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La Manutenzione dello sguardo
La Manutenzione dello sguardo
La Manutenzione dello sguardo
E-book127 pagine1 ora

La Manutenzione dello sguardo

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Info su questo ebook

La salumiera del supermercato si innamora del goffo addetto alla sicurezza. E il ragazzo che guarda il mondo dal balcone di casa vorrebbe conoscere la giovane pianista che prende lezioni di musica nell'appartamento accanto al suo.

Strani artisti, anziani falegnami che spariscono all’improvviso e ricompaiono nel Tg regionale e uomini che fanno di un manichino la propria moglie finiscono per un istante in un cono di luce.

Le loro storie, per quanto stravaganti, sembrano piuttosto ordinarie e a tutti potrebbe accadere prima o poi di intrecciarle.

Ciò che le rende uniche è lo sguardo, disincantato e poetico, di chi osserva e racconta.

Perché è proprio lo sguardo che ha bisogno di manutenzione, se si ha il desiderio di cogliere, nell’apparente mediocrità della vita quotidiana, l’ispiera di luce che fa di ogni vita un’opera unica.

LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2024
ISBN9788869349102
La Manutenzione dello sguardo
Autore

Francesca Martano

Francesca Martano, laurea in Scienze dell'educazione, lavora in una comunità di recupero per tossicodipendenti ad Asti. Parla correntemente inglese, francese e spagnolo, ha a lungo viaggiato in America Latina ed Europa e ha frequentato corsi avanzati di scrittura e workshop con Paola Cereda. Nel 2021 ha vinto il primo premio del concorso letterario "Il Cammello Racconta" con Blues, pane e salame ed è stata tra i vincitori del premio speciale “Borgate dal Vivo” con Super Star. Nel 2023 ha vinto il secondo premio al concorso “88.88” con il racconto Peperonicini Rossi.  

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    Anteprima del libro

    La Manutenzione dello sguardo - Francesca Martano

    Francesca Martano

    La manutenzione dello sguardo

    Racconti

    © 2024 Bibliotheka Edizioni

    www.bibliotheka.it

    I edizione, giugno 2024

    Isbn 9788869349096

    e-Isbn 9788869349102

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale, del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Disegno di copertina: paolo Niutta

    Tutti i diritti riservati

    facebook.com/BibliothekaEdizioni

    instagram.com/bibliothekaedizioni

    Lo sa il gatto

    Lorenzo, affacciato alla finestra, stringeva tra le dita ossute una sigaretta. Non la portava mai alla bocca: le volute di fumo bianco e denso nascevano dalla punta e si allungavano verso il soffitto ingiallito della stanza. Una lunga colonna di cenere stava in bilico minacciando di cadere da un momento all’altro dentro a un posacenere d’argento, fossa comune di altrettante sorelle sigarette che avevano fatto tutte la stessa fine.

    Penny, la sua gatta nera, se ne stava acciambellata su una vecchia poltrona di velluto a coste fingendo di dormire mentre Edgar, il canarino, cinguettava un’allegra melodia che stonava nella stanza ricoperta di tappezzeria sbiadita. La gabbia era appoggiata su un pavimento di palchetto che non vedeva una lucidatrice da tempo.

    Lorenzo amava appoggiarsi al davanzale di quella precisa finestra, collocato proprio sul calorifero principale, per gustarsi il tepore che gli invadeva le gambe secche e trascorreva le ore a fissare la città.

    Quella stessa città che, in quel momento, stava rincasando dopo un’estenuante giornata di routine lavorativa. Per le strade esondava un torrente di esseri umani che si muovevano all’unisono, come un esercito di imenotteri in fuga dal formicaio appena distrutto.

    Lorenzo sentiva il rumore dei clacson dei tassisti snervati, i motori dei pullman e, in lontananza, la sirena di un’ambulanza.

    Gli abitanti della città sgomitavano nel tentativo di sfuggire in fretta alla carezza della pioggia fine che cadeva silenziosa.

    In mezzo alla moltitudine di corpi, scarpe e ombrelli, Lorenzo riconobbe Ella.

    Saltellava senza ombrello schivando le pozzanghere, i piedi protetti da un paio di anfibi scuri con i lacci gialli su cui spiccavano un paio di calze a righe tirate su fino al ginocchio.

    Sembrava infischiarsene della pioggia affrontandola avvolta in un pellicciotto sintetico ormai zuppo, volteggiando sulle note di una canzone che ascoltava da un paio di grandi cuffie rosse.

    Ella piroettò vicino a un bidone della spazzatura da cui saltarono fuori due gatti randagi indispettiti; rise e si chinò per salutarli.

    I negozietti stavano abbassando le saracinesche e i lampioni iniziavano ad accendersi, mentre la luce svaniva pigramente per lasciar spazio a un tramonto carnicino.

    Lorenzo spense ciò che restava della sigaretta, si alzò e accarezzò Penny, che aprì un occhio solo, infastidita dal contatto non richiesto.

    Sospirò e tornò alla finestra: Ella si era fermata davanti al marciapiede del civico 256, come sempre.

    Tutti i mercoledì prendeva lezioni di piano dalla vecchia signora Donati e, come tutti i mercoledì, Lorenzo si sedeva sulla vecchia poltrona e le stava ad ascoltare ringraziando mentalmente l’architetto del palazzo, l’ideatore di quei muri così sottili che mal celavano i segreti dei loro abitanti.

    Lorenzo tese l’orecchio e udì Ella salire le scale; chiuse gli occhi e immaginò il dito indice della ragazza che si stendeva diritto verso il campanello.

    Driiiiiiiiiiin.

    Il trillo, seppur atteso, lo fece sobbalzare.

    «Chi è?» gracchiò la signora Donati.

    «Sono Eleonora signora, per la lezione di piano» esclamò Ella con voce allegra.

    «È già di nuovo mercoledì?» chiese confusa la donna.

    La poveretta era uscita di testa dopo la morte del marito. Gli abitanti del quartiere, dopo averla vista un paio di volte aggirarsi in camicia da notte per le strade invocando il nome del defunto, si erano abituati a quella vecchia e bizzarra signora.

    L’unico momento in cui tornava totalmente in sé era quando con le sue mani rugose sfiorava i tasti del vecchio pianoforte a coda. In quell’istante la follia la abbandonava.

    «Sì, signora, ma la disturbo? Vuole che passi un altro giorno?» chiese cortesemente la ragazza.

    «No cara, entra pure e accomodati. Vado a prepararmi, mi ci vuole solo un momento.»

    Tutti i mercoledì Lorenzo riviveva la stessa scena. Immaginava Ella che varcava la soglia dell’appartamento e, dopo essersi tolta gli anfibi bagnati, si accomodava sul divano. La signora Donati, nel mentre, rovistava nell’armadio della camera da letto, alla ricerca di un abito adatto per la lezione.

    Si diceva che la fosse stata la dama di compagnia di una vecchia nobildonna di Ferrara, vedova e senza figli. Fu lei a insegnarle il pianoforte. Quando la donna morì, gli eredi le diedero il ben servito e lei, giovane e senza un soldo, salì sul primo treno per Bologna per cercare di entrare all’Accademia.

    La signora Donati aveva ereditato dalla padrona i modi di una nobile dama e, ancora oggi, nonostante fosse decisamente svitata, conservava ancora la grazia di un tempo.

    Lorenzo accese un’altra sigaretta; si rammaricava di non poter vedere in quale razza di modo si fosse agghindata la signora. Se la immaginava elegantissima, magari ingioiellata o con un boa di piume che le cadeva lungo la spalla. Ogni tanto la curiosità era così irresistibile che pensava di fare un piccolo buco nel muro per verificare se la realtà fosse fedele alle sue fantasie.

    Udì la a signora Donati emergere dalla camera da letto ed esclamare: «Eleonora, bambina, incominciamo!»

    Lorenzo fece sloggiare Penny dalla sua poltrona senza troppi complimenti. Lei lo fissò seccata e, sculettando come una spogliarellista del Red Room Gentlemen’s Club, si diresse verso la porta; spiccò un balzo e si lanciò sulla maniglia di ottone che non oppose resistenza: la porta che dava sulla camera da letto si aprì e la gatta ciondolò nell’altra stanza.

    «E chiudi la porta, maleducata!» borbottò Lorenzo, vergognandosi poi di aver parlato con il gatto.

    Intanto, dall’appartamento, arrivavano i rumori delle sedie che si spostavano: Ella si accomodò davanti al vecchio pianoforte a coda, mentre l’insegnante si sedette dietro di lei pronta a correggere ogni imperfezione.

    Lorenzo chiuse gli occhi e accese un’altra sigaretta, l’ultima si era consumata come tutte le altre. Aveva preso quel vizio dal nonno Giorgio. Dopo che il medico gli aveva caldamente intimato di smettere di fumare, il vecchio iniziò ad accendere sigarette che fumava il vento. Prima di accenderle però era solito tenerle tra le labbra per aspirarne l’aroma; poi appicciava la punta e tirava una boccata di fumo, una sola. Infine lasciava che si consumasse tra le dita, vegliandola.

    Quando si sentiva solo, Lorenzo, accendeva una sigaretta e ripensava al vecchio Giorgio. Non era stato un buon padre e nemmeno un discreto nonno, ma come biasimarlo, in un momento si era ritrovato a piangere moglie e figlia. Non aveva mai pensato che andare a fare la spesa potesse essere così pericoloso. Così, si era improvvisato genitore di un ragazzino di sei anni dal padre sconosciuto.

    Ma ce l’aveva messa tutta, il vecchio Gio’: lui e il nipote, uniti, per affrontare il mondo. Quando se n’era andato anche lui a Lorenzo erano rimaste due cose: quella vecchia casa malandata ed il vizio di fumare come il nonno.

    Sospirò, poi si costrinse a riportare il pensiero su Ella. Immaginò le sue piccole dita con lo smalto nero rosicchiato sulle unghie tagliate corte. Il pensiero era così vivido da permettergli di sentire il profumo dei suoi capelli.

    Quando Ella suonò il primo accordo di Do il suo cuore saltò un battito.

    Immerso nella poltrona, si lasciò cullare dalla melodia maledicendo la signora Donati che interrompeva la ragazza per correggerla. A ogni maledizione proferiva poi una serie di scuse a labbra serrate verso la vecchia: era grazie a lei, in fondo, che lui aveva conosciuto Ella.

    Suonarono il solito repertorio fino ad arrivare alle ultime note con cui si sarebbe conclusa la lezione.

    A quel punto, immancabilmente,

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