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The Timeless Warrior - Il Guerriero Senza Tempo
The Timeless Warrior - Il Guerriero Senza Tempo
The Timeless Warrior - Il Guerriero Senza Tempo
E-book176 pagine2 ore

The Timeless Warrior - Il Guerriero Senza Tempo

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Info su questo ebook

Anno 2035. Dublino è sotto il governo oppressivo e censore dell'Alleanza, nonostante i tentativi di ribellione del movimento New Era. La separazione con la moglie Katrine spinge Andrej, impiegato delle poste depresso e scontento della propria vita, a tentare il suicidio. Un incontro misterioso gli farà cambiare idea, prima di scoprire di essere malato. Solo l'amore di Helen e la sete di vendetta contro l'Alleanza riusciranno a spingerlo verso un'ultima, grande impresa.
LinguaItaliano
Data di uscita16 apr 2015
ISBN9788891182524
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    Anteprima del libro

    The Timeless Warrior - Il Guerriero Senza Tempo - Davide Cuccato

    Copyright (c) Cuccato Davide | Tutti i diritti riservati all’Autore

    Titolo | The Timeless Warrior - Il Guerriero Senza Tempo

    Autore | Davide Cuccato

    Prima edizione digitale 2015

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    Sito ufficiale: www.davidecuccato.it

    THE TIMELESS WARRIOR

    IL GUERRIERO SENZA TEMPO

    Davide Cuccato

    Prologo

    Smisi di scappare. Ansimando, mi appoggiai sulle mie stesse ginocchia. L’odore della foresta mi rassicurava, ma il buio mi metteva ansia. Tutto intorno a me era nero. Per terra vi erano solo fango e foglie bagnate. Ogni tanto, in mezzo agli alberi dai grossi tronchi, vedevo qualche strano arbusto che aveva una forma familiare, eppure non ricordavo di essere mai stato lì. Mi ero perso, la vista annebbiata non aiutava a trovare la strada giusta. I riflessi della Luna illuminavano le foglie degli alti alberi, che nascondevano il cielo buio.

    Caddi a terra, esausto. Affondai le dita nella terra fredda e umida, guardandomi attorno spaventato. Ero sporco, stanco e affamato, altro non sapevo. Avevo corso per chilometri ormai, ma non potevo ancora ritenermi al sicuro. Ogni cespuglio che guardavo, ogni albero che passavo, ogni buca che saltavo, mi sentivo osservato, come se fossi in mezzo ad una piazza colma di gente sconosciuta. Il luogo in cui mi trovavo restava un mistero. La mia stessa coscienza mi era avversa. Non sapevo da cosa stavo scappando, non sapevo dove stavo andando, non sapevo perché mi trovavo lì. Cominciai a guardarmi attorno, alla ricerca di qualcosa che mi facesse capire dov’ero. Il sangue scuro mi sporcava le dita. Chi avevo ucciso? Non riuscivo a ricordare. Avevo impressa nella mente l’immagine di un uomo mentre tentava di ribellarsi, di togliermi il coltello di mano. Dovevo tornare in città, qualcuno mi stava seguendo. Inciampai su di un ramo, udii delle foglie muoversi dietro a me. Con la faccia piena di fango, le gambe deboli e stanche, guardai in avanti con la speranza di chi non ha niente da perdere. Avevo fatto la mia scelta, non potevo tirarmi indietro. Mi rialzai e corsi avanti, senza voltarmi. Continuavo a chiedermi perché avevo fatto tutto questo, molta gente era morta per colpa mia. Però non potevo fermarmi, dovevo finire ciò che avevo cominciato.

    18 giorni

    Ciao Andrej,

    non avrei mai creduto che un giorno avrei potuto scriverti una lettera del genere. Per me è dura impugnare la penna e mettere per iscritto queste parole. Sono stati sette anni fantastici, durante i quali non mi hai mai fatto mancare nulla. Sei una brava persona e spero che riuscirai ad avere una vita felice, lo farai senza di me però. Sei cambiato, non ti riconosco più. Quando ti guardo non vedo più l’uomo che ho sposato, e non credo che la situazione possa cambiare. Ho incontrato una nuova persona, con cui sto bene e mi sento amata. Lo conosci, poiché lavora nel tuo stesso ufficio ed è un tuo collega, oltre che un tuo amico. È Frank, che durante questo periodo mi ha fatto sentire di nuovo una donna, quando tu pensavi di più al lavoro che a me. Ora io mi sono trasferita a casa sua. Mi dispiace per tutto, Andrej. Spero che tu possa trovare la felicità da qualche parte.

    Addio

    Stringeva la lettera tra le mani: gli occhi gonfi di lacrime e il sorriso amaro esternavano tutta la sua debolezza, la fragilità che voleva tenere nascosta agli altri. Faceva sempre il duro, l’uomo vissuto, ma solo quando era con gli altri. Per smontare tutta la sua impalcatura era bastato un pezzo di carta, segnato con una calligrafia tremolante, di una persona che sa di aver scritto la verità ma ha paura della reazione del destinatario. Un sussulto lo colse all’improvviso, il viso del mittente di quella lettera appariva nitido nella sua mente. Ricordi felici gli scorrevano davanti come un film; era uno spettacolo già visto e rivisto: piacevole e doloroso allo stesso tempo. Un film di quelli che già dal primo minuto hai le lacrime, perché sai che l’attore principale sei tu. Guardi te stesso mentre commetti gli sbagli più grossi della tua vita, ma non puoi farci niente se non piangerti addosso. Tutto ciò è già stato scritto, detto, fatto: è così, non lo cambierai mai e lo sai. Vorresti non averlo mai vissuto.

    Vorresti morire.

    Una cameriera batté leggermente la spalla di Andrej.

    «Signore, stiamo per chiudere.»

    Alzò gli occhi gonfi e stanchi, la cameriera vedendolo fece una smorfia di disgusto e se ne andò via verso gli altri tavoli. Lei non poteva capire, era troppo giovane.

    Bevve l’ultimo sorso di caffè rimasto nella tazza, come se stesse buttando giù una medicina necessaria poi poggiò le mani sul tavolino di legno e rimase per qualche istante a guardare il muro grigio davani a sé; prese e si diresse verso la cassa.

    Diede una banconota da dieci dollari alla cassiera bionda: anche se era solito prendere il caffé lì, non l’aveva mai vista prima di allora. Con fare disinvolto, prese il resto e se ne andò senza salutare, tenendo lo sguardo basso. Si diresse verso l’uscita, in modo frettoloso e poco consono al luogo dove si trovava. Al suo passaggio, qualche giovane signorina aveva alzato la testa, incuriosita da quel signore dai modi tanto bruschi, quanto stranamente eleganti. Nonostante non fosse più un ventenne, faceva ancora la sua bella impressione. Probabilmente era per il suo modo di fare, di camminare. Gettò una rapida occhiata alle sue spalle, giusto per vedere quante persone stessero ancora pranzando. Il ristorante era quasi pieno, nonostante la qualità del cibo non fosse eccelsa. A pochi passi dal bancone, ruotò leggermente il volto per vedere meglio le copertine dei quotidiani. Senza volerlo, urtò una giovane nonché graziosa signorina.

    «Stia attenta a dove cammina!», rispose lui, aggrottando le sopracciglia.

    Lei si scusò in modo molto gentile, mostrando i suoi grandi occhi castani con naturalezza e innocenza. Andrej esitò un attimo, colto di sorpresa dalla gentilezza della ragazza. Nel suo volto apparve un abbozzo di sorriso, appena percettibile. Per un istante ebbe l’intenzione di parlarle, voleva trovare una scusa per continuare a guardarla. Alzò le mani e le rigirò, come a cercare di nuovo un contatto con la realtà. Tornò serio e si diresse verso l’uscita, senza degnarla nemmeno di uno sguardo.

    Prima di toccare la maniglia incrostata della porta, fu bene accorto nel prendere un fazzoletto bianco per pulirla. Uscì dal ristorante con un passo svelto, attento a non pestare la macchia grigia che c’era davanti al tappeto d’entrata. Solo allora si accorse che la giacca che indossava era troppo leggera per il clima rigido di novembre. Era il 26, mancavano solo quattro giorni a dicembre. Una folata di vento gelido gli fece venire un brivido in tutto il corpo. Nel muro del palazzo davanti a lui, scritto con una bomboletta di vernice verde, a grandi caratteri, vi era una scritta.

    We’re New Era, We’re coming.

    Non aveva mai letto prima di allora quella frase, non sembrava qualcosa che avesse a che fare con la propaganda dei governanti del distretto. Preoccupato, estrasse dalla tasca un piccolo orologio color platino. Si poteva ben vedere, sul quadrante, una A rovesciata color rosso sangue: era lo stemma dell’Alleanza. Ogni qualvolta che si guardava quello stemma ci si sentiva deboli, sottomessi. Ebbe un sussulto: erano le otto e dieci. Aveva soltanto venti minuti per attraversare il centro città ed andare al lavoro. Se fosse arrivato un’altra volta in ritardo lo avrebbero licenziato. Affondò il mento nel cappotto e si avviò, evitando la folla di gente che nel frattempo si era creata nel marciapiede. Arrivato alla stazione di corsa, fece appena in tempo a prendere il tram. Quest’ultimo era il mezzo di trasporto più utilizzato in assoluto, visto che possedere un’auto propria era un lusso che pochi si potevano permettere. Il combustibile utilizzato dal tram era una sostanza prodotta attraverso una complessa lavorazione del mais, ad opera di una ignota società proprietaria di vaste distese di campi a qualche chilometro di distanza dalla città. La metropolinana sotterranea era meno utilizzata per via della criminalità elevata all’interno della stessa: non erano rari infatti casi di furto di vario genere per chi decideva di utilizzarla.

    Negli uffici delle poste di Dublino erano tutti indaffarati a catalogare, controllare e spedire le lettere che centinaia di persone si inviavano ogni giorno. Era un palazzo di circa cinquanta piani, ognuno dei quali si occupava di una tipologia diversa di lavoro, chi controllava, chi gettava, e infine, chi denunciava le lettere ritenute sospette.

    Lavorava al trentasettesimo piano, quello che si occupava di controllare le buste personali. I muri bianchi e anonimi, le vetrate sporche e rovinate, il pavimento di marmo bianco: era questo il luogo in cui Andrej passava gran parte della sua giornata. Tutto terribilmente spento, monotono. Era un piano affollato, nelle ore di punta si faticava ad alzarsi e andare a parlare con i colleghi. Da pochi giorni i Media avevano diffuso la notizia di una possibile contaminazione proveniente dalla Russia. Tutti erano preoccupati, a parte chi aveva accesso al Reparto Notizie. Lì sapevano perfettamente che la notizia era falsa, visto che l’avevano scritta loro sotto ordine della società farmaceutica dell’Alleanza. Dovevano essere venduti i vaccini prodotti in eccesso in precedenza, e così veniva usata la paura per rendere quelle inefficienti siringhe preziose come l’oro. Andrej faceva parte di quel reparto, aveva soltanto captato qualche frase mentre era andato a consegnare delle fotocopie al suo interno.

    La preoccupazione per questa notizia si poteva vedere nelle lettere, che contenevano paura e alle volte addirittura dei sintomi. Venivano analizzate tutte le lettere, se qualcosa risultava sospetta venivano immediatamente segnalate. Era sospetta ogni cosa andasse contro il regime di governo. Qualsiasi frase detta dai rappresentanti del governo era legge. Ovviamente i diretti interessati, il mittente e il destinatario, non avevano idea che tutto ciò che inviavano venisse attentamente analizzato, schedato ed eventualmente denunciato.

    Andrej, dopo essersi soffermato per qualche istante ad osservare disgustato due suoi colleghi che ridacchiavano leggendo una lettera d’amore, s’incamminò verso la sua postazione: una scrivania di colore azzurro, costruita con freddo metallo e verniciata di un orribile colore frapposto tra l’azzurro e il grigio. Sopra di essa, una lampada da lettura di un colore verde acceso catturava l’attenzione di chiunque la guardasse. La scrivania era piena di buste da correggere. Ne prese in mano una, e la aprì con attenzione. La carta era scadente, l’unica che l’Alleanza permettesse di usare; per ottenerla bisognava recarsi dentro il Reparto Relazioni, che si trovava all’interno delle Poste del distretto, e poi scriverla direttamente. Ogni tentativo di sottrarre carta veniva considerato come reato. Era scritta con una calligrafia orribile, senza rispettare le righe, vi erano riportati malamente alcuni versi messi uno sopra all’altro che pretendevano di essere una poesia. Inorridito, prese la penna rossa e corresse la lettera. Poi la riscrisse, rispettando tutti gli spazi e le righe. Il destinatario non si accorgeva che tutte le lettere erano state corrette, e nemmeno il mittente. Andrej si era sempre chiesto lo scopo del suo lavoro, se fosse solo quello di migliorare la qualità delle lettere che venivano spedite. Col tempo, riflettendoci, era arrivato alla conclusione che l’Alleanza avesse come obiettivo preciso quello di delegare la capacità di leggere e scrivere correttamente solo a poche persone selezionate.

    Ogni Sabato sera l’Alleanza organizzava una cena, alla quale erano presenti tutti i colleghi di Andrej. Veniva organizzata per promuovere il cibo prodotto in modo artificiale dalle fabbriche dello Stato poste a pochi chilometri di distanza dal centro città, lo stesso che veniva distrubuito in mensa. Molti lo ritenevano disgustoso, ma il costo troppo alto del cibo naturale lo rendeva l’unica opzione per la maggior parte della popolazione. Di solito lui non andava mai a queste cene, preferiva tornarsene a casa. Ma in quel momento non aveva neanche i soldi per permettersi un pasto naturale al ristorante. Decise quindi di andare, più per necessità che per volontà.

    Finalmente arrivarono le sette. Noncurante del lavoro da fare rimasto e delle ventiquattro lettere digitali da correggere rimaste, prese la giacca grigia e uscì.

    Katrine era seduta al tavolo principale, nel posto vicino a Frank. Rideva, sembrava felice. Almeno lei lo aveva dimenticato. Si era lasciata crescere i capelli più lunghi. Sembrava in forma e piena di energie: forse quelle che mancavano ad Andrej se le era prese lei durante il divorzio. Frank era sempre lo stesso: faccione sorridente da porco, camicia sbottonata che lasciava intravedere il petto villoso, e il suo immancabile pizzetto sul mento. Gli pareva che fosse un po’ ingrassato, ma questo a Katrine sembrava non importare molto visto che lo guardava come se fosse l’uomo più bello presente nella sala. Si trovavano all’interno della Sala Riunioni, nel Palazzo accanto agli uffici delle poste. L’ambiente era scarno, pochi quadri raffiguranti i membri dell’Alleanza adornavano le

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