Anima buia
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Info su questo ebook
A occuparsi dell'omicidio è il commissario Pietro Forlano, ancora stordito dall'improvvisa rottura con la fidanzata Elena che alle prime luci dell'alba lo ha lasciato con poche parole di cui lui non ha afferrato il senso. Travolta dalle indagini serrate volte a risalire all'assassino di Luigi Scorza, uomo la cui esistenza si rivela da subito ingarbugliata, la mente di Pietro palleggia tra gli eventi incalzanti e l'urgenza di mettere ordine nella sua vita privata.
Tra molteplici interessi, una moglie avvenente e capricciosa, un collega della vittima trovato anch'esso morto a stretto giro, dipinti di pregio, prostituzione e bande criminali, un mistero fitto dovrà trovare soluzione.
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Anteprima del libro
Anima buia - Antonella Cavallo
ponte.michele@gmail.com
Antonella Cavallo
ANIMA
BUIA
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.
Al mio amico Archie
che ha attraversato il ponte dell’arcobaleno.
«Il cuore prima chiede gioia,
poi assenza di dolore,
poi gli scialbi anodini
che attenuano il soffrire,
poi chiede il sonno,
e infine, se a tanto consentisse
il suo tremendo giudice,
libertà di morire.»
EMILY DICKINSON
Personaggi
Adelina Concia - Agente di polizia
Alessandro Castelli - Agente alla guida
Alfreda - Madre di Elena Tucci
Alvaro Ronchi - Il Pierino
Annika - L’amica di Adelina Concia
Carlo Prandi - Studente
Carmine Sebregondi - Criminologo
Caterina Longhi - Studentessa
Cinzia Olofredi - Professoressa di arte Liceo
Linguistico Statale di Brera
Claudio Ortiara - Titolare della Tesauro vigilanza
privata
Cristina Scarpa - Ex-ragazza di Luigi Scorza
Elena Tucci - Fidanzata del commissario Forlano
Elton Hoxha - Albanese pregiudicato prostituzione
Fiorenzo Gualandri - Video-Foto segnalatore di polizia
Giacomo Traverso - Ispettore di polizia
Giannina - Neonata di Cristina Scarpa
Giovanna Voliero - Pasticcera e moglie di Luigi Scorza
Goran Soru - Rumeno pregiudicato prostituzione
Ida Borghetti - Portinaia
Luigi Scorza - Titolare della Cake Design di Scorza &
co. – ex-guardia particolare giurata
Marina Gittoni - Moglie di Oreste Fugaci – Amante di
Luigi Scorza
Oreste Fugaci - Critico d’arte
Pietro Forlano - Commissario
Pino Bellomo - Guardia particolare giurata
Rosa - Stalker
Sergio Voliero - Fratello di Giovanna Voliero
Il Toni - Addetto alle fotocopie della Tesauro
Valentina Berrini - Guida artistica del Cimitero
Monumentale
I
Mercoledì mattina, 13 novembre 2013
poco prima delle sei
Appartamento del commissario Pietro Forlano
Si chiamava Elena Tucci, aveva negli occhi il fascino impertinente di una sacerdotessa greca e la brezza del Meltemi tra le onde brune che le fluivano morbide lungo le spalle, così come la madre di suo padre, e prima di lei tutte le donne della sua famiglia d’origine. Da un primo sguardo si poteva dire che fosse destinata a debellare il male, ma gli eventi che ultimamente si susseguivano inesorabili, sembravano voler vanificare il suo compito.
Sarebbe stata la giornata ideale per farlo.
Da qualche tempo quella frase aleggiava tra i pensieri della sera e svaniva alle prime luci del nuovo giorno, palleggiando da un campo all’altro della sua esistenza in una partita senza fine.
Elena aveva preparato i bagagli e ora se ne stava là, impettita a braccia conserte, a fissare la maniglia della porta di casa in un conto alla rovescia fino al trillo della sveglia. Il respiro modulato ritmava il battito confuso del suo cuore ingarbugliato nella penombra di un giorno destinato a lasciare il segno. Una parte di lei ne era certa, sarebbe scesa dai tacchi e avrebbe attraversato l’appartamento a piedi scalzi. Ancora un giorno, gliene avrebbe offerto ancora uno. L’ultimo e poi basta.
Ore 06:00
Elena ebbe un sussulto, ruotò i piedi uno dopo l’altro e, attenta a non fare rumore, si voltò.
Pietro allungò il braccio in direzione del comodino per interrompere la suoneria con una manata decisa, tastò un lembo del piumone, e lo rovesciò. Si mise a sedere e, sbadigliando, si alzò dirigendosi lungo il corridoio. L’andatura stanca e la sagoma del suo corpo nudo nella penombra evocavano l’immagine di un eroe sconfitto. Il flebile biancore del primo mattino tratteggiava fasci di ombre lungo il dorso e la curva dei suoi glutei.
Elena strinse i pugni. L’istinto la spingeva a seguirlo, la ragione la tenne incollata al pavimento. Avevano fatto l’amore quella notte come la prima volta o come se fosse stata l’ultima, di questo lei ne era consapevole. Avrebbe potuto svanire nel nulla, andarsene in punta di piedi, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Voleva guardarlo negli occhi, osservarlo, godere della sua nudità. Ancora per un momento. Poi se ne sarebbe andata con poche parole sussurrate nella semioscurità di quella stanza ancora densa di passione: quella sarebbe stata l’ultima volta.
Lo scrosciare dello sciacquone del bagno annunciò il ritorno di Pietro. Lo vide arrivare con incedere lento, illuminato da uno spiraglio di luce che filtrava dalle imposte, una mano tra i capelli neri un po’ arruffati.
Che cosa fai lì?
Me ne vado, Pietro.
Aspetta un attimo
l’uomo allungò il braccio in direzione dello schienale della sedia, prese i jeans e li infilò, barcollando.
Non so se siamo troppo simili o troppo diversi
Elena lo tenne a distanza con un gesto della mano, ma non possiamo più stare insieme.
Poche parole. Cosa Elena avesse inteso di preciso, Pietro non lo aveva afferrato. Poche parole nella sfumatura di quel mattino. Con gesti rallentati si era voltata, aveva appoggiato il mazzo di chiavi sul bordo del mobile all’ingresso, aveva aperto la porta, impugnato la maniglia della valigia e se ne era andata. Svanita nel nulla, oltre la soglia di casa.
Un culo tondo, l’ultimo fotogramma impresso nella mente di Pietro, e l’inizio di un nuovo giorno che non gli avrebbe concesso tregua.
Pietro aveva esitato un attimo, giusto il tempo di realizzare cosa stesse accadendo, e poi l’aveva seguita. A piedi scalzi era uscito sul ballatoio. Scendendo veloce giù per le scale l’aveva chiamata più volte, ma Elena era già lontana, oltre la cancellata del cortile. La vide salire a bordo di un taxi di cui non riuscì a prendere alcun riferimento. Masticò una mezza bestemmia e ritornò nel suo appartamento con i piedi gelati e la camicia infilata nei jeans alla bell’e meglio. Qualche minuto più tardi rispose al citofono, deglutendo una compressa di antinfiammatorio. L’agente Alessandro Castelli era arrivato e lo stava aspettando sotto casa per accompagnarlo al commissariato di polizia in Corso Sempione.
La nuova giornata del commissario Pietro Forlano non era iniziata nel migliore dei modi.
II
Mercoledì mattina, 13 novembre 2013
poco prima delle dieci
Una passeggiata nell’aldilà
Un capannello di ragazzi, blocchi e matite alle mani, vociava sotto le arcate dell’ingresso del Cimitero Monumentale. Non fosse stato per qualche: Ma allora Prof! Che palle! Quando si entra?
sbuffate tra una boccata di fumo e una bolla di gomma da masticare, si sarebbe detto che fossero tutti coetanei.
Cinzia Olofredi, professoressa del Liceo Artistico Statale di Brera, saettò un’ultima occhiata ferina in direzione di Carlo Prandi, intimandogli di spegnere la sigaretta. Il ragazzo aspirò un’ultima boccata, prese la mira e con uno scatto secco dei polpastrelli di pollice e dito medio, lanciò il mozzicone in un volo parabolico che terminò tra le grate di un tombino.
Che c’è?
la sfidò, sfoderando un sorriso malandrino, poi si voltò verso i compagni e si unì ai loro commenti a proposito di un’ipotetica festa che avrebbero potuto organizzare tra le tombe illustri.
La professoressa Olofredi si passò una mano tra i capelli, maledicendosi per aver deciso di tagliarli corti e per aver dimenticato a casa il berretto di lana. Il freddo umido pungente le saettava le tempie, e i pochi visitatori intabarrati, che scorgeva oltre la cancellata, preannunciavano un’ulteriore diminuzione della temperatura, il che non prometteva altro che un sicuro raffreddamento. Perché aveva lanciato quella sfida ai suoi studenti? E soprattutto, perché loro l’avevano accolta senza commenti? A lei non piaceva neanche andare per cimiteri. Neanche un po’. Le venivano i brividi solo al pensiero di doversi trovare interrata là sotto; lei che amava il sole, la luce, l’aria pura delle vette più alte, la brezza marina e il tepore della sabbia. Però doveva ammetterlo, il culto dei morti era un valore che si perpetuava da secoli, uno dei pochi che continuava a persistere, e il Monumentale lo testimoniava. Un museo a cielo aperto, un concentrato di arte di alto valore storico culturale, e andava visitato. L’amore oltre la morte e le frasi poetiche scolpite nella pietra testimoniavano il passaggio di qualcuno che aveva lasciato una traccia di sé, che non sarebbe stata cancellata da un soffio di vento. Cinzia prese a frugare nella borsa alla ricerca di qualcosa da usare come copricapo, poi scrollò le spalle, srotolò l’ampio collo del dolcevita e se lo sistemò in cima alla testa. Ora andava meglio e riusciva anche a ragionare. Diede ancora uno sguardo all’orologio: la guida, che avrebbe dovuto accompagnare lei e il suo gruppo durante la passeggiata nel mondo dell’aldilà, era in ritardo. Di parecchio. Si mise a cercare il cellulare per chiamarla, quando vide sopraggiungere una figura femminile dall’aspetto inequivocabile. Tirò un sospiro di sollievo. La visita guidata avrebbe avuto inizio nel giro di pochi minuti. Valentina Berrini, dal centro del piazzale Cimitero Monumentale, accennò un passo di corsa sventolando una cartelletta giallo fosforescente e raggiunse gli studenti con un sorriso appena abbozzato. Dagli sguardi eloquenti dei ragazzi, la donna intuì che un’ulteriore attesa, gravata da appello e convenevoli, avrebbe messo a dura prova i nervi del manipolo in tumulto. Si limitò ad alzare le mani in segno di resa, sfilò i guanti di lana aiutandosi coi denti e distribuì le piantine guida con le immagini dei monumenti che, di lì a poco, avrebbe illustrato e descritto.
Si appoggiò spalle alla cancellata del cimitero e sfilò dal borsone a tracolla una serie di auricolari collegati alle audioguide. Le piazzò in mano a Carlo Prandi, il primo che le capitò a tiro.
Mi daresti una mano, per favore? Basta pigiare tasto zero.
Figo, così ci attacchiamo l’Ipod
commentò Carlo mentre distribuiva i dispositivi ai compagni.
Mi dispiace per il ritardo!
Valentina si affiancò a Cinzia Olofredi Oggi è un giorno molto speciale per me...
sorrise, accarezzando il cappotto all’altezza del ventre.
Cinzia la guardò con fare interrogativo. Non si poteva certo affermare che fosse una ragazza attraente eppure, da quanto poteva ipotizzare, Valentina doveva avere più o meno la sua età, era felicemente accompagnata e per giunta in attesa di un figlio. Al contrario lei, dopo l’ultima relazione finita in malo modo, non era riuscita a trovare un solo uomo con cui valesse la pena impegnarsi, e nulla faceva presagire che la sua situazione potesse cambiare. Si sforzò di compiacersi della notizia e ammiccò: Su, entriamo, se no questi fanno scoperchiare le lapidi. Tu vai avanti, io chiudo la fila
le cedette il passo e rallentò per accertarsi che tutti i ragazzi si fossero uniti al gruppo.
Un uomo e una donna, allacciati in un abbraccio, oltrepassarono il gruppo di giovani. Passeggiando oltre il piazzale interno, proseguirono lungo il viale centrale del cimitero. Di tanto in tanto i due si fermavano a osservare i monumenti e a leggere i poetici epitaffi. Lei gli si stringeva addosso, posandogli sguardi languidi, lui le sfiorava le guance con la punta del naso, roteando lo sguardo in ogni direzione. Così facendo, notò che un ragazzo con una matassa biondastra ingarbugliata sulla testa li seguiva a distanza e non mancava di abbassare gli occhi ogni volta che i loro sguardi si incrociavano. Concesse un bacio a fior di labbra alla sua donna, gli occhi puntati verso l’impertinente che seguitava a tallonarli.
Caterina Longhi, una delle studentesse, si dileguò dai compagni e si fermò a osservare una donna intenta a ripulire una tomba. Seguì con lo sguardo le sue mani ossute raccogliere le foglie marce di umido una dopo l’altra, con un ritmo lento, lo stesso delle labbra livide che pronunciavano dolore senza emettere suoni. Caterina sedette a terra in un angolo, sfilò una matita dalla crocchia di capelli annodati sulla nuca e si mise a tratteggiare sul blocco di carta che teneva a portata di mano.
Bastardo!
sibilò, a un tratto, una voce maschile.
L’uomo si voltò di scatto a destra, in direzione del monumento col carro trainato dai buoi. Poco ci mancò che scorgesse l’individuo con la barba fulva accucciato dietro la maestosa scultura.
Che succede? Qualcuno ci sta seguendo?
chiese la donna.
Tranquilla, non ti preoccupare, Marina
scosse il capo e proseguirono la passeggiata, concedendosi effusioni rubate a un’adolescenza ormai lontana.
Il gruppo di studenti li raggiunse in prossimità dell’ossario centrale. Carlo Prandi rallentò e si tenne a distanza dalla fila insieme a due compagni.
Avete visto quel vecchio? Come le caccia la lingua in gola?
i tre sghignazzarono, voltandosi in direzione della coppia.
Valentina Berrini si schiarì la voce: Al centro del viale s’innalza l’Ossario centrale, progettato da Carlo Maciachini. In origine era destinato ad accogliere, nella parte superiore, la cappella cattolica, di cui ora resta solo l’altare a foggia di sepolcro scoperchiato. Negli anni Trenta, la cappella fu spostata nel criptoportico del Famedio, quello che abbiamo oltrepassato nel piazzale interno
si voltò, indicando l’ingresso del Cimitero alle loro spalle. Il corpo inferiore, coperto a terrazza, ospita le celle più antiche. Quello superiore, a impianto quadrato e cupola ottagonale, porta alcuni pilastri angolari arricchiti da pinnacoli e trattati come piccoli campanili.
I ragazzi la seguivano con poca attenzione. Caterina Longhi raggiunse la coda dei compagni e adocchiò l’imponente scultura alla sinistra della scalinata dell'ossario. Era in bronzo, raffigurava una donna avvolta in abito da scena, la mano destra a celare il volto, la sinistra stringeva una maschera, e la punta del piede nudo posava su un cuscino. Nell’insegna frontale, un’incisione riportava due righe di ringraziamento dei milanesi: «A Dina Galli, la diva dalla stralunata comicità.»
Caterina si staccò di nuovo dal gruppo dei ragazzi, si accovacciò di fronte alla statua dell’attrice e prese a vergare il suo blocco degli schizzi con un carboncino consunto.
La coppia di amanti sostò per pochi attimi alle spalle della ragazza, poi tirò avanti lungo uno dei numerosi assi secondari che percorrono in lunghezza e in larghezza i due principali del Cimitero Monumentale.
Dove vuoi andare, cara?
le sussurrò, guardandola negli occhi.
Dove vuoi tu, Luigi
rispose Marina, implorando il suo contatto con le labbra tumide.
Lo sguardo bieco dell’uomo con la barba fulva continuava a seguirli a dovuta distanza.
Pronto!
disse Luigi, rispondendo alla vibrazione del cellulare Non adesso. Ho da fare
aggiunse, abbassando il tono.
Marina si accigliò. Luigi seguitò ad ascoltare la voce dall’altro capo del telefono, fece cenno alla sua donna di incamminarsi verso l’uscita e di aspettarlo, poi, voltandole le spalle si allontanò.
Imbronciata, Marina non si mosse, attese ancora qualche istante, scosse la testa, si strinse nel collo di pelliccia e si diresse verso la panchina che stava di fronte alla cancellata dell’ingresso principale.
Il corteo degli studenti proseguì la visita guidata in direzione del forno crematorio.
A Caterina fu concesso di procedere col ritratto della vecchia artista.
Non ti allontanare come prima, Cate. Ti do un quarto d’ora
le si piazzò davanti per fare in modo che la ragazza potesse guardarla in faccia. Non vagare per il cimitero. Voglio trovarti qui quando torniamo indietro. Intesi?
Caterina annuì.
La professoressa Olofredi si allontanò, voltandosi indietro un paio di volte per accertarsi che la ragazza fosse al sicuro. Non poteva permettersi di perdere d’occhio uno dei ragazzi, men che meno Caterina che, intuendo la sua apprensione, la tranquillizzò con un cenno della mano.
Cinzia Olofredi accelerò il passo e raggiunse il gruppo.
Carlo Prandi, tenutosi a distanza, ne approfittò per fumarsi una sigaretta coi due compagni.
Il vociare dei ragazzi fluiva lontano, mentre Caterina concentrata disegnava.
Continuando ad ascoltare la voce del suo interlocutore, Luigi ripercorse il viale principale a grandi passi, mano alla fronte, indirizzando lo sguardo da una parte all’altra del viale, come a seguire ipotetiche indicazioni di un itinerario preciso. Quando fu in prossimità dell’ossario salì la gradinata, volgendo un’ultima occhiata preoccupata verso l’uscita. Poi varcò la soglia e si addentrò, spingendosi oltre l’altare.
Cosa vuoi fare?!
esclamò sorpreso. Si mosse con cautela verso la persona che gli stava davanti e che teneva una pistola premuta sotto il mento. La riconobbe, era la sua Ruger P95.
Voglio farla finita.
No! Fermati. Respira
Luigi cercò di modulare il tono della voce.
Dimmi una sola ragione per non farlo.
Dammi la pistola, prima che qualcuno si faccia male sul serio
si sforzò di mantenere un tono rassicurante.
Fermati o mi ammazzo! Credi che non ne sia capace?
Aspetta. Non farlo
Luigi si avvicinò, mostrando i palmi delle mani. Lascia che ti aiuti.
Proprio tu?
Con uno scatto fulmineo, l’arma si staccò dalla gola e puntò verso Luigi.
Una serie di colpi di pistola violò il sacrario, lasciando l’uomo riverso a terra in un lago di sangue.
Solo uno scalpiccio disordinato e un gemito seguiti dall’esalazione del suo ultimo respiro vitale.
Poi, di nuovo silenzio.
III
Mercoledì mattina, 13 novembre 2013
Commissariato Milano Sempione
Capo, c’è un morto al Monumentale!
L’agente Adelina Concia irruppe nella stanza del commissario quasi senza bussare, portandosi dietro la folata gelida di un autunno nebuloso.
Pietro Forlano rabbrividì, sollevò lo sguardo dalla pila di scartoffie che campeggiava sulla sua scrivania e girò il capo in direzione della donna.
Concia, è un cimitero
commentò, schiarendo la voce e lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona in cuoio, lo sguardo vuoto fisso nel nulla.
La donna lo scrutò come volesse imparare a memoria ogni linea tratteggiata sul suo viso. Scuro in volto, barba incolta, un solco profondo in mezzo alla glabella e lo sguardo perso in chissà quali torvi pensieri. Ciò nonostante, lei non si spiegava perché un uomo così attraente avesse scelto di fare quel lavoraccio invece di fare l’attore. Adelina Concia ripensò al suo primo giorno di lavoro, o meglio a quando era stata assegnata a quel comando di polizia. La fama del commissario Pietro Forlano le era già nota quando frequentava l’accademia, dove le sue compagne di corso ambivano a essere destinate al suo commissariato, sia per la possibilità di agire in campo, sia per la sua avvenenza. Sebbene Adelina non lo avesse mai incontrato prima, reputò che l’immagine trovata su internet non gli rendesse affatto giustizia. Così aveva pensato quel giorno in cui si erano trovati per la prima volta faccia a faccia; e lei, che per gli uomini non aveva mai provato alcun tipo di interesse, quando se lo era trovato davanti, ne era rimasta affascinata. Ne aveva parlato