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Morte al Chiabrera
Morte al Chiabrera
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E-book256 pagine3 ore

Morte al Chiabrera

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Info su questo ebook

Seconda avventura noir generata dalla "strana coppia" Giorgi-Schiavetta. Protagonista il magistrato Ludovica Sperinelli, donna affascinante e volitiva, coadiuvata dal maresciallo dei Carabinieri Francesco Mancini. Sullo sfondo una Savona rivisitata, che saggi amministratori hanno portato sulla via dell'ecologia e del rispetto per l'ambiente. La città si sta preparando all'annuale fiera di Santa Lucia; ma una sera, nel Teatro Chiabrera, una donna viene trovata riversa a terra nel bagno delle signore. Per pura coincidenza, si tratta della vicina di poltrona della Sperinelli, la quale si trova così coinvolta in prima persona in una vicenda dai contorni inquietanti, dove si affollano parenti insopportabili, misteriosi dirigenti, attivisti no-Tav...Saranno due, alla fine, le morti misteriose che, con pazienza, determinazione e un pizzico di azzardo, gli investigatori riusciranno a chiarire in una manciata di giorni mozzafiato.
Il Sostituto Procuratore Sperinelli e gli altri personaggi principali hanno visto la luce nel primo romanzo della serie, Delitto alla Cappella Sistina, ed. Uniservice 2011.
LinguaItaliano
Data di uscita13 ago 2013
ISBN9788875638979
Morte al Chiabrera

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    Morte al Chiabrera - Fiorenza Giorgi

    Capitolo 1

    Rientrata a casa dopo una lunga giornata di lavoro, il magistrato Ludovica Sperinelli si concesse una veloce lettura dei quotidiani, sdraiata sul divano.

    Non era concentrata; la stanchezza l’avvolgeva come una coperta. Era l’inizio di dicembre e la temperatura esterna invitava a starsene tranquilli, al calduccio. Ma lei non era un tipo pantofolaio e, pur apprezzando quei momenti di relax, di lì a poco, appena ritrovate le energie, avrebbe cominciato ad annoiarsi.

    Per fortuna quella sera sarebbe andata a teatro e, con la complicità della musica, avrebbe potuto relegare in un angolo della mente tutte le preoccupazioni. Fin da ragazza era appassionata di opera lirica, di Verdi in particolare, e conosceva a memoria numerosi libretti. Sapeva cantare con una discreta vocina molte delle arie più famose e apprezzare una buona interpretazione.

    Era consapevole, inoltre, che per salvaguardare la salute fisica e psichica, ogni tanto era davvero necessario concedersi una pausa. Infatti, nonostante la stagione inclemente, aveva programmato una breve vacanza in Toscana che avrebbe dovuto iniziare proprio due giorni dopo. Finalmente avrebbe potuto stare un po’ con Alberto, l’uomo che amava da anni.

    L’orologio si mosse con particolare rapidità e in un momento fu ora di prepararsi per uscire. Ludovica si truccò il viso più attentamente del solito, indossò un sobrio abito nero e, presa da un repentino moto di coraggio, gli abbinò una morbida sciarpa di chiffon ed un paio di scarpette di vernice, belle quanto scomode, con le quali non era possibile fare più di venti passi.

    Chiamerò un taxi decise, mentre si assicurava che Penelope, il suo pastore tedesco, avesse la ciotola dell’acqua ben piena e le accarezzava la testolona pelosa. Guidare con questi tacchi a spillo è superiore alle mie forze si disse, mentre usciva e chiudeva accuratamente la porta di casa.

    L’autista era una sua vecchia conoscenza e si mise a chiacchierare senza posa, facendo domande a raffica sulle sue ultime inchieste cui lei rispose meccanicamente, fino a quando arrivarono in prossimità del Teatro. L’edificio, situato in pieno centro cittadino, era un gioiello di gusto neoclassico, dedicato al poeta arcadico Gabriello Chiabrera. Quella sera era illuminato a giorno, così come il giardino all’italiana che l’amministrazione comunale aveva fatto installare nella piazza antistante.

    – Mi lasci a fianco dell’entrata, per cortesia – disse all’uomo, temendo il doloroso effetto della ghiaia sotto le scarpe.

    Scese dall’auto e, dopo una sistemata veloce ai capelli, si avviò con passi circospetti, alzando gli occhi verso l’effigie del Chiabrera, ritratto sul frontone mentre era intento a consegnare un poema a Carlo Emanuele I di Savoia.

    Chissà se il re l’avrà mai letto si domandò il magistrato, ricordando vagamente che, al liceo, aveva studiato alcuni versi del poeta suo concittadino, trovandoli piuttosto insipidi. Meno male che gli hanno intitolato il teatro rifletté altrimenti pochi si ricorderebbero di lui. Savona, in effetti, non era stata molto affettuosa verso quello che pure era uno dei suoi figli più illustri; lo dimostrava il fatto che la Chiesa di San Giacomo, dove era stato seppellito, era in stato di totale abbandono, chiusa e murata da lunghi anni e sempre sul punto di crollare.

    Una piccola folla si assiepava nel peristilio, sotto lo sguardo pacioso di Gioacchino Rossini, la cui statua occupava una delle nicchie della facciata.

    Quella sera era in cartellone il Ballo in maschera di Giuseppe Verdi, mai rappresentato a Savona. L’opera si ispirava ad un fatto realmente accaduto: l’uccisione di un re svedese della dinastia Vasa per mano di alcuni nobili, durante una festa mascherata. All’epoca la censura aveva costretto Verdi a trasferire la storia nelle colonie inglesi dell’America del Nord, ma ciò non aveva tolto smalto alle pagine musicali, sempre che, pensò la Sperinelli, la messa in scena fosse all’altezza del genio di Busseto. Purtroppo il cast di quella sera era molto modesto a fronte di una composizione così importante, che avrebbe richiesto risorse assai superiori a quelle di un teatro di provincia. I titoli di grande popolarità, però, fanno uscire da casa la gente rifletté, mentre entrava finalmente nell’atrio, incuriosita dalle numerose facce nuove.

    Cercò nella borsetta l’abbonamento e lo presentò a Silvia, una giovane maschera dal visino simpatico, figlia di una delle più anziane segretarie della Procura, che conosceva fin da piccola; poi tentò di raggiungere inosservata la sua poltrona. Niente da fare: era troppo nota, perciò dovette fermarsi più volte, per un saluto o una battuta, al punto che entrò in platea solo quando le luci si stavano abbassando. Doveva sbrigarsi. Sorrise alla sua vicina di posto che si era già accomodata e, mormorando una scusa, le passò davanti, cercando di non pestarle i piedi mentre raggiungeva la sua poltroncina.

    A parte un veloce saluto, non aveva mai parlato con questa signora, prima di tutto a causa del suo carattere riservato e poi perché non era il tipo di persona che invitasse a entrare in confidenza. Pur essendo sempre circondata da una nuvola di profumo muschioso ed agghindata di collane d’oro, pizzi e lustrini, aveva dipinta sul volto un’espressione poco affabile, anzi altera e scostante. Il magistrato così aveva assistito seduta accanto a lei a moltissimi spettacoli, senza sentire mai il bisogno di avviare una conversazione.

    Che strano pensò distrattamente, mentre controllava di aver spento il telefonino mi sembra cambiata dall’ultima volta, questa sera ha un abito più sobrio del mio e nessun gioiello: che sia stata folgorata dal buon gusto come San Paolo sulla via di Damasco?. Non ebbe però il tempo di pensare oltre a questi particolari, perché già entrava il direttore d’orchestra e partivano gli applausi. Il Ballo in maschera iniziò e da quel momento dedicò la sua attenzione all’opera, augurandosi con tutto il cuore di essersi sbagliata nel fare cattive previsioni. Sperava di sentire almeno una buona esecuzione del duetto del secondo atto, uno dei più trascinanti della storia del melodramma.

    Malauguratamente, le sue fosche previsioni si rivelarono azzeccate. L’allestimento era fiacco, le voci erano poco convincenti e qualche volta neppure troppo intonate. Ludovica sospirò dispiaciuta e, alla fine del primo atto, si guardò bene dall’applaudire. Preferì non alzarsi mentre notò che la sua vicina si avviava verso il foyer, forse, sogghignò tra sé, per prendere una camomilla e calmare la rabbia per le stecche dei cantanti. Quanto a lei, seduta comodamente nella poltroncina di velluto rosso, trascorse i minuti di pausa ammirando il soffitto della sala, opera del pittore monregalese Caratti, che raffigurava otto figure femminili allegoriche in movimento verso l’elegante lampadario centrale. L’affresco era stato ottimamente ripristinato dopo che un crollo, avvenuto pochi anni prima, l’aveva seriamente compromesso.

    Quando ebbe inizio il secondo atto notò che la spettatrice accanto a lei non era rientrata, lasciando la poltrona vuota. Non ha avuto torto pensò, approfittando dello spazio per sistemare cappotto e borsetta e liberare le ginocchia. Fu convinta del tutto della perspicacia di chi se ne era andato quando ascoltò il famoso duetto dei due protagonisti, interpretato così male da procurarle quasi un fastidio fisico.

    Era davvero troppo per le sue orecchie esigenti, ma decise di resistere fino alla fine, curiosa di constatare come se la sarebbero cavata gli interpreti nel terzo ed ultimo atto. Doveva però uscire almeno un minuto per sgranchire le gambe e bere qualcosa, e fu così che quando si accesero le luci si alzò e si diresse verso il bar.

    Mentre si avviava nel corridoio laterale, notò un certo trambusto davanti alla toilette per signore. Due maschere parlavano concitatamente tra loro; dai toni accesi poteva sembrare stessero litigando. Non voleva farsi coinvolgere in discussioni tra colleghe e quindi rallentò il passo, tentando di eclissarsi, ma Silvia l’aveva vista arrivare e in un attimo le si era avvicinata.

    – C’è una persona che sta male nella toilette – le sussurrò all’orecchio – Mi sembra svenuta... non ho il coraggio di toccarla! È a terra e...

    Ecco la spiegazione di questo nervosismo; la ragazza era pallida come un cencio e Ludovica le posò sul braccio una mano rassicurante.

    – Avete già chiamato il 118?

    – Sì, stanno arrivando – fece l’altra – ma nel frattempo non sappiamo cosa fare...

    La verde età di Silvia e il suo volto preoccupato ebbero il potere di suscitare l’istinto protettivo, quasi materno, che, di tanto in tanto, si faceva strada nel suo cuore.

    – Fammi dare un’occhiata – disse e, mentre la giovane si scansava, aprì con decisione la porta della toilette.

    Una donna era riversa a terra, immobile. Sembrava morta. Le gambe e le braccia erano in posizione scomposta e dalla tempia le scendeva un rivolo di sangue.

    Il magistrato aveva visto ben di peggio e, senza esitare, si avvicinò per soccorrerla, scoprendo con un certo stupore che si trattava proprio della sua vicina di poltrona. Trattenne un’esclamazione e si chinò a tastarle la gola per accertarsi che fosse ancora viva.

    La poveretta respirava, ma doveva aver preso un gran colpo.

    – Datemi una mano, cerchiamo di metterla in una posizione più comoda, senza spostarle la testa – ingiunse Ludovica alle due maschere che, entrate dietro di lei, erano rimaste accanto alla porta, torcendosi le mani.

    Le tre si chinarono sulla ferita e, nel far questo, la Sperinelli ebbe occasione di guardarla meglio. Ancora una volta si stupì. Era lei ma contemporaneamente era un’altra. Il volto della ferita somigliava, sì, a quello della signora che da anni sedeva a teatro accanto a lei, ma era anche un viso diverso, più affilato, più giovane. Anche la bocca le sembrava più piccola.

    Chi era allora questa sconosciuta che durante il primo atto era stata seduta vicino a lei e ora si trovava ferita sul pavimento del bagno delle signore?

    Rimandando a più tardi la soluzione dell’enigma, si rialzò rassettandosi l’abito e rivolse lo sguardo alle due giovani. Silvia riusciva a controllarsi, ma l’altra ragazza tremava ed aveva il viso livido. Non poteva lasciarle a gestire l’emergenza da sole e, visto che era incappata in questo incidente, tanto valeva cercare di aiutarle come poteva, almeno fino all’arrivo dei soccorsi.

    – Silvia, porta via la tua collega e falle bere un po’ d’acqua.

    La ragazza fu pronta ad obbedire e, senza ascoltare le deboli proteste dell’altra, la accompagnò in corridoio. In una manciata di secondi ritornò, sola.

    – È stato lo spavento, dottoressa, ora si è seduta sui gradini della scala qui vicino e sono sicura che in pochi minuti si riprenderà.

    – Bene. Ora ascolta – proseguì il magistrato, accennando alla donna riversa a terra – questa signora ha il posto n. 9 della fila C di platea.

    Silvia spalancò gli occhi chiedendosi, probabilmente, come fosse possibile che il Sostituto fosse addirittura a conoscenza di questo particolare, ma preferì tacere.

    – Se ti metti in contatto con la biglietteria possiamo avere immediatamente i suoi dati – aggiunse Ludovica che, a questo punto, era davvero curiosa di sapere chi fosse – inoltre vedi di scoprire se per caso c’è qualche altro abbonato con il medesimo cognome, così se abbiamo qui un parente lo possiamo avvisare subito.

    Silvia notò la borsetta caduta lì accanto; pensò che forse avrebbe potuto contenere dei documenti, ma ancora una volta preferì non commentare. La Sperinelli sorrise, constatando quanto fosse intuitiva quella giovane.

    – Un’altra cosa – le disse, trattenendola – in attesa dell’ambulanza bisogna evitare che la gente passi da questa parte: troppi curiosi potrebbero intralciare i soccorsi. Fai venire qualcun altro e isolate il tratto di corridoio con una scusa qualsiasi; poi, se ancora non lo hai fatto, informa la Direzione di quanto sta accadendo.

    Capitolo 2

    La maschera conosceva il magistrato abbastanza bene da capire che era il caso di seguire le sue indicazioni senza discutere.

    – Vado, dottoressa – rispose semplicemente e, dopo aver guardato ancora un momento la poveretta riversa a terra, si allontanò con passo svelto.

    Ludovica si inginocchiò nuovamente accanto alla donna, prendendole la mano per spiarne le reazioni vitali. Con tutta la sua buona volontà, non notò alcun cambiamento. La osservò da vicino e concluse che l’unico segno di trauma era la ferita sulla tempia, che si era procurata battendo contro il lavabo, dove in effetti era rimasta una traccia di sostanza ematica. Senza alzarsi, voltò lo sguardo ed esaminò attentamente tutto il locale. Nulla faceva pensare ad un’aggressione, ma l’ipotesi non si poteva escludere con certezza.

    Mentre attendeva l’arrivo dell’autoambulanza, prese la borsetta della ferita e la aprì coprendosi la mano con la sciarpa di chiffon, per non cancellare eventuali impronte: dentro rinvenne un mazzo di chiavi, un pacchetto di fazzolettini, un rossetto, un portafoglio contenente tra l’altro circa 200 euro, una patente di guida a nome di Enrica Degault ed una contromarca del guardaroba del teatro.

    Con ogni probabilità le è venuto un infarto: però che strano rifletté è lei e non è lei... vedremo se i dati che mi porterà Silvia potranno essere d’aiuto.

    Era indecisa se richiedere o meno l’intervento della polizia giudiziaria: non c’era niente che facesse pensare ad una rapina o ad un’aggressione. Tuttavia un esame superficiale della scena non era sufficiente perché, a volte, quelli che sembravano incidenti casuali si rivelavano invece atti criminali.

    L’arrivo del personale del 118 interruppe le sue riflessioni. Il medico, che conosceva di vista il Sostituto Procuratore, le strinse la mano e scambiò alcune battute, annotando su un foglio le notizie che lei gli fornì sulla vittima; quindi, in un silenzio irreale, la donna fu soccorsa, sistemata in barella, portata fuori dall’uscita di emergenza e caricata sull’ambulanza, che si allontanò a sirene spiegate. Silvia fu veloce a chiudere il portoncino laterale. I folti tendoni proteggevano la tranquillità della rappresentazione e all’interno del teatro il pubblico, ignaro, seguiva l’opera: nessuno sembrava essersi accorto dell’accaduto.

    Comparve a questo punto un dirigente del teatro: un uomo alto, magro e con folti capelli grigi che, sudando copiosamente, si passava un fazzoletto sulla fronte lucida.

    – Che terribile situazione!

    – Sì, un doloroso incidente – commentò lei, laconica, rivolgendo nello stesso tempo a Silvia uno sguardo interrogativo.

    – L’abbonamento è a nome di Verdiana Degault – le comunicò quella sottovoce, mentre il nuovo arrivato sfogava il suo malcontento con l’altra maschera. – Non ci sono altre persone della famiglia in sala, con quel cognome esiste un solo abbonamento.

    – Verdiana? Sulla patente che aveva in borsetta c’è scritto Enrica. Ecco perché stasera mi sembrava un’altra – rifletté la Sperinelli a voce alta. – Sono due persone diverse, ma si chiamano entrambe Degault. Considerando che hanno lo stesso cognome e si somigliano parecchio, direi che sono sorelle.

    Silvia l’ascoltava con grande attenzione ma il dirigente, che sembrava preso da una sorta di frenesia, tornò a rivolgerle la parola con accento drammatico, facendosi ancora più vicino e roteando gli occhi.

    – Un morto nel mio teatro! Che cosa orribile!

    – Un morto? – si stupì Ludovica – La signora è soltanto ferita.

    – E che ne so io? Ma, mi raccomando, non se ne deve parlare in giro! È stato solo un incidente, la colpa non è di nessuno, mi sembra chiaro... ma poi, scusi, lei chi è?

    – Credevo glielo avessero detto, sono il Sostituto Procuratore Sperinelli – rispose lei tendendogli la destra.

    – Oddio, mi perdoni, non so come ho fatto a non riconoscerla, dopo tutte le volte che ho visto la sua foto sui giornali – si scusò l’uomo sbiancando in volto. – Io sono il cavalier professor Saverio Parodi, vicedirettore del teatro – riprese con sussiego, abbozzando un inchino e stringendole la mano.

    Il magistrato sorrise fra sé notando come quel tizio, nonostante l’evidente imbarazzo, le avesse snocciolato tutti i suoi titoli. – Mi spiace dirglielo, ma ritengo opportuno richiedere l’intervento dei Carabinieri.

    L’uomo faticò a rispondere, tanto era sopraffatto dagli eventi, e sentendo parlare di Carabinieri, sembrò vacillare.

    – È proprio necessario?

    – Sì. Tutto sembra indicare che si è trattato di un incidente, ma vorrei esserne certa.

    In quel momento si sentì il rumore di un applauso e tutte le luci si accesero. Evidentemente l’opera era terminata. Di lì a poco il pubblico iniziò a sciamare nei corridoi per raggiungere l’uscita. Ignorando le domande e le proteste del nuovo arrivato, Ludovica si ritirò in un cantuccio e compose il numero di cellulare di Francesco Mancini, maresciallo dei Carabinieri, da diversi anni suo braccio destro in molte indagini importanti. Quando il sottufficiale rispose, gli spiegò brevemente l’accaduto, pregandolo di raggiungerla non appena possibile, dopo di che rimase ad attenderlo nel vano laterale del corridoio antistante la toilette.

    Il vicedirettore per fortuna era scomparso, e di questo fu contenta, poiché si era rivelato una persona nervosa e inconcludente. Nell’attesa, si bilanciò ora sul piede destro ed ora sul sinistro, per cercare di dare sollievo alle caviglie. Ancora una volta la passione per i tacchi alti l’aveva tradita.

    L’eco dei commenti degli ultimi spettatori era appena svanito quando sentì il rumore di un passo noto che saliva dal foyer alla platea.

    – Buonasera, maresciallo – esclamò, prima ancora che Mancini fosse uscito dalla curva del corridoio.

    – Buonasera dottoressa, come ha fatto a capire che ero io? – chiese lui, giungendo alla sua vista e lanciandole uno sguardo ammirato.

    – Lavoriamo insieme da così tanto tempo, che riconoscerei il suo passo fra mille – sorrise lei. – Mi spiace di averla disturbata di sera.

    – Nessun problema – replicò l’altro, tranquillo – anzi, la sua telefonata è stata provvidenziale, mi ha salvato da una discussione con mia moglie che stava degenerando.

    Lei ridacchiò e lo introdusse nella toilette, indicandogli il punto in cui era stata ritrovata la signora.

    – Non saprei dirle con esattezza che cosa non mi convince, ma ho la sensazione che non si sia trattato di un incidente e, visto che sono di turno io, preferisco essere tranquilla.

    Mancini inclinò la testa da un lato, guardandola incantato. Era così bella quando si animava, quando era presa da un’improvvisa ispirazione e gli occhi le brillavano. Avrebbe voluto dirle che era felice che gli avesse telefonato, che gli bastava essere lì solo con lei, ma si fermò in tempo e si obbligò ad ascoltare le indicazioni operative che il magistrato gli forniva.

    – Non perda tempo, per cortesia, chiami i suoi colleghi e procedete ai rilievi necessari: cerchiamo di sfruttare la golden hour, l’ora d’oro nella quale è possibile

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