTTO ASSEDIO

    Pur avendo creato le condizioni per un’ampia prosperità, questo sistema è poco rispettato dagli intellettuali e quasi per niente amato dalle masse. Perché così in tanti non lo apprezzano? Deve forse cambiare? Oppure siamo noi a dover cambiare il nostro modo di pensare al capitalismo?

    Invece di essere visti per ciò che sono davvero — cioè gli eroi della Storia — gli imprenditori sono troppo spesso denigrati, bollati come i cattivi e incolpati praticamente di tutto quello che i nostri critici postmoderni non apprezzano. Il capitalismo è dipinto come un sistema che sfrutta i lavoratori, inganna i consumatori, genera diseguaglianza in quanto avvantaggia i ricchi a scapito dei poveri, rende la società eccessivamente disomogenea, frammenta le comunità locali e distrugge l’ambiente. Gli imprenditori e gli uomini d’affari sono accusati di essere motivati soprattutto dall’avidità e dall’egoismo. Nel frattempo i difensori di questo sistema si esprimono spesso con un linguaggio che non solo non ispira le persone, ma spesso conferma la critica secondo cui i capitalisti sarebbero interessati solo ai soldi e ai profitti e le imprese avrebbero un unico modo per redimersi: compiere opere buone. Questa è una visione profondamente sbagliata.

    Noi siamo convinti che il capitalismo sia sotto assedio da molto tempo per diversi motivi:

    1.Donne e uomini d’affari hanno permesso a economisti e critici di vario tipo di sottoporre la base etica del capitalismo a un sequestro intellettuale, applicando ad esso un’ottica limitata, egoistica ed erronea, priva delle ragioni etiche che lo giustificano intrinsecamente. Il capitalismo di conseguenza ha bisogno sia di una nuova narrazione, sia di poggiare su nuove fondamenta morali, che lo mostrino con accuratezza come il sistema buono e virtuoso che è.

    2.Troppe aziende finora sono state poco consapevoli del vero scopo che stanno perseguendo e dell’impatto complessivo che hanno sul mondo. La loro tendenza ad accettare compromessi ha avuto molte conseguenze dannose involontarie sulle persone, sulla società e sul nostro pianeta, innescando un comprensibile effetto boomerang.

    3.Il falso mito secondo cui il principale obiettivo delle imprese è e dovrebbe essere la massimizzazione dei profitti ha attecchito negli ultimi anni non solo fra i leader aziendali, ma anche nel mondo accademico. Ciò ha reso incapaci molte imprese di interagire ed entrare realmente in contatto con le persone.

    4.Le regolamentazioni sono diventate più stringenti e gli interventi del governo in campo economico sono cresciuti significativamente; ciò ha creato le condizioni per la diffusione di un capitalismo clientelare, che ha limitato la concorrenza per favorire le aziende che hanno buoni legami politici. Si chiama capitalismo clientelare, ma non è affatto capitalismo; tuttavia è considerato tale da molti, perché coinvolge uomini e donne d’affari.

    Questi quattro punti rappresentano sfide complicate, che però devono essere superate, se vogliamo continuare a diffondere la libertà e a offrire ai miliardi di persone che ne hanno ancora un disperato bisogno una vita decorosa e i frutti della modernità.

    Il sequestro intellettuale del capitalismo

    Le prime argomentazioni teoriche a favore del capitalismo erano fondate quasi esclusivamente sull’idea secondo cui le persone entrano in affari con il solo scopo di fare i propri interessi. Economisti, opinionisti e leader aziendali hanno perlopiù ignorato un secondo aspetto della natura umana, spesso più influente: il desiderio e il bisogno di prendersi cura degli altri e di perseguire ideali che vanno al di là del proprio interesse personale. Il padre fondatore del capitalismo moderno, Adam Smith, riconobbe entrambe queste forti motivazioni degli esseri umani. Il suo libro The Theory of Moral Sentiments* fu pubblicato diciassette anni prima della sua opera molto più nota, The Wealth of Nations*. Nel primo saggio Smith delineò un’etica basata sulla nostra capacità di empatizzare con gli altri e di rispettare le loro opinioni. Grazie a questa facoltà siamo in grado di capire come si sentono e di metterci nei loro panni.

    Smith era molto avanti sui tempi, per quanto riguarda la sua filosofia economica e il suo sistema morale. Se gli intellettuali dell’Ottocento avessero sposato e integrato queste due filosofie, probabilmente avremmo evitato gli straordinari conflitti e sofferenze che scaturirono in quello stesso secolo e nel successivo dallo scontro fra ideologie politiche ed economiche in competizione.

    Purtroppo non lo fecero. La visione di Smith sull’etica fu perlopiù ignorata, e il capitalismo ebbe uno sviluppo incompleto, ignorando il lato più umano della sua identità. Questo creò condizioni fertili per la comparsa di sfide di natura etica nei confronti di questo sistema, le quali non ci misero molto a materializzarsi. Karl Marx lo attaccò perché reputava che fosse intrinsecamente basato sullo sfruttamento dei lavoratori. Chi lo criticava si avvalse dell’idea darwiniana della selezione naturale per sostenere che i mercati fossero per natura spietati e brutali. Proprio come si riteneva che in natura sopravvivesse solo chi aveva "i denti e gli artigli rossi di sangue* ", il mondo degli affari era considerato duro, inumano e insensibile. Questa visione ignorava le aspirazioni e le capacità umane di ordine superiore a cui il capitalismo potenzialmente attinge in modo così efficace.

    Un altro fattore che alimentò la sfiducia in questo sistema fu la mancata

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1