Scrivo ergo sum: Piccolo manuale di scrittura ai tempi dell’intelligenza artificiale
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Info su questo ebook
“Ci piace pensare che scrivere continuerà ad essere un’attività indispensabile alla nostra sopravvivenza come civiltà e forse addirittura come specie; un’attività magari non così centrale come lo è stata negli ultimi tre millenni, ma ancora e sempre necessaria per raccontarci e definirci compiutamente, per stabilire e curare relazioni, per capire dall’interno cosa sentiamo e come ragioniamo. Questo libriccino, nel suo piccolo, vuole provare a ricordartelo.
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Anteprima del libro
Scrivo ergo sum - Andrea De Benedetti
Capitolo 1
Tre cose che prima o poi ti toccherà scrivere
Descrivere, raccontare, argomentare, spiegare, dare ordini o istruzioni: se si potesse fare la radiografia di un testo – di qualsiasi testo – il suo scheletro presenterebbe sempre le tracce di almeno une di queste azioni. Gesti archetipici, operazioni primarie che, prima ancora di rappresentare l’essenza di altrettanti tipi di testo scritto (rispettivamente: descrittivo, narrativo, argomentativo, espositivo, regolativo), hanno a che fare, per gli individui, con i loro bisogni comunicativi ed espressivi fondamentali. Siamo talmente assuefatti all’idea della centralità della scrittura, da dimenticare che il concetto di testo non è una prerogativa del mezzo – scritto o orale – ma è la forma strutturata data a un pacchetto di significati. La scrittura ha tuttavia il potere di fissare delle convenzioni, di stabilire delle modalità standardizzate e replicabili in situazioni analoghe. Da questo punto di vista, anziché passare in rassegna i caratteri delle diverse tipologie testuali, ci pare più utile fornire modelli pratici di tre tipi di testo che prima o poi ti sarà capitato o ti capiterà di scrivere nella vita – il riassunto (da intendersi in senso lato), il saggio argomentativo e l’e-mail di lavoro – che possono contenere, in misura maggiore o minore, alcuni caratteri delle tipologie testuali tradizionalmente catalogate.
Il riassunto
Dici riassunto e subito, dai recessi più profondi della memoria, affiorano ricordi di pomeriggi passati a isolare parole chiave, rincorrere sinonimi, liofilizzare paragrafi per cercare di stipare il senso di un testo nel minor numero di parole possibile, che non sempre il prof di turno si prendeva la briga di quantificare. Una cosa noiosissima e priva di senso, ci pareva allora, a fronte di forme di scrittura meno vincolate e più creative in cui immaginavamo di poter esprimere al meglio la nostra personalità e il nostro talento. Non avevamo capito, ai tempi, che riassumere è una delle forme più virtuose e raffinate del raccontare. Non avevamo capito, soprattutto, che quasi tutte le narrazioni, in un certo senso, sono riassunti, nella misura in cui presentano sempre dei vuoti, delle lacune necessarie, delle ellissi provvidenziali, senza le quali il racconto occuperebbe lo stesso tempo della vita. Tutti noi, insomma, ci muoviamo con più o meno disinvoltura in una foresta di riassunti: quando raccontiamo le nostre vacanze ai nonni, omettendo le parti più scabrose, stiamo facendo un riassunto; quando snoccioliamo – senza spoilerare – la trama di un film a un’amica che è indecisa se andarlo a vedere o meno, stiamo facendo un riassunto; quando al primo appuntamento elenchiamo gli episodi meno inconfessabili della nostra biografia, stiamo facendo un riassunto; quando andiamo dai Carabinieri a denunciare il furto del motorino, stiamo facendo un riassunto; quando incontriamo per la prima volta il nuovo medico di base e ricostruiamo la nostra anamnesi, stiamo facendo un riassunto; forse persino Omero, a suo modo, fece un riassunto di quanto accadde nei 51 giorni intercorsi tra l’esplosione di ira di Achille e l’incontro con Priamo, sorvolando su episodi e dettagli periferici rispetto al nucleo narrativo principale, in modo da non andare troppo fuori tema. Perché il riassunto è, in buona sostanza, l’arte di cogliere l’essenza, la capacità di ridurre in scheletro la struttura narrativa o argomentativa di un testo senza tradirne il senso. C’è chi grazie al talento per riassumere – e all’intuizione di quanto sia utile saperlo fare – ha costruito imperi editoriali, come il cavalier Ernesto Bignami, fondatore dell’omonima casa editrice che ha salvato vite e vacanze di intere generazioni di studenti con le sue collane di libriccini in formato tascabile contenenti sintesi degli argomenti trattati nei programmi scolastici ministeriali. C’è chi, sul principio di testi ridotti all’osso, ha inventato gli sms, WhatsApp e Twitter. E c’è anche chi all’opposto, già negli anni Cinquanta, vedeva nel riassunto l’emblema minaccioso di una modernità ultraveloce in cui non saremmo stati più capaci di leggere libri lunghi e complessi ma – appunto – solo sintesi e condensati:
«Poi, nel ventesimo secolo, il moto si accelera notevolmente. I libri si fanno più brevi e sbrigativi. Riassunti. Scelte. Digesti. Giornali tutti titoli e notizie, le notizie praticamente riassunte nei titoli. Tutto viene ridotto a pastone, a trovata sensazionale, a finale esplosivo (...). Ma eran molti coloro presso i quali la conoscenza di Amleto (…) si riduceva al condensato
d’una pagina in un volume che proclamava: Ora finalmente potrete leggere tutti i classici» (R. Bradbury, Fahrenheit 451).
Qualche anno fa, proprio su Twitter (nel frattempo ribattezzato X), fu lanciato un gioco denominato «Twitteratura» in cui gli utenti della piattaforma dovevano cercare di ridurre la trama di alcuni classici della letteratura mondiale agli allora fatidici 140 caratteri (nel frattempo sono diventati 280). Ne uscirono piccoli – è il caso di dirlo – capolavori, che portavano all’estremo il concetto di sintesi, condensando in poche folgoranti battute il senso di opere-monumento della tradizione letteraria di ogni tempo. Di seguito alcuni esempi:
«I 50 giorni più intensi della guerra di Troia. Ettore vince Patroclo, Achille vince Ettore. L’Olimpo, dietro il sipario, se la spassa assai» (Iliade).
«Un uomo intinge una madeleine nel tè. Questo lo porta a rievocare i ricordi di tutta una vita. Alla fine, decide di scriverci un libro» (Alla ricerca del tempo perduto).
«Francesco vede Laura forse un’unica volta nella vita per pochi minuti. Da quel momento inizia a cantarla in poesia. Per sempre, ogni giorno» (Il Canzoniere).
A scuola, invece, il riassunto rimane in auge come attività di scrittura propedeutica a tutte le altre, che misura il livello di comprensione di un testo, la capacità di individuarne gli snodi narrativi o argomentativi più importanti e, al tempo stesso, una padronanza linguistica multidimensionale (chiarezza, coerenza, correttezza). Nella prova scritta di italiano dell’esame di Stato, inoltre, due delle tre tipologie di tracce proposte (la A e la B) presentano una struttura bipartita, che prevede in prima battuta proprio il riassunto del testo-guida, e in seconda battuta l’analisi del testo medesimo (tipologia A) o la produzione di un tema argomentativo (tipologia B).
Qui te ne proponiamo due modelli: il riassunto intralinguistico, cioè la riformulazione sintetica di un testo scritto in un altro testo scritto, e il riassunto intersemiotico, cioè la trasposizione scritta – sintetica anch’essa – di qualcosa di non scritto, che è poi, al di fuori della scuola, la forma più diffusa in cui si declina il concetto stesso di riassunto.
Per il primo esercizio, partiamo dal seguente brano del compianto Luca Serianni, proposto in una delle tracce della tipologia B per la prima prova dell’esame di Stato 2022-23 (sessione suppletiva):
È sicuramente vero – e in Italia in modo particolare – che la cultura scientifica media continua a essere scarsa e dotata di minore prestigio sociale. Per intenderci: una persona istruita saprebbe dire che le proteine sono sostanze che si trovano soprattutto nella carne, nelle uova, nel latte e che sono indispensabili nella nutrizione umana. Tutto bene, purché si sia consapevoli che una formulazione così sommaria equivale a dire che Alessandro Manzoni è un grande scrittore morto molto tempo fa, e basta. Ci aspettiamo che si debba andare un po’ oltre nel caso dell’autore dei Promessi sposi, ma non che si sia tenuti a sapere che le proteine sono sequenze di amminoacidi né soprattutto che cosa questo voglia dire. […].
Il declino della cultura tradizionalmente umanistica nell’opinione generale – la cultura scientifica non vi è mai stata di casa – potrebbe essere illustrato da una particolarissima visuale: i quiz televisivi. I programmi di Mike Bongiorno, a partire dal celebre Lascia o raddoppia, erano il segno del nozionismo, ma facevano leva su un sapere comunque strutturato e a suo modo dignitoso. Al concorrente che si presentava per l’opera lirica, per esempio, si poteva rivolgere una domanda del genere: «Parliamo del Tabarro di Puccini; vogliamo sapere: a) data e luogo della prima rappresentazione; b) nome del librettista; c) nome dell’autore del dramma La Houppelande da cui il soggetto è stato tratto; d) nome del quartiere di Parigi rimpianto da Luigi e Giorgetta; e) ruolo vocale di Frugola; f) nome del gatto di Frugola. Ha un minuto di tempo per rispondere». Diciamo la verità: 9-10 secondi in media per rispondere a ciascuna di queste domande sono sufficienti, non solo per un musicologo ma anche per un melomane [a proposito: le risposte sono queste: a) 1918, b) Giuseppe Adami; c) Didier Gold, d) Belleville, e) mezzosoprano, f) Caporale]. Ma domande – e concorrenti – di questo genere hanno fatto il loro tempo. Tra i quesiti rubricati sotto l’etichetta Storia in un quiz che andava in onda nel febbraio 2010 (L’eredità, Rai 1) ho annotato il seguente esempio, rappresentativo di un approccio totalmente diverso: «Ordinando al cardinale Ruffo di ammazzare i liberali, Ferdinando IV gli raccomandò: Famme trovare tante… a) botti schiattate, b) casecavalle, c) pummarole, d) babà fraceti». La risposta esatta è la b): ma quanti sono i lettori di questo libro che avrebbero saputo rispondere? (mi auguro pochi, per non sentirmi abbandonato alla mia ignoranza). Quel che è certo è che per affrontare un quesito del genere non avrebbe senso prepararsi
; l’aneddoto è divertente, è fondato sul dialetto (un ingrediente comico assicurato), mette tutti i concorrenti sullo stesso piano (dare la risposta esatta è questione non di studio ma, democraticamente, di fortuna) e tanto basta.
Come iniziare? A scuola per lo più si insegnava a sottolineare innanzitutto i concetti chiave. In questo caso le informazioni più importanti possono essere sintetizzate nelle seguenti tesi:
in Italia la cultura scientifica media ha sempre goduto di un prestigio inferiore a quella umanistica;
ciò nonostante, anche quest’ultima sta vivendo una fase di evidente declino.
A supporto di tali tesi, Serianni argomenta rispettivamente che:
una persona mediamente istruita in Italia sa molto più di Manzoni che di proteine;
i quiz televisivi un tempo richiedevano una preparazione specifica su un certo argomento, mentre oggi a essere premiata è soprattutto la fortuna.
A spremerne fino in fondo il senso, il testo dice sostanzialmente questo. Poi ci sono gli esempi, in particolare uno molto ampio e articolato in cui l’autore mette a confronto le domande dei quiz di Mike Bongiorno con quelle dei concorsi a premi attuali. E ci sono anche alcuni commenti a margine dello stesso Serianni, discretamente confinati all’interno di parentesi tonde. Il succo, però, non cambia. In questo modo abbiamo già pronta l’ossatura del riassunto. Non rimane che trovare un incipit e assemblare i pezzi con i connettivi opportuni. Ad esempio così:
Nel brano proposto, il linguista Luca Serianni sottolinea come in Italia la cultura scientifica abbia sempre goduto di un prestigio inferiore rispetto a quella umanistica: ne è prova il fatto che, nel nostro Paese, una persona mediamente istruita sa molto più di Manzoni che di proteine. Nonostante questo, di recente anche la cultura umanistica appare in declino. Basta pensare al livello delle domande dei quiz televisivi, che un tempo