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Lo scatto di un amore
Lo scatto di un amore
Lo scatto di un amore
E-book204 pagine2 ore

Lo scatto di un amore

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Info su questo ebook

Cosa succede quando due anime simili si incontrano? Può scoppiare una bellissima amicizia o un amore, ma più difficile è rispondere alla domanda: resisteranno? Attraverso le scelte, le conseguenze e gli sbagli dei protagonisti di Lo scatto di un amore si è portati a riflettere proprio sulle paure, le ansie e gli equivoci del mondo moderno, così come sulla precarietà della vita e dei rapporti umani.

I giovani Jim, Chloe, Florian ed Estrella, appassionati di cinema e di arte, attraverso parole e gesti significativi, cercheranno di dare una propria soluzione e qualche consiglio, per sfuggire alla caducità dell’esistenza e continuare a sognare e sperare, che un lieto fine sia ancora possibile.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2016
ISBN9788874081820
Lo scatto di un amore

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    Anteprima del libro

    Lo scatto di un amore - Alice Bianco

    Farm

    Capitolo 1

    «Buongiorno!» 

    «Buongiorno a lei Jim!»

    Mi strinsi nel cappotto. A gennaio, le giornate a Parigi iniziavano ad essere sempre più rigide. L'unica cosa che riusciva a scaldarmi veramente era lo scambio di cortesie e sorrisi con la gente della mattina, quella che pur consapevole di dover affrontare una dura giornata, non ti nega mai una gentilezza.

    Come ogni giorno attraversai i Jardins de Luxembourg, anche se mi rendeva la strada più lunga mi piaceva perdere cinque minuti in quel posto: era un po' come ritrovare se stessi in una natura che sta riposando, in attesa di riprendere vita in primavera. Tirai fuori la mia Nikon e fotografai i passerotti infreddoliti sul prato ricoperto dalla brina. Diedi loro qualche briciola della mia colazione; per qualche ora non avrebbero dovuto preoccuparsi del cibo.

    Mi guardai attorno, la gente attraversava il parco con la fretta di chi non può perdere nemmeno un minuto della propria vita a guardare quello che li circonda, a godere di quelle piccole gioie che il mondo ci offre; rimangono tutti stretti nelle loro giacche con la testa coperta da sciarpe e cappelli, ognuno dritto per la propria strada. 

    Io invece do importanza ai piccoli gesti, quelli che racchiudono in sé dei sentimenti puri, quelli che stanno alla base della nostra vita... o forse dovrei dire stavano. Ci si può guardare dentro e quello che vedrai riflesso sarà l'immagine di quello che ami. Sono anni ormai che mi chiedo se la maggior parte di noi è ancora capace di provare simili emozioni, se sa ancora lasciarsi trasportare dal rumore della pioggia o, che so, dal sorriso di un bambino.

    Credevo che questo fosse ancora possibile, ma poi mi sono scontrato con la dura realtà e ho capito che la vita non gira proprio attorno a questi piccoli piaceri. Opportunismo, incomprensione, falsità. Ecco, sì. Questi, purtroppo, sono i punti fermi di questa ruota chiamata mondo... 

    La voce di un bimbo mi distrasse da quei pensieri.

    «Mamma guarda un anatroccolo!»

    «Amore dai che siamo in ritardo, l'anatroccolo sarà ancora lì domani.»

    «Ma mamma...»

    Inutile protestare piccolo, tua madre ti ha già trascinato via. Guardai la donna e il figlio e misi via la mia macchina fotografica. Sospirando, decisi di uscire dal parco e andare al lavoro.

    Capitolo 2

    Entrai nel mio piccolo bar. Era un locale che avevo affittato per continuare a restare a contatto con la gente. Paura della solitudine? No. Solo tanta voglia di scoprire che qualcosa di buono è rimasto in questo mondo. Un uomo, seduto ad uno dei tavoli, alzò lo sguardo e con un cenno mi ordinò la sua solita colazione. Poggiai il cappotto, salutai Franz che era stato più mattiniero di me aprendo il locale e mi misi a preparare l'ordinazione. Mi guardai attorno come per vedere se nel bar fosse tutto come lo avevo lasciato la sera precedente, con i tipici pupi siciliani alle pareti e le locandine dei film che hanno fatto la storia del mio cinema.

    Passione, quella cinematografica, ereditata dai miei genitori che, nonostante le origini del sud Italia, hanno deciso di chiamarmi come il protagonista del film visto la notte del mio concepimento, Jules et Jim. Alcuni miei amici, ancora adesso, scherzano sul fatto che dovrei considerare Truffaut come il mio vero padre... peccato che con i film francesi non abbia mai avuto un rapporto idilliaco!

    Da quando ho aperto questo bar, ho imparato a scavare meglio nelle persone, a osservarle da diversi punti di vista. Portai l'ordinazione al signore che a mala pena alzò gli occhi dal giornale. Ecco, quello era il classico tipo di persona che veniva qui ogni giorno, che sapevo perfettamente cosa avrebbe ordinato, ma oltre non riuscivo ad andare. Aveva come un muro impenetrabile, forse una o al massimo due persone, in tutti quegli anni, erano riuscite a superarlo. 

    Ho sempre amato fotografare la gente e non solo nella mia mente. Amavo avere in mano la mia fedele Nikon e catturare attimi di vita. Mi trasferii nella città degli artisti proprio per rendere questa mia passione un lavoro: mantenermi attraverso scatti di vita, dimostrare a me stesso e al mondo intero che da qualche parte il sentimento puro esisteva ancora; questo era il mio sogno.

    In quel momento entrò nel locale una ragazza dall'aspetto particolare, sicuramente non era la classica persona griffata: un misto tra una bohemienne e la donna della porta accanto. La seguii con lo sguardo, si sedette al primo tavolo libero vicino alla vetrata. Era bella, con quel cappello alla francese e quelle guance arrossate dal freddo. Non esitai a pensare che fosse un raggio di sole caldo in quelle giornate fredde di gennaio. Si guardò attorno giocherellando con la sua sciarpa poi, la sua voce mi destò dai pensieri. 

    «Ehi!»

    Mi avvicinai con il mio blocchetto per le ordinazioni. A pochi passi da lei mi accorsi che i lineamenti la facevano sembrare una bambina.

    «Ciao! Cosa posso portarti?»

    La ragazza ci pensò per qualche secondo, poi disse:

    «Un'aranciata, grazie!»

    Annotai tutto e mi diressi verso il bancone. Mi accorsi che per tutto il tempo in cui versavo la bibita nel bicchiere, lei osservava ogni mio movimento. 

    Sembrava incuriosita.

    «Ecco a te! Se hai bisogno di altro, sai dove trovarmi.»

    Mi guardò divertita.

    «Come ti chiami?» mi chiese.

    «Jim... e tu?»

    Sorseggiò l'aranciata poi mi sorrise. Era davvero favolosa.

    «Beh te lo dirò se ti siedi un po' qui con me a farmi compagnia...» 

    Mi prese alla sprovvista, non sapevo cosa risponderle. Guardai Franz che stava per uscire dal locale per pagare delle fatture, sarei rimasto da solo e non potevo lasciare il bancone, così glielo dissi.

    «Capisco... Oddio girati! Guarda! Ci sono gli alieni che stanno per invadere il bar, non devi perdere un minuto!»

    Non capivo dove voleva andare a parare, ma ero divertito e decisi di restare al gioco.

    «Ora che hai visto tutto questo dovrò rivelarti un segreto» le sussurrai.

    «Sono un agente in incognito.»

    Mi voltai verso un punto a caso del bar e mimai uno sparo. Mi stavo divertendo, quella sconosciuta aveva uno strano effetto su di me. 

    «Ma ora sai cosa ti toccherà subire?»

    La ragazza, continuando a bere la sua aranciata e noncurante del mio teatrino, fece no con il capo.

    «Dovrai dimenticarti tutto quello che hai visto.»

    Mi misi a mimare nuovamente, ma questa volta feci lo spara-flash utilizzato nel film Men in Black. Vidi la sua faccia interrogativa.

    «Non hai capito?»

    Mi guardava sempre più stupita, mi sentii un idiota.

    «Alieni, astronavi... Will Smith!»

    Le indicai uno dei poster appesi al muro.

    «Ah quel film... Mi dispiace non è il mio genere.»

    Continuava a sorseggiare la sua bibita. Sembrava un provino: io ero l'attore imbranato che faceva di tutto per farsi notare, lei la produttrice stanca di vedere per l'ennesima volta il solito ragazzo senza un minimo di talento. 

    La guardai indeciso sul da farsi, ma vedendo che quella mattina il locale scarseggiava di clienti mi sedetti di fronte a lei.

    «E allora qualè il tuo genere miss...?»

    «Chloe, mi chiamo Chloe!»

    Ci stringemmo la mano, senza sapere che quel tocco avrebbe cambiato le nostre vite in un modo o nell'altro.

    Rimanemmo lì a parlare delle ore con qualche interruzione dovuta ai clienti, quando decise di andarsene, era ormai quasi ora di pranzo.

    Capitolo 3

    La sera seguente Chloe mi convinse a vedere uno dei suoi amati film, in un piccolo cinema che proiettava vecchie pellicole. Fino all'ultimo respiro, fu questo che vedemmo. Ogni minuto che passava mi convincevo sempre più che non mi sarei perso niente di quel rapporto che si stava instaurando; fino all'ultimo respiro di noi, appunto. Anche se la conoscevo da poco, mi piaceva stare in sua compagnia, sapeva come passare una bella serata e non ci sentimmo mai a disagio l'uno con l'altra.

    In sala eravamo in pochi e quelli che c'erano non pareva facessero caso alla nostra presenza o comunque, erano troppo vecchi per accorgersi di qualsiasi oggetto in movimento attorno a loro.

    «Sai Jim, mi ci rivedo proprio nel personaggio di Patricia, ama il suo uomo e farebbe di tutto per lui.»

    Le sorrisi, mi piaceva il suo modo di pensare e mi piaceva ancora di più come riusciva ad entrare con tutta se stessa in quella storia. Uscimmo dalla sala per ultimi, ad entrambi piaceva godere di quei pochi minuti tra i titoli di coda e l'accensione delle luci in sala.

    «Te lo posso giurare! È il primo film francese che mi sia veramente piaciuto.»

    «Allora non vivi solo di film con astronavi e alieni... hai un cuore anche tu!» Si mise a ridere, una risata che in tutta la mia vita difficilmente avrei dimenticato, riempiva il vuoto che si poteva creare attorno, metteva di buon umore.

    Risi anche io. Quella serata mi stava facendo proprio bene, erano anni che non riuscivo a sentirmi così rilassato durante un appuntamento. Avevo sempre paura che qualcosa potesse andare storto, e invece, quella sera, era tutto così naturale che non mi sembrava vero. Ogni gesto, ogni risata, niente era previsto. Era tutto così spontaneo: c'era il nostro mondo, non serviva altro.

    Mi schiarii la voce. 

    «A dirla tutta sono un vero appassionato di cinema, non sono un ragazzo da soli blockbuster come potresti pensare.»

    «Perché avrei dovuto pensarlo? A tutti ogni tanto piace perdersi in qualche film a basso quoziente intellettivo» ridemmo assieme ancora una volta. «Ti devo svelare un mio piccolo segreto: non mi perdo nessuna commedia con Hugh Grant protagonista... come vedi tutti abbiamo un lato oscuro!»

    Si fermò improvvisamente e mi toccò il braccio.

    «Quindi ben due cose in comune: la data di nascita e il cinema.»

    La guardai stranito. «Data di nascita? Come fai a sapere la mia?»

    «Che smemorato che sei! Prima parlando te la sei lasciata sfuggire: 22 aprile, come la sottoscritta.»

    Sorrisi, era un segno del destino quello? Ci avvicinammo ad un piccolo chiosco, prendemmo entrambi una cioccolata calda e continuammo a camminare.

    «Allora stavi dicendo...»

    «Sì, amo un ramo del cinema in particolare, la fotografia.»

    «Non dirmi che sei un paparazzo!»

    Sembrava preoccupata, non persi tempo a rassicurarla.

    «Non ti preoccupare. Non sono quel tipo di fotografo. Io voglio catturare l'essenza delle persone, il loro sentimento.»

    Iniziai così a raccontarle di come da piccolo, durante le vacanze estive, amavo fotografare la Provenza. Pescatori, contadini, la gente semplice di quelle zone. Il mio cuore si riempiva di gioia quando potevo allontanarmi dal caos della città per rifugiarmi in quei campi di lavanda. Mentre le raccontavo la mia storia, i profumi e i sapori di quelle giornate tornavano ad invadere i miei pensieri accompagnati da un pizzico di malinconia. Chloe sembrava davvero interessata alla mia storia e, quando le parlai dei miei genitori, i suoi occhi si velarono di ricordi personali, non riuscivo a capire se erano belli o brutti quindi non indugiavo troppo per non recarle alcun tipo di pensieri. Quando ebbi finito eravamo già davanti al suo portone. Lei mi guardò fisso negli occhi.

    «Ci sei riuscito insomma...» Non capivo cosa intendesse. Parve intuirlo e aggiunse «A riaccompagnare Patricia a casa.» 

    Mi portai il pollice sul labbro come era solito fare il protagonista del film appena visto.

    «Ho fatto solo il mio dovere, baby.»

    Ridemmo entrambi e mi diede una piccola spinta. Si era ormai fatto tardi e capimmo che era ora di salutarci. L'abbracciai e mi allontanai lungo il vialetto, ma prima che chiudesse la porta la richiamai.

    «Chloe, sabato espongo alla galleria Bloomy, poche fotografie ma mi piacerebbe molto che tu venissi a vederle... Porta qualcuno se ti va!»

    Non potevo credere di averle detto di portare qualcuno alla mia mostra! mi sentii per la seconda volta con lei, un idiota. Chloe non parve accorgersene e accettò con entusiasmo, salutandomi chiuse la porta.

    Rimasi qualche secondo a fissare il vuoto. Avrei dovuto chiederle di accompagnarmi direttamente, ma anche se il mio cuore avrebbe voluto, il mio cervello diceva di non affrettare le cose, di lasciare che tutto facesse il proprio corso. Ancora una volta si era manifestata la mia paura di correre, di buttarmi ad occhi chiusi nelle cose come facevo anni prima.

    Ora non ci riuscivo più. Ora il mio cervello aveva preso il comando sul cuore e non voleva che si facesse più del male. Il mio problema è sempre stato quello di affezionarmi subito alle persone, incatenarle dentro a questo mio cuore, chissà poi per quale motivo esse, chi prima chi dopo, riuscivano a trovare la chiave ed andarsene, facendo rumore, pestando i piedi su quel cuore che non poteva far altro che rimanere lì, sanguinante, in attesa che qualcuno, magari anche solo di passaggio, tamponasse le ferite. Non volevo che Chloe fosse la persona di passaggio per curare le ferite del mio passato: ero sicuro, volevo fosse la persona che una volta guarite, rimanesse al mio fianco. Per tutti questi motivi, dovevo ancora una volta dare retta al cervello e camminare con calma, ma il cuore, ve l'assicuro, batteva a mille.

    Capitolo 4

    Rientrai nel mio appartamento che era mezzanotte passata. La stanchezza iniziava a farsi sentire e il mio cuore, nonostante gli sforzi, non accennava a diminuire il battito. Buttai le chiavi a casaccio sul tavolino e mi distesi sul divano. 

    «Bentornato!»

    Tirai a malapena su il braccio per salutare. Condividevo il mio piccolo appartamento da più di due anni con Florian, un giovane artista della periferia di Parigi. L'incontro avvenne mentre io frequentavo un corso di fotografia e lui uno

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