Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'enigma della cattedrale sommersa
L'enigma della cattedrale sommersa
L'enigma della cattedrale sommersa
E-book269 pagine3 ore

L'enigma della cattedrale sommersa

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Enigmatico come Ken Follett, avvincente come Dan Brown

Un grande thriller

Dall'autore del bestseller Il quadro maledetto 

Roma. Palazzo Barberini. È notte quando il custode vede apparire sul suo monitor una figura vestita di nero e intenta a suonare un organo. Pochi giorni dopo, vicino all’organo di una chiesa a Piazza Navona viene ritrovato il corpo senza vita di una donna. Giulio Salviati, scrittore noto per le sue abilità d’investigatore, viene coinvolto nello strano caso dal direttore del museo Barberini. Seguendo alcuni indizi lasciati dalla figura vestita di nero, Salviati si introduce nei sotterranei del museo, scoprendo passaggi segreti che collegano l’antico palazzo a negozi e botteghe romane. Ma è studiando la storia dell’organo che Giulio verrà a conoscenza di un mistero legato a un musicista vissuto nel Settecento, a cui lo strumento apparteneva e intorno al quale molti hanno indagato: un conte che vive isolato vicino a Canossa, dedito a pratiche esoteriche, un famoso botanico, un esperto musicologo. Qual è il filo rosso che lega questi personaggi tanto diversi tra loro? Che cosa stavano cercando di così importante da giustificare la scia di morte a cui la Capitale, incredula, assiste?

Chiese romane, passaggi segreti, botteghe di antiquari
Un enigma da risolvere che arriva dal passato
Una spirale di morte che non sembra arrestarsi

Hanno scritto di Il quadro maledetto

«Nei sotterranei dell’Urbe il pericoloso mistero di un quadro maledetto per il bestseller di Fabrizio Santi.»
la Repubblica

«Un romanzo da brivido, davvero mozzafiato.»
Di Più

«Un thriller esoterico ben congegnato.»
Il Fatto Quotidiano
Fabrizio Santi
È nato e vive a Roma. È laureato in Lingue e letterature straniere e insegna inglese in un liceo scientifico romano. È diplomato in pianoforte al Conservatorio di Perugia. Il quadro maledetto, il suo primo romanzo, è stato per settimane in vetta alle classifiche. Le indagini di Giulio Salviati proseguono con Il settimo manoscritto e L’enigma della cattedrale sommersa.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mar 2018
ISBN9788822718808
L'enigma della cattedrale sommersa

Correlato a L'enigma della cattedrale sommersa

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su L'enigma della cattedrale sommersa

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'enigma della cattedrale sommersa - Fabrizio Santi

    Indice

    Cover

    Collana

    Colophon

    Frontespizio

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    CAPITOLO 21

    CAPITOLO 22

    CAPITOLO 23

    CAPITOLO 24

    CAPITOLO 25

    CAPITOLO 26

    CAPITOLO 27

    Capitolo 28

    CAPITOLO 29

    CAPITOLO 30

    CAPITOLO 31

    CAPITOLO 32

    CAPITOLO 33

    CAPITOLO 34

    CAPITOLO 35

    CAPITOLO 36

    CAPITOLO 37

    CAPITOLO 38

    CAPITOLO 39

    CAPITOLO 40

    CAPITOLO 41

    CAPITOLO 42

    CAPITOLO 43

    Ringraziamenti

    en

    1858

    Prima edizione ebook: marzo 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-1880-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Fabrizio Santi

    L'enigma della cattedrale sommersa

    omino

    Newton Compton editori

    Ad Alba, Carlo e Vittoria

    Unter der Tonkunst schwillt das Meer unseres Herzens auf,

    wie unter dem Mond die Flut.

    (Sotto i suoni musicali si gonfia il mare del nostro cuore,

    come il flutto sotto la luna).

    Joh. Paul Friedrich Richter, Palingenesien, 1798

    CAPITOLO 1

    Il custode notturno si stiracchiò sulla sedia spalancando la bocca in un enorme sbadiglio. Sprofondò ancora di più con il busto sullo schienale e appoggiò le gambe incrociate sul tavolino di fronte. Accanto ai suoi piedi, sulla sinistra, c’era un piccolo televisore che stava trasmettendo una partita di un campionato di football sudamericano. Si grattò una guancia dalla barba ispida e diede un’occhiata svogliata ai monitor alla sua destra, che rimandavano le immagini di alcune sale del museo. Stava seguendo un’azione di attacco della squadra uruguayana quando, con la coda dell’occhio, gli parve d’intravedere una specie di macchia che attraversava uno dei monitor. Non si voltò e continuò a seguire la partita. Dopo qualche secondo gli sembrò di percepire lo stesso movimento. Rivolse pigramente lo sguardo verso gli schermi, stropicciandosi gli occhi. Niente. Stava per riprendere a seguire la partita quando scorse un’ombra passare sullo schermo n. 2. Sollevò allora i piedi dal tavolo e li poggiò a terra, poi si chinò con il busto per guardare meglio i quattro monitor. Per un momento non apparve nessuna immagine che non fosse quella delle opere esposte nelle sale. Poi, d’improvviso, qualcosa sembrò sfrecciare attraverso la sala dei vasi di porcellana cinese. Tommaso si avvicinò ulteriormente agli schermi e aggrottò la fronte. Questa volta l’ombra si profilò di nuovo sul fondo di un’altra sala e parve attardarsi di fronte all’entrata del settore degli strumenti musicali. Il custode cominciò a seguire la scena con crescente apprensione. L’ombra, che ora si muoveva lentamente, cominciò a definirsi come una sagoma umana. Era una figura di donna avvolta in un lungo mantello nero con il volto velato. Sembrava procedere al rallentatore e, piuttosto che camminare, pareva che scivolasse sul pavimento. Nell’inquadratura della telecamera n. 3 ora appariva una sorta di fantasma nero che si avvicinava a un organo positivo del Settecento. Si sedette di fronte alla tastiera e, con gesti quasi ieratici, maneggiò alcuni registri. Il custode, ipnotizzato e con la bocca aperta, seguiva sbalordito la scena. L’uomo vide la figura nera oscillare leggermente, poi comprese che quell’essere scuro aveva cominciato a suonare lo strumento, pur se a bassissimo volume. La stanza dei guardiani notturni era lontana dalla sala degli strumenti musicali e solo un suono più alto avrebbe potuto raggiungerla. Tommaso, inebetito, era paralizzato sulla sedia e quasi non udiva più la voce del telecronista che dal televisore urlava per la realizzazione del primo gol segnato dalla squadra di casa. Rimase ancora per un po’ immobile, con lo sguardo fisso sul monitor. Avrebbe potuto suonare l’allarme o precipitarsi, con la mano sulla fondina della pistola, verso il settore degli strumenti antichi. Si alzò, invece, dalla sedia come un automa, senza distogliere lo sguardo dalla scena. Poi, con grande lentezza, si voltò verso la porta e con passi misurati si avviò verso il corridoio esterno. Da qui si diresse verso la scala che portava ai piani superiori. Raggiuntala, salì al secondo piano.

    Il silenzio era totale e solo qualche rada luce di cortesia consentiva di vedere i corridoi, le sale e i contorni di alcuni oggetti esposti. Percorse i primi metri del corridoio con il cuore che batteva all’impazzata. Entrato in una sala di dipinti del Seicento, accese una torcia elettrica e la puntò sul pavimento. Procedette attraverso alcuni settori sentendo crescere dentro di sé il terrore, a mano a mano che si avvicinava alla sala degli strumenti. Attorniato dal silenzio e dal buio si chiedeva come mai ancora non udisse il benché minimo suono. Quella constatazione, che avrebbe dovuto tranquillizzarlo un po’, non faceva invece che terrorizzarlo. Giunto dietro alla parete che lo separava adesso dalla sala dell’oscura presenza, si appiattì sul muro quasi trattenendo il fiato. Aveva spento la torcia e teneva una mano sul calcio della pistola. Dal vano adiacente non proveniva il benché minimo rumore. Con la massima circospezione si avvicinò all’uscio, cercando di sporgere il capo quel tanto che gli consentisse di guardare verso l’organo. Purtroppo l’antico strumento si trovava su una parete che non era di fronte all’uscio da cui stava cercando di affacciarsi. Si sporse ancor di più, voltando la testa verso destra, nella direzione dell’organo. Fece appello a tutto il coraggio rimastogli e con un impercettibile scatto varcò la soglia della stanza. Il silenzio e il vuoto erano totali. Il bellissimo organo dalle tinte verdi e avana e il triangolo delle canne sovrastanti si ergevano addossati al muro dove, poco più a destra, su un tavolo era poggiato un antico liuto. Anche nella semioscurità, tutta la sala appariva deserta. Accese di nuovo la torcia elettrica e ispezionò con il fascio di luce tutti gli angoli più reconditi. Niente. Aveva avuto un’allucinazione? No, non era possibile. Le immagini erano chiarissime. Una figura nera si era seduta dinanzi allo strumento e aveva iniziato a muovere le mani sulla tastiera. Il guardiano, sempre tremando, diede una rapida sbirciata alle sale adiacenti. Niente sembrava muoversi e non c’era nessuno, se non le ombre nere degli oggetti esposti, dietro ai quali non si sarebbe potuta celare alcuna presenza umana. D’improvviso si voltò, si guardò attorno. Poi, con passi spediti, ritornò verso la sua saletta di controllo. Appena entrato si abbandonò sulla poltroncina di fronte ai monitor. Respirò profondamente, si chinò in avanti, poggiò i gomiti sul tavolo e, tenendosi la fronte con una mano, fissò lo sguardo sugli schermi. Tutte le opere esposte, immobili, sembravano cristallizzate in un mondo iperuranio da cui non promanava né vita né movimento. Nessun’ombra, nessun riflesso turbava più quella quiete fredda e lunare.

    Tommaso rimase così per il resto della notte, fino a quando non si avvide di una timida lama di luce che, profilandosi sul tavolo dove era appoggiato, gli annunciava che era spuntata l’alba.

    CAPITOLO 2

    Il direttore del museo di Palazzo Barberini, Giovanni Argentieri, appoggiato al tavolo dei monitor, con le braccia conserte guardava i due guardiani notturni, Tommaso e Bruno, seduti di fronte a lui, con un’aria perplessa. Bruno era il custode con cui Tommaso si alternava per il servizio notturno.

    «Comprende bene, Tommaso, che quello che ci racconta ha dell’incredibile», disse il direttore.

    Il guardiano si passò una mano tra i capelli scuotendo il capo.

    «Lo so, lo so signor direttore. È assurdo, ma io l’ho visto. Mi dovete credere. È entrato non so da dove e si è diretto verso l’organo. Doveva essere una donna… o forse anche un uomo, non posso escluderlo. Aveva una lunga veste scura fino ai piedi, il capo coperto e il volto velato. Mi è sembrata una visione terribile. Un vero e proprio fantasma nero! Invece di camminare sembrava che scivolasse sul pavimento, come se pattinasse. Si è seduto di fronte all’organo e ha iniziato a suonare. Da qui non si udiva nessun suono, ma sono certo che suonasse, molto piano ovviamente».

    Bruno si voltò verso il collega e lo squadrò con un’espressione più impaurita che allibita.

    «Perché non ha attivato l’allarme?», chiese Argentieri.

    «Non lo so. Non so cosa mi è successo. Ero terrorizzato. Eppure volevo capire, volevo sapere. Mi sono alzato come se fossi in trance. Poi come un robot mi sono diretto verso la sala degli strumenti musicali».

    «E quindi?»

    «Quindi quello che ho detto. Quando sono arrivato non c’era nessuno. E soprattutto mentre mi avvicinavo non mi è mai giunto nessun suono d’organo o di qualsiasi altro genere».

    «Ha guardato anche nelle sale attigue?»

    «Sì, glielo ho detto. Sono entrato nella stanza dei manieristi e dei pittori del Seicento. Poi, però, la paura ha preso di nuovo il sopravvento e sono ritornato di corsa qui nella guardiola».

    «Be’, che dire», fece il direttore scostandosi dalla scrivania, «controlleremo le registrazioni della telecamera e cercheremo di vedere questo… questo fantasma, come dice lei».

    Tommaso guardava smarrito di fronte a sé. «Direttore, se per caso non dovesse risultare niente, io… mi deve credere. Non sono né alcolizzato, né pazzo… la prego…».

    «Stia tranquillo Tommaso», lo rassicurò Argentieri, «non ho ragioni per dubitare della sua buona fede. La storia è incredibile, certo, ma la visione della registrazione dirimerà tutta la questione».

    Tommaso sembrava non darsi pace, ma fu Bruno che in quel momento si alzò avanzando di due passi. «Dottor Argentieri!».

    Gli altri due si voltarono verso di lui.

    «Anch’io l’ho visto circa un mese fa», disse tutto d’un fiato.

    Tommaso e il direttore rimasero ammutoliti per alcuni secondi.

    «Ha visto…», fece il direttore, «ha visto cosa?»

    «Ho visto quel fantasma nero».

    Anche Tommaso si sollevò dalla sedia e squadrò il compagno con un’espressione sbalordita.

    «È sicuro, Bruno, di quel che dice?», gli chiese Argentieri.

    L’uomo annuì.

    «Sì, è così. L’ho visto anch’io».

    «E perché non l’ha detto subito?»

    «Avevo paura di essere preso per pazzo. O peggio… ubriaco». Le ultime parole le pronunciò quasi tremando.

    Il direttore lo osservò interdetto.

    «Stia tranquillo Bruno. Lei è un ottimo lavoratore e nessuno qui pensa cose negative sul suo conto. Non metto in dubbio assolutamente la veridicità delle sue parole. Ci racconti cosa è successo però. Lo ha visto nel monitor anche lei come Tommaso?»

    Il direttore lo fissò, questa volta con uno sguardo comprensivo.

    «No, no», disse l’uomo scuotendo la testa. «Con me è andata diversamente. Saranno state forse le due di notte o poco prima. Mi era sembrato di sentire dei rumori provenire dall’ala C. Sugli schermi non c’era niente di anomalo. Forse l’anta di qualche vetrinetta o mobile antico che si era aperta. Mi feci coraggio, presi la torcia e mi avviai in quella direzione. Superate le prime tre sale mi bloccai di fronte all’angolo che conduceva verso il corridoio delle statue. Rimasi impietrito per quasi un minuto. Dalla sala degli strumenti proveniva il suono di un organo. Era abbastanza attutito, ma era il suono di un organo. Non potevo crederci. Chi poteva essere lì a fare una cosa del genere? Era una musica strana, non saprei definirla… io non me ne intendo. Aveva però qualcosa di spettrale. Chissà, forse era solo la paura a farmela percepire così. Comunque rimasi nascosto per un po’ dietro la parete che mi separava dalla sala. Poi, riuscii ad affacciarmi quel tanto che bastava per guardare l’organo. Immaginavo, dalla posizione dello strumento, che chiunque lo stesse suonando in quel momento mi avrebbe dato le spalle. Così fu, per fortuna, ma l’immagine che vidi mi fece raggelare. Una sagoma umana, tutta avvolta da una veste nera, seduta di fronte all’organo, ondeggiava con il busto mentre suonava quella musica stranissima. Riuscii a guardarla per pochissimo, poi mi riparai di nuovo dietro la parete. Misi la mano sulla fondina della pistola e progettai l’irruzione nella sala. Avrei magari puntato l’arma in aria e avrei urlato a chiunque fosse di alzare le mani. Era la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere. Un ladro di opere d’arte mi avrebbe certo preoccupato meno. Ma non sapevo chi avevo davanti. E nemmeno se ci fosse qualcun altro nascosto da qualche parte. Avevo aperto la fondina e impugnato la pistola quando sentii la musica tacere. Rimasi immobile per un altro po’. Poi mi parve di sentire una specie di fruscio. Qualcuno si stava muovendo nella sala. Presi tutto il coraggio che mi era rimasto e balzai dall’altra parte dell’uscio. Stavo per urlare: Alza le mani! quando mi accorsi che davanti a me non c’era nessuno. Rimasi muto e mi guardai attorno. Tremavo, sudavo. La stanza era deserta. Di fronte a me c’era l’organo e dinanzi il suo seggiolino vuoto. Pensai di guardare nelle sale attigue ma purtroppo mi mancò il coraggio. Rimasi per un po’ fermo, in piedi, come un ebete fissando l’organo. Poi tornai qui nella guardiola dei monitor, sprofondai nella poltroncina e rimasi immobile e allucinato fino al mattino. Sugli schermi non vidi niente».

    «Bruno, non ha pensato che la registrazione delle videocamere avrebbe potuto confermare quello che ha visto?», chiese Argentieri.

    «No, direttore. Se non ci fosse rimasto niente di registrato sarei stato preso per un matto visionario, gliel’ho detto. Magari, correvo il rischio di giocarmi il lavoro».

    «Be’ intanto cerchiamo di controllare quello che è stato ripreso stanotte. Voi mi sembrate molto scossi. Andate a casa e per oggi chiederò a Germani se può fare il turno di notte».

    I due si diressero mestamente verso la porta quando furono richiamati dal direttore. «Un momento, ragazzi. Un’ultima domanda».

    I guardiani si voltarono verso l’uomo che li guardava ora con un’espressione interrogativa.

    «Non crederete mica ai fantasmi?»

    «No!», rispose perentorio Tommaso.

    «Mah…», sussurrò Bruno, «da quella notte maledetta non so più a cosa credere».

    CAPITOLO 3

    Giulio Salviati, seduto a un tavolino del Camaleonte, sfogliava pigramente il giornale del mattino. Stava per prendere dal taschino della camicia una delle sue terribili sigarette, quando si ricordò di essere ancora in un locale pubblico, sebbene fosse quello del suo amico.

    «Gino!», lo chiamò ad alta voce, «mi porti un Martini?».

    L’uomo al bancone sbuffò. «Non avevi promesso alla tua incantevole compagna che avresti limitato un po’ i tuoi cicchetti? È il terzo stamattina».

    «E tu non avevi promesso di essere meno vecchio e rompipalle?»

    «Ma quand’è che ti liquidano gli incassi del tuo terzo thriller, così te ne vai a vivere alle isole Figi e non ti vedo più?»

    «Moriresti di dolore senza di me». Giulio si alzò in piedi tirando fuori dal taschino una Gauloises e un accendino. «Metti il Martini sul tavolino. Tranquillo, esco fuori solo per fumare. Ritorno, non stare in pensiero per me».

    «Cercherò di non stare troppo in ansia», rispose Gino, mentre si dirigeva con il Martini su un vassoio verso il tavolino, alzando gli occhi al cielo e sospirando.

    Salviati aveva appena varcato l’uscio del bar, quando sentì il cellulare squillare.

    Sarà Elena, pensò. Rispose, ma dall’altra parte dell’apparecchio veniva una voce di uomo.

    «Giulio? Sono Giovanni, Giovanni Argentieri. Ti disturbo?»

    «Giovanni! Quanto tempo. No che non mi disturbi, mi fa piacere sentirti. Sei sempre al museo?…».

    I due si scambiarono qualche convenevole, prima di passare al motivo della telefonata. Il direttore della Galleria di Arte Antica di Palazzo Barberini era un amico di vecchia data di Giulio. Anche se ben più grande dello scrittore, lo aveva trattato sempre come un fratello più giovane a cui dare consigli e a cui c’era bisogno, a volte, di impartire qualche insegnamento perché non si lasciasse vincere da qualche vizio nocivo.

    «…avrei bisogno del tuo aiuto», diceva il direttore, «ti sarei grato se passassi qui al museo. C’è una cosa che ti devo assolutamente far vedere».

    «Non mi puoi anticipare niente?»

    «Credimi, preferirei proprio parlarti di persona».

    «Va bene, mi vuoi tenere sulle spine. Diciamo oggi alle cinque?»

    «Diciamo che va bene. Ti aspetto».

    Salviati ripose il telefonino nella tasca e scrutò la piazza davanti a sé. Era quasi mezzogiorno, a breve si sarebbe udito lo sparo del cannone del Gianicolo. Soffiava una brezza gentile, preludio della primavera imminente. Gli alberi si erano colorati di nuovo del verde delle gemme e pigri passanti, mamme con il passeggino e fornitori del mercato percorrevano la piazza in tutte le direzioni. Di cosa aveva bisogno Argentieri?

    Di lì a poco l’avrebbe saputo.

    «Ecco», disse il direttore indicando con l’indice uno degli schermi, «guarda un po’ tu. Che te ne pare?».

    Giulio osservava allibito i movimenti della figura nera che entrata nella stanza degli strumenti si stava sedendo all’organo. «È incredibile! Non ci posso credere!», bisbigliava mentre seguiva la scena.

    «Visto?», fece Argentieri.

    «Che diavolo o chi diavolo può essere?»

    «È quello che piacerebbe sapere anche a noi».

    «Così anche l’altro custode l’avrebbe visto all’incirca un mese fa?»

    «Esatto. Lui addirittura l’avrebbe visto dal vivo mentre suonava».

    «Già, poi però è entrato nella sala e il fantasma è sparito».

    «Inquietante, vero?».

    Giulio guardava e riguardava la registrazione dondolando la testa. «Si può ritornare alla registrazione notturna del mese precedente? Magari si scopre da dove è entrato».

    «È impossibile, le registrazioni vengono conservate per una settimana, non di più. Bruno, l’altro guardiano, non ricorda neanche il giorno preciso in cui è avvenuto il fatto».

    «E la polizia?»

    «La polizia non l’ho chiamata».

    «Non l’hai chiamata?». Giulio stralunò gli occhi.

    «Certo. Cosa avrei potuto raccontargli? Allora, c’è un fantasma che la notte viene a suonare l’organo nel nostro museo, la videocamera lo ha anche ripreso. Guardate qua!».

    «Pensi che ti avrebbero preso per matto?»

    «Questo no, le registrazioni parlano chiaro. Ma non ci sono stati né furti né danneggiamenti, nessun segno di effrazione. Che tipo di indagine avrebbero potuto svolgere?»

    «Be’, se la notizia diventava ufficiale e si spargeva poteva essere un’ottima pubblicità per il museo. Pensa a quante persone sarebbero venute a visitare il museo del fantasma nero».

    «Hai ragione. A questo non avevo pensato. Poteva essere un ottimo battage. Giulio, ascoltami… ho bisogno del tuo aiuto».

    «Il mio aiuto?», ripeté stupito Giulio.

    «Be’, sì, credo che tu sia in grado di darmi una mano. Vorrei vederci un po’ più chiaro in questa faccenda. Ti sei dimostrato un abile investigatore in passato, oltre a essere un eccellente scrittore… Credo che tu possa essere capace di scoprire qualcosa di questo mistero».

    Giulio rimase interdetto per qualche secondo. «Giovanni… sei

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1