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Mastro Titta
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E-book86 pagine1 ora

Mastro Titta

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E' un testo nato per il teatro e cresciuto per il cinema. Una commedia agroironica che racconta le vicessitudini di Mastro Titta "er boja de Roma", del suo assistente Vicenzino, della sora Amelia, della dolcissima Virginia e del misterioso Fatino. Storia, leggenda, soprannaturale e diavolerie moderne s'intrecciano in un racconto divertente e commovente, come le commedie di una volta.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2011
ISBN9788863690286
Mastro Titta

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    Anteprima del libro

    Mastro Titta - Amleto De Silva e Francesco Signor

    MASTRO TITTA

    di

    Amleto De Silva e Francesco Signor

    Copyright 2011

    www.amlo.it

    Per informazioni, annotazioni e foto segnaletiche: 

    gb.bugatti@gmail.com

    E' un testo nato per il teatro e cresciuto per il cinema. Una commedia agroironica che racconta le vicessitudini di Mastro Titta er boja de Roma, del suo assistente Vicenzino, della sora Amelia, della dolcissima Virginia e del misterioso Fatino. Storia, leggenda, soprannaturale e diavolerie moderne s'intrecciano in un racconto divertente e commovente, come le commedie di una volta.

    Nello Stato Pontificio Giambattista Bugatti, noto come Mastro Titta, fu protagonista incontrastato delle esecuzioni di condanna a morte. Nato a Roma nel 1779, nella sua lunga carriera di maestro di giustizia praticò ben 516 esecuzioni dal 22 marzo 1796 al 17 agosto 1864, quando all'età di 85 anni, fu collocato a riposo da Pio IX. Nella vita aveva una bottega da ombrellaio, vicino a Castel Sant'Angelo.

    Personaggi:

    Mastro Titta

    Vincenzino (l'assistente di Mastro Titta)

    Amelia (l'ostessa)

    Virginia Perelli

    Giuseppe Pistillo detto Fatino

    L'anima di un giustiziato

    I birri

    Ambientazioni:

    la bottega dell'ombrellaio Giambattista Bugatti (detto Mastro Titta)

    l'osteria di Amelia

    la piazzetta del borgo.

    I ATTO

    Si apre il sipario, sottofondo musicale. La scena in penombra descrive un ambiente di bottega o laboratorio, tipico della Roma dell’Ottocento. E’ decoroso e accogliente. C’è un grande tavolo da lavoro di legno, alcune sedie, una cassapanca, degli attrezzi, un focolare, una finestra con vista sui palazzi vaticani. E’ la bottega di Mastro Titta di professione ombrellaio e per volontà pontificia boja de Roma. La storia che raccontiamo si colloca nella prima metà del 1800, diciamo a metà della carriera del boia di Roma, quando s'iniziano a respirare gli umori della fine di un’epoca che sarà sancita inesorabilmente nel 1871 con la breccia di Porta Pia e l’occupazione piemontese.

    Musica e luci.

    Entra Mastro Titta di buon passo. Si sente una voce fuori scena (quella dell’aiutante Vincenzo) che lo chiama.

    VINCENZO: Mastro Titta…

    MASTRO TITTA: che c’è ancora?

    VINCENZO: ma perché non vi piace la ghigliottina? E’ così moderna.

    Compare anche lui in scena.

    MASTRO TITTA: vorrà dire che sono antico. Con la ghigliottina non c’è poesia. Tiri una leva e zac, tutto finito. Ma si tratta così un cristiano? La ghigliottina è troppo meccanica, non c’è umanità. Vuoi mettere una bella forca costruita con passione o un bel colpo d’ascia? A proposito devi affilarla.

    VINCENZO: è uno strumento innovativo, frutto dell’ingegno umano. Aumenta l’efficienza e la rapidità d’esecuzione.

    Si va a sedere vicino alla finestra e inizia ad affilare l’ascia.

    MASTRO TITTA: ma che fretta c’è di mandare la gente al creatore? E il calore umano dove lo metti? Queste diavolerie moderne non mi piacciono e non piacciono nemmeno al Santo Padre. Quante volte ti ho detto che il filo della lama va accarezzato. Non stai mica raschiando una padella.

    VINCENZO: le nuove tecnologie ci aprono la porta del futuro.

    Mastro Titta si siede al posto dell’aiutante e gli mostra come si affila la lama dell’ascia. Ha un atteggiamento molto amorevole e altrettanto comico.

    MASTRO TITTA: ecco, bravo, apri la porta e vai a comprare una forma di pane e un fiasco di vino che è quasi ora di pranzo.

    L’aiutante alza le spalle ed esce. Mastro Titta resta da solo. Continua a lisciare delicatamente la lama del suo strumento di giustizia. A un certo punto si sentono dei rumori, forse dei passi, quindi dei sospiri. Il tutto sembra provenire da un vecchio armadio della bottega. I sospiri diventano sussurri, quindi una voce tormentata che chiama il nome di Mastro Titta, mettendo un po’ i brividi.

    V.F.C.: Mastro Tittaaa, Mastrooo Tittaaa, Maaastroooo Tiiittaaa…

    MASTRO TITTA: esci dall’armadio e smettila di fare il cretino.

    Dall’armadio esce una figura vagamente inquietante. Indossa un pantalone scuro e una camicia bianca. E’ senza scarpe e, cosa più evidente, senza testa. Le movenze del corpo fanno intendere che sia un po’ infastidito dall’indifferenza di Mastro Titta. E' l'anima di un uomo giustiziato da Mastro Titta proprio il giorno prima.

    ANIMA: come facevi a sapere che ero io?

    MASTRO TITTA: sei l’unico che ho giustiziato ieri.

    Posa l’ascia e si alza. Va verso il tavolo da lavoro e inizia ad armeggiare intorno ad un ombrello.

    ANIMA: ah già, è vero. E non ti fa strano che sono morto e te sto a parla’?

    MASTRO TITTA: a te non fa strano fare il fantasma scemo dentro un armadio?

    ANIMA: è che non sapevo dove andare.

    MASTRO TITTA: non è difficile, entra nell’armadio e segui la luce.

    ANIMA: è quello che ho fatto.

    MASTRO TITTA: hai seguito la luce sbagliata

    Mastro Titta indica la lampada sul tavolo

    ANIMA: ho capito, la luce eterna del paradiso…

    MASTRO TITTA: luce eterna sì, del paradiso non proprio. Diciamo che fa un po’ più caldo. Adesso via che sta arrivando gente…

    Entra Amelia l’ostessa che ha un locale proprio nei pressi della bottega di Mastro Titta. E’ una donna molto piacente e procace, l’aria un po’ da strega e un po’ da mignotta. Ha un’attenzione morbosa per Mastro Titta, quasi ne fosse celatamente innamorata e non perde occasione per contraddirlo o punzecchiarlo. Al vederla l’anima si scaraventa dentro l’armadio. Mastro Titta, alzando gli occhi al cielo, va a posare un ombrello in una specie di rastrelliera.

    MASTRO TITTA: via un demone, sotto l’altro!

    AMELIA: sempre a parlare coi fantasmi, Mastro Titta? Sarà colpa di queste vernici che respira tutto il giorno…

    Mastro Titta fa il verso di volerla colpire con l’ascia. Amelia si volta e lui si mette, come se nulla fosse, a lisciarla.

    AMELIA: ma che fa, Mastro Titta? La liscia senza pietra?

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