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Milano sotto tiro: La nuova indagine di Egidio Luponi
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Milano sotto tiro: La nuova indagine di Egidio Luponi
E-book294 pagine3 ore

Milano sotto tiro: La nuova indagine di Egidio Luponi

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Info su questo ebook

In centro a Milano, di notte, un senzatetto viene ucciso con una lama lunga e affilata, mentre dorme nella strada più stretta della città, via Bagnera. L’omicidio è il primo di una catena di sangue che colpisce la metropoli mentre si avvicina il Natale. Le vittime, donne e uomini di età diverse, non hanno alcuna relazione tra loro e nulla in comune. Sulla città aleggia l’ombra di un serial killer oppure ogni crimine è stato commesso da una mano diversa? A cercare di fare luce sui delitti, l’ispettore Corrado Spezia, già migliore collaboratore del commissario Egidio Luponi nel difficile caso di una sequenza di persone scomparse, due anni prima, sempre a Milano. Luponi, ormai in pensione, ha l’abitudine di pranzare con Spezia ogni martedì in una trattoria della zona di Brera e quando l’ispettore gli parla degli omicidi decide di mettere in campo il suo fiuto, il suo famoso intuito, nelle indagini. Mentre i due poliziotti inseguono indizi e tracce – da alcune strane armi usate per i delitti ai possibili moventi – emerge una storia che ha inizio nei lontani anni Sessanta. C’è una relazione tra questa vicenda e gli omicidi? E che cosa c’entra una fantomatica partita a dadi che accompagna la narrazione? Sullo sfondo del vorticoso incedere degli eventi si staglia la città di Milano, dai luoghi più noti agli angoli nascosti, nella quale le vittime si muovono lungo i fili di una misteriosa ragnatela, nell’inconsapevole attesa del letale morso del ragno.

Matteo Speroni, milanese, laureato in Filosofia, è giornalista del “Corriere della Sera” (vice-caposervizio nella cronaca milanese) e scrittore. Nel 2010 pubblica il romanzo I diavoli di via Padova (Cooper) e nel 2011 il romanzo Brigate Nonni (Cooper). Nel marzo del 2014 esce il libro Il ragazzo di via Padova. Vita avventurosa di Jess il bandito (Milieu edizioni), scritto con Arnaldo Gesmundo, uno dei protagonisti della storica rapina di via Osoppo a Milano, nel 1958. La prefazione è di Antonio Di Bella. Sempre nel 2014 esce una nuova edizione, per Milieu, del romanzo I diavoli di via Padova e va in scena al Teatro Verdi di Milano lo spettacolo Diavoli dannati, tratto da I diavoli di via Padova, con le musiche originali del cantautore Folco Orselli. Nel 2015 firma la prefazione della riedizione del romanzo di Cesare Pavese Il carcere, nell’ambito della Biblioteca della Resistenza, edita dal “Corriere della Sera“, e Milieu ripubblica Brigate Nonni. Nel 2019 esce Milano rapisce (Fratelli Frilli Editori), prima storia che ha come protagonista il commissario Egidio Luponi. Matteo Speroni è anche autore di spettacoli in forma di reading con Folco Orselli. Dal 2015 fa parte del gruppo di docenti della scuola di scrittura Belleville, a Milano, con un corso incentrato sul rapporto tra cronaca e letteratura.
LinguaItaliano
Data di uscita2 nov 2021
ISBN9788869435713
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    Anteprima del libro

    Milano sotto tiro - Matteo Speroni

    1

    La battaglia durò da mezzodì al tramonto. I volontari, male armati, malvestiti, i piedi avvolti in calzari consunti, si scagliavano contro le truppe regolari al grido di Viva la libertà. Le moderne carabine dei francesi, soprattutto i nuovissimi fucili a ripetizione Chassepot, fecero una strage. A nulla valse l’ardimento dei garibaldini contro le truppe franco-pontificie. La sera si contavano i morti tra le fila del comandante Garibaldi: furono 150, e 240 i feriti, a fronte dei 30 morti e 103 feriti dei nemici.

    Il Carlino sogna di avere partecipato a quella battaglia, a Mentana il 3 novembre 1867, e di essere tra gli sconfitti, persino tra i morti. Almeno la sua vita avrebbe avuto un senso: caduto sul campo dopo avere combattuto per qualcosa. Anzi molto di più di qualcosa: per l’Italia, per la libertà.

    La libertà l’ha comunque trovata, per strada, proprio qui, in piazza Mentana. Ogni giorno fa la sua passeggiata storica: rimira il monumento ai caduti della battaglia, al centro della piazza, poi la targa dedicata a Garibaldi, sul palazzo a destra. E anche quella sul palazzo a sinistra, intitolata a un altro grande uomo, Giordano Bruno, arso vivo per eresia in Campo dei Fiori, a Roma, nel 1600. Anch’egli martire in nome della libertà, quella del pensiero, a 52 anni. La stessa età del Carlino.

    La notte, quando il chiosco in piazza Mentana chiude, il Carlino si accoccola vicino alla catasta delle sedie, fino a poco prima animate dal vociare dei ragazzi. Cocktail, birre, risate. Fa quella vita da otto anni, dopo avere perso il lavoro ed essere stato cacciato dalla moglie. Il figlio, Giorgio, non l’ha più visto. Chissà che ragazzo è diventato adesso, pensa.

    Una normale storia di barboni. Quanti come lui. Ma lui preferisce stare solo, da tre anni ha trovato la sua casa e i suoi sogni in quella piazza, dietro via Torino, in centro a Milano, la città dove è nato e da dove non se ne è mai andato.

    Quella notte il Carlino si rannicchia come sempre tra due coperte, stretto in un vecchio piumino blu, le braghe di lana grigia, come il berretto calato sulle orecchie, gli scarponi che nella sua fantasia sono come quelli dei garibaldini, il cartone di vino accanto, il borsone di tela al sicuro tra il suo corpo e le sedie. Si addormenta, stordito dall’alcol, stanco per il suo pellegrinaggio circolare nella piazza, che ogni giorno ripete per ore.

    È circa l’una del mattino del 4 novembre. Dopo un’ora, forse due, una fitta allo stomaco lo sveglia. Si rigira sul fianco sinistro, poi sul destro, poi ancora sul sinistro. Niente, non riesce più a prendere sonno. Ha freddo, tanto freddo. Si alza, dà una sorsata di vino, si pulisce la bocca con la manica del piumino, raccoglie le sue cose e si avvia con incedere malcerto verso via Santa Marta. Dopo pochi passi si appoggia a una cabina telefonica, residuo di altri tempi, riprende il cammino fino alla via, si sostiene con la mano sinistra al muro dell’antica Società d’Incoraggiamento di Arti e Mestieri. Una ventina di metri e, dove si apre l’ampio vano dell’ingresso della Società, gli manca il sostegno della mano e rischia di cadere. Fa un altro sorso di vino, attraversa la strada e si infila nell’angusta via Bagnera. Dopo una cinquantina di metri, quando la strada svolta a gomito verso sinistra, si apre in uno slargo, sul fondo del quale campeggia un grande portone di legno. Sopra, a destra, la targa del numero civico, il 3. Accanto, un piccolo spazio rettangolare, giusto delle dimensioni di un uomo. Spesso, nelle notti d’inverno, il Carlino si trasferisce dal chiosco a quell’angolo riparato. Raggiunge la nicchia, prepara di nuovo il suo giaciglio, si corica, ancora una boccata di vino, e si assopisce. Il sonno lo avvolge profondo. Non può udire i passi che risuonano tra le pareti della via Bagnera. A un certo punto, il rumore dei passi cessa. Prima di morire, il Carlino sente soltanto un immenso dolore al petto.

    2

    Il vecchio ferro da stiro emette uno sbuffo: anche la seconda manica è pronta, perfetta. Marisa ripiega con cura la camicia, si rassetta la capigliatura vaporosa biondo cenere, stacca la spina del ferro ed esce dal tinello. Nel piccolo salotto non c’è nessuno.

    Egidio?, chiama Marisa.

    Sono qui, la voce proviene dalla stanza da letto.

    Marisa entra in camera. Suo marito, in piedi, di fronte allo specchio ovale appeso alla parete, sta sistemando il nodo della cravatta amaranto. Passa una mano sul cranio quasi calvo, pettina la chierica. Abbassa lo sguardo, controlla che le scarpe marroni in pelle siano lucide.

    Ecco, sono pronto.

    Stai già uscendo?, domanda lei.

    Sì tesoro, è l’una.

    Di già? Quando stiro perdo il senso del tempo. Vai in trattoria?.

    Sì, è martedì.

    Da quando è in pensione, l’ex commissario Egidio Luponi tutti i martedì va a pranzo con l’agente scelto Corrado Spezia, anzi, con l’ispettore Spezia. Un ragazzo in gamba, diceva sempre il commissario. Infatti, Spezia, 35 anni, da 12 in polizia, d’un tratto ha fatto una rapida carriera, anche grazie al suo ruolo decisivo nelle indagini, due anni prima, su un caso difficilissimo, che aveva fatto parlare i giornali di tutto il mondo: nove persone misteriosamente scomparse a Milano¹. La risoluzione era stata merito dell’intuito del commissario Luponi e della brillantezza investigativa del suo migliore collaboratore, l’agente scelto Corrado Spezia.

    Dopo l’ingresso in pensione, il commissario – al quale non piace per nulla il prefisso ex – e l’ispettore Spezia hanno continuato a vedersi, una volta la settimana, a pranzo. Il luogo è una trattoria in zona Brera, due sale, arredamento all’antica, ambiente pulito e curato, pareti ocra, tovaglie e tovaglioli di stoffa, piatti semplici, acqua in bottiglie di vetro, atmosfera familiare. Ci trovi di tutto al Bel: muratori e operai al primo turno di mezzogiorno, impiegati verso l’una, professionisti, artigiani, artisti e gente bizzarra dopo l’una e mezza. I due poliziotti hanno scelto l’ultimo giro, meno frenesia milanese.

    Luponi esce di casa, in via Aristotele, quartiere Gorla, e in cinque minuti è sul metrò, linea rossa. A Turro sale sulla carrozza un personaggio che Egidio conosce: tal Julien, un franco-algerino sui 45 anni, alto, robusto, capelli neri impomatati, sempre in tuta da ginnastica, giunto in Italia una decina di anni prima. Piccolo criminale, spacciatore, riciclatore di merce rubata. Un maneggione. Dopo essere stato pizzicato dalla polizia è diventato un informatore della questura. Un lavoro da pierre come copertura, Julien frequenta bar e locali della zona per osservare le persone, i movimenti e raccogliere notizie. A Luponi quell’uomo non era mai andato giù. Si rendeva conto che certe figure sono utili alle indagini, ma non sopportava l’aura viscida che avvolgeva Julien. Lasciava ai suoi colleghi più impermeabili all’unto delle spie il compito di incontrarlo. Una scelta pragmatica, perché se non fosse riuscito a controllarsi avrebbe anche potuto risbatterlo in cella.

    Luponi apre il giornale e si volta dall’altra parte.

    Cambio a Loreto, linea verde, fermata Moscova. L’aria è limpida ma gelida, affilata, quell’inverno caldo ha aperto una parentesi per ritrovare se stesso, sebbene, secondo le previsioni, pare soltanto per qualche giorno. Sulle panche che contornano un tavolo in piazzetta Vergani sono seduti cinque consegnatori di cibo, riders, tutti neri africani. Due di loro, esausti, dormono, il volto adagiato sull’avambraccio. Gli altri smanettano sugli smartphone. Nessuno parla. Egidio si stringe nell’impermeabile e si avvia verso la trattoria, da lì sono pochi minuti.

    Corrado Spezia è già seduto, nella prima sala, al tavolino contro la vetrata. Buongiorno commissario.

    Ispettore. Sono in ritardo?.

    Spezia si alza. È vestito in borghese, giacca e pantaloni scuri, camicia bianca, niente cravatta. Fisico asciutto, capelli corti bruni, occhi castani sottili e profondi, Corrado Spezia è una decina di centimetri più alto del commissario

    No, no, lei è puntuale, sono io in anticipo, si premura Spezia.

    Luponi gli appoggia la mano sulla spalla.

    Si sieda, si sieda.

    Ci hanno dato questo tavolo, commissario, qui in vetrata è un po’ freddo ma luminoso.

    Va benissimo, Corrado.

    Luponi si sfila il cappotto, lo appende a un gancio sul muro e si accomoda.

    Allora, cosa si mangia oggi?.

    Il cuoco ha detto che fa lui. Ormai conosce i nostri gusti.

    Come a casa con mia moglie, Egidio rilassa le spalle. Si volta verso il ragazzo dietro il banco, Jan, un ventenne esile, gentile, il taglio degli occhi orientale.

    E un quartino di rosso, per favore.

    Spezia sorride: Ecco, vede, una cosa buona della pensione. Io solo acqua, sono in servizio.

    Almeno frizzante, spero.

    Be’, certo.

    L’aiuto cuoco, il filippino Johnny, un giovane gioviale dall’umorismo ironico, arriva subito con due piatti di spaghetti all’arrabbiata.

    Un’arrabbiata per lei che non è mai arrabbiato, il sorriso di Johnny scopre la dentatura candida.

    Perfetto Johnny, grazie, replica Luponi.

    I due commensali infilano i tovaglioli sotto il colletto della camicia e cominciano a mangiare.

    Allora, ispettore, che si dice dalle nostre parti?.

    Il solito, commissario, il solito. Due arresti per spaccio, una rissa in corso Como sabato sera, una discarica che ha preso fuoco.

    Quella alla periferia Nord, l’ho sentito al telegiornale.

    Esatto, l’incendio sembra doloso.

    Non mi stupisce.

    Luponi arrotola gli spaghetti.

    E a casa tutto bene?.

    Sì, sì, bene, i bimbi crescono, Davide ora ha quattro anni.

    Di già? Ah… e auguri a lei, Corrado. Se non sbaglio il suo compleanno è in questi giorni.

    Ieri, era ieri.

    Allora auguri in ritardo. Quanti?.

    Trentacinque, passa il tempo. Però, commissario….

    Dica....

    C’è un episodio su cui stiamo indagando.

    Quale?.

    L’omicidio di un clochard in centro, in via Bagnera, dietro via Torino, domenica notte.

    "Omicidio? Sul giornale c’è solo una breve, dicono morto di freddo".

    Non è così, è stato ucciso, ma stiamo mantenendo il riserbo.

    Ucciso?.

    Sì, ne siamo certi.

    E come?.

    Con un’arma da taglio molto affilata.

    3

    L’ispettore Spezia toglie la giacca. Nel suo ufficio al secondo piano della questura il riscaldamento è troppo alto. Arrotola le maniche della camicia, si siede alla scrivania, scrive un messaggio WhatsApp a sua moglie. L’agente scelto Lara Fanelli bussa allo stipite della porta aperta.

    Mi scusi, ispettore, è per quel clochard morto domenica.

    Ucciso, agente.

    Esatto. Forse c’è un testimone.

    È qui?.

    Sì, qui fuori.

    Chi è?

    Uno studente.

    Lo faccia entrare.

    Mentre Spezia legge la risposta della moglie: Anch’io bene. Davide all’asilo, Sara qui con me. Buona giornata amore, torna a casa presto - sull’uscio si affaccia un ragazzo bassetto, tondo, la chioma biondiccia sfilacciata sulla fronte.

    Prego, si accomodi, lo invita Spezia.

    Posso?.

    Certo.

    Il giovane si sistema, un po’ impacciato, sul bordo della sedia. Suda.

    Si tolga il cappotto, qui fa caldo.

    Grazie. Appallottola sciarpa e pastrano e li piazza sulle ginocchia.

    Dunque, lei è?.

    Mi chiamo Fabio Mantini, ho ventidue anni e studio giurisprudenza.

    Si rilassi, non è un interrogatorio, solo due chiacchiere.

    Grazie, sa com’è….

    Capisco. Mi dicono che lei ha visto qualcosa a proposito dell’omicidio di domenica notte in via Bagnera.

    Omicidio?.

    Sembra di sì. Mi racconti dal principio.

    Mantini si asciuga la fronte con la sciarpa.

    Allora, saranno state le tre del mattino, tornavo a casa. Ero un po’ alticcio, una serata con gli amici. Sa, venerdì ho passato un esame.

    Complimenti. Quale esame?

    Criminologia, ho preso ventotto, al ragazzo sfugge un ghigno.

    Ha fatto bene a festeggiare. Dopo un esame bisogna rilassarsi per almeno tre giorni.

    Infatti.

    Il rapporto dei colleghi dice che lei è stato fermato per un controllo casuale alle 2:35 in via Nerina. Appunto, in stato di ebbrezza.

    Gliel’ho detto, l’esame.

    Il verbale dice anche che appariva piuttosto sconvolto. Poco dopo gli agenti hanno trovato il cadavere di un uomo in via Bagnera.

    Era morto?.

    "Che cosa intende con era morto? Lei aveva visto prima quell’uomo?".

    No… Non so, forse sì, Mantini riprende a sudare.

    Sì o no?.

    Io, io, non pensavo. Allora le racconto tutto.

    È meglio.

    Stavo camminando in via Bagnera, ero entrato da via Santa Marta. Dove la strada gira a sinistra ho notato un uomo steso a terra. Mi sono avvicinato e ho capito subito che era un barbone. Stava lì immobile. Ho pensato che dormisse e l’ho lasciato stare.

    Ha visto altro?.

    No… le pupille di Mantini rimbalzano nel vuoto verso il soffitto, esita Però…. Scocca una frase: Ho sentito un rumore strano.

    Un rumore?.

    Sì, nel tratto di via Bagnera che porta in via Nerina risuonava un rumore di tacchi, tipo scarpe di cuoio. Regolare, sembrava che la persona camminasse lentamente. Poi c’è un’altra cosa.

    Quale?.

    Si sentiva un rumore secco, metallico. Mi sono incuriosito e mi sono incamminato anch’io verso via Nerina. Lì via Bagnera è storta, curva. Appena si è aperta la vista fino a via Nerina, ho visto una sagoma svoltare a sinistra, in via Nerina appunto. Ma la cosa strana è un’altra.

    Dica.

    Illuminata da un lampione ho visto luccicare in mano a quella figura una specie di spada. Poi la sagoma è sparita.

    Quindi non potrebbe riconoscerla?.

    Assolutamente no, non saprei neanche dire se fosse un uomo o una donna. Era di statura media, corporatura normale.

    Ha detto una specie di spada?.

    Sì, dritta e sottile. Come una baionetta.

    Signor Mantini, non aveva bevuto troppo?.

    Al bancone del chiosco di piazza Mentana, Corrado Spezia scalda le mani sulla tazza di tè bollente. Fa freddo, quel pomeriggio un vento leggero agita le tende dei grandi ombrelloni che riparano i tavolini. Ha già percorso via Bagnera tre volte, avanti e indietro. Nella piccola strada non ci sono telecamere. Finita la bevanda, si dirige al centro della piazza. Sopra la targa in memoria della battaglia si erge una statua che impugna una spada, il drappo scolpito nel marmo sembra assecondare il vento. Spezia si sofferma qualche istante, fa il giro della piazza e torna di fronte al monumento. Estrae dalla tasca lo smartphone, indugia, cerca un numero nella rubrica e chiama. Dopo quattro squilli, risponde una voce assonnata.

    Buongiorno Corrado.

    Lo sapevo, la disturbo, stava riposando, mi scusi.

    Sì Corrado, ora posso concedermi il lusso di un pisolino pomeridiano. Ma non si preoccupi, c’è sempre tempo per dormire, mi dica.

    Vede commissario, si tratta dell’omicidio del clochard. Si ricorda, gliene ho parlato ieri.

    Certo che ricordo. Ci sono novità?.

    Qualcosa. Avrei bisogno di un consiglio. Giusto per non prendere una pista sbagliata.

    Sono qui.

    Grazie mille commissario. C’è la possibilità che l’arma del delitto sia una specie di baionetta. La ferita è compatibile, un testimone, uno studente che quella notte però era ubriaco, dice di aver visto allontanarsi una figura che impugnava qualcosa di simile a una spada. Il testimone assicura che non potrebbe riconoscere la figura, l’ha vista solo di sfuggita, ma il ragazzo ha sentito che la persona in via Bagnera percuoteva ritmicamente con colpi secchi il muro con la presunta baionetta, appunto.

    Le consiglio di fare subito una ricerca in tutti i negozi di Milano che vendono baionette.

    Già fatto, sono pochi. E nessuno ha venduto un’arma simile negli ultimi mesi. Potrebbe essere stata acquistata in un’altra città.

    Oppure… oppure, ha presente Corrado quelle rievocazioni in costume che si fanno in occasione di tante ricorrenze, soprattutto nei paesi? Chissà quante baionette ci sono in giro. La ricerca è complicata. Su questa strada potrebbe perdersi.

    L’ispettore Spezia stringe la mano sinistra su una delle punte della ringhiera che recingono la statua.

    Certo che deve essere proprio un bastardo uno che uccide così un poveraccio. Infilzarlo, mentre dorme.

    Dal telefono, silenzio.

    Commissario, è lì?.

    Sì, sì. Ma, considerato il complesso delle circostanze, probabilmente anche uno psicopatico. È peggio, perché potrebbe non avere alcuna relazione con la vittima.

    I dadi rotolano: 6 + 5 = 11

    4

    Il tavolo a ferro di cavallo è enorme, Arianna non ne aveva mai visto uno simile. Lei è seduta al centro e parla, parla. Il professore di Storia della filosofia si accarezza i baffi grigi, mentre ascolta attento la prolusione della laureanda. Quello di Logica, il correlatore, punta gli occhi azzurri su di lei, non sbatte nemmeno le palpebre. Lo sguardo di quello di Filosofia morale invece sfugge a tratti fuori dalla finestra, distratto dal volo di due corvi che tracciano geometrie irregolari nel blu del cielo che volge al tramonto. Il relatore, il professore di Teoretica, giochicchia nervosamente con un elastico sotto il tavolo.

    Appena Arianna termina il suo discorso, durato una ventina di minuti e ogni tanto interrotto da qualche domanda, il presidente della commissione, il docente di Storia della filosofia, chiosa: La ringrazio, ora può uscire, ci riuniamo per decidere. La chiamiamo noi.

    Anche Arianna ringrazia, le tremano le labbra, si alza, abbozza un inchino con il capo, incespica sulla sedia, fa due passi all’indietro, poi si volta ed esce.

    Fuori la attendono i parenti e gli amici. Si complimentano, lei sorride e va da sola di fronte alla vetrata del corridoio. Anche nel cortile svolazzano alcuni corvi. Dopo dieci minuti la laureanda ode il suono della campanella, aggiusta il tailleur blu, respira, rientra nella sala delle lauree e si accomoda. Le tremano ancora le labbra.

    Bene dice il presidente abbiamo deciso all’unanimità di assegnarle un punteggio di centodieci. Congratulazioni, da questo momento lei è laureata. Aggiunge: E con un ottima votazione.

    Arianna si abbandona in un sorriso aperto, le si inumidiscono gli occhi. Si alza e va a stringere la mano a tutti i componenti della commissione.

    Il corteo dei festeggianti percorre l’atrio di fronte all’Aula magna, sbuca nel grande chiostro del Filarete, prosegue sotto il colonnato a sinistra, attraversa il primo chiostro più piccolo e raggiunge il secondo, quello di fronte al dipartimento di filosofia, dove si ferma. Arianna è al centro del cerchio: risate, baci, fotografie.

    Il suo amico e migliore compagno di studi, Maurizio, estrae dallo zaino una bottiglia di champagne. Quando il tappo fa il botto la schiuma inonda i capelli di Arianna. Poi, sempre dallo zaino di Maurizio, compare una grande corona d’alloro. Lui la pone sul capo di Arianna. Una foglia si stacca e s’infila nell’occhio destro della laureata, che comincia a lacrimare. Qualcuno le porge un fazzoletto. Foto, filmati. Parte un coro: Per Arianna, hip hip urrà!.

    Il primo brindisi è in programma al bar di fronte alla Statale, in via Festa del Perdono dove la strada si apre in una piazza, Largo Richini.

    E ora tutti al bar!, Maurizio lancia il grido di battaglia.

    Tutti al bar!, ripete qualcuno.

    Arianna si sta asciugando l’occhio con il fazzoletto: Cominciate ad andare, vi raggiungo, vado in bagno a darmi una sistemata. Guarda che capelli, ride.

    Il

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