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La Solitudine della Vendetta
La Solitudine della Vendetta
La Solitudine della Vendetta
E-book503 pagine6 ore

La Solitudine della Vendetta

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Info su questo ebook

Jakob era un bambino felice. Ma quella maledetta notte cambiò tutto. Quella notte a Chernobyl… Jakob è cresciuto lottando contro la vita che non fa sconti, però lui può contare su di un alleato che nessun altro ha; un potere tanto seducente quanto distruttivo che farà crescere il desiderio di vendetta e lo indurrà a fare scelte estreme e dolorose, fino all'arrivo dell'occasione che stava aspettando, quando elaborerà un piano al limite dell'impossibile. Sulle sue tracce ci sono i membri di una squadra investigativa segreta, coinvolta dalle istituzioni solo in casi estremi. Bologna, Zurigo, l'Adriatico, Ferrara, Citta' del Vaticano... Una corsa contro il tempo fatta di labili indizi, supposizioni e certezze sgretolate, che porterà ognuno pericolosamente vicino al punto di rottura, nella ricerca di un nemico senza volto che non esita ad uccidere per compiere la sua vendetta
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2024
ISBN9791222721101
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    Anteprima del libro

    La Solitudine della Vendetta - Massimo Foli

    PARTE PRIMA

    JAKOB

    Non c’è sostituzione

    per quello che abbiamo,

    nessun altro può averlo,

    non c’è niente di simile

    - Omar Lye Fook -

    1

    Jakob

    14 Aprile

    Cazzo Brian, maledetto stupido! Come ti è saltato in mente di farti ammazzare. E adesso come glielo spiego a Pauline?

    Il passeggero del posto 4C nel vagone di prima classe del treno EuroCity Zurigo - Milano Centrale ha tutta l’aria di un normale uomo d’affari: completo fresco lana blu notte, camicia bianca e cravatta abbinata; anche il soprabito e la valigetta ventiquattrore sono stati scelti appositamente per non dare nell’occhio e confondersi con l'ambiente circostante. Tra le mani ha un quotidiano italiano acquistato prima della partenza. Tutt’intorno, veri uomini d’affari sono racchiusi nelle proprie bolle lavorative virtuali.

    Fuori dal finestrino un sole brillante fa risaltare i colori della primavera. A causa della velocità, il paesaggio delle Alpi cambia velocemente lasciando scie indistinte di azzurro e di verde.

    La scelta del posto singolo all’interno del vagone non è casuale. Vuole evitare qualsiasi contatto con altre persone che, annoiate, vogliano fare conversazione con chiunque capiti loro a tiro. Per isolarsi definitivamente, apre il quotidiano in modo da frapporre una barriera fisica tra sé ed il resto di quel microcosmo su rotaie.

    Il titolo che occupa l’intera prima pagina è:

    - MORTE ALLA BHIOZEN -

    smascherati i suoi segreti

    Pauline s’incazzerà di brutto! Eppure il lavoretto era relativamente semplice: liberare gli animali, distruggere le scorte del nuovo farmaco, divulgare in rete i loro segreti. Scopo raggiunto, ma c'è scappato il morto!

    La Bhiozen, colosso mondiale della farmaceutica il cui centro sperimentale si trova a Zurigo, il mese precedente aveva annunciato di essere pronta a distribuire sul mercato un nuovo farmaco rivoluzionario capace di curare definitivamente l’ultima grave malattia respiratoria che continua a colpire milioni di persone nel mondo mietendo quotidianamente un numero elevatissimo di vittime di ogni età. L’annuncio aveva fatto immediatamente aumentare le quotazioni in borsa della ditta con un guadagno netto stimato di cinque miliardi di euro.

    Nessuno però sospettava minimamente a che prezzo il farmaco era stato ottenuto: decine di persone morte o con patologie irreversibili, per non parlare delle centinaia di animali sacrificati sull’altare della scienza; e nessuno poteva ribellarsi perché le vittime e le loro famiglie avevano firmato patti di segretezza con clausole talmente complicate e penali così incredibilmente elevate da scoraggiare anche i più ricchi del mondo.

    Bastardi.

    Lo scompartimento insonorizzato non lascia percepire l’elevata velocità del treno, visibile solo dai monitor piazzati sul soffitto lungo il corridoio centrale. Un profumo di caffè aleggia nell’aria segno che la carrozza ristorante non è lontana.

    Il passeggero 4C, assorto nei suoi pensieri, ripercorre con la mente gli avvenimenti delle ultime settimane…

    entrare alla Bhiozen come addetto delle pulizie è stato un gioco da ragazzi nonostante i loro sofisticatissimi protocolli di sicurezza. C'è sempre molto turnover nelle agenzie esterne. Il loro responsabile non ha avuto scelta. Sono bastati dieci minuti di colloquio guardandolo dritto negli occhi…»

    «…anche se il mio lavoro era concentrato solo in un’ala dello stabilimento, durante la prima settimana ho individuato le zone che mi interessavano: i laboratori di sintetizzazione, la Fattoria, dove tenevano gli animali da sacrificare ed il caveau dove venivano stoccate le scorte del nuovo farmaco; dopo mi sono concentrato sul sistema di telecamere, individuando i punti ciechi. È stato facile. Nessuno presta attenzione ad un addetto delle pulizie mentre svolge quello per cui è pagato…

    …la seconda settimana mi è servita per conoscere i dipendenti ed i loro turni e per identificare la persona giusta che potesse fare il lavoro sporco per me. L’ho individuato in Brian, terzo assistente dell’equipe incaricata di studiare gli effetti del farmaco sperimentale sugli animali. Il classico bravo ragazzo, fresco di laurea, pettinatura alla Ricky Cunningham, il protagonista di quel famoso telefilm americano, fisico asciutto, pelle chiara e mani affusolate con unghie curatissime. Aveva accesso al database delle ricerche, al caveau ed alla Fattoria. Il candidato perfetto…

    …durante la terza settimana me lo sono fatto amico obbligandolo, a sua insaputa, a dirmi tutto quello che mi serviva. Sono bastati pochi drink dopo il lavoro e qualche occhiata intensa. Ho capito subito che a Brian, io piacevo veramente pertanto, facendo leva anche su questo, sono riuscito a manipolare senza problemi la sua mente; è stato semplice come modellare la creta bagnata…

    …infine, due giorni fa, ho fatto scattare il piano. Alle 14.30 ho incontrato Brian nei bagni vicino al suo laboratorio, uno dei pochi punti ciechi del sistema di sorveglianza; quello era diventato il nostro ritrovo segreto. Con la promessa di un incontro speciale tra noi a fine turno, gli ho fatto memorizzare l’ordine esatto delle azioni da mettere in pratica. Forse avrebbe fatto lo stesso tutto quanto, senza bisogno di convincerlo...

    …alla fine del turno, mi sono accomodato nella caffetteria di fronte per aspettare il gran finale. Alle 19.33 è scattato l’allarme ed è successo il finimondo. Viavai di ambulanze, polizia e vigili del fuoco. Avevo già visto in rete il risultato del mio piano; potevo abbandonare il campo da vincitore. La Bhiozen era in guai seri…ero convinto che Brian fosse stato arrestato. Invece solo oggi, ascoltando i notiziari, ho scoperto come si sono svolti realmente i fatti. Brian si era fermato in laboratorio per fare dello straordinario, accadeva spesso perciò nessuno ci ha fatto caso, appena rimasto solo ha scaricato e divulgato in rete i files sulle sperimentazioni del nuovo vaccino e tutte le nefandezze ad esso collegate. Dopo si è diretto alla Fattoria dove ha aperto le gabbie di tutti gli animali rimasti, liberandoli da quell’inferno; infine è penetrato nel caveau dove, dopo aver fatto una grande scritta sul muro, ha cominciato a distruggere quante più confezioni possibili del nuovo farmaco, senza nemmeno accorgersi dell’allarme che si era attivato. Incurante delle esalazioni gassose dall'odore dolciastro che hanno ben presto saturato il caveau, Brian ha continuato nella sua opera distruttiva. Quando i poliziotti, in tenuta antisommossa e con le maschere antigas, sono arrivati sulla soglia, hanno visto una figura vestita con un camice macchiato di rosso e verde, con lo sguardo fisso nel vuoto ed un’espressione da invasato. I poliziotti armi in pugno hanno intimato al sabotatore di arrendersi. Per tutta risposta Brian ha scagliato la confezione che stringeva tra le mani verso di loro, obbligandoli così ad aprire il fuoco e ad ucciderlo.

    Lo stridio dei freni riporta alla realtà il passeggero 4C.

    Milano Centrale.

    Ripiega accuratamente il quotidiano, si alza e scende con calma dal treno, confondendosi tra la folla. Senza fretta si dirige verso il grande atrio dove controlla sul tabellone quale sia il binario da cui parte la coincidenza che lo avrebbe portato in un paio d’ore a Bologna, a casa da Pauline. L'ambiente è saturo del vociare di migliaia di persone che quotidianamente affollano la stazione, come tante formiche in un gigantesco formicaio.

    Quella confusione non lo infastidisce anzi, si rivela un’ottima copertura. Ma non sta affatto pensando a quello. La sua mente è percorsa da un pensiero fisso che non promette nulla di buono.

    Pauline si incazzerà di brutto!

    2

    Pauline / Jakob

    14 Aprile

    La mattina Pauline si era svegliata presto; non sopportava di girarsi ancora nel letto e sentire solo il lenzuolo freddo nell’altra metà. Era da oltre tre settimane che faceva vita da single, cioè da quando Jakob era partito per la Svizzera; le uniche distrazioni, se così si potevano definire, erano le lezioni all'università ed i pomeriggi come segretaria tuttofare alla polisportiva distante pochi chilometri da casa. Ma finalmente quella spiacevole sensazione di solitudine sarebbe sparita verso sera quando avrebbe riabbracciato l'uomo che amava. L’eccitazione per il suo ritorno si era impadronita di lei fin dal risveglio. La sosta mattutina nel bagno era durata più del previsto: la lunga chioma castana era stata spazzolata con cura, la pelle del viso e del corpo massaggiata pazientemente. La prolungata ispezione davanti allo specchio a figura intera, attaccato dietro alla porta, le aveva restituito un'immagine alquanto soddisfacente. Non era tanto alta, anche se un metro e settantaquattro per una donna non è affatto male, ma con un fisico degno di una modella; l'unico cruccio che aveva da sempre era quello di avere un seno al di sotto delle sue aspettative; tutto il resto era perfetto, segno evidente che i sacrifici nel frequentare con costanza i corsi di pilates stavano decisamente dando i frutti desiderati. Voleva essere bellissima per quell’uomo venuto da lontano, che da un paio d’anni le stava scombussolando la vita.

    Aveva più fame del solito. Dopo essere ritornata in camera per indossare la sua inseparabile tuta felpata, canticchiando un motivetto venutogli in mente dal nulla, aveva raggiunto la cucina dove aveva iniziato a prepararsi una robusta colazione a base di yogurt magro, cereali, succo di frutta e fette biscottate con miele. Anche la tristezza causata da quelle colazioni in solitaria sarebbe svanita con il suo arrivo. Accompagnata da questi pensieri felici, aveva acceso la radio portatile posizionata sul frigorifero; le note di una famosa canzone melodica italiana si erano ben presto diffuse per tutta la cucina, accentuando il suo buonumore. Questo stato d’animo purtroppo era durato ben poco a causa della notizia trasmessa nel successivo radio giornale.

    "Attentato alla sede della nota industria farmaceutica svizzera BHIOZEN - Ucciso l’attentatore".

    Pauline era sul punto di svenire. Nonostante fosse già seduta si era dovuta comunque appoggiare al tavolo per non cadere. Nemmeno si era accorta di aver rovesciato il bicchiere del succo di frutta, che stava rapidamente formando una piccola pozzanghera appiccicosa sul pavimento vicino ai suoi piedi. Il mese precedente, quando Jakob l’aveva messa al corrente di quello che aveva intenzione di fare, lei si era fermamente opposta: «Non puoi farcela da solo. Potresti morire. È una follia.»

    «Sono degli impostori, non possiamo fargliela passare liscia altrimenti questi ci avveleneranno tutti con i loro intrugli mascherati da cure miracolose» aveva insistito lui «poi non devi preoccuparti, userò il superpotere così non ci saranno problemi, fidati di me.»

    «Il superpotere ti caccerà in guai seri, o peggio» aveva profetizzato Pauline.

    «Vedrai mon petit fleur, andrà tutto bene. Fra tre settimane la Bhiozen cadrà per sempre dal suo piedistallo di menzogne.»

    Per amor suo si era fatta convincere.

    Dopo aver sentito la notizia, Pauline era letteralmente pietrificata sulla sedia, ascoltava in trance le voci alla radio ma senza capire cosa stessero dicendo; la sua anima era lacerata tra il voler sapere chi fosse la vittima, oppure no. Era corsa a prendere il cellulare per provare a chiamarlo. Sul display c’era un messaggio in attesa di essere letto: era suo.

    Frenesia e timore lottavano in lei davanti a quel messaggio dal contenuto sconosciuto. Dopo una breve lotta interiore, lo aveva visualizzato mentre tratteneva inconsapevolmente il fiato.

    Ore 06.15 : «Bonjour Ma Fleur. Missione compiuta! Sono sul treno. Arrivo previsto a Milano alle 14.00 circa. Sarò a casa verso le 17.30. Je t’aime.»

    Le cedettero le gambe.

    È vivo! Dio ti ringrazio.

    A Pauline era sembrato di riemergere dal fondo del mare. Lo aveva letto nuovamente come se il suo cervello avesse bisogno di un ulteriore conferma.

    Le girava la testa. Era passata in un lampo dalla disperazione totale che solo la morte provoca, alla gioia più grande che avesse mai provato in vita sua. Subito dopo però un’altra emozione stava sorgendo dalle sue viscere: rabbia. In cuor suo aveva sempre saputo che prima o poi qualcosa di terribile sarebbe successo. Era inevitabile che le azioni di Jakob avrebbero portato alla morte di qualcuno o peggio, alla sua. Lei non era pronta per quello. L’aveva supplicato perché non si arrivasse a tanto. Lui l’aveva rassicurata con il sorriso sulle labbra.

    Da quando il treno si era fermato in stazione circa un’ora prima, Jakob aveva iniziato a percepire in sé una sorta di eccitazione: era ansioso di arrivare da lei; dopo oltre tre settimane di lontananza la desiderava fortemente. Avrebbero festeggiato in grande stile, prima andando fuori a cena per poi finire la serata in camera da letto. È con questo pensiero fisso in testa che apre la porta di casa annunciando trionfante il suo arrivo.

    Pauline è in piedi a circa un metro dalla porta d’entrata. Ha le braccia lungo i fianchi con i pugni stretti dalla rabbia. Il suo sguardo lancia fulmini di disprezzo verso di lui. La voce assomiglia ad un ringhio.

    «NON DOVEVA ACCADERE ME LO AVEVI PROMESSO.»

    «TI ODIO!»

    La rabbia di Pauline lo travolge come un fiume in piena.

    Non è certo l'accoglienza che si aspettava anzi, la reazione di lei lo lascia esterrefatto. Il suo istinto animalesco batte ben presto in ritirata.

    «Amore calmati, lascia che ti spieghi…» Dopo aver chiuso la porta dietro di sé Jakob tenta di avvicinarsi cercando di spiegare le proprie ragioni con il tono di voce più conciliante di cui è capace. Ma lei si ritrae ripetendo con voce singhiozzante: «Nessuno doveva farsi male, me lo avevi promesso. Sei un bugiardo!» Facendo un altro passo avanti lui continua nella sua arringa difensiva: «Ascolta, non potevo certo immaginare che le esalazioni gassose del farmaco provocassero strane reazioni in quell’uomo; è stata una conseguenza imprevedibile. Sai benissimo cosa posso fare con le mie capacità e sai anche che non posso controllare le persone a distanza. Una volta dato l’input fanno tutto da soli. Quando tutto finisce io sono già lontano.»

    Mentre parla riesce a ridurre la distanza che li separa; stringerla è la cosa che desidera di più quindi prova ad allungare le braccia ma Pauline si sposta repentinamente di lato, divincolandosi e tenendo lo sguardo basso dato che non intende farsi vedere mentre piange. In cuor suo sa benissimo che ha ragione e questo la fa sentire ancora peggio. Prima che le lui possa stringerla, si rifugia in bagno chiudendo la porta a chiave. Ha bisogno di stare sola, di frapporre una barriera fisica tra loro. Solo così può sperare di riprendere un minimo di autocontrollo.

    Si rannicchia in fondo al bagno contro il termosifone, con le gambe raccolte e la fronte sulle ginocchia.

    Jakob non cerca di fermarla. Comprende la sua frustrazione. Dopo che la porta si è chiusa rumorosamente, si appoggia allo stipite ed inizia a parlare con voce rassicurante: «Mon petit fleur…mi dispiace, credimi. Farti soffrire è l’ultima cosa che voglio. Ti supplico apri la porta. Mi sei mancata da morire.»

    Ascoltare la sua voce è una tortura: calde lacrime le sgorgano dagli occhi ed in petto sente un enorme peso che la fa respirare affannosamente. Si sente responsabile per quella vita spezzata. Doveva essere più decisa, invece aveva ceduto. Ed ora si trova seduta su quelle fredde mattonelle con le lacrime agli occhi e si sente stupida.

    «Pauline...apri la porta…ti prego…ti prometto che non capiterà più…»

    Come per magia quella voce dolce e rassicurante al di là della porta, si fa lentamente strada nella sua mente e nel suo cuore, riportandola indietro dall’abisso che lei stessa ha aperto sotto di sé.

    Lei lo ama, ma non per questo è disposta ad accettare passivamente le conseguenze delle sue azioni che, anche se sono per un giusto fine, sono comunque azioni illegali. Peggio ancora se qualcuno muore. Basta! D’ora in poi cercherà in tutti le maniere di persuaderlo a fare un passo indietro, ad accontentarsi di raggiungere obiettivi meno rischiosi. Deve fargli capire che non può salvare il mondo da solo. Con questo pensiero che le infonde coraggio, si rialza; le sue gambe sono intorpidite e il primo passo è più complicato e malfermo del previsto. Dopo una breve rassettata davanti allo specchio, finalmente apre la porta e trova Jakob in piedi, pronto ad accoglierla nell’abbraccio più caldo e tenero che possa dargli. Lei ci si rifugia totalmente mentre lui le sussurra parole che sono di scuse e d’amore contemporaneamente.

    «Non ci accadrà niente, te lo prometto.»

    Lei si stacca leggermente per guardarlo dritto nei bellissimi occhi azzurri: «Jakob ho paura, per te, per noi. Queste azioni dimostrative sono diventate troppo pericolose. Il salvataggio del nostro pianeta non deve contemplare la perdita di alcuna vita umana.»

    Lui scioglie l’abbraccio appoggiando le mani sulle sue spalle: «Lo so amore mio, però dobbiamo mettere in conto che potrà capitare di nuovo, più l’obiettivo è importante, più questo rischio ci sarà.»

    Lei, immediatamente si irrigidisce ritornando ad essere seria: «No, non te lo posso permettere.»

    «Ascolta…troppe persone subdole ed opportuniste stanno continuando a sfruttare la terra esclusivamente per i loro interessi, fregandosene di mettere in ginocchio intere popolazioni. Loro si che non si fanno scrupoli ad uccidere le persone. Quella gente va fermata, per il bene nostro ora e dei nostri figli in futuro.»

    Pauline scuote la testa: «Hai ragione ma lo sai che è impossibile! Non puoi pensare di fermarli da solo! Dobbiamo fare fronte comune con iniziative su larga scala, cercando di coinvolgere più persone possibile. Ti ricordi il corteo in centro alcuni mesi fa? Piazza Maggiore gremita di gente, i sorrisi, gli slogan, il sindaco che si era unito a noi? Solo se saremo uniti in quel modo potremo farci sentire dai politici convincendoli a fare qualcosa di concreto per cambiare il destino della Terra.»

    «Ma ai politici non frega un cazzo delle manifestazioni pacifiche, di noi, se siamo in molti oppure in pochi» Jakob si sente punto sul vivo. Il suo tono di voce cambia radicalmente, diventando più duro. La guancia e l’occhio destro iniziano a contrarsi a causa di un tic che compare sempre quando si innervosisce.

    «Loro fingono di starci a sentire, con quei loro sorrisi falsi, poi se ne fregano altamente e vanno avanti con i loro sporchi traffici.»

    Lascia andare Pauline e comincia a camminare nervosamente lungo il corridoio, poi voltandosi verso di lei, si batte con forza il pugno sul palmo dell'altra mano ed esclama: «Dobbiamo colpirli direttamente nei loro interessi, solo così capiranno gli sbagli che hanno commesso» ormai Jakob è un fiume in piena e continua: «Quello che è successo alla Bhiozen ha scosso l’opinione pubblica facendo capire a tutti quanto marcio ci fosse dietro quella facciata di falsa bontà! LO CAPISCI CHE NON POSSIAMO FERMARCI ORA!!» Ormai ha cominciato ad urlare.

    Lei, decisa a tenergli testa, ribatte alle sue parole puntandogli un dito contro al petto ed alzando a sua volta la voce: «NO JAKOB, SEI TU CHE DEVI METTERTI IN TESTA CHE QUELLO CHE FAI È SBAGLIATO ED ANCHE TROPPO PERICOLOSO. NON TE LO POSSO PERMETTERE. SE MI AMI DEVI SMETTERLA SUBITO!»

    La tensione tra i due è salita nuovamente alle stelle. Nessuno dei due vuole fare un passo indietro.

    Jakob afferra Pauline per le spalle: la stretta è vigorosa e non ha nulla di romantico:

    «NO, IO DEVO FARLO, LO DEVO FARE…PER ME.»

    Finora avevano condiviso obiettivi da colpire ed i modi in cui farlo, ma adesso, queste differenze sostanziali nelle modalità di azione stanno creando una pericolosa frattura tra loro.

    Pauline si divincola indietreggiando; le parole di lui la feriscono a tal punto da farle nuovamente salire le lacrime agli occhi: «JAKOB, ACCIDENTI A TE ED AL TUO MALEDETTO POTERE!» Corre in camera sbattendo la porta e chiudendola a chiave.

    Piantato in asso per la seconda volta nel giro di un'ora, Jakob urla alla porta chiusa tutta la sua rabbia: «GRAZIE TANTE PAULINE. PROPRIO UN BEL RIENTRO A CASA.»

    Un silenzio carico di tensione aleggia tra loro per tutta la sera. Anche a tavola durante la cena non si scambiano né parole né sguardi, fissando ininterrottamente i piatti davanti a loro.

    Appena finito di mangiare, Pauline si alza ritornando in camera, chiudendo nuovamente la porta a chiave ed andandosene a letto, sperando di cancellare così quella bruttissima giornata. Jakob si ritrova da solo seduto a tavola; con la punta della forchetta sposta il cibo avanzato, da una parte all’altra del piatto; una delle cene peggiori della sua vita. Ha tentato un paio di volte di instaurare una sorta di dialogo ma ha sempre trovato un muro di gomma di fronte a lui. Dopo aver sgomberato la tavola e lavato i piatti, più per abitudine che per voglia, prende un bicchiere dalla credenza e la bottiglia di vodka dal frigorifero rimettendosi seduto; mentre se ne versa un paio di sorsi, sa benissimo che stasera quel liquido avrà un sapore decisamente amaro.

    Mille pensieri affollano la sua mente turbata. Vorrebbe andare da lei e fare pace ma capisce che, affinché sia pace vera, dovrebbe fare promesse che non potrebbe poi mantenere. È convinto che azioni come quella alla Bhiozen siano quelle giuste per ottenere qualcosa di concreto, anche se qualcuno dovrà morire. Dopo il primo, se ne versa un secondo; cerca di resettare i pensieri concentrandosi su quello che ha in mano; ne annusa il profumo: un sentore di cereali gli penetra nelle narici; ne assapora il gusto: decisamente avvolgente e cremoso. Queste sensazioni hanno il potere di riportarlo con la mente indietro nel tempo quando, in un passato che non esiste più, assaggiò per la prima volta quel liquido trasparente che gli bruciò tremendamente le viscere facendogli lacrimare gli occhi. Di fronte a lui era seduto un uomo che rideva per quello che era appena successo; il suono di quella risata riecheggia ancora nitido nella sua mente come è indelebile il suo volto.

    Il volto di suo padre.

    3

    Jakob

    Černobyl', 25 Aprile 1986 - 5 ore prima del disastro

    «Jakob vieni, è pronta la cena!»

    «Arrivo mamma…»

    «...e lavati le mani prima di venire a tavola!»

    Jakob lasciò tutte le automobiline sul pavimento della cameretta con l’intenzione di riprendere l’avventura dopo aver mangiato.

    In cucina la mamma aveva riempito i piatti: stufato di manzo con patate e cipolle e una grossa fetta di pane fatto in casa.

    Fuori era buio e la temperatura era gradevole grazie ad una vasta area di alta pressione che garantiva giornate soleggiate e serate limpide.

    Suo padre era già seduto a tavola.

    Jakob arrivò in cucina di corsa facendo una lunga scivolata, come se fosse sul ghiaccio, per coprire gli ultimi metri che lo separavano dall’uomo più importante della sua vita. Sbatté volontariamente contro il suo corpo come faceva tutte le sere, ben sapendo che l’avrebbe trovato pronto a prenderlo tra le braccia.

    Una volta bloccato, l’uomo gli scompigliò i capelli biondo cenere, invitandolo a sedersi e dicendogli di stare composto. Jakob fece un goffo saluto militare e si sedette a tavola.

    Quello era sempre stato il loro classico gioco prima di cena.

    Vasilij Petrenko era un padre molto affettuoso, sempre disponibile per il suo adorato figlio di cinque anni.

    Fisico aitante, senza essere troppo muscoloso, Vasilij aveva prestato servizio nell’esercito russo per cinque anni prima di essere trasferito nel corpo dei vigili del fuoco della sua città dove era in servizio da dieci anni.

    Per lui essere un vigile del fuoco era un grande onore ma anche una grande responsabilità, verso tutta la città ed i suoi abitanti.

    Dopo cena Jakob si rintanò nuovamente in camera per continuare l’avventura interrotta. Di corporatura esile, non stava mai fermo, come fosse percorso costantemente da un’energia inesauribile.

    Vasilij e la moglie Olga, nel frattempo, chiacchieravano amabilmente in salotto sorseggiando un bicchierino di vodka come facevano ogni sera.

    «Questo mese hai passato più notti in caserma che nel nostro letto» scherzò lei.

    «Lo so cara, ma ci sono stati dei trasferimenti di personale e siamo in forze ridotte. C’è chi ne ha fatte più di me. Comunque, nelle notti libere mi sono fatto perdonare» ribattè Vasilij con un sorriso malizioso.

    «Sappi che questa sarà l'ultima notte per almeno tre settimane» sentenziò mentre si dirigeva in camera per indossare la divisa.

    Vasilij era sottotenente nella Brigata Paramilitare n.2 di Černobyl'.

    La cameretta di Jakob era esattamente di fronte a quella dei genitori.

    Come ogni volta che il padre aveva il turno di notte, Jakob entrò e si sedette sul letto matrimoniale per assistere ai preparativi.

    «Da grande anch'io spegnerò il fuoco» gli disse guardandolo mentre si infilava la giacca «mi dici come si fa?»

    «Certo tesoro. Ma prima di spegnerlo, il fuoco va capito. Deve diventare tuo amico prima di combatterlo come nemico.»

    «Ma il fuoco non è tuo amico» ribattè il piccolo.

    «Un giorno capirai…» proseguì Vasilij.

    Erano quasi le ventidue. Il padre, con l’uniforme di ordinanza si approssimò alla porta, non prima di aver schioccato un bacio affettuoso alla moglie.

    «Papà, papà, il nostro saluto…» Jakob lo raggiunse di corsa sull’uscio.

    «Ah, non potevo certo uscire senza» disse Vasilij.

    «Pronto?»

    Entrambi contarono fino a tre poi ripeterono all’unisono: «Acqua sul fuoco!»

    «Ciao papà, a domani…»

    Ma per Vasilij non ci sarebbe stato un domani.

    4

    La Centrale

    Černobyl', 26 Aprile 1986 - ore 01.23.45

    Due esplosioni ravvicinate squarciarono il silenzio della notte.

    Il reattore n.4 della Centrale nucleare esplose provocando il più grande disastro della storia moderna.

    Niente sarebbe stato più come prima.

    La prima esplosione fece saltare in aria come il tappo di una bottiglia di champagne il coperchio del reattore dal peso di mille tonnellate, liberando un enorme volume di idrogeno e polvere di grafite che, a contatto con l’ossigeno dell’atmosfera, causarono una seconda violentissima esplosione. Ne seguì un colossale incendio che liberò nell’aria quantità enormi di materiale radioattivo.

    Černobyl', 26 Aprile 1986 - ore 01.22.45 un minuto prima dell’esplosione

    Erano quasi cinque minuti che il Tenente Malnik non muoveva un muscolo; stava cercando di trovare una via di scampo di fronte ad una situazione quasi disperata. Gli occhi fissi davanti a sé ed una profonda ruga in mezzo alla fronte erano i segni evidenti dello sforzo di concentrazione che stava facendo per trovare la mossa giusta. Nell’ultimo quarto d’ora l’andamento della partita cambiò radicalmente davanti ai suoi occhi; pensava di chiuderla in breve tempo, invece il suo avversario, con un paio di mosse ben studiate, lo aveva messo all’angolo e si godeva il momento seduto dalla parte opposta del tavolo mentre lui non sapeva che pesci pigliare per evitare la sconfitta.

    «Si rassegni Tenente, stavolta la vittoria è mia.» Vasilij era stravaccato sulla sedia di fronte; gli si leggeva in viso un’espressione di strafottente superiorità. Tra loro c’era una scacchiera su cui erano rimasti gli ultimi pezzi bianchi, surclassati dai meglio piazzati pezzi neri.

    Quella sfida andava avanti ormai da alcuni giorni, sempre interrotta e mai finita, anche per merito dei due giocatori, abili strateghi.

    Entrambi erano ormai convinti che la partita sarebbe durata ancora poco.

    Ma quella partita non sarebbe finita mai.

    Ad un tratto un enorme boato squarciò il silenzio della notte ed il mondo iniziò a tremare.

    In preda al panico entrambi i giocatori, assieme a tutti gli altri membri della caserma, si precipitarono alle finestre per vedere cosa stesse succedendo. A nessuno di loro era mai capitato di sentire un'esplosione simile prima; la gigantesca colonna di fumo che notarono poco lontano fece capire a tutti che quella sarebbe stata una lunga notte.

    «Vasilij la tua vittoria dovrà aspettare» sentenziò Malnik, poi, rivolgendosi a tutti gli effettivi presenti, annunciò: «Forza ragazzi, c’è bisogno di noi là fuori! Tutti sui mezzi! Stato di massima allerta! Andiamo alla Centrale!»

    Quell’ordine li avrebbe condannati tutti.

    Černobyl', 26 Aprile 1986 - ore 01.26.45 tre minuti dopo l’esplosione

    Le tre autopompe della Brigata Paramilitare n.2 arrivarono a sirene spiegate all’interno del perimetro della centrale dirigendosi prontamente verso il cuore dell’incendio: le Unità 3 e 4.

    Appena entrati dovettero però immediatamente rallentare l’andatura a causa di una densa coltre di fumo biancastro che azzerava la visibilità e faceva aumentare concretamente il rischio di una collisione contro le strutture della centrale, o peggio, di trovarsi avvolti dalle fiamme.

    «Ragazzi, guardate quel mostro» disse Leonid mentre fermava il mezzo a distanza di sicurezza dall’incendio.

    «Non ce la faremo mai» ribattè Vladimir, suo inseparabile compagno di missione.

    «Attenzione tutti! Qui Malnik. Allerta 3 ripeto...Allerta 3. Indossare le protezioni respiratorie ripeto, indossare le protezioni respiratorie. Leonid, Vladimir, piazzate il vostro mezzo vicino all'Unità 4 a portata di scala. Cercate di salire sul tetto ed iniziate a spegnere l’incendio dall’alto.»

    «Ricevuto tenente.»

    Dopo aver stabilizzato l’autopompa ed esteso la scala telescopica, Vladimir si inerpicò fino in cima per iniziare lo spegnimento. La visibilità era talmente ridotta che il pompiere dovette guardare attentamente dove metteva i piedi per non sbagliare i gradini col rischio di sfracellarsi a terra: «Leonid, questo fumo è strano. Sembra molto più denso del normale; quasi ti si attacca addosso.»

    «Hai ragione. Non si vede un accidente» replicò Il collega, impegnato anch’egli nella salita.

    All’arrivo sul tetto i due ebbero una brutta sorpresa: la copertura dell’Unità 4 non esisteva più. Era stata strappata via dall’esplosione; ne rimanevano solamente alcuni instabili mozziconi bruciacchiati su cui a malapena c’era spazio per una persona. Con l’estremità della manichetta tra le mani, Vladimir si appostò su uno di questi, cercando di non perdere il precario equilibrio: «Ehi ma cos’è questo schifo. C’è una specie di sostanza collosa che ricopre le superfici. È scivolosissima, stai attento.»

    «Ricevuto.» rispose l’altro.

    Dall’enorme voragine a pochissimi metri da lui fuoriuscivano lingue di fuoco incandescenti mischiate al denso fumo dal colore indefinito. L’immagine dell’inferno che aveva in mente sin da bambino si concretizzò improvvisamente davanti ai suoi occhi.

    «Tenente, sono sul tetto...qui è un inferno. Non c'è spazio per camminare, è tutto crollato» Leonid si era issato su l'unica altra zona calpestabile rimasta, diametralmente opposta a quella su cui si trovava Vladimir «Il reattore è compromesso e lo scheletro della struttura si sta squagliando come plastica.»

    «Qui Malnik, ragazzi dovete improvvisare. È necessario spegnerlo anche dall'alto altrimenti non ce la faremo.»

    «Ricevuto.»

    Il calore sul tetto era insopportabile; Vladimir, al pari del suo compagno, era in un bagno di sudore sotto la tuta; grosse gocce gli rotolarono negli occhi provocandogli un fastidioso bruciore; la condensa creava una patina umida all’interno della visiera della maschera antigas che distorceva la visione delle cose. Il respiro si fece pesante ed affannato. L’istinto gli urlava di togliersi la maschera ma era consapevole che sarebbe stato uno sbaglio colossale.

    I due azionarono contemporaneamente le manichette facendo cadere una pioggia d’acqua verso il centro del reattore. Purtroppo, a causa dell’immane calore sottostante, l’acqua evaporò quasi subito ritardando di parecchio le operazioni di spegnimento.

    «Tenente, abbiamo iniziato a spegnerlo. Tutto sta procedendo bene.»

    I due sarebbero morti cinque ore dopo essere scesi dal tetto dell’Unità 4 a causa dell’enorme quantità di radiazioni nucleari assorbite.

    «Tenente Malnik mi riceve? Qui il Tenente Kiboyko della Brigata Paramilitare 6.»

    «È un piacere sentirvi. Dirigetevi all'Unità 3, qui ci pensiamo noi.»

    «Ricevuto, passo e chiudo.»

    Una volta arrivati in zona e piazzati i mezzi, alcuni membri della Brigata 6 salirono sul tetto iniziando lo spegnimento dell'incendio dall’alto.

    Anche loro sarebbero morti entro le ventiquattrore successive.

    «Malnik mi ricevi? Questo incendio è una brutta bestia. Da soli non ce la facciamo. Quando riesci, mandami qualcuno dei tuoi così lo attacchiamo su due fronti.»

    «Ricevuto.»

    «Vasilij…mi senti? Prendi i fratelli Antonov e vai all’ Unità 3 dal Tenente Kiboyko. Ti coordinerai con lui.»

    «Ricevuto Tenente.»

    «Benvenuti alla festa ragazzi» disse il Tenente quando vide spuntare attraverso il fumo le tre figure corse in suo aiuto: «Andate sul tetto ad aiutare i miei così lo domiamo questo stronzo!»

    «Ricevuto.» Così facendo, Vasilij ed i suoi compagni andarono incontro alla morte.

    Anche sul tetto dell’Unità 3 l’incendio aveva distrutto buona parte della copertura. Dai grossi squarci presenti, giganteschi lembi di fuoco gareggiavano tra loro per arrivare a toccare il cielo. Fragorosi boati squassavano le fondamenta della struttura facendo barcollare i pompieri dislocati sulle poche zone perimetrali ancora integre. Tutte le superfici erano cosparse dalla stessa sostanza collosa dai riflessi argentati che imbrattava scarponi e guanti.

    Dopo più di un'ora le fiamme iniziarono ad essere domate.

    «Tenente Kiboyko, Qui Vasilij, incendio sotto controllo, ripeto l’incendio è sotto controllo.»

    «Ottimo lavoro Vasilij.»

    «Signore, c’è qualcosa che non va qui sul tetto. Molti uomini sono svenuti ed altri non si reggono in piedi. Il fumo è pesante… non sa di fumo…» Vasilij ansimava, era in preda ad un mal di testa lacerante ed a ripetuti e violenti colpi di tosse. «...ha un odore dolciastro» altri colpi di tosse.

    «Sarà il bitume di copertura del tetto che si è sciolto a fare l’odore che sentite...in ogni caso, raduna tutti gli uomini e scendete.» Dalla sua posizione il Tenente non si rese conto della gravità della situazione in cui versavano i suoi colleghi sul tetto.

    Su quei tetti il livello delle radiazioni raggiunse in pochissimi minuti una concentrazione di un miliardo di volte superiore a quella di sicurezza per un essere umano. Dai rilevamenti fatti successivamente, il livello di radiazioni letali in certi punti si presume sia arrivato a 8000 rõntgen/ora¹. Per uccidere un uomo in cinque ore bastano 500 rõntgen/ora.

    Pochi secondi dopo arrivò alla Centrale il Maggiore Yarilo, diretto superiore dei due tenenti, che prese subito in mano il comando delle operazioni.

    «Tenente Kiboyko, Tenete Malnik, portate subito a terra tutti i vostri uomini. Lasciate tutto il superfluo e scendete immediatamente!»

    Il maggiore intuì immediatamente che la situazione era gravissima ma scelse volontariamente di non dire nulla per non diffondere maggiormente il panico.

    Tutti gli uomini, quando arrivarono a terra, mostravano gravi segni di intossicazione acuta da radiazioni: nausea, vomito, vertigini, cefalea.

    Il maggiore impartì subito l’ordine di trasportarli tutti al vicino ospedale di Pryp’jat’ sperando di salvarne almeno qualcuno.

    Nessuno di loro uscì vivo dall’ospedale.

    Černobyl', 26 Aprile 1986 - ore 06.35.00

    Trentasette squadre di vigili del fuoco, arrivati da ogni dove, raggiunsero la centrale e vennero impiegate nelle operazioni di spegnimento.

    Alle ore 07.00 della mattina del 26 Aprile 1986 le fiamme furono spente e l’emergenza venne dichiarata ufficialmente terminata.

    Nonostante ciò dal tetto dell'Unità 4 continuò ad uscire un denso fumo dallo strano odore dolciastro….

    ¹ Unità di misura delle radiazioni nucleari

    5

    Olga / Jakob

    Černobyl', 26 Aprile 1986 - Casa di Jakob: l’esplosione

    In casa tutte le luci erano spente ed il silenzio era assoluto.

    Olga ed il piccolo Jakob dormivano serenamente nei loro letti, totalmente ignari che di lì a poco la loro vita sarebbe stata stravolta per sempre.

    All’improvviso, un boato potentissimo svegliò Olga di soprassalto.

    Un attimo dopo, mossa solamente dal puro istinto, si ritrovò in piedi di fianco al letto con gli occhi sbarrati, il

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