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Il treno dei desideri infranti
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E-book202 pagine3 ore

Il treno dei desideri infranti

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Info su questo ebook

Alcune persone prendono scelte sbagliate, ma alcuni fanno l'errore più grande di non prenderne affatto. E per loro, per i veri sconfitti, qualcuno crea un Treno. Un Treno che diventa l'ultima ancora di salvezza, il viaggio finale o forse iniziale. Ma per Andrea si tratta di comprendere perché esiste il Treno e perché lui è a bordo, in vagoni eleganti e circondato di persone che non comprende.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mar 2014
ISBN9788869092176
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    Anteprima del libro

    Il treno dei desideri infranti - Davide Emanuele Iannace

    viaggio

    PARTE I

    Era tutto molto, molto strano per Andrea. In quel preciso momento non c’era nulla di normale nella quasi visione che gli era apparsa dinanzi gli occhi. E non c’era nulla che, da quel momento in poi, lo sarebbe stato. Le foglie cadevano dagli alberi lentamente, ingiallite dall’autunno appena giunto. Un venticello appena freddo soffiava da est, scuotendo le vesti dei pochi passeggeri che stavano per imbarcarsi in quella stazione dimenticata dagli uomini. C’era un edificio, giallo, cadente a pezzi in un modo a dir poco incredibile. Le poche volte che lo aveva osservato Andrea si era sempre chiesto se ci fosse qualcuno veramente a custodirlo. Ora lo notava, un vecchietto gobbo che in una logora uniforme provava a fare il lavoro di una squadra. Il ragazzo si accomodò su una panca devastata dalle intemperie. Scostò delle foglie, posando il suo piccolo borsone al suo fianco e stringendo i pugni mentre attendeva il treno. Gli parve di notare della polvere sulle rotaie, come se qualcuno non le avesse utilizzate da molto tempo. Il silenzio attanagliava la stazione sperduta tra le colline. Le banchine erano povere di persone, non notò che pochissimi altri viandanti silenziosi come lui, divisi come atomi liberi in uno spazio vuoto. Un vecchietto leggeva il giornale sgualcito, una ragazza osservata apatica davanti a lei, sullo stesso lato di Andrea, che notò i fili bianchi di cuffie che le cadevano dalle orecchie fino ad una tasca. Un uomo con un mano una valigia premeva tasti su un palmare grande, chiuso nel suo impermeabile. Andrea sentì che ogni tanto tirava su con il naso, forse raffreddato. Non era dì lì. Quattro persone in totale, erano quasi uno spreco di carburante come fermata.

    Il vento continuava a soffiare placidamente, indaffarato nella sua esistenza, incurante delle anime che vivevano sotto i suoi gelidi flussi. Andrea guardò verso i due lati delle rotaie. Ancora nulla. Non c’era traccia della locomotiva del regionale che in qualche modo lo avrebbe portato fuori da lì. Diede un’occhiata al vetro del suo orologio da polso. I numeri digitali lampeggiavano leggermente, indicando che erano passati dieci minuti dalle nove di mattina di un freddo otto novembre. Sospirò appena, prendendo il cellulare. Fece una smorfia notando la mancanza di campo, come ogni volta. Non c’era mai campo da quelle parti. Cominciò a giocare ad un anonimo prodotto virtuale di un’anonima casa produttrice, attendendo. Passarono almeno altri venti minuti prima che una vaga sirena suonasse in lontananza. Si alzò con calma, prendendo il borsone e guardando da dove provenisse il treno. Era un regionale ed Andrea si aspettava ben presto di sentire il motore diesel cominciare a rombare senza sosta tra le poche colonne del vecchio edificio. Ma non fu così. No, perché non c’era di certo spazio per un motore diesel in una carrozza di inizio ‘900, che sbuffava vapore da un comignolo nero come il carbone da cui prendeva energia. Stupefatto osservò il treno avanzare fino a fermarsi nel bel mezzo delle rotaie. Si guardò intorno, ammirando quello che in tutto e per tutto era un perfetto treno a vapore del ‘900. Molte carrozze avevano le tende scostate, aperte, indicando che erano vuote. Quasi tutte lo erano. Andrea osservò il treno, tornando a sedersi deluso. Non era il suo, doveva ancora attendere. Nessun altro dei presenti si mosse, nessuno doveva salire su quei vagoni. Stava per tornare a giocare quando qualcuno scese. Era un uomo, questo lo si capiva dalla postura. Portava una divisa verde ed argento, elegante e sicuramente d’epoca. Aveva con se un piccolo bastone e una borsa da cui straripava carta bagnata d’inchiostro più o meno fresco. L’uomo scese sui binari, guardandosi intorno. Diede una vaga occhiata alla struttura della stazione, prima di voltarsi verso i pendolari. Li scrutò tutti, uno per uno. Aveva due grossi occhi verde smeraldo e molte rughe ad accompagnarli. Si diresse verso Andrea, che gli era vicinissimo

    « Salve » disse semplicemente. Il giovane si ritrovò quasi spaesato

    « Salve a lei … posso aiutarla? » chiese di rimando

    « No, ma sono sicuro che sarò io ad aiutare lei » Andrea fece una smorfia, senza rispondere. Che fosse pazzo quell’uomo? « Lei attendeva il Regionale 15? »

    « Si »

    « Lo hanno soppresso, però se vuole può trovare un passaggio con noi » il giovane osservò l’uomo, quasi stupefatto

    « Scusi? »

    « Le ho detto che hanno soppresso il Regionale 15, e che se vuole possiamo darle un passaggio noi visto che siamo di transito » ripeté l’uomo, facendo modo che un sorriso condiscendente si creasse sul viso.

    « Il Regionale 15 non è stato soppresso, lo avrebbero detto » rispose Andrea, facendo un cenno, scuro in viso. L’uomo capì cosa voleva dire e si allontanò, riponendo una lettera che aveva appena preso e dirigendosi dalla ragazza. Che avesse o meno replicato il discorso che aveva appena completato con Andrea, il ragazzo stesso non poteva dirlo. Ma poco dopo si mosse verso l’uomo d’affari ed anche verso il vecchio signore. Loro due si mossero quasi subito. Rimasero sulla banchina la ragazza dalle cuffie bianche ed Andrea. Per qualche istante si scambiarono un’occhiata come a capire le intenzioni uno dell’altra ed una dell’altro. Era una situazione ironica il doversi appoggiare ad uno sconosciuto. L’uomo sceso dal treno era di nuovo salito, ma non entrato nella carrozza. Era sugli scalini che lo avrebbero fatto sparire tra il vapore, che lentamente tornava ad occupare i binari, come a preparare una partenza. Andrea si voltò verso la stazione, alzandosi e si guardò intorno. Gli aveva forse mentito l’uomo che adesso lo guardava da lontano attendendo? Non lo seppe mai, perché in quel momento prese una scelta. Dopotutto, ogni treno era buono pur di allontanarsi da lì. Strinse la mano destra intorno la presa del suo borsone e si imbarcò. La ragazza lo seguì dopo due secondi, spinta da un impulso che avrebbe chiarito solo dopo. Il treno partì, rumoroso com’era arrivato, lasciando dietro di se una scia di polvere e di fumo. E dopo dieci minuti, fu sostituito dalla presenza di un Regionale che avrebbe dovuto prendere quattro passeggeri. Ma il Regionale non si fermò. Non si fermò perché, nella lista passeggeri, nessuno sarebbe dovuto scendere lì e nessuno sarebbe dovuto salire lì. E il perché avessero allungato proprio per quel paese, il capotreno non se lo seppe spiegare.

    Seppur qualcuno avesse voluto ripensarci, nessuno sarebbe riuscito a scendere al volo di nuovo dal treno. Lasciandosi dietro una scia di fumo come se fosse in un secolo antecedente il treno aveva ripreso a correre. Andrea non si era ancora accorto di quel che era successo che si ritrovava già in movimento e di certo non verso la sua destinazione. No, aveva interpretato troppo bene sia il viso che le parole di quell’uomo e sapeva perfettamente che aveva mentito. Non sapeva se chi lo aveva seguito e preceduto sul treno avesse capito la realtà, ma a lui non interessava per nulla dove stava andando. Non gli interessava tornare in città, all’università, nel miscuglio di gente di ogni sesso, età e razza che si mischiava come un grovigli di fili in un gomitolo sospinto da un gatto annoiato. Non aveva interessi lì, non più almeno. Guardò alle sue spalle il paesaggio muoversi al ritmo delle motrici del treno, osservando gli alberi farsi seguire da altri alberi, ed ancora, ancora ed ancora, come un ritornello senza fine. Prese il borsone, guardando all’interno di un corridoio perfettamente vuoto. Due porticelle davano su di lui prima dell’uscita dalla carrozza ed erano tutte e due porte aperte. Si avvicinò alla più vicina a lui, osservando l’interno. Era una piccola camera da letto, composta da un letto apparentemente comodo, da una scrivania, un armadio e forse un bagno. La camera che seguiva era uguale, si differenziava per il colore delle coperte del letto e per un quadro. Si guardò di nuovo intorno. Non c’erano segni di vita in quella carrozza, e capì che avrebbe dovuto esplorare parecchio per trovarne qualcuno. Ma fu la vita a venire da lui. Comparve un cameriere, vestito come l’uomo che era sceso dal treno, ma indubbiamente più giovane. Sorrideva appena, impercettibile quasi, di un sorriso scaltro, furbo

    « Salve signore … ha già scelto la stanza? Io le consiglio quella … sa, meno rumore »

    « Devo scegliere una delle camere? »

    « A meno che non voglia dormire nel corridoio signore » rispose il cameriere trattenendo una mezza risata « Signore, la cena sarà servita alle ore otto nella Carrozza Visconti. Il suo è il tavolo otto » il cameriere si allontanò, avvicinandosi alla porta d’uscita e passando in un’altra carrozza. Senza pensarci due volte Andrea si infilò dove il ragazzo aveva indicato. Si chiuse la porta alle sue spalle, avvicinandosi ad una finestra leggermente aperta. L’aria fresca penetrava tra i legni della carrozza in modo rapido ma quasi fastidioso e quando la chiuse si sentì decisamente più contento. SI diede una rinfrescata, appoggiandosi al vetro poco dopo, fissando il paesaggio in modo quasi malinconico. Non era un comportamento che gli si s'addiceva, non gli si era mai stato dato del romantico. Eppure, in quel momento, non c’era stato d’animo che più gli si poteva avvicinare di quello. Era strano quanto le pene potevano cambiare una persona, in modo positivo o negativo non era importante, contava il fatto che in qualche modo era cambiato. Fissò il paesaggio diventare un enorme lago quasi senza fine, e non aveva neanche importanza il sapere che non c’erano mai stati laghi in quella zona. Ora, in quel momento, contava solo il sublime che nasceva dal fissare un sole morente coricarsi nella sua tomba prima della prossima rinascita donando gli ultimi raggi ad un lago incantato cinto da case isolate e da un monte che beffardo si godeva la sua vista sul paesaggio. Andrea sorrise impercettibilmente, pensando a quanto, in qualche modo, sarebbe stato un paesaggio fantastico, se non fosse stato da solo. Si girò, uscendo nel corridoio mentre l’orologio segnava le sette del pomeriggio.

    Il treno sobbalzava lentamente scorrendo metro dopo metro le ferrose rotaie. Andrea cambiò carrozza, finendo in una uguale a quella che aveva lasciata, vuota. Ne attraversò altre tre, in una sola trovò una porta chiusa ma non osò bussare. Finalmente arrivò in un ambiente nuovo. Un piccolo cartello nominava la carrozza Medici, di certo non quella della cena. Si guardò intorno, capendo di trovarsi in un salotto del tutto vuoto. Le tendine delle finestre, otto a lato, erano chiuse per evitare che molta luce entrasse. Lampadari irradiavano di una tenue luce verde la carrozza intera mentre delle poltrone quasi del medesimo colore occupavano gran parte dello spazio, insieme a piccoli mobiletti e qualche libreria. Il giovane si avvicinò proprio ad una delle prime, delicatamente sedendosi e guardandosi intorno, ancora solo. Sembrava esserci solo lui a bordo di quel treno e non sapeva se dolersene o meno. Forse un po’ di solitudine lo avrebbe aiutato nel mettere pace alle idee che vorticosamente gli frullavano nella testa. Appoggiò il braccio destro al bracciolo, lasciandolo pendolare lungo il fianco del velluto, sfiorando delicatamente una libreria di mogano scuro riempita di libri di ogni grandezza. Li osservò di sfuggita, le lettere dorate intagliate quasi tutte su morbide superfici di cuoio indurito. Ne prese uno quasi a caso, trovandosi poi per le mani un’edizione rara de Le Lettere Persiane. Ne aveva sentito parlare, a liceo, da parte di qualcuno. Montesquieu era l’autore. Non gli era mai interessato più di tanto, ma apparve avere un’importanza quasi spropositata in quell’attimo. Lo prese, aprendolo sull’introduzione dell’autore stesso. Fiumi parole, pensieri sotto forma di lettere e sapere quasi puro cominciarono ad elevarsi dall’inchiostro vecchio ed incrostato per raggiungere Andrea. Finì, quasi per caso, a cullarsi tra i pensieri di Ubsek e Rica nel selvaggio Occidente e delle lotte nel serraglio mentre, secondo dopo secondo, il tempo passava. E quasi invisibile il cameriere si avvicinò, alle otto meno cinque, alla poltrona dove Andrea leggeva

    « Signore, la cena è pronta. L’accompagno alla carrozza? » Andrea osservò il cameriere, un altro giovanotto nella divisa verde-argento dal fare più cortese di quello che aveva incontrato. Posò il libro, promettendosi di finirlo mentre si alzava. Superò la carrozza Medici entrando in Visconti subito dopo. Era grande come il salotto, ma addobbata in modo differente per ovvi motivi. Le tende al fianco dei tavoli erano di un bianco angelico, c’era la notte fuori e nessuna luce, se non la poetica fiammella di varie candele sistemate sui tavoli. Ancora una volta non c’era nessuno. I tavoli erano sparpagliati per tutto il vagone. Erano per lo più a due posti, pochi a quattro. C’erano dei camerieri negli angoli pronti a servire gli ospiti, ma se la situazione fosse rimasta la stessa Andrea pensò che anche uno era troppo. Il ragazzo che era venuto a prenderlo lo fece accomodare. Fuori dal vetro poteva osservare il lago di prima continuare a scorrere, quasi finendo, ne era sicuro. In lontananza gli parve di notare un agglomerato di edifici, forse un villaggio sperduto tra i monti ed i boschi, qualche luce alzarsi da esso. Ma fu per qualche istante, poi un piccolo esercito di alberi gli oscurò la vista e quando furono passati le luci erano sparite. Mise il tovagliolo sulle gambe

    « Cosa si può cenare? »

    « Il cuoco ha preparato svariate pietanze … le porto il menù » il ragazzo si diresse verso le cucine mentre Andrea si vedeva avvicinare da un altro cameriere

    « Il signore desidera da bere? »

    « Acqua naturale » la situazione era diventata finalmente tranquilla. Quasi per magia i due camerieri gli portarono prima l’acqua, rigorosamente fresca ed a temperatura ambiente ed un menù di carta delicata. Indicò al primo un primo, un secondo, contorni, frutta e dessert ed entrambi sparirono dietro le porte mobili della cucina. Andrea era di nuovo solo. Un orologio a torre segnava le otto e dieci. Forse nessuno aveva accettato l’invito a cena? L’italiano sospirò leggermente, osservando il suo tavolo preparato per uno vicino tanti tavoli preparati per uno. Come se tutti, a bordo, fossero entrati per caso in un momento particolare e fosse prevista la loro divisione. Il primo piatto arrivò poco dopo istanti, portato elegantemente da un terzo cameriere. Cominciò a chiedersi Andrea se non fosse lui l’unico passeggero. Aveva scelto degli spaghetti panna e funghi, una cosa semplice, che però lo avrebbe certamente riempito. Non aveva mangiato né a pranzo né a colazione e il suo stomaco reclamava nuove energie. Affondò la forchetta nella pasta, cominciando a gustarsi il piatto. Preso dal mangiare non notò che due persone, poco dopo che la sua portata arrivò, entrarono quasi contemporaneamente ma non insieme. I due presero posto ad altri due tavoli ed Andrea si accorse di loro solo quando sentì delle parole bisbigliate nell’oscurità delle candele. Voltò il capo pulendosi le labbra con il fazzoletto di lino. Una era la ragazza della stazione che lo aveva seguito sul treno. Come lui, non si era cambiata. Era ancora in tenuta da viaggio, come se si aspettasse, anche lei, di arrivare da un momento all’altro ed abbandonare quel treno in qualche modo carico di misteri. L’altro era un ragazzo, esattamente come loro. Giovane ed appena visibile nella penombra. Era vestito come ci si aspettava da qualcuno a bordo di un treno di lusso. L’abito nero e bianco quasi risplendeva nell’oscurità e l’unica cosa che per qualche secondo Andrea intravide del suo fisico furono gli occhi di un nero profondo che quasi specchiarono la fiamma delle candele. I camerieri gli portarono bevande e cibo senza chiedere, conoscendo forse perfettamente i gusti del terzo ospite della carrozza Visconti. Nessuno scambiò parole con nessun altro. Non ci furono altri bisbigli, i camerieri comparivano e sparivano al suono dei rintocchi delle lancette dell’orologio in modo regolare, perfetto. I tre ospiti si guardavano a turno l’un altro, evitando di incrociare gli occhi tra di loro, quasi timidi nel loro silenzio e nel loro isolamento. Andrea si vide interessato non solo alla ragazza dai lineamenti mascherati dall’ombra ma anche dal ragazzo, che a differenza loro pareva esser di casa. Ma lo attirava, impercettibilmente, anche il paesaggio. Scostò silenzioso le tende bianche, osservando la notte fuori dal treno. Qualche filo di vapore era visibile, il lago era sparito ed al suo posto vi erano sterminate campagne dall’apparente freddezza. Case isolate cinte di enormi poderi, una cappella silente e tranquilla coperta da un manto d’edera rampicante, un campanile che rammentava il riposo. Ecco che gli occhi di Andrea si riuscirono a posare su un paesello distante. Luci di festa, forse, lo animavano. Risplendevano come quelle di un grattacielo in una città ed illuminavano il circondario. Sembrava il riparo tranquillo dalle bestie feroci nella notte oscura, quella in cui le fiere escono dai loro nascondigli per depredare affamate. Sarebbe volentieri corso in quel paesello sperduto, sicuramente sarebbe stato meglio che in qualunque altro posto. Sospirò, vedendosi arrivare infine il dessert. Nel muovere gli occhi notò che il ragazzo si era seduto con la ragazza. Scambiavano poche e silenziose parole. Chissà chi aveva fatto la prima mossa, non lo aveva proprio notato. Forse

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