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Giungla di sangue
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E-book337 pagine4 ore

Giungla di sangue

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Info su questo ebook

La Legio Invicta, società operante nel settore della sicurezza, è in realtà una sorta di agenzia di spionaggio segreta, coordinata da Paolo Sartori, in passato al vertice dei servizi segreti italiani, ed ha lo scopo di abbattere il sistema che protegge malavitosi e politici corrotti. L'unico modo per farlo è operare al di fuori dei confini della legalità. Tra gli operativi della Legio Invicta, ci sono anche due ex agenti dei servizi segreti italiani, Nicholas Caruso e Ruben Monteleone, già collaboratori di Sartori.
Il boss colombiano di origine italiana Salvatore Allocco, detto El Zurdo, per vendicare il fratello Gennaro, boss della camorra ucciso dalla Legio Invicta, affida il compito alla figlia adottiva Julia, ambiziosa e crudele. L'azione si sposta dall'Italia alla Colombia: Caruso e Monteleone, affiancati dall'agente dei servizi segreti vaticani Alex Torrisi, tenteranno di sgominare il cartello di El Zurdo. Intanto, in Vaticano, il neoeletto papa Pietro II, zio del Torrisi, si troverà a fronteggiare una congiura interna ordita dalla pericolosa Loggia del Grande Occhio Rosso.
Romanzo denso di colpi di scena, di azioni cruente e veloci, che non lasciano respiro al lettore.
LinguaItaliano
Data di uscita30 ott 2023
ISBN9788855393317
Giungla di sangue

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    Anteprima del libro

    Giungla di sangue - Alessandro Cirillo

    PREFAZIONE

    Alessandro Cirillo e Giancarlo Ibba proseguono nella loro proficua collaborazione, nata ormai diversi anni or sono, confezionando un altro tassello che si aggiunge alla galassia dei titoli di Action Tricolore, trame di scrittori italiani, di vicende italiane, con protagonisti personaggi italiani.

    Alessandro, caparbio e istintivo, che per raggiungere l’obiettivo prefissato viaggia come un treno in corsa (mai paragone fu più azzeccato, visto il suo lavoro da capotreno), quasi mio coetaneo, con il quale condividiamo parecchi interessi comuni, e Giancarlo, pragmatico e razionale, ma che dopo averlo conosciuto di persona posso affermare essere un finto-timido ma soprattutto una persona di piacevole compagnia con il quale poter disquisire di una grande varietà di argomenti, ci regalano un nuovo libro. E il risultato è ancora una volta qualcosa che non è la somma dei valori delle rispettive caratteristiche, bensì la loro moltiplicazione: alla capacità del primo di sviluppare trame originali e ricche di azione, si amalgama alla perfezione la maestria del secondo nel condire il tutto con un velo di mistero, che sconfina a tratti nell’esoterismo, che nulla ha da invidiare ad autori specialisti nel genere, oltre a possedere uno stile letterario dal quale si può solo imparare.

    Prima del dovuto tributo al romanzo, però, è doveroso fare un salto indietro di qualche anno, raccontando brevemente il rapporto che mi lega con Alessandro e Giancarlo, autori scoperti quasi per caso in un momento nel quale ero in carenza di thriller militari di autori anglosassoni. È anche merito loro se mi sono cimentato anch’io nello stressante hobby della scrittura. Dopo essere riuscito a stabilire un contatto con loro per discutere di alcuni aspetti dei loro romanzi, con il tempo sono diventati prima due stimati colleghi e poi due fantastici amici, ma soprattutto i primi severi giudici dei miei lavori, che sarebbero arrivati di lì a poco.

    Solo conoscendo questo retroscena è possibile mettersi nei miei panni e comprendere cosa ho provato quando, oltre a sottopormi la lettura della bozza del presente romanzo, i due Autori mi hanno chiesto se avevo piacere di scriverne la prefazione, proprio io che di fronte alle loro bozze avevo sempre pensato di poter essere utile al massimo come zelante cacciatore di refusi.

    E ora eccomi qui, anche un po’ incredulo e soprattutto disorientato da questo attestato di stima nei miei confronti. Per fare un paragone possiamo dire che mi sento come un tifoso di una squadra di calcio che per anni segue la propria squadra del cuore dalle tribune e poi un bel giorno viene chiamato a scendere in campo insieme ai propri beniamini, diventando parte della squadra.

    Alessandro Cirillo e Giancarlo Ibba sono ormai Autori con notevole esperienza nella scrittura e ormai praticamente all’apice della loro maturità letteraria, ma arrivare in fondo a un romanzo è sempre il raggiungimento di un grande traguardo con alle spalle un investimento di parecchie ore di lavoro per la ricerca, fase che avviene prima della scrittura vera e propria. E per un libro come questo che vi state apprestando a leggere oltre che ore di ricerca, serve anche tanta passione.

    Giungla di Sangue è la prosecuzione delle vicende di Nicholas Caruso e Ruben Monteleone, due agenti segreti che abbiamo conosciuto nei primi due romanzi della serie, Angelus di Sangue e Binari di Sangue. Nel primo romanzo un ambizioso attacco terroristico all’interno delle mura vaticane viene ostacolato dalle nostre forze armate con l’aiuto di Bruno Maio: un prete con un passato da militare che si ritrova a dover utilizzare quanto appreso durante l’addestramento negli anni da soldato per salvare se stesso e quanti fanno parte della sua nuova vita. Binari di Sangue, invece, a essere presi di mira sono i passeggeri di un treno utilizzato per la campagna politica di un candidato alle elezioni. Questa volta fa la sua comparsa sulla scena Alex Torrisi, agente dei servizi segreti vaticani che ritroveremo anche tra le pagine di questo ultimo capitolo della vicenda.

    I protagonisti questa volta saranno chiamati a compiere una missione al di fuori dei confini nazionali, come risposta a un nuovo attacco diretto alle istituzioni italiane da parte di un potente gruppo criminale. Pagina dopo pagina scoprirete la dinamicità e la suspense che i due Autori sono riusciti a trasmettere anche in questo capitolo conclusivo della Trilogia del Sangue.

    Alessio Virdò

    Cantalupa, agosto 2023

    INCIPIT

    Playa Mecana, Dipartimento di Choco (Colombia)

    Dalla terrazza panoramica della villa, Julia Aguirre studiò il magnifico paesaggio della spiaggia deserta e le onde sfavillanti dai mille riflessi. Abbagliata dalla luce del sole, Julia si morse il labbro e socchiuse le palpebre sui grandi occhi celesti.

    Dopo un attimo di contemplazione, tornò a rivolgere lo sguardo verso il cavalletto che reggeva la tela. Nel tempo libero, Julia adorava dipingere con i colori a olio. Usando la mano destra, intinse il pennello sottile nel grumo di colore bianco sul bordo della tavolozza che reggeva con la sinistra. Rapida e precisa, tracciò due virgole sulla base di azzurro che aveva steso per rappresentare il cielo limpido sopra l’oceano Pacifico. Ed ecco apparire un bel gabbiano con le ali spiegate.

    Soddisfatta del risultato ottenuto, la giovane donna si concesse un lieve sorriso.

    Ai suoi piedi, rigorosamente nudi quando dipingeva, sonnecchiava Bicho. Era un cane di razza mista, proprio come lei. Julia lo aveva trovato quando era ancora un cucciolo, ustionato, tra le macerie di una stamberga che proprio lei aveva dato alle fiamme. L’ordine era arrivato dal padre adottivo, Salvatore Allocco, noto come El Zurdo, un criminale italiano che aveva sposato la figlia di un boss colombiano.

    Julia stava per dare un altro ritocco alla tela, quando qualcuno si affacciò alla soglia del belvedere. Lei si accorse subito della presenza, ma restò immobile, con il pennello a mezz’aria che sgocciolava sulle mattonelle di cotto. Il sole, specchiandosi sulla piscina esterna, creava mobili riflessi sul porticato. Bicho sollevò appena le orecchie a punta, senza aprire gli occhi. Conosceva bene l’odore del nuovo arrivato e sapeva che non era una minaccia. Almeno, non per lui e la sua padrona.

    «Perdoni il disturbo, signorina…» esordì Matiz. La voce baritonale era in contrasto con il suo aspetto smilzo. «I ragazzi sono appena rientrati. Hanno trovato Alicia.»

    Con calma, Julia posò la tavolozza e il pennello su una panchetta.

    «È ancora viva?» domandò.

    «Sì. L’hanno portata nel sotterraneo, ma aspettano lei per chiudere la faccenda» rispose l’uomo, infilando i pollici nella cintura. Era alto e pallido come un vampiro. Vestiva sempre con pantaloni neri e camicia bianca. «L’hanno catturata sulla strada per El Pico Verde, dove vive la famiglia. La sua fuga è durata poco.»

    Julia annuì. «I gioielli?»

    «Recuperati. Alicia li portava ancora tutti con sé, in una borsa.»

    «Papà è stato avvisato?» chiese lei, inginocchiandosi per accarezzare il dorso di Bicho. Lui reagì agitando il moncherino della coda, persa in combattimento.

    «Il capo è già di sotto.»

    «Qualche novità dall’Italia?»

    Matiz si grattò il mento ben rasato. «Sto seguendo un paio di piste interessanti, grazie a un mio contatto all’interno della Procura di Roma. Se tutto procede come deve, tra qualche settimana avrò le informazioni che ha richiesto, signorina.»

    «Molto bene» disse Julia, raddrizzandosi. Recuperò dal parapetto della terrazza il fodero del suo coltello da caccia Bowie e lo agganciò alla cintura dei jeans, dietro la schiena. «Sono pronta. Muoviamoci. Andiamo, Bicho, vieni anche tu!»

    A quel richiamo, il molossoide uggiolò e seguì la padrona fuori dalla terrazza. Julia, Matiz e Bicho percorsero il porticato che costeggiava il bordo della piscina, incrociando alcuni uomini armati di fucile che pattugliavano la residenza.

    L’enorme villa era circondata da mura perimetrali sormontate da filo spinato e sorvegliate da videocamere. Un massiccio cancello antisfondamento impediva l’accesso alla proprietà. Una piccola struttura dalla forma quadrata sorgeva proprio accanto al cancello. Era sempre presidiato da due uomini che potevano visionare in diretta le immagini delle videocamere. C’era anche un edificio che fungeva da alloggio per il corpo di guardia. Con l’avanzare dell’età, El Zurdo era diventato sempre più paranoico. Vedeva ovunque nemici pronti a ucciderlo. Metteva il muso fuori dalla sua fortezza di rado, trascorrendo le sue giornate a ubriacarsi e guardare partite di calcio del campionato italiano. Aveva anche perso interesse per gli affari di famiglia, lasciando quasi tutta la gestione a Julia. Lei sapeva che avrebbe preso il comando al momento della morte del padre. Nessuno dei suoi fratellastri, tranne forse Hector, sarebbe stato in grado di portare avanti il business del Cartello.

    Sono solo un branco di coglioni, pensò.

    Al termine del porticato, Julia passò sotto un arco che portava alle scale che scendevano nel sotterraneo, scavato nella solida roccia della montagna.

    Silenzioso come al solito, Matiz la scortò restando a qualche metro di distanza.

    Una volta superato l’arco e imboccate le scale, la temperatura dell’aria calò, rispetto all’esterno. A cinquanta metri di profondità, sotto la volta di pietra, c’erano una quindicina di gradi. Il sotterraneo, in realtà, era in gran parte una cantina per l’inestimabile collezione di vini pregiati di El Zurdo. All’occorrenza, però, diventava una prigione, luogo di tortura o via di fuga segreta.

    «Buongiorno, papà» salutò Julia, entrando nel vasto locale cavernoso.

    Tutto intorno si aprivano le grandi volte di pietra muschiosa e mattoni umidi che conducevano alle varie sezioni della cantina e alle celle frigorifere. Da qualche parte, giungeva l’eco lontana di acqua che sgocciolava dal soffitto.

    «Ciao, Julia…» rispose Salvatore Allocco, in pantaloncini e sandali. Sotto il petto villoso sporgeva una grossa pancia da bevitore di birra. «Stavi dipingendo?»

    La figlia adottiva alzò un sopracciglio. «Il solito stupido paesaggio.»

    «Non sottovalutarti, ragazza mia, a me piacciono molto i tuoi quadri» ribatté lui, rovistandosi l’ombelico con un dito. «Come puoi vedere, i ragazzi sono riusciti a catturare subito quella ingrata di Alicia. L’ho accolta in casa mia, le ho riempito la pancia quando moriva di fame, le ho dato un lavoro onesto… e lei come cazzo mi ha ringraziato? Rubando i gioielli della mia povera moglie, buonanima!»

    Julia scosse la testa. «Quando ti porterai a letto un’altra domestica, papà, fai più attenzione a non farle scoprire la combinazione della tua cassaforte.»

    «Hai ragione» ammise lui, con gli occhi lucidi. «Ma la carne è debole.»

    Tallonata da Bicho, Julia avanzò a passo lento verso il centro del sotterraneo, illuminato da faretti ben piazzati. Lanciò un’occhiata a quelli che il padre chiamava i ragazzi. Erano quattro, tutti maschi: Hector, Pedro, Ricardo e Luz. Una bella collezione di randagi. Come Julia, la prediletta, erano tutti stati presi da orfanotrofi e adottati in modo più o meno legale. Allocco non poteva avere figli.

    Spermiogramma piatto, scherzava lui, quando era ubriaco fradicio.

    «È arrivata la principessa!» esclamò Pedro. «Il lavoro sporco tocca sempre a noi.»

    Detto questo, tirò un pugno allo stomaco della povera Alicia, appesa come un quarto di manzo a un gancio che spuntava dal soffitto. La donna gridò. I suoi polsi erano scorticati dalle manette che li serravano e reggevano tutto il suo peso. I vestiti tagliati con il coltello in corrispondenza delle parti intime. Era piena di lividi in tutto il corpo. La bellezza latina del suo volto era ormai soltanto un ricordo. Una pozza di sangue e urina si era raccolta intorno ai suoi piedi sporchi. Dal liquido traslucido che colava in mezzo alle sue cosce, era chiaro che era stata stuprata più volte.

    Ignorando la provocazione di Pedro, Julia si avvicinò alla prigioniera. Come seguendo una coreografia prestabilita, i quattro fratellastri si allontanarono. Non la rispettavano, era pur sempre una femmina, ma la temevano.

    Nel frattempo, El Zurdo continuò a pulirsi l’ombelico. «Non farla troppo lunga, stavolta, figlia mia» la esortò il boss. «Tra poco ci sta o’ Napoli in TV.»

    Julia restò in silenzio. Si piazzò di fronte ad Alicia e la scrutò con i suoi gelidi occhi celesti. La donna era allo stremo delle forze, dopo ore di sevizie, ma trovò lo stesso il coraggio di lanciarle uno sguardo di odio e di sfida.

    «Non ho paura di te, maledetta!» sbraitò, sputandole addosso sangue e pezzi di denti rotti. «Non puoi farmi nulla che i tuoi fratelli non mi abbiano già fatto!»

    Senza scomporsi, Julia continuò a fissarla e allungò la destra verso il suo viso, come per darle uno schiaffo. All’opposto, con un gesto delicato, le scostò i folti capelli corvini dalle orecchie. Invano, Alicia cercò di morderle la mano. I minuscoli smeraldi ancora attaccati ai suoi lobi esangui brillarono sotto la luce dei faretti.

    «Questi non li avevate visti?» domandò Julia, sarcastica. «Troppo impegnati a ficcarle i vostri cazzi duri dentro ogni buco, eh?»

    «Gli orecchini preferiti di vostra madre!» sbottò Allocco.

    «Cosa?» ringhiò Hector. «Non l’avevi perquisita tu, Ricardo?»

    Ricardo balzò indietro. «Che vuoi fare?» replicò. «Picchiarmi?»

    «Calma!» tuonò Luz, grosso come un gorilla, afferrandolo per un braccio.

    Dall’altro lato, Pedro ridacchiò. «Che bella famigliola disfunzionale.»

    «Piantatela tutti quanti, ragazzi!» intervenne El Zurdo, consultando il Rolex che teneva al polso. «Qui sotto c’è un freddo boia e io mi sto già rompendo i coglioni.»

    Abituata a quel caos, Julia tolse i preziosi orecchini dai lobi della donna e li consegnò nelle mani del padre. «Perché l’hai fatto, Alicia? Non ti credevo così stupida. Pensavi davvero di poter rubare i gioielli di nostra madre e farla franca? Vivere qui e farsi scopare ogni tanto dal padrone di casa non era abbastanza?»

    Sospesa alle manette, dolorante, la donna deglutì e abbassò gli occhi.

    «Per sparire dalla circolazione volevi chiedere aiuto a quel prete messicano di El Pico Verde… padre Jorge? Ho sentito dire che è un tipo sveglio» proseguì Julia, mentre estraeva il coltello da caccia Bowie dal fodero. «Comunque, sbagli se pensi che non possa infilarti dentro qualcosa, solo perché sono una donna.»

    «Aspetta, Julia!» implorò lei, alzando la testa. «Ti supplico! Non uccidermi!»

    Passando dall’inerzia all’azione, con un movimento fulmineo, Julia iniziò a pugnalare il fianco sinistro di Alicia, producendo sonori schiocchi. La donna non riuscì neanche a gridare. La bocca le rimase aperta in un urlo muto, mentre si afflosciava senza forze. Già stremata dalle precedenti sevizie, morì in pochi istanti.

    Con il Bowie stretto in mano, la lama lorda di sangue, Julia si voltò verso il padre. Ansimava per la fatica e l’eccitazione. «Ho fatto in fretta, visto?»

    «La stronza ha avuto quello che si meritava» rispose lui, grattandosi la pancia.

    «Servirà come monito per gli altri domestici» aggiunse lei. «Però la prossima volta che ti viene voglia di sesso, fatti procurare una prostituta da Hector, d’accordo?»

    «Non mi piace pagare le donne.» Corrucciato, El Zurdo si avviò verso le scale. In quel momento il suo smartphone iniziò a trillare. Dal display apprese che era la sua anziana madre a chiamarlo. «, mammà! Come stai?» disse, rispondendo. Quello che sentì non doveva essere piacevole, perché il suo volto s’incupì. «Devi avere ancora un po’ di pazienza» ribadì. Una pausa, poi: «Certo. Tranquilla, le cose si stanno muovendo. Il mio Matiz ci sta lavorando. Quando sarà il momento, farò preparare il Falcon e manderò in Italia i ragazzi. Sì, certo, chiederò a Don Nofrio di darci una mano, in nome della nostra vecchia amicizia. Non ti preoccupare, mà, i bastardi che hanno ucciso mio fratello Gennaro avranno la giusta punizione!»

    Udendo quelle ultime parole, Julia sentì un brivido lungo la spina dorsale.

    Il boss riattaccò e si rivolse di nuovo ai suoi figliastri. «Ripulite il casino che avete fatto quaggiù» ordinò. «Vi voglio tutti a cena, dopo la partita. Matiz, vieni con me.»

    Passò accanto al lugubre aiutante, che subito gli andò dietro su per le scale.

    Luz e Ricardo andarono in cerca di stracci e secchi per sciacquare il pavimento.

    Uscito di scena il padre, Julia chiamò il suo cane: «Vieni, Bicho!»

    Il molosso agitò la coda mozza e trotterellò verso la padrona.

    «Merda, no, un’altra volta!» sbottò Hector, accendendosi una sigaretta. «La devi smettere con questa mania. Potrebbe metterci nei guai, prima o poi.»

    Adoperando il coltello con perizia, Julia tagliò entrambe le orecchie dal cadavere ancora caldo di Alicia. Pensierosa, strinse in mano per qualche secondo quei pezzi di pelle e cartilagine. Sbavando sui suoi piedi nudi, Bicho la fissò, in attesa.

    Pedro sghignazzò. «Quel porco nazista di tuo bisnonno deve averti tramesso qualche gene sballato. È roba da pazzoide, sorellina, lo sai vero?»

    Una alla volta, Julia lasciò cadere le orecchie di Alicia nella bocca del molosso.

    Poi guardò Pedro e sorrise. «Lo so. Tu cerca di non dimenticarlo mai.»

    SEI MESI DOPO

    Quartiere EUR, Roma

    La Tesla Model 3 dalla carrozzeria scura come la notte zigzagava silenziosa per le strade della capitale. Nonostante fossero appena le sette di mattina, il traffico era già piuttosto sostenuto. L’autista, un ex poliziotto, guidava con attenzione resistendo alla tentazione di dare sfogo ai quattrocentonovanta cavalli di potenza.

    Il sedile posteriore era occupato da Paolo Sartori. L’uomo, che in passato era stato al vertice dei servizi segreti italiani, osservava distratto fuori dal finestrino oscurato. Da un po’ di tempo figurava come consulente per una società operante nel settore della sicurezza, la Legio Invicta. La facciata legale dell’azienda serviva a coprire la vera ragione per cui era stata creata. La Legio Invicta era in realtà una sorta di agenzia di spionaggio segreta. Lo scopo principale era quello di abbattere il sistema che da troppo tempo proteggeva malavitosi e politici corrotti. Secondo il pensiero di Sartori, per raggiungere gli obiettivi prefissati occorreva combattere la battaglia ad armi pari. In ragione di ciò, non c’era altra via che operare fuori dai confini della legalità. Ogni metodo ritenuto utile veniva utilizzato: perquisizioni, ricatti, intimidazioni. Gli incarichi erano svolti da una piccola, ma addestrata squadra di agenti operativi. Nella maggior parte dei casi le missioni erano volte a favorire l’arresto di esponenti della criminalità organizzata e politici in combutta con essa. Quando ciò non era possibile o attuabile, i problemi venivano risolti con l’eliminazione dei bersagli. Anche se come copertura Sartori ricopriva l’incarico di consulente, in realtà dirigeva la divisione occulta.

    Qualcuno suonò il clacson. Quasi come una sorta di richiamo animale, gli altri automobilisti si unirono al concerto. L’autista della Tesla mantenne l’autocontrollo, limitandosi a sbuffare. Il passeggero non fece caso al baccano.

    L’idea di creare un servizio segreto alternativo a quelli ufficiali gli era venuta leggendo alcuni romanzi di Tom Clancy. Sartori sapeva che i suoi metodi non erano eticamente accettabili in una società civile regolata da processi equi e diritti anche per i peggiori delinquenti. Ci si indignava quando un politico o un criminale riusciva a farla franca per merito di un buon avvocato, tuttavia nessuno faceva nulla. Lui invece aveva fatto qualcosa, eccome se lo aveva fatto.

    Le erbacce non si curano, si estirpano!

    Si era assunto i suoi rischi, insieme a tutti coloro che avevano accettato di aiutarlo nella sua crociata contro il marcio che c’era nel Paese. Era conscio che se un giorno fosse venuta a galla la verità, avrebbe passato il resto della sua vita in carcere. Di recente, quella ipotesi era arrivata vicina a diventare tangibile.

    Quasi un anno prima, la Procura di Roma aveva aperto un’inchiesta parallela, mentre analizzava gli oscuri retroscena riguardanti il treno della legalità. Si trattava di un treno noleggiato in campagna elettorale dal politico di estrema destra Enea Zanoni. Il convoglio era stato sequestrato da alcuni terroristi durante l’ultima tappa del tour elettorale. La situazione era stata risolta da Alex Torrisi, un agente dei servizi segreti vaticani, in collaborazione con un operativo della Legio Invicta in incognito, Nicholas Caruso. Malgrado fosse stato fatto di tutto per mantenere il segreto, gli inquirenti erano riusciti a trovare un vago collegamento. Per fortuna, le indagini non avevano portato a nulla che potesse essere presentato in tribunale. I veri problemi erano arrivati da una fuga di notizie all’interno della Procura stessa. Un poliziotto aveva venduto informazioni a un giornalista, il quale aveva mandato in onda un servizio televisivo. La notizia aveva fatto il giro del mondo. Alla Legio Invicta erano state attribuiti una miriade di esecuzioni di membri della criminalità organizzata, anche esponenti di rilievo come il boss della camorra Gennaro Allocco.

    Con tutti i riflettori puntati addosso, Sartori non aveva potuto fare altro che sospendere ogni operazione clandestina. I rischi erano diventati troppo grandi. Da quel momento non aveva più potuto impiegare i suoi operatori per missioni speciali, utilizzandoli soltanto per mansioni relative alla sua facciata legale.

    Il profilo della Centurion Tower, sede della società, si stagliò all’orizzonte. Arrivati nei pressi del grattacielo, l’autista si fermò di fianco a una guardiola provvista di una sbarra che regolava l’ingresso. Abbassò il finestrino, sorridendo, per farsi riconoscere dalla donna che si trovava dietro a un vetro antiproiettile.

    «Buongiorno, Bea» salutò. «Sono già arrivati i giornalisti?»

    La donna faceva parte del servizio di sicurezza del grattacielo, fornito proprio dalla Legio Invicta a una cifra così irrisoria da sbaragliare tutta la concorrenza. Sartori ci teneva che fossero i suoi uomini a difendere il fortino.

    «Aspettano in sala stampa» rispose la guardia, affrettandosi ad alzare la sbarra.

    L’autista proseguì oltre e imboccò la rampa che conduceva al vasto parcheggio sotterraneo. Posteggiò in uno spazio dedicato e si affrettò a scendere.

    «Ci vediamo più tardi, direttore» disse, aprendo lo sportello a Sartori. Si riferiva alla sua vecchia carica nel DIS, il dipartimento delle informazioni per la sicurezza.

    «A dopo, Furio.»

    Sartori scese dalla Tesla e raggiunse l’ascensore che

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