Poker di donne in cerca di cuori
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Info su questo ebook
Valeria, dopo due anni di “clausura”, decide che è arrivato il momento di dare un calcio alla solitudine e di trovarsi un uomo. Impresa non di poco conto. Alle sue disavventure amorose fanno da contrappunto le amiche, baluardo contro le avversità: la bellissima Betta, con un debole per gli uomini dalla pelle scura, Gabriella, invischiata in una storia insoddisfacente, e Antonella, timida e succube dei genitori. Quattro donne, quattro amiche, giocano una partita importante: essere felici e realizzate a quarant’anni. Fra madri assenti che usano il cibo come surrogato di loro stesse e principi tutt’altro che azzurri, Valeria, Betta, Antonella e Gabriella sfidano il destino, complici e solidali. Sarà poker di regine o le ragazze si dovranno accontentare solo di qualche due di picche?
«Vale, Betta, Gabri e Anto: quattro amiche che tutte noi vorremmo avere!»
«Finalmente un romanzo che mi fa pensare, ridere e piangere allo stesso tempo!»
Valentina Tomada
vive a Roma, con il marito, la figlia e un cane. Attrice di fiction TV (Incantesimo, Vivere, Centovetrine), autrice, sceneggiatrice e regista, non si ferma mai e tra un festival da dirigere e un corto da girare, scrive romanzi. Poker di donne in cerca di cuori è il suo primo libro, ma sicuramente ha già in testa tante idee per i successivi.
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Anteprima del libro
Poker di donne in cerca di cuori - Valentina Tomada
1620
Prima edizione ebook: giugno 2017
© 2017 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-227-0678-2
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per StudioTi s.r.l., Roma
Valentina Tomada
Poker di donne in cerca di cuori
Newton Compton editori
Indice
Prima
1. Un brusco risveglio
2. Tutte per una, una per tutte
3. Partenza in salita
4. Tania
5. Una voce amica
6. Psicoterapia spiccia
7. Per fortuna che Tania c’è…
8. A cuccia
9. Meglio un tango che un matrimonio
10. Piccole debolezze
11. Qualcosa si muove…
12. Una serata strana
13. Giuro che…
14. Cantiamo lodi al Signore!
15. Una moglie stronza
16. Giuro che… (e due)
17. Svegliate il soldato Ryan
18. Nazionalità: italiana
19. Giuro che… (e tre)
20. Lo so, avevo giurato…
21. La serata di Antonella
22. Amore?
23. Poker di donne
24. La bellezza fa bene
25. No, Boccaccio no!
26. Una giornata uggiosa
27. Mia madre
28. Sì, qualcosa si muove
29. Qualcosa da festeggiare?
30. Figo, figo, fighissimo?
31. Sì, proprio fighissimo
32. Sorpresa
33. The day after
34. La perfetta armonia
35. Alla nostra!
36. Ombre
37. Inquietudini
38. Abbrutimento fisico e mentale
39. Omaggio alla bellezza
40. Una serata da mille e una notte
41. E Tania?
42. Le cose giuste
43. Primo attacco: respinto!
44. Spicca la fragola…
45. Solamente vivere
46. Guerra
47. Wow, wow, wow? No…
48. Rispetto
49. Un altro attimo. Colto
50. Una scelta
51. Una buona novella
52. Sola
53. Una scaldatina al cuore
54. Basta!
55. Seratina a sorpresa
56. Prima di Natale
57. Revolution
58. Love revolution
59. Non passerò il Natale da sola
60. Una serata indimenticabile
61. Una telefonata inattesa prima…
62. Una visita inattesa poi…
63. Anteprima di una serata speciale
64. Una indimenticabile vigilia della vigilia
Poi
Prima
Eccomi di nuovo sola. Con questa angoscia mescolata a senso di liberazione. Sento come una frenesia strana che dallo stomaco arriva fino alla punta dei piedi e impedisce alle gambe di proseguire a un’andatura normale. Ho il passo accelerato, come se dovessi arrivare chissà dove. Forse tutti quelli che corrono in realtà non sanno dove sono diretti. Né perché. Dopo otto anni la mia storia è finita. Anzi, l’ho fatta finire io, e la cosa assurda è che non volevo. Ho iniziato a parlare. Come un’eruzione. Le parole uscivano da me senza che fossi più responsabile del loro contenuto e io stavo lì ad ascoltare stupita quello che non sapevo di pensare. Ma più parlavo più annuivo. «Sì, sì, è vero, è tutto vero». E i suoi occhi davanti a me, più meravigliati di quanto lo fossero i miei. Non mi riconoscevano. Mi guardavano tristi. «Non so chi parla, non sono io». Avrei fermato tutto, così. Bastava riuscire a chiudere la bocca.
Non ci sono riuscita.
1
Un brusco risveglio
Quella mattina, la mattina di un giorno qualunque, in cui avrei dovuto fare un sacco di cose e invece me ne stavo sotto le coperte a pensare e dormire nello stesso tempo, l’energico trillo del citofono mi aveva svegliata con una raffica di informazioni: era l’alba, era Gabriella, qualcosa era andato storto ed era urgente.
Ecco, lui l’ha mollata.
Ormai avevo rinunciato a qualunque possibilità di vita di coppia. Dopo otto anni con Freddy e il dolore che avevo provato quando l’avevo lasciato, neanche ci speravo più di fidanzarmi
. Un po’ come quando mi era morto il cane. Sono passati vent’anni ormai e il pensiero di prenderne un altro mi fa venire le lacrime agli occhi. Be’, il raffronto cane-fidanzato può sembrare assurdo. Ma solo a chi non l’ha mai posseduto. Ti monopolizza l’esistenza. Vorrebbe stare sempre con te. Ti riempie di baci. Quando torni a casa impazzisce di gioia. È la descrizione del primo anno di vita con un fidanzato (se va bene) e di tutta la vita con un cane.
Apro la porta e me la vedo davanti con il rimmel colato. Mi si abbatte addosso singhiozzando. Io non so come la gente viva i primi minuti verticali della giornata ma per me sono un momento difficile, o perlomeno delicato: suoni bassi, luce tenue, tepore, nessun problema. Io mi trovavo di fronte un problema con i decibel troppo alti che, dopo essersi staccato da me, mi ha tirato su le serrande e aperto la finestra. Fortuna che l’Homo sapiens prevale. Per ora.
Dio Santo, Gabriella riesce a essere sempre inopportuna. Ti chiama quando non dovrebbe, passa quando non dovrebbe, apre bocca e parla quando non dovrebbe. È un dono il suo.
«Vale, non sai cosa è successo!».
Lo so, lo so…
Ma faccio la faccia di chi non sa, è curiosa ed empatica. Un’amica, insomma.
«Marco se n’è andato. Ha fatto le valigie davanti a me ed è andato via. Così, senza nessun motivo».
«Be’, forse un motivo c’era». Prendo tempo intanto che i neuroni si organizzano.
Non so se è più stupita o arrabbiata: «Se ti dico che non c’era».
Ok, non c’era. Inutile discutere.
«Vuoi qualcosa?», dico io per cercare di distendere la situazione.
«Qualcosa di forte», dice lei.
Il solo pensiero alle otto del mattino mi fa venire da vomitare.
«Non ho nulla di forte. Posso darti un bicchiere di latte».
«Latte?». Gabriella mi guarda schifata. I momenti clou della sua esistenza dovrebbero essere scanditi come minimo da un rum Zacapa da duecento euro la bottiglia e io le stavo proponendo latte.
«Gabri, non tengo in casa stupefacenti», dico con tutta la gentilezza che posso.
Il suo sguardo interrogativoscandalizzatoironico mi fa mentalmente scorrere le ultime parole che mi sono uscite dalla bocca.
Stupefacenti? Ma che sto dicendo?
Sorrido bonaria.
«Che mi fai dire».
Ironica: «Non sapevo che tu…».
Le parole rimangono appese, dicono molto più di una frase compiuta.
Non so perché ma questo genere di allusioni mi fa sentire in colpa, io che ho tutti i neuroni al posto giusto, salvo quelli eliminati dalla natura per raggiunti limiti di età. Io che parto
con mezzo bicchiere di birra.
«Raccontami di Marco», dico dolcemente sorvolando la questione droghe.
L’occhio di Gabriella ha come un piccolo sussulto. Le lacrime ricominciano a fuoriuscire copiose.
«Marco…», geme.
Ok. La conversazione è tornata sui binari giusti.
«Era da un po’ che lo vedevo strano, freddo, distaccato. Stamattina si è svegliato e mi ha detto: Non possiamo più andare avanti così, me ne vado
. Ha fatto le valigie e se n’è andato».
Finalmente un uomo di parola.
«Magari quando torna a prendere il resto della sua roba fate pace, dai…», tento di consolarla.
«No… no… Ha portato via tutto. Tutto».
Un trasloco alle otto del mattino non mi sembra una cosa improvvisata. Il sospetto della premeditazione mi assale.
«Ma… c’era un furgone ad aspettarlo fuori?», insisto, sinceramente incuriosita.
«Ma no!». Lei mi guarda come fossi un’aliena. «Ha portato via le sue due valigie con i vestiti».
Due valigie di vestiti in due anni di convivenza? Il sospetto che ci fosse qualcosa che non andava, e non negli ultimi tempi, mi attanaglia e diventa certezza quando Gabriella aggiunge: «I libri e tutto il resto sono sempre rimasti da sua madre. E meno male che ancora non ero passata a riprendere i vestiti che le aveva portato da stirare, mi sono evitata la fatica».
E sì, meno male…
Certo noi donne siamo proprio strane.
«Perché non vieni a cena da me stasera? Così mi racconti. Ci sono anche Antonella e Betta».
Sembra sollevata.
«Va bene. Mi sembra un’ottima idea», mi dice con un lieve sorriso.
«Ognuno porta qualcosa, lo sai che non c’ho voglia di cucinare».
Le si illuminano gli occhi.
«Allora vi faccio il baccalà al pil pil».
A lei sì che piace cucinare.
«È una salsetta all’aglio meravigliosa».
E leggera, soprattutto…
«Ho imparato a cucinarla in un viaggio in Spagna. Non sai che buona che è. Si prende il baccalà, poi…»
Le parole della ricetta si consumano nel loro viaggio per raggiungermi. Non le sento nemmeno. Vedo solo Gabriella che parla. Sorride. Ammicca. Muove le mani in una strana gestualità da rituale magico. Marco dov’è? Sostituito dal baccalà al pil pil. Be’, perlomeno io ho paragonato Freddy a un cane. E in fondo Freddy è un nome da cane.
2
Tutte per una, una per tutte
Aspetto le mie amiche non senza un filo di ansia. In tre siamo capaci di far più casino di una scolaresca. Dovrò confrontarmi con la signora Giovanna che va a letto alla dieci e con quello del piano di sotto, un individuo senza età e senza vitalità che lavora alle poste. Penso alla sua flemma dietro lo sportello e mi sale il nervoso. Rompe dalle dieci, lui. Ancora prima della signora Giovanna. Però perlomeno la mattina è silenzioso. A ogni festa ho la processione alla porta. «Potreste far meno rumore? Potreste ridere a bassa voce?». Ridere a bassa voce? Ma come si fa? Le donne tra loro fanno casino e sghignazzano perché parlano male degli uomini.
Volete toglierci pure questa soddisfazione?
Intanto che le aspetto rispondo a un paio di lettere che Tania mi ha segnalato come degne di interesse. Forse per lei, che in quanto responsabile editoriale di «Femina» pesca storie assurde e un po’ morbose. Mentre le riguardo, il mio cervello parte per la tangente, tanto che devo rileggere due volte la stessa riga. Ma che vuole? Non lo ascolto e vado avanti per conto mio. Sono zia Angela, alias Valeria.
Cara zia Angela,
mi chiamo Paola e ho diciassette anni. Andrea, il mio ragazzo, dopo soli due mesi mi ha chiesto di dargli una prova del mio amore. Ancora con ’sta storia della prova d’amore. Io però non sono mai stata con nessuno… per stasera potrei almeno fare un’insalata …nemmeno con Carlo che amavo molto più di Andrea, e nemmeno con Giuseppe che mi piaceva più di Carlo e Andrea messi insieme. Hai capito la creatura… Il problema però è un altro: quando penso al papà di una mia amica di scuola, allora sì che mi vengono pensieri strani. Ha quarant’anni e anche se è vecchio è bellissimo. Vecchio? Io t’ammazzo. Mi addormento pensando a lui, e pensando di fare certe cose con lui. Non so se mi sono spiegata… Benissimo cara, benissimo. Aiutami a capire meglio quello che sento, non vorrei fare errori.
Ecco. Io che dovrei rispondere a una così? Tranquilla carina, il tuo istinto innato prenderà il sopravvento e vedrai, tra un po’ Carlo, Andrea, Giuseppe e pure il padre della tua amichetta avranno la prova d’amore. Che d’amore poi non è. Forse così è un po’ brusco. Non vorrei creare traumi.
Passiamo all’altra.
Cara zia Angela,
mi chiamo Aldina…
Bleah
…sono vedova da tanto tempo… mio marito…
Su, vieni al dunque.
…sento come un segnale che mi parte dallo stomaco e mi fa venire la sudarella.
Oddio, mi sono persa qualcosa.
Quando sto vicina a un bell’uomo, sento come un segnale che mi parte dallo stomaco e mi fa venire la sudarella. Non è la menopausa, ormai, è proprio il desiderio che mi assale. Vorrei mettergli le mani addosso e vorrei che lui…
Il suono del campanello mi riporta alla realtà.
Meno male. Due lettere e iniziavo già a disperare.
Corro ad aprire la porta e la figura di Betta mi si staglia di fronte in tutta la sua bellezza.
«Ciao, Vale!». Mi stampa due baci veri sulle guance. Il suo bel sorriso già mi mette allegria.
«Che hai fatto ai capelli?»
«Ho cambiato colore. Il rosso dell’altra volta era troppo rosso. Non sto meglio così?».
Non posso far altro che essere d’accordo. Coi capelli castani, gli occhi verdi le brillano ancora di più.
«Sei bellissima», le dico, invitandola a entrare.
«E poi a Byrian non piacevo in quel modo. Dice che attraggo troppo gli sguardi dei maschi. È geloso…».
Neanche le chiedo chi è Byrian. I flirt sociali di Betta sono noti a tutte noi. Non le diciamo più nulla.
«Guarda un po’ che ti ho portato? Riso all’indiana, il byriani appunto…».
È come se io mi mettessi con uno che si chiama scottadito
o quattroformaggi
.
«Ti ho portato pure una bella tavoletta di fondente giamaicano».
Naturalmente equosolidale.
«Grazie Betta…».
«E poi…».
Oddio, e poi… che cosa?
«Una stella indiana. Metti una candelina dentro e crea giochi di luce bellissimi».
Questa volta sono stata fortunata. È molto carina la stella, il che compensa la sua inutilità. Molto meglio delle statuine africane che regalava ai tempi dei Mohammed. Non mi sono mai piaciute. Mi generano inquietudine con quelle loro forme strane, allungate e il legno pesante, nero. Invece Betta adora il nero in tutte le sue sfumature. Il che potrebbe non essere un problema se si mettesse con uno sceicco. Ma perché gli sceicchi a Roma latitano?
«Quando arrivano le altre?»
«Ho detto a tutte alle nove».
Betta è un disastro, ma è di una puntualità svizzera.
«Che combinano?».
Strano, ma a me nessuno mai chiede: Che combini?
. In effetti combino poco. Oserei dire nulla. Vorrei poter raccontare di principi azzurri e di cavalli bianchi, ma mi sa che il mio principe è morto e anche se nascesse adesso potrei al massimo essere sua nonna. Che tristezza! Tutti vengono da me a chiedere consigli, a versare qualche lacrima, a raccontarmi. E io ascolto. Forse dovrei imparare a piangere, così qualcuno ascolterebbe anche me. Io non piango mai. Se uno piange trova di sicuro una spalla pronta ad accoglierlo. Una mano amica. Un bicchiere d’acqua. Ma se poi non è così? Meglio lasciar perdere. In fondo nel ruolo della confidente consolatrice mi sono sempre trovata bene.
Di nuovo il campanello.
È arrivato il baccalà al pil pil e Gabriella lo sorregge con lo sguardo scintillante.
«Non vedo l’ora che lo assaggiate!».
E Marco, le valigie e tutto il resto?
Invidio la rapidità con cui Gabriella riesce a dimenticare. È inversamente proporzionale alla quantità di lacrime versate. E oggi ha pianto molto.
Mi bacia e corre verso Betta. Vedo il baccalà lanciato sul tavolo fermarsi miracolosamente a un millimetro dal baratro. Lo immagino che frena con tutta la forza delle pinne per evitare la caduta. Ce l’ha fatta. Lo benedico. Preferisco pensare alla salsa all’aglio che lo affoga nel mio stomaco, pesante come un macigno; preferisco pensarmi torturata da una notte insonne, piuttosto che china a quattro zampe a pulirla dal pavimento.
«Gliel’hai detto?», mi chiede Gabri.
Prima che io possa aprire bocca Betta ha già capito.
«Noo… Gabri, eravate così bellini insieme».
«Gliel’hai detto».
Veramente no.
Betta ha una marcia in più. Sarà l’allenamento. Non parla un filo d’arabo e continua a capirsi perfettamente con i suoi fidanzati
. Intuizione, sesto senso? Boh!
«Basta, non ne potevo più». Mi volto a guardare Gabriella con aria interrogativa, ma lei senza incrociare il mio sguardo continua. «Non c’è mai. E il Pakistan. E il deserto. Sempre in giro per quegli scavi. Mica scappano. Sono rimasti lì per duemila anni, potranno aspettare una mezza giornata in più, no?»
«Brava, hai fatto bene a mollarlo», dice Betta.
Be’, le cose non stanno proprio così. Ma non apro bocca. Bugia bianca, non fa del male a nessuno. E poi Gabriella adora far bella figura con Betta, lei, la paladina delle suffragette.
«E Anto che fa? Non la vedo da un sacco».
Gabri mi guarda prima di parlare.
«Nemmeno noi».
«L’ultima volta si parlava di matrimonio», aggiungo.
Betta mi guarda inorridita.
«Oddio, e con chi? Non mi dire che i genitori ancora spingono per quell’orrore moscio come la sua erre. Roseo e glabro come il culetto di un neonato».
Qualora fosse necessaria una conferma: Betta non ama i biondi.
«Sì, proprio lui», dice Gabri ridendo.
«E conoscendoli la spunteranno», continua, «come per la laurea in ingegneria, la dieta oil free, lo yoga, la macchina, le lezioni di piffero…».
«Flauto traverso», la correggo.
«Sempre piffero è», appoggia Betta. «Ma perché non li manda…».
«Dai figurati, la conosci Antonella».
«Pure figlia unica».
«Vittima di una madre frustrata e un padre inesistente».
«Un po’ come tutte noi, chi in un modo, chi in un altro», aggiungo.
Il soffio di un sorriso e ci guardiamo tutte e tre nel profondo degli occhi. Giù giù fino all’anima. E ci capiamo noi quand’è così. E sappiamo che è vero. Che ci siamo passate. E che ora siamo più forti proprio perché siamo lì, insieme e ci vogliamo bene. Tanto.
Il suono del campanello ci riconsegna alla realtà.
Eccola, Antonella. Se possibile ancora più magra dell’ultima volta, capelli lisci e biondi, occhi azzurri e intensi, grandi e con le sopracciglia leggermente inarcate verso l’esterno, che le danno quell’aria da cagnetto bastonato. Indossa un vestito-tunica che cancella ogni forma di quelle poche che ha.
«Ciao», ci guarda e rimane lì, sulla porta. Ha bisogno di essere incoraggiata, come se non osasse entrare.
«Siete già arrivate tutte. Scusate».
Ogni momento deve chiedere scusa per qualcosa Antonella, quasi volesse, in realtà, scusarsi di essere nata. E forse è proprio così… Eh, io ero una donna di mondo, continui balli, feste, divertimenti. Poi sei arrivata tu
. Grazie mamma.
Betta le va incontro e la sovrasta triturandola in un abbraccio.
«Bella, Anto, come stai?», le dice, accompagnandola in casa.
Lei oscilla un po’ sotto il peso dell’affetto. Si riprende. Sorride.
«Bene, grazie». Ci guarda felice. «Che bello vedervi». La baciamo anche io e Gabri. È un po’ moscetta. Lampante.
«Scusate, ma non ho fatto in tempo a preparare nulla. Ho portato una bottiglia di succo di frutta».
È astemia. Io non bevo ma non mi definisco astemia. Mi fa tristezza. Io bevo solo quello che mi piace. Ma deve essere proprio qualcosa di speciale. Non so, champagne per esempio. Insomma, il famoso vino del contadino
se lo beva il contadino. Bere è un atto estetico, non salutista.
«Quanto tempo Antonella. Che fai di bello?»
«Sto preparando l’esame di dinamica dei fluidi». Inciampa. Gli studi di Ingegneria le hanno fatto male. È più goffa. Sfido a trovare un ingegnere atletico. Secondo me è proprio la facoltà. Lo sviluppo dei neuroni è a discapito del resto del corpo. Viceversa per i super gnocchi. Purtroppo…
Eccola lì. Piange. Parla di nozze. Di nobili. Di legami tra famiglie. Ma siamo nel terzo millennio! E noi tutte intorno a consolarla.
«Antongiorgio è carino, gentile…», dice lei tra i singhiozzi.
Antongiorgio? Fallo pure maleducato.
Betta mi guarda schifata.
Che ti posso fare io? I genitori a volte non pensano al fardello dei figli.
Io non potrei mai avere un fidanzato con un nome doppio. Anche perché è inutile, poi uno va a finire che lo sdoppia. Oppure dopo un po’ lo chiami patato, micio, cicci…
«…E poi mi ama… è tutta colpa mia».
Colpa?
Ma perché noi donne ci sentiamo in colpa se non amiamo qualcuno che ci ama? Le ragazze mi guardano. A questo punto dovrei dire qualcosa ma in questo casino non mi viene in mente nulla. Cioè sì, qualcosa sì. Ma non posso dirle quello che penso davvero dei suoi genitori.
«Tesoro, prendi tempo. Se ti ama davvero capirà».
Lei mi guarda. Gli occhi da cocker sono pieni di lacrime ma intravedo la scintilla della speranza. Ho detto qualcosa di buono. E sembra che tutte noi tiriamo un sospiro di sollievo, lo vedo dagli sguardi grati che le altre due comari mi lanciano. Possiamo passare al baccalà al pil pil, ormai freddo e incotechito. Come si confà a un baccalà serio.
3
Partenza in salita
Cominciamo bene. La signora Giovanna mi ha svegliato alle sette dialogando quarto piano-piano terra con la signora Pina. Le ciriole erano finite. E mo’ come li faceva i crostini?
Ma perché le persone anziane si coricano alle ventidue per svegliarsi alle sette? Dovrebbero spostare in avanti il fuso orario di un paio d’ore. Ok. Fa niente. Recupero stasera.
L’acqua calda non viene.
Ok, fa niente. Mi lavo a pezzi.
Esco dal portone con le ultime gocce di un temporalone di fine estate. Meno male. Ecco vedi, la giornata può solo migliorare. Monto in macchina di corsa, mi sfilo i sandali e mi asciugo i piedi bagnati con un fazzolettino di carta. Poi stendo la sciarpa con cui mi sono protetta sul sedile accanto, per farla asciugare un po’. Metto la retromarcia e pian piano comincio a uscire dal posteggio. Un furgone in doppia fila mi impedisce la visuale, ma vado talmente piano che le macchine in arrivo non possono non vedermi.
Beeep! Il suono di un clacson mi fa sussultare e immediatamente i miei riflessi rimettono la macchina al suo posto. Come una molla. Un bolide a tutta velocità sfreccia alle mie spalle. Imbecille!
, mi viene da pensare.
Mi concentro e alla velocità di una lumaca mi impegno nella manovra precedente.
Pepepepepeeee! Ma che è stamattina? Vi siete dati tutti appuntamento sotto casa mia? Mi blocco esattamente nella posizione in cui mi trovavo e un energumeno con furgone passa a un millimetro dal mio paraurti, non prima di essersi fermato per elargirmi una perla della sua saggezza quotidiana: «Ahò, ma perché non fai un regalo alla società e nun te compri un abbonamento all’Atac?».
Vorrei torcerlo come un calzino da mettere ad asciugare.
Le mie budella cominciano la danza di Zorba. Vabbè, però anche io mi devo dare una calmata.
Ci riprovo. Piano, piano, piano. Ecco, pare che non arrivi nessuno. Ho quasi terminato la manovra quando sento un guaito accompagnato da un turpiloquio con un accento che non mi sembra essere propriamente bergamasco. «A cretina, voi fa’ attenzione? Pe’ poco non m’aroti er cane». Un individuo con più lucchetti al collo di quelli attaccati ai lampioni di Ponte Milvio si avvicina minaccioso al mio sportello. Il mio dito si allunga verso il blocca porte. Apro, poco, il finestrino per tentare di spiegare. «Ho la visuale bloccata dal furgone. E comunque era lei che stava in mezzo alla strada e…». Non riesco nemmeno a finire la frase. Il brutto individuo fa per aprire la mia portiera mentre con molta nonchalance e con rapidità la mia auto continua la sua scivolata in retromarcia. Parto a razzo. Ecco, adesso sì che stavo per arrotare
lui e il suo cane. La litigata col punkabbestia me la risparmio proprio. Adesso sono io il bolide che sfreccia per arrivare chissà dove. E sicuramente qualcuno mi darà dell’imbecille. E forse me lo merito pure.
Corro come per arrivare in un luogo sicuro. Un luogo altro
, dove la mia giornata può solo migliorare.
4
Tania
Entro in ufficio con una certa carica di adrenalina che evidentemente ho ancora in circolo. Anche il cuore è leggermente accelerato. Aspetto che mi scappi la pipì per ripulire l’organismo e tornare a ritmi normali. Ma non mi scappa.
Tania mi guarda.
«Ehilà! Tutto bene?», le dico.
«Che sorriso, hai vinto al lotto?»
«Magari».
Sorvolo. Su tutto. Valle a spiegare che è solo merito dell’adrenalina. No. Poi detesto arrivare in ufficio e cominciare la sequela delle lamentele. Le cose vanno come vanno. Lamentarsi non serve a nulla se non ad attirarsi altre sfighe addosso. Quindi il mio motto è: Tutto va bene nel migliore dei mondi possibili
, per citare Voltaire. Sono fatta così. Per questo le mie amiche pensano che io non abbia mai bisogno di aiuto. Non è vero. Ma in fondo poi me la cavo. Quindi forse, in effetti, è vero.
Le spiattello sul tavolo le lettere di zia Angela.
«Ecco qua. Ho anche risposto a quelle maniache che mi avevi segnalato tu».
«Maniache?»
«Nel senso di esuberanti, Tania, esuberanti. In effetti sia la diciassettenne che la vedova allegra lo sono, un tantino esuberanti. O no?».
Tania mi guarda. Mi dispiace contraddirla. Offenderla in qualche modo.
«Sì, in effetti un po’ lo sono. Ma non possiamo parlare di storie normali, di tutti i giorni. Il lettore deve stupirsi, deve interessarsi, altrimenti…».
Altrimenti zia Angela va in