Il treno
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Info su questo ebook
Miriam Marino pubblica il suo primo romanzo, Non sparate sul pianista, nel 1978. Il libro riscuote un certo successo ma resterà l’unica pubblicazione dell’autrice per lunghi anni. La Marino torna infatti a scrivere solo negli anni ‘90, stimolata anche dal suo impegno culturale in un’associazione di arte contemporanea. Numerosi sono i suoi contributi in libri collettivi, pubblicazioni di poesia e piccoli saggi. Ad oggi ha all’attivo tre raccolte di racconti (Gabbie, 2009; Festa di rovine, 2012; Palestina terra di miracoli, 2016), un romanzo (Macerie, 2014, Città del sole), una raccolta di articoli (Handala, Stelle Cadenti, 2008) e uno studio sulla doppia resistenza delle donne palestinesi all’occupazione e al patriarcato dagli anni ‘20 ad oggi (Con le unghie e con i denti, Redstarpress, 2017). Questi libri sono stati presentati in tutta Italia.
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Anteprima del libro
Il treno - Miriam Marino
Miriam Marino
Il treno
© 2021 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it
ISBN 979-12-201-0718-1
I edizione marzo 2021
Finito di stampare nel mese di marzo 2021
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
Il treno
I.
In una fredda notte d’inverno, mentre una pioggerella fitta e insistente inumidiva perfino i pensieri dei pochi viaggiatori che, silenziosi, transitavano sulle banchine o aspettavano in fila alla biglietteria, un uomo spinse la porta del caffè della stazione. Si strinse infreddolito nel cappotto di lana. Aveva con sé due borse che apparivano colme e pesanti. Tossicchiò e il respiro gli uscì in una nuvoletta di vapore. Al banco ordinò frettolosamente un caffè. L’uomo era nervoso. Doveva prendere un treno che non poteva perdere per nessuna ragione. Tracannò il caffè in due sorsi e uscì nella nebbia che avvolgeva la stazione come un velo di fumo. Si affrettò a rapidi passi in direzione della banchina. Aveva controllato più volte, per sicurezza, il binario del suo treno e l’orario sul display, sapeva che mancavano pochi minuti. Il treno non lo avrebbe aspettato. Scese con precauzione le scale del sottopassaggio, non poteva permettersi di inciampare, né che un accidente qualsiasi potesse impedirgli di salire su quel treno. Quando risalì la scala per accedere al marciapiede fu colto dall’affanno, le valigie erano pesanti e la scala gli parve infinita. Sulla banchina si accorse che le sue borse non erano chiuse bene. Traboccavano di libri e carte varie, si affrettò con apprensione a spingerle nel bagaglio. Aveva appena terminato tale incombenza che sferragliando sul binario il treno si fermò davanti a lui. Sudato per lo sforzo aprì nervosamente la porta e si catapultò all’interno trascinando le borse pesanti. Si lasciò andare sul sedile con un sospiro di sollievo. Il treno ripartì immediatamente e l’uomo pensò che una volta tanto non c’erano stati ritardi né scioperi improvvisi e di questo fu abbastanza soddisfatto. Era esausto e si addormentò di colpo. Quando riaprì gli occhi un’alba nebbiosa emanava un leggero chiarore che versava timidi raggi all’interno del vagone sonnolento. Ora che si era svegliato notò che quel sedile era piuttosto scomodo. Si accorse che era di legno. Credeva che non esistessero più treni con sedili di tal fatta e ne fu seccato. Il viaggio era lungo e sarebbe arrivato con la schiena a pezzi. Seduto di fronte a lui un altro viaggiatore leggeva tranquillamente il giornale. Il treno procedeva ad un’andatura lentissima e alla mente dell’uomo s’affacciò l’ipotesi di scendere alla prima fermata e prenderne un altro più veloce e più comodo. Non si era informato però del suo percorso e non sapeva a quale stazione sarebbe potuto scendere. Intanto il passeggero di fronte a lui aveva ripiegato il giornale riponendolo in una borsa e l’uomo ne approfittò per domandargli qual era la prima fermata del treno. L’altro lo scrutò per qualche istante con uno sguardo indecifrabile, poi rispose:
«Come, non lo sa? Questo treno non fa fermate, potrà scendere solo al capolinea».
Ne fu sopraffatto. L’irritazione di poco prima si trasformò in una angoscia sottile. Si sentì prigioniero. Ma perché mai aveva preso quel treno? Ricordava di essere stato attanagliato da un’urgenza impellente di fare quel viaggio, ma non riusciva più a rammentarsi quale era la sua meta. Dove pensava di andare? Buio totale nella sua mente colta da una totale amnesia. Cercò di rimanere calmo. Prima o poi se ne sarebbe ricordato, di questo era certo. L’agitazione della partenza, la scomodità del treno e ora la notizia che doveva rimanervi per tutto il suo percorso lo avevano certamente innervosito al punto da provocargli quel vuoto totale. Per distrarsi fece una passeggiata nel vagone. Il treno era incredibilmente silenzioso, non c’erano chiacchierii, né gente che rideva, telefonava o rumoreggiava in alcun modo. La condizione ideale per mettersi a leggere. Gli piaceva leggere in treno, ma quasi sempre era disturbato da voci e rumori. Ora però non era proprio dell’umore giusto. Gettando uno sguardo ai passeggeri notò una donna di mezza età, magra e pallida, che se ne stava silenziosa con le mani in grembo e lo sguardo assente. Accanto a lei c’era una cesta con dentro degli strani oggetti. Ossia, gli oggetti non erano strani di per sé, ma gli sembrarono incongruenti. Si trattava di un vecchio ferro da stiro, di uno straccio per i pavimenti tutto strizzato e di un paio di vecchie padelle arrugginite. La donna non si girò nemmeno mentre la osservava, come se fosse profondamente assorta nei suoi pensieri. Continuò la passeggiata e notò un altro viaggiatore. Costui aveva gli occhi chiusi e se ne stava immobile con le palme aperte verso l’alto. Le sue labbra si muovevano leggermente pur non uscendone alcun suono. Indossava uno zucchetto colorato e un gilè sopra un caffettano bianco. Capì che stava pregando. La preghiera dell’uomo era così fervente che non poté fare a meno di pensare a quanto fosse più forte e sincera la fede dei musulmani rispetto a quella dei cristiani, che così spesso vivono la loro religione in modo formale e superficiale. Lui stesso, in gioventù, andava in chiesa non per pregare o sentirsi partecipe della cerimonia della messa, ma per sbirciare le ragazze. Cominciava a sentirsi oppresso da tutto quel silenzio, sembrava che quei passeggeri non respirassero nemmeno per non far rumore. Tornò inquieto al suo posto. Non appena si fu seduto, il suo compagno di viaggio lo informò che stava per passare il controllore. L’uomo si frugò nelle tasche per cercare il biglietto.
«Ma cosa sta facendo?» lo interrogò l’altro. Lo guardò perplesso e questi aggiunse:
«Il controllore non vuole vedere il biglietto, ma i bagagli».
«E perché mai?» chiese.
Si ricordava di aver visto alla stazione dei poliziotti in borghese, accompagnati da un cane. Sicuramente stavano cercando qualcuno in possesso di droga.
«Stanno cercando la droga?» domandò.
Però gli sembrava strano che quel servizio lo svolgesse un controllore.
«Non la droga, vuole esaminare i bagagli per controllarne il contenuto» rispose il suo vicino.
Che senso aveva controllare i bagagli in treno? Non ci capiva più niente, ma una paura strisciante del giudizio del controllore sul suo bagaglio lo fece rabbrividire. Il suo compagno di viaggio notò la sua apprensione:
«Stia tranquillo» lo rassicurò, «lei non ha niente da temere, il suo bagaglio è in regola».
In regola? Come doveva essere un bagaglio per essere in regola? E come faceva quest’uomo ad esserne così sicuro? Aveva forse sbirciato nelle sue borse? Nel silenzio inviolato del treno si sentirono risuonare i passi pesanti e lenti del controllore. Mano a mano che si avvicinava il disagio del poveretto cresceva sfociando in una conclamata paura. Ma prima di giungere a lui il controllore si fermò nello scompartimento della donna che aveva osservato poco prima. Non lo vedeva ancora ma se lo immaginò con uno sguardo severo e una mole possente. Sentì che stava rimproverando aspramente la donna. Il suo bagaglio non gli era piaciuto, non era in regola. Ora toccava a lui, avrebbe voluto scomparire. Tremando chiese al suo vicino:
«Adesso la farà scendere?».
Costui abbozzò un sorriso divertito.
«Scendere? Qui non scende nessuno, signore mio, non prima di essere arrivati al capolinea».
Quando la sagoma del controllore si parò davanti a lui, si sentì mancare il cuore. Egli era davvero un uomo alto e possente, la sua faccia squadrata aveva un’espressione dura e severa e i suoi occhi denunciavano una spietatezza senza appello. Lo scrutò come se volesse leggergli fino in fondo all’anima e stanare ogni piccola mancanza che vi era riposta. In quel momento, sotto quello sguardo, il malcapitato si pentì perfino di essere nato. Quando fece scorrere la lampo delle sue borse per esaminarne il contenuto, il poveretto si sorprese a mormorare: Dio mio aiutami!
e non pregava da quando era piccolo e la mamma lo obbligava a inginocchiarsi davanti al suo lettino e recitare il Padre nostro
o dio sa cosa, prima di mettersi a dormire. Per dominare l’ansia si assentò da se stesso, rimanendo sospeso nel nulla. Come da lontano o in un sogno, sentì la lampo della chiusura della borsa che si richiudeva. Ora sarebbe tuonato il giudizio. Ma il controllore non proferì verbo, girò le spalle e si allontanò. Il suo compagno di viaggio ridacchiò:
«Ha visto che avevo ragione? Non le è stata trovata alcuna mancanza, il suo bagaglio è a posto, come le avevo detto».
Il treno aveva aumentato la velocità e procedeva sempre più speditamente. L’uomo aveva ripreso coraggio dopo l’ispezione del controllore e si sorprese a pensare: Va tutto bene
. Si accorse che ora il treno quasi volava sui binari. Pensò: Meno male, sta recuperando il ritardo
. Quando però guardò fuori dal finestrino rimase allibito. Il treno volava sopra un abisso. Non se ne scorgeva il fondo e l’uomo considerò atterrito l’ipotesi che potesse precipitare con tutto il suo carico umano giù nel precipizio. Si trovavano così in alto che sfioravano le nuvole, le vedeva venirgli incontro, il treno ci entrava dentro, era come essere in aereo. Guardò il passeggero di fronte a lui per leggere sul suo viso la sua stessa apprensione, ma questi si era rimesso a leggere tranquillamente il giornale e non faceva mostra di paura alcuna. Si alzò nervosamente dal suo posto per andare a vedere cosa facevano gli altri viaggiatori. La donna che era stata redarguita dal controllore sembrava terrorizzata. Tentò di parlarle, ma costei non lo sentì nemmeno, era agghiacciata dalla paura. Andò a vedere cosa faceva il musulmano. Lo vide pregare sempre più fervidamente, con gli occhi chiusi, e la sua preghiera si faceva più intensa di minuto in minuto. Notò che il suo viso appariva più scavato e più pallido. Nessuno di quei due gli dava retta e si inoltrò nel vagone alla ricerca di altri passeggeri con cui parlare e condividere la sua angoscia. All’improvviso nel treno scese il buio totale. Aveva rallentato fin quasi a fermarsi. In quelle tenebre l’uomo si sentì sempre più a disagio, ma si impose di mantenere la calma, erano certamente entrati in una galleria. Che razza di treno!
pensò, non si accendono nemmeno le luci quando entra in galleria
. La galleria sembrava non dovesse mai finire. Era rimasto fermo, aggrappato al finestrino, incapace di muoversi in quel buio profondo e totale. Pensò a come dovevano sentirsi i ciechi, in un mondo privo di appigli e di orientamento. Ci sentiamo tanto sicuri di noi
pensò, e poi basta un po’ di buio a disorientarci completamente, a sospendere tutti i nostri parametri, a perdere tutte le nostre sicurezze. Al buio non sappiamo neppure più chi siamo
. Da quanto tempo era lì fermo aspettando che il treno uscisse dalla galleria? Non avrebbe saputo dirlo, ma potevano essere ore. Si sentì stanco e sopraffatto e desiderò di non aver mai preso quel treno. Già, ma perché lo aveva preso? Continuava a non ricordare. Poco a poco dal buio cominciarono a emergere dei ricordi. Ma erano ricordi molto lontani nel tempo. Ora vedeva se stesso bambino, era sdraiato su un prato con il naso in su a guardare le stelle. Il prato del giardino di casa sua. Percepì i suoi pensieri di allora: Cosa c’è in questo universo immenso? Quanti mondi ci sono? Quali creature li abitano?
. Ricordò come gli girava la testa quando pensava all’incommensurabile spazio dell’universo, alla velocità con cui si espandeva e alla rapidità del movimento degli astri dentro di esso. Si rivide mentre annunciava solennemente alla mamma che stava lavando i piatti in cucina: Mamma io sarò un astronomo!
. Certo
aveva risposto lei, ma ora fila a fare i compiti
. E invece sono diventato un bibliotecario
sorrise tra sé. Ma non importa, ho passato la vita tra i libri ed essi mi hanno fatto viaggiare con l’immaginazione, mi hanno aperte finestre su realtà varie, complesse e profonde, mi hanno conferito l’esigenza di non arrendermi mai alla banalità e allo status quo. I libri sono stati la mia vita. Non sono stato felice, ma è stata una buona vita
. Una lacrima scese a rigare il suo volto, ma era dovuta allo struggimento del ricordo. E i ricordi continuavano ad aprirsi un varco nel buio. Ora era all’università. Stava andando a fare un esame, ma nella sua testa c’erano altri pensieri. Suo padre gli aveva trovato un impiego in banca. Era un buon posto e lo stipendio era ottimo. Quello che stava per fare era l’ultimo esame, aveva già finito la tesi, perciò era tempo di entrare nel mondo del lavoro. Ma lui pensava con angoscia a come avrebbe passato le sue giornate alla banca, un mondo che gli era del tutto alieno. Non voleva addolorare suo padre con un rifiuto, ma non riusciva a pensare a se stesso in una banca. Il conflitto lo lacerava. Non sapeva come uscirne e pensò perfino di prendere tempo rispondendo male all’esame. Ma così non fu. Era troppo preparato e troppo onesto per mistificare. Povero ragazzo!
pensò di se stesso. Quanto mi è costato quel rifiuto!
e si rivide mentre, afflitto ma determinato, comunicava la sua decisione a suo padre: non sarebbe entrato in banca. Trovò un lavoro da bibliotecario, molto meno remunerato e molto meno sicuro. Suo padre non riuscì mai a perdonarglielo.
Preso dall’emozione dei suoi ricordi non si era neanche accorto che il buio si era diradato e che il treno era uscito dalla galleria. A un tratto una luce nebbiosa ma abbagliante gli ferì gli occhi. Si rese conto che era passato davvero tanto tempo da quando aveva avuta l’esigenza di cercare un compagno di viaggio per comunicare e scambiare con lui le impressioni su quel viaggio angosciante. Ora si sentiva calmo e tutto quello che voleva era continuare a pensare alla sua vita. Però si accorse che l’intensità di quel momento era trascorsa. Non aveva voglia di tornare al suo posto, il vicino non era un buon interlocutore e ogni volta che parlava lo metteva a disagio, perciò pensò di continuare a perlustrare il vagone. Gettò uno sguardo in un altro scompartimento e vide un’intera famiglia: madre, padre e due bambini. La donna sedeva in mezzo ai due piccoli e li teneva per mano. L’uomo era di fronte a lei. Tutti e quattro sembravano pietrificati ma l’uomo aveva sul volto un’espressione di disperato smarrimento, di incredulità, una sbigottita domanda sospesa. Stava per rivolgergli la parola, ma si avvide che egli era completamente assente, con quella desolazione scolpita sul volto. Proseguì verso lo scompartimento successivo. Qui vide un uomo molto anziano. Si era addormentato stringendo a due mani il bastone che aveva davanti a sé. Il suo viso era sereno e un lieve sorriso gli increspava le labbra come se il sogno gli prefigurasse un meraviglioso mondo a venire. Gli sembrò un delitto svegliare una persona che sorrideva nel sonno. Il vagone era finito, non c’erano altri passeggeri e dovette tornare al suo posto. Non appena si fu seduto il viaggiatore di fronte a lui, che non si era mai mosso in tutto quel tempo, abbassò il giornale e lo apostrofò con severità:
«Perché non la smette di andare avanti e indietro e a importunare gli altri passeggeri?».
Ne fu sorpreso.
«Non ho nemmeno rivolto loro la parola!» rispose.
«Già, ma li ha disturbati. Questa gente ha bisogno di essere lasciata in pace!».
Detto questo rialzò il giornale e continuò a leggere. Mortificato e basito, l’uomo si accorse di aver già visto la pagina del giornale che aveva di fronte e che non poteva fare a meno di vedere. Capì che il suo compagno di viaggio leggeva sempre la stessa pagina. Non legge veramente
pensò, è solo per darsi un contegno
.
A un tratto scorse nel corridoio una ragazza affacciata al finestrino. Come mai non l’aveva vista prima? Rallegrato da quella scoperta si alzò per andarle a parlare.
«Buongiorno».
La giovane si voltò verso di lui. Aveva un