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Poesie
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E-book1.508 pagine16 ore

Poesie

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Info su questo ebook

Questo volume contiene le poesie d’amore ed il poema L’Adone, scritti da Giambattista Marino (1569-1625). L’autore fu un innovatore della poesia del suo tempo, mettendo in discussione i fondamenti del poema classicistico. Nell’Adone la composizione si svolge per successive stratificazioni, con passaggi arditi e inattesi, talvolta funamboleschi, dall’uno all’altro episodio senza alcun nesso logico, con l’unico appoggio di un grandioso tessuto verbale fitto di metafore. Il poema diviene così una “fabbrica delle meraviglie”, volta a produrre una continua sorpresa nel lettore e la poesia intesa come viaggio nell’imprevedibile.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2012
ISBN9788874172016
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    Anteprima del libro

    Poesie - Giambattista Marino

    Poesie

    Giambattista Marino

    In copertina: Sandro Botticelli, Ritratto femminile

    © 2012 REA Edizioni

    Via S. Agostino 15

    67100 L’Aquila

    Tel 0862 717001

    Tel diretto 348 6510033

    www.reamultimedia.it

    redazione@reamultimedia.it

    La Casa Editrice esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi alla presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.

    Indice

    Amori

    1 - Cantatrice crudele

    2 - Poeta che canta

    3 - Chiome sciolte

    4 - Errori di bella chioma

    5 - Rete d'oro in testa della sua donna

    6 - Nel medesimo suggetto

    7 - Lontananza consolata

    8 - Nel medesimo suggetto

    9 - Nel medesimo suggetto

    10 - Anfione di marmo

    11 - Nel medesimo suggetto

    12 - Donna bella e crudele

    13 - Inferno amoroso

    14 - Beltà crudele

    15 - Seno

    16 - Seno

    17 - Occhi

    18 - Occhi

    19 - Occhi

    20 - Occhi

    21 - Occhi

    22 - Sguardo

    23 - Occhi e mammelle

    24 - Bella schiava

    25 - Donna vestita di nero

    26 - Amor secreto

    27 - Gelosia

    28 - Lontananza

    29 - La lontananza

    30 - Sogno

    31 - Sogno

    32 - Sogno

    33 - Giuoco di dadi

    34 - Giuoco di primiera

    35 - Giuoco di pallone. Per una donna

    36 - Giuoco di racchetta. Per la medesima

    37 - Canto

    38 - Bella cantatrice

    39 - Bella cantatrice

    40 - Pianto

    41 - Pianto

    42 - Madonna chiede versi di baci

    43 - Piacere imperfetto

    44 - Nel medesimo suggetto

    45 - Trastulli estivi

    46 - Per la signora N. Vipereschi

    47 - Pendenti in forma di serpi

    48 - Treccia riccamata di perle

    49 - Di Ravenna. Al sig. cavalier Andrea Barbazza

    50 - Al sig. Rafaello Rabbia

    ADONE

    Canto 1

    Canto 2

    Canto 3

    Canto 4

    Canto 5

    Canto 6

    Canto 7

    Canto 8

    Canto 9

    Canto 10

    Canto 11

    Canto 12

    Canto 13

    Canto 14

    Canto 15

    Canto 16

    Canto 17

    Canto 18

    Canto 19

    Canto 20

    Amori

    1 - Cantatrice crudele

    O tronchi innamorati,

    o sassi che seguite

    questa fera canora,

    ch'agguaglia i cigni e gli angeli innamora,

    ah fuggite, fuggite:

    voi prendete da lei sensi animati;

    ella in se stessa poi

    prende la qualità che toglie a voi,

    e sorda e dura, ahi lasso,

    diviene ai preghi un tronco, ai pianti un sasso.

    2 - Poeta che canta

    Qualor sì dolcemente,

    caro Selvaggio, a la mia Lidia avanti

    rime amorose canti

    novo Anfion ti credo e fra me dico:

    s'Amor costei non sente

    or, che sente quel dolce

    cantar che l'aria molce,

    pietra non è, che s'ella fusse pietra

    senso torria da sì soave cetra.

    3 - Chiome sciolte

    Mentre ch'al'aureo crine

    il vel madonna toglie

    e le chiome divine

    per maggior pompa al sol tepido scioglie,

    Amor le fila accoglie

    e d'esse in mille modi

    tesse al mio cor le reti, ordisce i nodi,

    ch'avolto grida in sì ricco lavoro:

    O che bella prigion, tra lacci d'oro.

    4 - Errori di bella chioma

    O chiome erranti, o chiome

    dorate, innanellate,

    o come belle, o come

    e volate e scherzate:

    ben voi scherzando errate

    e son dolci gli errori,

    ma non errate in allacciando i cori.

    5 - Rete d'oro in testa della sua donna

    Porta intorno madonna

    lacci a lacci aggiungendo ed oro ad oro,

    d'aurea prigion l'aurea sua chioma avolta.

    Alma libera e sciolta

    fra quel doppio tesoro

    ove n'andrai, che non sii presa alfine,

    s'ella ha rete nel crine e rete è il crine?

    6 - Nel medesimo suggetto

    Dal zoppo genitore

    appreso hai forse l'arte

    d'ordir le reti, industre fabro Amore?

    Ecco le trecce bionde,

    pur dianzi al'aura sparte,

    ricca rete gentil lega ed asconde.

    Ma se' mastro migliore

    (sannol tua madre e Marte)

    ed han le reti tue forza maggiore:

    quelle stringono il corpo e queste il core.

    7 - Lontananza consolata

    Vita mia, di te privo,

    sai tu com'io son vivo?

    Poiché mi manca il vero

    ti formo col pensiero

    e ti parlo e t'adoro

    e mirando l'imagine non moro.

    8 - Nel medesimo suggetto

    Mentre lunge ti stai

    da me, dolce ben mio,

    o bel ritratto che di te serb'io!

    Questo ognor, se nol sai,

    vaneggiando vagheggio,

    vagheggiando vaneggio.

    Qual la pittura sia, chi sia 'l pittore

    forse cercando vai?

    L'imagine se' tu, la tela il core,

    il pennello lo strale, il fabro Amore.

    9 - Nel medesimo suggetto

    Or che da te, mio bene,

    Amor lunge mi tiene, il pensier vago

    spesso innanzi mi pon l'amata imago.

    E qual ape ingegnosa,

    quindi un giglio talor, quinci una rosa

    scegliendo a suo diletto,

    rappresentar mi sole

    ne le più belle forme il caro oggetto;

    e spesso mostra al cor, ch'egro si dole,

    la tua beltà nel Ciel, gli occhi nel Sole.

    10 - Anfione di marmo

    Quel musico tebano,

    lo cui soave canto

    ale pietre diè vita,

    or son di pietra imagine scolpita.

    Ma benché pietra, io vivo, io spiro, e 'ntanto

    così tacendo io canto.

    Or ceda ogni altra il pregio ala tua mano,

    fabro illustre e sovrano,

    poich'animar la pietra

    sa meglio il tuo scarpel che la mia cetra.

    11 - Nel medesimo suggetto

    Non è di vita privo,

    non è di spirto casso

    quest'Anfion di sasso,

    anzi sì vive e spira

    che, se 'l plettro movesse insù la lira,

    quand'ei non fusse vivo,

    la sua stessa armonia

    avivar lo poria.

    12 - Donna bella e crudele

    Amor, com'esser può che per mia doglia

    chiuda un tenero seno anima alpina?

    Com'è che si nasconda e si raccoglia

    mente infernal sotto beltà divina?

    Sì bella guancia con sì cruda voglia

    sembra cinta di fior tana ferina;

    sì fero core in sì leggiadra spoglia

    è qual vipera in rosa o rosa in spina.

    Chi crederà che Morte empia si celi

    in angelico sguardo? e che 'n un riso

    dolce il pianto e 'l dolor si copra e veli?

    Potrò ben dir, s'un mansueto viso

    esser ministro dee d'opre crudeli

    ch'abbia ancor le sue Furie il Paradiso.

    13 - Inferno amoroso

    Donna, siam rei di morte. Errasti, errai;

    di perdon non son degni i nostri errori.

    Tu, ch'aventasti in me sì fieri ardori;

    io, che le fiamme a sì bel sol furai.

    lo, ch'una fera rigida adorai;

    tu, che fosti sord'aspe a' miei dolori.

    Tu nel'ire ostinata, io negli amori.

    Tu pur troppo sdegnasti, io troppo amai.

    Or la pena, laggiù nel cieco Averno,

    pari al fallo n'aspetta. Arderà poi

    chi visse in foco, in vivo foco eterno.

    Quivi (s'Amor fia giusto) amboduo noi

    al'incendio dannati, avrem l'inferno:

    tu nel mio core, ed io negli occhi tuoi.

    14 - Beltà crudele

    E labra ha di rubino

    ed occhi ha di zaffiro

    la bella e cruda donna ond'io sospiro.

    Ha d'alabastro fino

    la man che volge del tuo carro il freno,

    di marmo il seno e di diamante il core.

    Qual meraviglia, Amore,

    s'a' tuoi strali, a' miei pianti ella è sì dura?

    Tutta di pietre la formò natura.

    15 - Seno

    O che dolce sentier tra mamma e mamma

    scende in quel bianco sen, ch'Amor allatta!

    Vago mio cor, qual timidetta damma,

    da' begli occhi cacciato, ivi t'appiatta;

    dal'ardor, che ti strugge a dramma a dramma,

    schermo ti fia la bella neve intatta:

    neve ch'ognor dala vivace fiamma

    di duo soli è percossa e non disfatta.

    Vattene pur, ma per la via secreta

    non distender tant'oltre i passi audaci

    che t'arrischi a toccar l'ultima meta;

    raccogli sol, cultor felice, e taci,

    in quel solco divin (se 'l vel nol vieta)

    da seme di sospir messe di baci.

    16 - Seno

    Da duo candidi margini diviso

    apre quel sen, ch'ogni altro seno aborre,

    con angusto canal, che latte corre,

    una via che conduce in paradiso.

    Non osa alcun, che non rimanga ucciso,

    in quel fonte vital le labra porre,

    ché quinci e quindi alabastrina torre

    guarda in duo vivi scogli Amore assiso,

    e, volando talor spedito e lieve

    su quell'alpi d'avorio, aventa e scocca

    strali di foco involti entro la neve;

    onde, mentr'ivi a un punto ed arde e fiocca,

    con amara dolcezza insieme beve

    assenzio il core e nettare la bocca.

    17 - Occhi

    Occhi, s'è ver ch'uom saggio

    le chiare luci pote

    signoreggiar dele celesti rote,

    a me perché non lice

    posseder voi, voi luminose e belle,

    nate a un parto col sol, terrene stelle?

    Astrologia felice,

    se potessi, baciando un vostro raggio,

    dirvi: "Più non vi temo infausti e rei:

    occhi, voi siete miei".

    18 - Occhi

    Occhi dela mia vita,

    se dentro 'l cor mi state,

    voi pur le fiamme ond'ardo ognor mirate.

    Itene dunque e raccontate a lei

    i gravi incendi miei.

    Deh no, meco restate,

    occhi, però che 'l core

    per voi sol vive e senza voi si more.

    19 - Occhi

    Luci belle e spietate,

    gli sguardi che girate

    o di sdegno o d'amor son sempre eguali:

    omicidi e mortali;

    perché s'altrui mirate

    colme d'ira e d'orgoglio

    uccidete d'affanno e di cordoglio,

    e se pietose ancor vi rivolgete

    di dolcezza uccidete.

    20 - Occhi

    Chi vuol veder, chi vuole

    veder, amanti, al mezzodì più chiaro

    le stelle in fronte al sole,

    venga a mirar del'idolo mio caro

    gli occhi, onde 'l sole ha scorno:

    che portan notte altrui, mentre fan giorno.

    21 - Occhi

    Luci serene e liete,

    ond'ha la luce il sol, l'azzurro il cielo:

    se del zaffiro è naturale il gelo,

    come l'alme accendete?

    O vie più di Neron perfide e felle,

    luci crudeli e belle,

    ch'amor non conoscete

    e con fiamme amorose il mondo ardete!

    22 - Sguardo

    Altra mercè giamai

    ch'esser da voi mirato io non bramai,

    occhi avari e superbi, e voi 'l negaste.

    Al fin pur mi miraste,

    e se turbato il bel guardo sereno

    ver me volgeste, almeno

    pur negar non potete

    che mirato m'avete.

    23 - Occhi e mammelle

    Miro i vostr'occhi belli,

    donna, e rimiro le leggiadre mamme,

    queste di latte e quelli

    fabricati di fiamme.

    Dico poi sospirando in doppia arsura:

    "Non devea por Natura

    per rischiarar da sì sereni poli

    duo mondi di beltà men di duo soli".

    24 - Bella schiava

    Nera sì, ma se' bella, o di Natura

    fra le belle d'Amor leggiadro mostro.

    Fosca è l'alba appo te, perde e s'oscura

    presso l'ebeno tuo l'avorio e l'ostro.

    Or quando, or dove il mondo antico o il nostro

    vide sì viva mai, sentì sì pura,

    o luce uscir di tenebroso inchiostro,

    o di spento carbon nascere arsura?

    Servo di chi m'è serva, ecco ch'avolto

    porto di bruno laccio il core intorno,

    che per candida man non fia mai sciolto.

    Là 've più ardi, o sol, sol per tuo scorno

    un sole è nato, un sol che nel bel volto

    porta la notte, ed ha negli occhi il giorno.

    25 - Donna vestita di nero

    Cinto di fosche e tenebrose bende,

    di nero manto e di funesto velo

    veggio rotar per l'amoroso cielo

    quel sol che solo i miei desiri accende.

    Lo mio cor che da lui virtù sol prende,

    qual fiore oppresso da notturno gelo

    cade languido e more, o quasi stelo

    cui gelid'ombra o fero turbo offende.

    Ed a ragion chi del suo sole ognora

    per la luce vital convien che viva,

    per l'eclisse mortal convien che mora.

    Se sole è del mio cor chi 'l cor m'aviva,

    e 'l mio cor vive sol nel sol ch'adora,

    chi gli offusca il suo sol, di vita il priva.

    26 - Amor secreto

    Ardi contento e taci,

    o di secreto amore

    secretario mio core.

    E voi sospiri, testimoni ascosi

    de' miei furti amorosi,

    che per uscire ador ador m'aprite

    le labra, ah non uscite,

    ch'ai saggi, oimè, del'amorosa scola

    il sospiro è parola.

    27 - Gelosia

    Vecchio importun, che 'l rozzo labro irsuto

    sporgi al labro di lei, ch'io prego invano,

    onde con Citerea sembri Vulcano,

    ed ella par Proserpina con Pluto,

    e mentre curvo e pallido e barbuto

    accosti al bianco sen la rozza mano,

    passero insieme e cigno, ascondi insano

    giovinetto pensiero in pel canuto,

    fuggi, ah fuggi meschin, né tanto possa

    quel desir, che t'innebria i sensi sciocchi

    e che t'empie d'ardor le gelid'ossa.

    Sai ch'alberga la morte in que' begli occhi,

    e tu che 'l piè su l'orlo hai dela fossa,

    in vece di fuggir, la stringi e tocchi.

    28 - Lontananza

    Ove ch'io vada, ove ch'io stia, talora

    in ombrosa valletta o 'n piaggia aprica,

    la sospirata mia dolce nemica

    sempre m'è innanzi, onde convien ch'io mora.

    Quel tenace pensier che m'innamora,

    per rinfrescar la mia ferita antica,

    l'appresenta a quest'occhi e par che dica:

    io da te lunge, e tu pur vivi ancora?

    Intanto verso ognor larghe e profonde

    vene di pianto e vò di passo in passo

    parlando ai fiori, al'erbe, agli antri, al'onde;

    poscia in me torno, e dico: ahi folle, ahi lasso;

    e chi m'ascolta qui? chi mi risponde?

    Miser, che quello è un tronco, e questo è un sasso.

    29 - La lontananza

    È partito il mio bene,

    ho perduto il mio core. Oimè, qual vita

    in vita or mi sostene?

    Lasso, com'è rimaso

    fosco il sol, negro il cielo!

    Il dì giunto al'occaso,

    amor fatto è di gelo.

    Duro partir, che m'hai l'alma partita,

    chi ti disse partire

    devea con più ragion dirti morire.

    O Dio, quel dolce a Dio

    che piangendo mi disse, a cui piangendo

    a Dio risposi anch'io,

    deh, come dala spoglia

    l'anima non divise?

    E come per gran doglia

    la vita non uccise?

    Alma e vita io non ho, poiché, perdendo

    il mio dolce conforto,

    a Dio dirgli ho potuto, e non son morto.

    Morto non sono ed ardo

    lontan dal foco mio, dal caro foco

    di quel celeste sguardo.

    E quanto è men dapresso

    la fiamma ond'io languisco,

    dal grave incendio oppresso

    più moro e 'ncenerisco.

    Il foco, ahi no, che per cangiar di loco

    da me non si disgiunge;

    sol la cagion del foco è da me lunge.

    Tetto, già lieto e fido

    tempio del'idol mio, ciel del mio sole,

    or solitario nido,

    spelunca abbandonata

    di spavento e di morte,

    chiudi, chiudi l'entrata

    dele dolenti porte;

    tenebrosa magion, misera mole,

    cadi pur, cadi, ahi lasso,

    ch'al mio core è saetta ogni tuo sasso.

    Balcon gradito e caro,

    che fosti già di più sereno die

    oriente più chiaro,

    or fatto atro soggiorno

    di notte oscura e mesta,

    serra, deh serra al giorno

    la finestra funesta;

    ché, qualor s'apre a queste luci mie,

    con spada di dolore

    me n'apre un'altra in mezzo al petto Amore.

    Cameretta fedele,

    già pacifico porto e dolce meta

    dele mie stanche vele,

    or che battuto ondeggio

    per l'onde e per gli scogli,

    poiché morir pur deggio

    fra pianti e fra cordogli,

    chi mi cela il mio polo? e chi mi vieta

    che morte e tomba almeno

    non mi dian que' begli occhi e quel bel seno?

    Letto, del mio diletto

    felice un tempo albergo, or del mio duolo

    sconsolato ricetto,

    se sei pur, come sembri,

    di me pietoso tanto,

    poich'accogli i miei membri

    ed asciughi il mio pianto,

    pietà più non chegg'io; cheggioti solo,

    in questa notte oscura,

    che ti cangi di letto in sepoltura.

    Specchio, che ti specchiavi

    nel sol del chiaro volto e nele stelle

    de' begli occhi soavi,

    or di quel lume ardente

    vedovato ed oscuro,

    ben sei cristallo algente,

    anzi diamante duro,

    se per più non stampar luci men belle

    di quelle onde sei privo,

    non distempri il tuo ghiaccio in pianto vivo.

    Candido eburneo rastro,

    non ch'agguagli però dela man bianca

    l'animato alabastro,

    tu che solevi, arando

    i solchi dei bel crine,

    l'oro gir coltivando

    dele fila divine,

    ahi come sono, or ch'ogni ben ti manca,

    i tuoi minuti denti

    sol per mordermi il cor fatti pungenti!

    Acque felici e chiare,

    cui d'esser tributario ebbe più volte

    ambizione il mare;

    in cui vivono ancora

    le faville amorose

    di quel sol che talora

    ne' vostri umor s'ascose;

    deh, perché non struggete, inun raccolte,

    accresciute dal'onde

    dele lagrime mie, l'infauste sponde?

    Aria pura e gentile,

    fatta serena già da sì bei rai,

    non avrai dunque a vile

    ch'altro petto, altro fiato

    di te viva e respiri?

    Terren sacro e beato,

    non sdegni e non t'adiri

    ch'altro men vago piè ti calchi mai,

    quando ancora si serba

    dele bell'orme in te fiorita l'erba?

    Musici arnesi, e voi

    che talor l'angel mio trattar solea,

    dolci trastulli suoi,

    che sua mercé rendeste

    angelica armonia,

    senza la man celeste

    di voi, lassi, che fia?

    Poscia che così vuol fortuna rea,

    omai le vostre tempre

    ché non sciogliete? o non piangete sempre?

    Ma tu perché non torni,

    o sol degli occhi miei?

    Deb, che fai? chi t'accoglie? e dove sei?

    30 - Sogno

    È sogno o ver? Se sogno, ahi, chi depinge

    viva la bella imagine ala mente?

    Come fiamma sì lucida e sì ardente

    gelid'ombra notturna esprime e finge?

    S'è ver, qual lieta stella or la sospinge

    cortese a consolar questo dolente?

    Da qual nova pietà mossa repente

    la sua man mi distende e la mia stringe?

    Questo è pur il mio sol, l'idolo mio;

    è pur la bianca man questa ch'io veggio.

    lo la tocco, io la bacio. lo son pur io.

    Ciò che sei, vero o sogno, altro non cheggio.

    Se sei vero, è già pago il gran desio

    e se sei sogno, io volentier vaneggio.

    31 - Sogno

    In sogno ancora (Amor, che puoi più farmi?)

    gioco mi fai del tuo spietato impero.

    Ecco colei, che già mi sparve, apparmi

    in dolce atto vezzoso e lusinghiero.

    Com'esser può che possa il sonno darmi

    quel che 'n vigilia poi mi nega il vero?

    Che mi conceda or tu quelche mostrarmi

    non ardì mai l'adulator pensiero?

    Ma se ben erro ed insensibil giaccio,

    quanti oggetti più cari il senso formi

    non vaglion l'ombra del'error ch'abbraccio.

    Ahi, ben vegg'io che mentre in grembo a tormi

    viene il riposo ed io gli dormo in braccio,

    vegghia il mio incendio, e tu crudel non dormi.

    32 - Sogno

    Vien la mia donna in su la notte ombrosa

    qual suole apunto il mio pensier formarla

    e qual col rozzo stil tento ritrarla,

    ma qual mai non la vidi a me pietosa.

    "Pon freno al pianto, e pace spera, e posa,

    o mio fedel, che tempo è da sperarla"

    sorridendo mi dice, e mentre parla

    m'offre del labro l'animata rosa.

    Allor la bacio: ella ribacia e sugge;

    lasso, ma 'l bacio in nulla ecco si scioglie,

    e con la gioia insieme il sonno fugge.

    Or qual, perfido Amor, fra tante doglie

    deggio attender mercé da chi mi strugge,

    se i mentiti diletti anco mi toglie?

    33 - Giuoco di dadi

    Stiamo a veder di quante palme adorna

    sen vada, Amor, la man leggiadra e bianca,

    mentre del mobil dado ardita e franca

    travolge i punti e fa guizzar le corna.

    L'aggira, il mesce, il tragge, indi il distorna,

    né d'agitarlo e scoterlo si stanca;

    e dala destra intanto e dala manca

    stuolo aversario e spettator soggiorna.

    Posto è in disparte, al vincitor mercede,

    cumulo d'oro; e variar più volte

    sorte il minuto avorio ognor si vede.

    Felici in sì bell'urna ossa raccolte,

    perché pur ale mie non si concede

    in sì terso alabastro esser sepolte?

    34 - Giuoco di primiera

    Con venti e venti effigiate carte

    (armi del'Ozio) il sol de' miei pensieri

    esercitando gìa fra tre guerrieri

    in domestico agon scherzi di Marte.

    L'accogliean, le spendean confuse e sparte,

    fatti di cieca dea campioni alteri,

    e con assalti or simulati or veri,

    or schernian l'arte, or si schermian con l'arte.

    Quando ver me volgendo il guardo pio

    (e gliele diè di propria mano Amore)

    quattro ne prese il bell'idolo mio.

    V'era col quadro e con la picca il fiore,

    il cor non v'era già; ma gli died'io

    (per farlo apien vittorioso) il core.

    35 - Giuoco di pallone. Per una donna

    Globbo gravido d'aure al ciel sospinto

    ferir con cavo legno, il volto e 'l crine

    sparso di vive fiamme e vive brine,

    veggio scherzando il mio novel Giacinto,

    e, crudel fra gli scherzi, al gioco accinto,

    ma più molto ale stragi, ale rapine,

    strugger mill'alme, e di chi vince alfine

    trionfar vincitore, e vincer vinto.

    E mentre, quasi un ciel ch'avampi e scocchi,

    battendo il lieve suo volubil pondo

    tuona col braccio e folgora con gli occhi,

    par, degli strazi suoi lieto e giocondo,

    o la man vaga, o 'l piè leggiadro il tocchi,

    gioir percosso e ripercosso il mondo.

    36 - Giuoco di racchetta. Per la medesima

    Quasi in campo di Marte, in chiuso loco

    contro mi vien di rete e d'arco armato,

    non ignudo, non cieco e non alato

    il mio novello Amore, il mio bel foco.

    Già mi saetta, e contrastar val poco,

    emulo del bel viso, il braccio amato.

    Già m'imprigiona, e misero e beato

    perdo in un punto stesso il core e 'l gioco.

    Fuggitivo il mio cor, quasi farfalla

    intorno alo splendor del caro oggetto

    vola al volar dela volubil palla.

    E quanti colpi intanto il mio diletto

    m'aventa con la man, che mai non falla,

    tanti fa nodi al'alma e piaghe al petto.

    37 - Canto

    O voi, che lieti ove vi spinge e mena

    in mal secura nave aura seconda,

    l'infido mar, che tanti legni affonda,

    ite solcando d'una in altra arena,

    di questa bella e micidial sirena

    fuggite il canto inver la destra sponda:

    canto, cui par non ha la terra o l'onda

    dala riva d'Eurota ala tirrena.

    Pur, se 'l ciel mai vi guida al dolce loco,

    con greco ingegno, ove lusinga amore,

    chiudete il varco al'armonia di foco.

    Ma di fral cera a sì possente ardore

    l'orecchio armar che val, s'anco val poco

    armar di smalto adamantino il core?

    38 - Bella cantatrice

    O bella incantatrice,

    quel tuo sì dolce canto

    dolce canto non è, ma dolce incanto,

    nova magia d'Amor, novella sorte

    di far dolce la morte.

    Allor la vita more

    quando l'aura vital si manda fore,

    ma in alma innamorata

    con quell'aura mortal Morte ha l'entrata.

    39 - Bella cantatrice

    Abbi, musica bella,

    anzi musa novella, abbiti il vanto

    dele due chiare cetre,

    che le piante movean, movean le pietre.

    Che val però col canto

    vivificar le cose inanimate,

    se nel tuo vivo cor morta è pietate?

    O chiari, o degni onori,

    porger l'anima ai tronchi e torla ai cori!

    O belle, o ricche palme,

    dando la vita ai sassi, uccider l'alme!

    40 - Pianto

    Versar vid'io da' suoi begli occhi fore

    la mia nemica lagrime dolenti,

    dentro i cui puri e lucidi torrenti

    tutto s'immerse e si sommerse il core.

    Nela sua cote a quel soave umore

    le quadrella arrotava aspre e pungenti,

    e, qual vago augelletto a' giorni ardenti,

    scotea le piume e si lavava Amore.

    Forse pietosa feritrice e vaga

    volse del petto, che trafisse a torto,

    con l'armi, onde l'aprì, chiuder la piaga.

    Dispietata pietà, tardo conforto:

    nova serpe d'Egitto il cor m'impiaga,

    e piagne il mio morir poiché m'ha morto.

    41 - Pianto

    O quali, o quali io sento

    angelici spirar celesti odori,

    mentre veggio tra' fiori

    di due piagge animate

    tenera distillar pioggia d'argento.

    O lagrime odorate,

    lagrime voi non già, ma preziose

    acque d'angeli siete, acque di rose.

    42 - Madonna chiede versi di baci

    Le carte, in ch'io primier scrissi e mostrai

    l'arte del ben baciar, Lilla mi chiedi.

    Ma di tanti, che loro io già ne diedi,

    tu crudel pur un solo a me non dai.

    Deh, perché quei che'n lor baci stampai,

    stampar nel volto tuo non mi concedi?

    E quel piacer, che tu con gli occhi vedi,

    con la bocca sentire a me non fai?

    Saprai qual sia maggior de' duo diletti,

    s'io di questi o di quei sia miglior fabro,

    e quai più dolci sien, gustati o letti.

    lo volentier con porpora e cinabro

    cangio un vil don, se tu cangiar prometti

    baci per versi e con un libro un labro.

    43 - Piacere imperfetto

    Alza costei dal fondo de' tormenti

    dov'erger l'ali apena osan le voglie,

    promettendo conforto a tante doglie,

    le mie speranze debili e cadenti.

    Ma come sol, che con suoi raggi ardenti

    nube in alto solleva e poi la scioglie,

    repulsa allor mi dà quando m'accoglie

    e i più lieti pensier fa più dolenti.

    Lasso, e perché con placid'aura e lieve

    le mie vele omai stanche al porto alletta,

    se poi tra' flutti abbandonar mi deve?

    Così suol giocator, che palla aspetta

    per ribbatterla indietro, e la riceve

    sol per spingerla poi con maggior fretta.

    44 - Nel medesimo suggetto

    Il più mi dona e mi contende il meno

    questa crudel, che del giardin d'Amore

    mi nega il frutto e mi concede il fiore,

    posto ai desir su 'l maggior corso il freno.

    Desta la voglia e non l'appaga apieno,

    tempra la fiamma e non spegne l'ardore,

    m'alletta il senso e non mi sazia il core,

    m'accoglie in braccio e non mi vuole in seno.

    O spietata pietà, fiera bellezza,

    per cui more il piacere, in fasce ucciso

    apena nato, in grembo ala dolcezza!

    Così congiunto a lei, da lei diviso,

    povero possessor d'alta ricchezza,

    Tantalo fatto sono in paradiso.

    45 - Trastulli estivi

    Era nela stagion quando ha tra noi

    più lunga vita il giorno

    e l'ombra ai tronchi intorno

    stende minori assai gli spazi suoi;

    allor che 'l sol congiunto

    con la stella che rugge

    dal più sublime punto

    saetta i campi, e i fiori uccide e strugge;

    ed era l'ora apunto

    quando con linea egual la rota ardente

    tien fra l'orto il suo centro e l'occidente.

    Io tutto acceso d'amoroso affetto

    col cor tremante in seno

    stavami in parte e pieno

    di desir, di speranza e di diletto,

    gìa misurando l'ore

    del mio promesso bene.

    Fortunate dimore,

    onde poscia il piacer doppio diviene!

    Son le tue gioie, Amore,

    tanto bramate più, quanto più rare,

    tanto aspettate più, tanto più care.

    Quinci con mente cupida e confusa

    e gelava ed ardea;

    dela finestra avea

    l'una parte appannata e l'altra chiusa.

    Qual suol lume che scende

    torbido in folto bosco,

    o qual sul'alba splende

    misto ala notte il dì tra chiaro e fosco,

    con tal luce s'attende,

    perché 'l rossor si celi e la paura,

    vergognosa fanciulla e mal secura.

    Ed ecco allor soletta a me vid'io

    venir Lilla la bella,

    Lilla la verginella,

    la mia fiamma, il mio sol, l'idolo mio.

    Succinta gonna e breve,

    quasi al più chiaro cielo

    nebbia sottile e lieve,

    ombra le fea d'un candidetto velo;

    onde di viva neve

    le membra, ch'onestà nasconde e chiude,

    eran pur ricoverte e parean nude.

    Tra le braccia la strinsi, in sen l'accolsi;

    del'odorato lino

    l'abito pellegrino

    con frettolosa man le scinsi e sciolsi.

    E benché frale spoglia

    fusse fren maltenace

    a sì rapida voglia,

    non fu però ch'io la sciogliessi in pace.

    Sdegno, alterezza e doglia

    ne' begli occhi mostrò; pugnò, contese:

    dolci risse, onte care e care offese.

    Vidi per prova allor, sì come e quanto

    mal volentier contrasta

    o ritrosetta o casta

    vergine, e qual sia l'ira e quale il pianto.

    Falso pianto, ira finta:

    ancorché pugni e neghi,

    vuol pugnando esser vinta;

    son le scaltre repulse inviti e preghi.

    Di scorno il viso tinta,

    dar non vuol mai né tor la giovinetta

    ciò che brama in suo cor, se non costretta.

    Corsi ale labra e, quant'ardente ardito,

    con grata allor, non grave

    violenza soave

    più d'un spirto gentil n'ebbi rapito.

    E la bocca divina,

    pur contendente i baci,

    crucciosa ala rapina,

    gli prendea tronchi e gli rendea mordaci.

    Ma chiunque destina

    ai baci amor, né varca oltra quel segno,

    quegli è de' baci stessi ancora indegno.

    Qual mi fess'io, ciò ch'io scorgessi in lei,

    poiché le falde intatte

    del'animato latte

    si svelaro, o beati, agli occhi miei,

    ridir né so né voglio.

    Mille oltraggi diversi

    da quel tenero orgoglio,

    mille ingiurie innocenti allor soffersi.

    Ma, qual fra l'onde scoglio,

    alcuna parte dei mio seno ignudo

    dala candida man mi facea scudo.

    Lentato il morso al'avido desire

    (o dolcezze, o bellezze,

    o bellezze, o dolcezze)

    m'apersi il varco al'ultimo gioire.

    Quivi a sfiorar m'accinsi

    l'orto d'amor pian piano

    e nel suo chiuso spinsi

    l'ardita mia violatrice mano.

    Dolce meco la strinsi,

    appellandola pur luce gradita,

    gioia, speranza, core, anima e vita.

    "Che fai crudel?, dicea, crudel che fai?

    Dunque me, che t'adoro,

    del mio maggior tesoro,

    del maggior pregio impoverir vorrai?

    Tu signor del volere,

    tu possessor del'alma,

    a che cerchi d'avere

    dela parte più vil men degna palma?

    Ahi, per sozzo piacere

    non curi, ingordo di furtive prede,

    di macchiar la mia fama e la tua fede?"

    Tre volte a questo dir giunto assai presso

    ale dolcezze estreme,

    qual'uom che brama e teme,

    fui de' conforti miei scarso a me stesso,

    e, del suo duol pietoso,

    il mio piacer sostenni.

    Pur del corso amoroso

    ala meta soave al fin pervenni,

    ed al'impetuoso

    desir cedendo il fren libero in tutto,

    colsi il suo fiore e de' miei pianti il frutto.

    Ala piaga d'Amor cadde trafitta

    e, vinta al dolce assalto,

    di bel purpureo smalto

    rigò le piume, inun lieta ed afflitta.

    Io vincitor guerriero

    dela nemica essangue

    quasi in trionfo altero

    portai nel'armi e nele spoglie il sangue .

    Così l'alato arciero

    l'arsura in me temprò cocente e viva

    dela fiamma amorosa e del'estiva.

    Canzon, lasciar intatta

    da sé partire amata donna e bella

    non cortesia, ma villania s'appella.

    46 - Per la signora N. Vipereschi

    Vipera mia, che di fin or lucenti

    tergi le spoglie al sol del vero onore,

    a cui di spine cinto aspre e pungenti

    fatto è siepe il mio petto e nido il core:

    spirano i cari tuoi fiati innocenti

    di grave fiamma invece, arabo odore.

    Sono i tuoi fischi angelici concenti,

    e 'l tuo veleno è nettare d'amore.

    O per grazia del ciel, sì com'io lessi

    ch'a Cadmo ed Ermion fu dato in sorte,

    anch'io cangiarmi in aspido potessi,

    ché s'ambo un nodo poi tenace e forte

    n'unisse, ed io baciassi, e tu mordessi,

    chi da più dolci morsi ebbe la morte?

    47 - Pendenti in forma di serpi

    Quegli aspidi lucenti

    che d'oro e smalto in picciol orbe attorti

    dal'orecchie pendenti,

    vaga Lilla, tu porti,

    dimmi, che voglion dir? Sì sì, t'intendo:

    son dele pene altrui crude ed indegne

    misteriose insegne,

    ché, qual aspe mordendo,

    cruda ferisci altrui, sorda non senti

    preghi, pianti o lamenti.

    48 - Treccia riccamata di perle

    Questo bel crine aurato,

    prezzo del mio dolore,

    ritegno del mio core,

    dele lagrime mie tutto fregiato,

    fu già tuo laccio, or è mio dono, Amore.

    Ecco ch'io 'l bacio e godo,

    e del mio ricco nodo

    movo invidia agli amanti, e dico altrui:

    Vedete l'oro onde comprato io fui.

    49 - Di Ravenna. Al sig. cavalier Andrea Barbazza

    Barbazza, io mi son qui dove ristagna

    l'onda nel pian che paludoso e molle

    infra 'l Ronco e 'l Monton le sacre zolle

    più di sangue che d'acqua impingua e bagna.

    Ma del mio cor, che senza te si lagna,

    non affrena già 'l volo o selva o colle,

    né da te, di cui solo avampa e bolle,

    tanto tratto di ciel mai lo scompagna.

    Qui però duro intoppo il piè ritiene,

    né mai luce di sol che non sia negra

    porta l'ore per me poco serene.

    Così passo la vita afflitta ed egra

    e così sempre fia se'n te non viene

    la metà di quest'alma a farsi integra.

    50 - Al sig. Rafaello Rabbia

    Rabbia, io men vò lungo il castalio rivo

    qual già l'ebrea famelica e mendica,

    dietro ai cultor del'eloquenza antica

    per lo campo latino e per l'argivo.

    E mentre d'Israel la strage scrivo,

    altro frutto non ho di mia fatica

    che qualche bella e preziosa spica

    lor caduta di sen, raccor furtivo.

    Ma la messe miglior recide e rade

    la falce sì de' duo toscani illustri,

    ch'omai poco per me n'avanza o cade.

    Pur men'andrò fra metidori industri

    dopo costor, se non ariste e biade,

    solo cogliendo almen rose e ligustri.

    ADONE

    Canto 1

    allegoria

    LA FORTUNA. Nella sferza di rose e di spine con cui Venere batte il figlio si figura la qualità degli amorosi piaceri, non giamai discompagnati da' dolori. In Amore che commove prima Apollo, poi Vulcano e finalmente Nettuno, si dimostra quanto questa fiera passione sia potente per tutto, eziandio negli animi de' grandi. In Adone che con la scorta della Fortuna dal paese d'Arabia sua patria passa all'isola di Cipro, si significa la gioventù che sotto il favore della prosperità corre volentieri agli amori. Sotto la persona di Clizio s'intende il signor Giovan Vincenzo Imperiali, gentiluomo genovese di belle lettere, che questo nome si ha appropriato nelle sue poesie. Nelle lodi della vita pastorale si adombra il poema dello Stato rustico, dal medesimo leggiadramente composto.

    Canto 1, argomento

    Passa in picciol legnetto a Cipro Adone

    dale spiagge d'Arabia, ov'egli nacque.

    Amor gli turba intorno i venti e l'acque,

    Clizio pastor l'accoglie in sua magione.

    Canto 1

    Io chiamo te, per cui si volge e move   1

    la più benigna e mansueta sfera,

    santa madre d'Amor, figlia di Giove,

    bella dea d'Amatunta e di Citera;

    te, la cui stella, ond'ogni grazia piove,

    dela notte e del giorno è messaggiera;

    te, lo cui raggio lucido e fecondo

    serena il cielo ed innamora il mondo,

    tu dar puoi sola altrui godere in terra   2

    di pacifico stato ozio sereno.

    Per te Giano placato il tempio serra,

    addolcito il Furor tien l'ire a freno;

    poiché lo dio del'armi e dela guerra

    spesso suol prigionier languirti in seno

    e con armi di gioia e di diletto

    guerreggia in pace ed è steccato il letto.

    Dettami tu del giovinetto amato   3

    le venture e le glorie alte e superbe;

    qual teco in prima visse, indi qual fato

    l'estinse e tinse del suo sangue l'erbe.

    E tu m'insegna del tuo cor piagato

    a dir le pene dolcemente acerbe

    e le dolci querele e'l dolce pianto;

    e tu de' cigni tuoi m'impetra il canto.

    Ma mentr'io tento pur, diva cortese,   4

    d'ordir testura ingiuriosa agli anni,

    prendendo a dir del foco che t'accese

    i pria sì grati e poi sì gravi affanni,

    Amor, con grazie almen pari al'offese,

    lievi mi presti a sì gran volo i vanni

    e con la face sua, s'io ne son degno,

    dia quant'arsura al cor, luce al'ingegno.

    E te, ch'Adone istesso, o gran Luigi,   5

    di beltà vinci e di splendore abbagli

    e, seguendo ancor tenero i vestigi

    del morto genitor, quasi l'agguagli,

    per cui suda Vulcano, a cui Parigi

    convien che palme colga e statue intagli,

    prego intanto m'ascolti e sostien ch'io

    intrecci il giglio tuo col lauro mio.

    Se movo ad agguagliar l'alto concetto   6

    la penna, che per sé tanto non sale,

    facciol per ottener dal gran suggetto

    col favor che mi regge ed aure ed ale.

    Privo di queste, il debile intelletto,

    ch'al ciel degli onor tuoi volar non vale,

    teme al'ardor di sì lucente sfera

    stemprar l'audace e temeraria cera.

    Ma quando quell'ardir ch'or gli anni avanza,   7

    sciogliendo al vento la paterna insegna

    per domar la superbia e la possanza

    del tiranno crudel che'n Asia regna,

    vinta col suo valor l'altrui speranza

    fia che'nsu'l fiore a maturar si vegna,

    allor, con spada al fianco e cetra al collo,

    l'un di noi sarà Marte e l'altro Apollo.

    Così la dea del sempreverde alloro,   8

    parca immortal de' nomi e degli stili,

    ale fatiche mie con fuso d'oro

    di stame adamantin la vita fili

    e dia per fama a questo umil lavoro

    viver fra le pregiate opre gentili,

    come farò che fulminar tra l'armi

    s'odan co' tuoi metalli anco i miei carmi.

    La donna che dal mare il nome ha tolto   9

    dove nacque la dea ch'adombro in carte,

    quella che ben a lei conforme molto

    produsse un novo Amor d'un novo Marte,

    quella che tanta forza ha nel bel volto

    quant'egli ebbe nel'armi ardire ed arte,

    forse m'udrà, né sdegnerà che scriva

    tenerezze d'amor penna lasciva.

    Ombreggia il ver Parnaso e non rivela   10

    gli alti misteri ai semplici profani,

    ma con scorza mentita asconde e cela,

    quasi in rozzo Silen, celesti arcani.

    Però dal vel che tesse or la mia tela

    in molli versi e favolosi e vani,

    questo senso verace altri raccoglia:

    smoderato piacer termina in doglia.

    Amor pur dianzi, il fanciullin crudele,   11

    Giove di nova fiamma acceso avea.

    Arse di sdegno e'l cor d'amaro fiele

    sparsa, gelò la sua gelosa dea,

    e'ncontro a lui con flebili querele

    richiamossi del torto a Citerea;

    onde il garzon sovra l'etade astuto

    dala materna man pianse battuto.

    - Oimé, possibil fia (dicea Ciprigna)   12

    ch'io mai per te di pace ora non abbia?

    Qual cerasta più livida e maligna

    nutre del Nilo la deserta sabbia?

    qual furia insana, o qual arpia sanguigna

    là negli antri di stige ha tanta rabbia?

    Dimmi, quel tosco ond'ogni core appesti,

    aspe di paradiso, onde traesti?

    Vuoi tu più mai contaminar di Giuno   13

    le leggittime gioie e i casti amori?

    Udrò di te mai più richiamo alcuno,

    ministro di follie, fabro d'errori,

    sollecito avoltor, verme importuno,

    morbo de' sensi, ebrietà de' cori,

    di fraude nato e di furor nutrito,

    omicida del senno, empio appetito?

    Ira mi vien di romperti que' lacci   14

    e quell'arco che fa piaghe sì grandi,

    né so chi mi ritien ch'or or non stracci

    quante reti malvage ordisci e spandi,

    che per sempre dal ciel non ti discacci,

    che'n essilio perpetuo io non ti mandi

    su i gioghi ircani e tra le caspie selve,

    arcier villano, a saettar le belve.

    Che tu fra gli egri e languidi mortali,   15

    di cui s'odono ognor gridi e lamenti,

    semini colaggiù martiri e mali,

    convien, malgrado mio, ch'io mi contenti;

    ma soffrirò che'n ciel vibri i tuoi strali,

    non perdonando ale beate genti?

    che sostengan per te strazi sì rei,

    serpentello orgoglioso, anco gli dei?

    Che più? fin dele stelle il sommo duce   16

    questo malnato di sforzar si vanta,

    e spesso a stato tale anco il riduce

    ch'or in mandra or in nido, or mugghia or canta.

    Un pestifero mostro, orbo di luce,

    avrà dunque fra noi baldanza tanta?

    un, che la lingua ancor tinta ha di latte,

    cotanto ardisce? - E ciò dicendo il batte.

    Con flagello di rose insieme attorte   17

    ch'avea groppi di spine, ella il percosse

    e de' bei membri, onde si dolse forte,

    fe' le vivaci porpore più rosse.

    Tremaro i poli e la stellata corte

    a quel fiero vagir tutta si mosse;

    mossesi il ciel, che più d'Amor infante

    teme il furor che di Tifeo gigante.

    Dela reggia materna il figlio uscito,   18

    con quello sdegno allor se n'allontana

    con cui soffiar per l'arenoso lito

    calcata suol la vipera africana

    o l'orso cavernier, quando ferito

    si scaglia fuor dela sassosa tana

    e va fremendo per gli orror più cupi

    dele valli lucane e dele rupi.

    Sferzato e pien di dispettosa doglia,   19

    fuggì piangendo ala vicina sfera,

    là dove cinto di purpurea spoglia,

    gran monarca de' tempi, il Sole impera

    e'nsu l'entrar dela dorata soglia,

    stella nunzia del giorno e condottiera,

    Lucifero incontrò, che'n oriente

    apria con chiave d'or l'uscio lucente.

    E'l Crepuscolo seco, a poco a poco   20

    uscito per la lucida contrada

    sovra un corsier di tenebroso foco,

    spumante il fren d'ambrosia e di rugiada,

    di fresco giglio e di vivace croco

    forier del bel mattin spargea la strada

    e con sferza di rose e di viole

    affrettava il camino innanzi al Sole.

    La bella luce, che'n su l'aurea porta   21

    aspettava del Sol la prima uscita,

    era di Citerea ministra e scorta,

    d'amoroso splendor tutta crinita.

    Per varcar l'ombre innanzi tempo sorta

    già la biga rotante avea spedita

    e'l venir dela dea stava attendendo,

    quando il fier pargoletto entrò piangendo.

    Pianse al pianger d'Amor la mattutina   22

    del re de' lumi ambasciadrice stella

    e di pioggia argentata e cristallina

    rigò la faccia rugiadosa e bella,

    onde di vive perle accolte in brina

    potè l'urna colmar l'Alba novella,

    l'Alba che l'asciugò col vel vermiglio

    l'umido raggio al lagrimoso ciglio.

    Ricoverato al ricco albergo Amore,   23

    trovò che, posto a' corridori il morso,

    già s'era accinto il principe del'ore

    con la verga gemmata al novo corso

    e i focosi destrier, sbuffando ardore,

    l'altere iube si scotean su'l dorso

    e, sdegnosi d'indugio, il pavimento

    ferian co' calci e co' nitriti il vento.

    Sta quivi l'Anno sovra l'ali accorto,   24

    che sempre il fin col suo principio annoda

    e'n forma d'angue innanellato e torto

    morde l'estremo ala volubil coda

    e, qual Anteo caduto e poi risorto,

    cerca nova materia ond'egli roda;

    v'ha la serie de' Mesi e i Dì lucenti,

    i lunghi e i brevi, i fervidi e gli algenti.

    L'aurea corona, onde scintilla il giorno,   25

    del Tempo gli ponean le quattro figlie.

    Due schiere avea d'alate ancelle intorno,

    dodici brune e dodici vermiglie.

    Mentre accoppiavan queste al carro adorno

    gli aurati gioghi e le rosate briglie,

    gli occhi di foco il Sol rivolse e'l pianto

    vide d'Amor, che gli languiva a canto.

    Era Apollo di Venere nemico   26

    e tenea l'odio ancor nel petto vivo,

    daché lassù del'adulterio antico

    publicò lo spettacolo lascivo,

    quando accusò del talamo impudico

    al fabro adusto il predator furtivo

    e, con vergogna invidiata in cielo,

    ai suoi dolci legami aperse il velo.

    Orché gli espone Amor sua grave salma:   27

    - E che sciocchi dolor (dice) son questi?

    Se' tu colui che litigar la palma

    in riva di Peneo meco volesti?

    Tu tu, mente del mondo, alma d'ogni alma,

    vincitor de' mortali e de' celesti,

    or con strale arrotato e face accesa

    vendicar non ti sai di tanta offesa?

    Quanto fora il miglior, sicome afflitto   28

    di lagrime infantili il volto or bagni,

    volgere il duolo in ira e'l dardo invitto

    aguzzar nel'ingiuria onde ti lagni?

    Fa che con petto lacero e trafitto

    per te pianga colei per cui tu piagni;

    ché, se vorrai, non senza gloria e nome

    seguiranne l'effetto; ascolta come.

    Là nela region ricca e felice   29

    d'Arabia bella, Adone il giovinetto,

    quasi competitor dela fenice

    senza pari in beltà vive soletto.

    Adon nato di lei, cui la nutrice

    col proprio genitor giunse in un letto,

    di lei che, volta in pianta, i suoi dolori

    ancor distilla in lagrimosi odori.

    Schernì la scelerata il re malsaggio   30

    accesa il cor di sozzo foco indegno,

    ond'egli poi per così grave oltraggio

    quant'ella già d'amore, arse di sdegno

    e le convenne in loco ermo e selvaggio

    girne ad esporre il malconcetto pegno,

    pegno furtivo, a cui la propria madre

    fu sorella in un punto, avolo il padre.

    Fattezze mai sì signorili e belle   31

    non vide l'occhio mio lucido e chiaro.

    Sventurato fanciullo, a cui le stelle

    prima il rigor che lo splendor mostraro:

    contro gli armò crude influenzie e felle,

    ancor da lui non visto, il cielo avaro,

    poiché, mentre l'un sorse e l'altra giacque,

    al morir dela madre il figlio nacque.

    Qual trofeo più famoso? e qual altronde   32

    spoglia attendi più ricca o più superba,

    se per costui, ch'or prende a solcar l'onde,

    il cor le ferirai di piaga acerba?

    Dolci le piaghe fian, ma sì profonde

    ch'arte non vi varrà di pietra o d'erba.

    Questa fia del tuo mal degna vendetta:

    spirto di profezia così mi detta.

    Più oltre io ti dirò. Mira là dove   33

    a caratteri egizzi in note oscure

    intagliati vedrai per man di Giove

    i vaticini del'età future:

    havvi quante il destino al mondo piove

    da' canali del ciel sorti e venture,

    che de' pianeti al numero costrutte

    sono in sette metalli incise tutte.

    Quivi ciò che seguir deggia di questo   34

    legger potrai, quasi in vergate carte:

    prole tal nascerà del bell'innesto,

    che non ti pentirai d'avervi parte.

    In lei, pur come gemme in bel contesto,

    saran tutte del ciel le grazie sparte;

    e questa, o per tai nozze apien beato,

    al tiranno del mar promette il fato.

    Se ciò farai, non pur n'andrà in oblio   35

    la memoria tra noi de' gran contrasti,

    ma tal premio n'avrai d'un dono mio,

    che'n mercé di tant'opra io vo' che basti;

    lira nel mio Parnaso aurea serb'io,

    ch'ha d'or le corde e di rubino i tasti;

    fu d'Armonia tua suora ed io di lei

    con questa celebrai gli alti imenei.

    Questa fia tua. Così qualor ti stai   36

    di cure e d'armi alleggerito e scarco

    musico com'arcier, trattar potrai

    il plettro a par di me non men che l'arco;

    ché l'armonia non sol ristora assai

    qualunque sia più faticoso incarco,

    ma molto può co' numeri sonori

    ad eccitare ed incitar gli amori. -

    Fur queste efficacissime parole   37

    folli, ch'al folle cor soffiaro orgoglio,

    ond'irritato abbandonò del Sole

    senza far motto il lampeggiante soglio

    e, ruinando dal'eterea mole

    inver le piagge del materno scoglio,

    corse col tratto dele penne ardenti,

    più che vento leggier, le vie de' venti.

    Come prodigiosa acuta stella,   38

    armata il volto di scintille e lampi,

    fende del'aria, orribil sì ma bella

    passaggiera lucente, i larghi campi;

    mira il nocchier da questa riva e quella

    con qual purpureo piè la nebbia stampi

    e con qual penna d'or scriva e disegni

    le morti ai regi e le cadute ai regni:

    così mentrech'Amor dal ciel disceso   39

    scorrendo va la region più bassa,

    con la face impugnata e l'arco teso

    gran traccia di splendor dietro si lassa;

    d'un solco ardente e d'auree fiamme acceso

    riga intorno le nubi ovunque passa

    e trae per lunga linea in ogni loco

    striscia di luce, impression di foco.

    Su'l mar si cala, e sicom'ira il punge,   40

    sestesso aventa impetuoso a piombo;

    circonda i lidi quasi mergo e lunge

    fa del'ali stridenti udire il rombo;

    né grifagno falcon quando raggiunge

    col fiero artiglio il semplice colombo

    fassi lieto così, com'ei diventa

    quando il leggiadro Adon gli si presenta.

    Era Adon nel'età che la facella   41

    sente d'Amor più vigorosa e viva

    ed avea dispostezza ala novella

    acerbità degli anni intempestiva,

    né su le rose dela guancia bella

    alcun gemoglio ancor d'oro fioriva

    o, se pur vi spuntava ombra di pelo,

    era qual fiore in prato o stella in cielo.

    In bionde anella di fin or lucente   42

    tutto si torce e si rincrespa il crine;

    del'ampia fronte in maestà ridente

    sotto gli sorge il candido confine;

    un dolce minio, un dolce foco ardente,

    sparso tra vivo latte e vive brine,

    gli tinge il viso in quel rossor che suole

    prender la rosa infra l'aurora e'l sole.

    Ma chi ritrar del'un e l'altro ciglio   43

    può le due stelle lucide serene?

    chi dele dolci labra il bel vermiglio,

    che di vivi tesor son ricche e piene?

    o qual candor d'avorio o qual di giglio

    la gola pareggiar, ch'erge e sostiene,

    quasi colonna adamantina, accolto

    un ciel di meraviglie in quel bel volto?

    Qualor feroce e faretrato arciero   44

    di quadrella pungenti armato e carco,

    affronta o segue, inun leggiadro e fiero,

    o fere attende fuggitive al varco

    e in atto dolce cacciator guerriero

    saettando la morte incurva l'arco,

    somiglia intutto Amor, senon che solo

    mancano a farlo tale il velo e'l volo.

    Egli tanto tesoro in lui raccolto   45

    di natura e d'amor par ch'abbia a vile

    e cerca del bel ciglio e del bel volto

    turbar il sole, inorridir l'aprile,

    ma, minacci cruccioso o vada incolto,

    esser però non sa senon gentile

    e, rustico quantunque e sdegnosetto,

    convien pur ch'altrui piaccia a suo dispetto.

    Or mentre per l'arabiche foreste,   46

    dov'ei nacque e menò l'età primiera,

    l'orme seguia per quelle macchie e queste

    d'alcuna vaga e timidetta fera,

    errore il trasse, o pur destin celeste,

    dala terra deserta ala costiera,

    colà dove fa lido ala marina

    del lembo ultimo suo la Palestina.

    Giunto ala sacra e gloriosa riva   47

    che con boschi di palme illustra Idume,

    dietro una cerva lieve e fuggitiva

    stancando il piè, sicom'avea costume,

    trovò, di guardia e di governo priva,

    ritratta in secco appo le salse spume,

    da' pescatori abbandonata e carca

    d'ogni arredo marin, picciola barca.

    Ed ecco varia d'abito e di volto   48

    strania donna venir vede per l'onde,

    ch'ha su la fronte il biondo crine accolto

    tutto in un globo e quel ch'è calvo asconde;

    vermiglio e bianco il vestimento sciolto

    con lieve tremolio l'aura confonde;

    lubrico è il lembo e quasi un aer vano,

    che sempre a chi lo stringe esce di mano.

    Nel'ampio grembo ha dela copia il corno   49

    e nela destra una volubil palla;

    fugge ratto sovente e fa ritorno

    per le liquide vie scherzando a galla;

    alato ha il piede e più leggiera intorno

    che foglia al vento si raggira e balla

    e, mentre move al ballo il piè veloce,

    in sì fatto cantar scioglie la voce:

    - Chi cerca in terra divenir beato,   50

    goder tesori e possedere imperi,

    stenda la destra in questo crine aurato,

    ma non indugi a cogliere i piaceri,

    ché, se si muta poi stagione e stato,

    perduto ben di racquistar non speri:

    così cangia tenor l'orbe rotante,

    nel'incostanza sua sempre costante. -

    Così cantava; indi, arrestando il canto,   51

    con lieto sguardo al bel garzone arrise,

    ed alo scoglio avicinata intanto

    spalmò quel legno e'n sul timon s'assise.

    - Adon, seguimi (disse) e vedrai quanto

    cortese stella al nascer tuo promise;

    prendi la treccia d'or che'n man ti porgo,

    né temer di venirne ov'io ti scorgo.

    Benché vulgare opinione antica   52

    mi stimi un idol falso, un'ombra vana

    e cieca e stolta e di virtù nemica

    m'appelli, instabil sempre e sempre insana

    e tiranna impotente altri mi dica

    vinta talor dala prudenza umana,

    pur son fata e son diva e son reina,

    m'ubbidisce natura, il ciel m'inchina.

    Chiunque Amore o Marte a seguir prende   53

    convien che'l nome mio celebri e chiami;

    chi solca l'acqua e chi la terra fende

    o s'alcun v'ha ch'onore e gloria brami,

    porge preghi al mio nume e voti appende

    ed io dispenso altrui scettri e reami;

    toglier posso e donar tutto ad un cenno

    e quanto è sotto il sol reggo a mio senno.

    Me dunque adora e'nsu l'eccelsa cima   54

    dela mia rota ascenderai di corto;

    per me nel trono, onde ti trasse in prima

    l'empio inganno materno, or sarai scorto;

    solché poi dove il fato or ti sublima

    sappi nel conservarti essere accorto,

    ché spesso suol con preveder periglio

    romper fortuna rea cauto consiglio. -

    Tace ciò detto ed egli, vago allora   55

    di costeggiar quel dilettoso loco,

    entra nel legno e del'angusta prora

    i duo remi a trattar prende per gioco.

    Ed ecco al sospirar d'agevol ora

    s'allontana l'arena a poco a poco,

    siché mentr'ei dal mar si volge ad essa

    par che navighi ancor la terra istessa.

    Scorrendo va piacevolmente il lido   56

    mentr'è placido e piano il molle argento

    e da principio, del suo patrio nido

    rade la riva a passo tardo e lento,

    indi al'instabil fè del flutto infido

    sestesso crede e si commette al vento

    lunge di là dov'a morir va l'onda

    e con roco latrar morde la sponda.

    Trasparean sì le belle spiagge ondose,   57

    che si potean del'umide spelonche

    nele profonde viscere arenose

    ad una ad una annoverar le conche.

    Zefiri destri al volo, Aure vezzose

    l'ali scotean: ma tosto lor fur tronche,

    il mar cangiossi, il ciel ruppe la fede:

    oh malcauto colui ch'ai venti crede.

    O stolto quanto industre, o troppo audace   58

    fabro primier del temerario legno,

    ch'osasti la tranquilla antica pace

    romper del crudo e procelloso regno;

    più ch'aspro scoglio e più che mar vorace

    rigido avesti il cor, fiero l'ingegno,

    quando sprezzando l'impeto marino

    gisti a sfidar la morte in fragil pino.

    Per far una leggiadra sua vendetta   59

    Amor fu solo autor di sì gran moto;

    Amor fu ch'a pugnar con tanta fretta

    trasse turbini e nembi, africo e noto.

    Ma dela stanca e misera barchetta

    fu sempr'egli il poppiero, egli il piloto;

    fece vela del vel, vento con l'ali,

    e fur l'arco timon, remi gli strali.

    Dala madre fuggendo iva il figliuolo   60

    quasi bandito e contumace intorno,

    perché, com'io dicea, vinto dal duolo,

    di fanciullesca stizza arse e di scorno.

    Né perché poscia il richiamasse, il volo

    fermar volse giamai né far ritorno

    e'n tal dispetto, in tant'orgoglio salse

    che di vezzo o pregar nulla gli calse.

    Per gli spazi sen gia del'aria molle   61

    scioccheggiando con l'Aure Amor volante

    e dettava talor rabbioso e folle

    tragiche rime a più d'un mesto amante;

    talor lungo un ruscello o sovra un colle

    piegava l'ali e raccogliea le piante

    e, dovunque ne giva, il superbetto

    rubava un core o trapassava un petto.

    - Non è questo lo stral possente e fiero   62

    ch'al rettor dele stelle il fianco offese?

    per cui più volte dal celeste impero

    l'aureo scettro deposto in terra scese?

    quel ch'al quinto del ciel nume guerriero

    spezzò, passò l'adamantino arnese?

    quel che punse in Tessaglia il biondo dio,

    superbo sprezzator del valor mio?

    Questa la face è pur cui sola adora,   63

    nonché la terra e'l ciel, Stige e Cocito,

    che strugger fè, che fè languir talora

    il signor dele fiamme incenerito,

    quella da cui non si difese ancora

    di Teti il freddo ed umido marito,

    che tra' gelidi umori infiamma i fonti,

    tra l'ombre i boschi e tra le nevi i monti.

    Ed or costei, da cui con biasmo eterno   64

    mill'onte gravi io mi soffersi e tacqui,

    perché dee le mie forze aver a scherno,

    seben dal ventre suo concetto io nacqui?

    Dunque andrà da que' lacci il cor materno

    libero, a cui, nonch'altri, anch'io soggiacqui?

    arse per Marte, è ver, ma questo è poco,

    lieve piaga fu quella e debil foco.

    Altro ardor più penace, altra ferita   65

    vo' che più forte al cor senta pur anco.

    Si vedrà ch'ella istessa ha partorita

    la vipera crudel, che l'apre il fianco.

    Degg'io sempre onorar chi più m'irrita?

    forse per tema il mio valor vien manco?

    No no, segua che può... - Così dicea

    l'implacabil figliuol di Citerea.

    Mentre che quinci e quindi, or basso or alto   66

    vola e rivola il predator fellone,

    come prima lontan dal verde smalto

    vede in picciol legnetto il vago Adone,

    subitamente al disegnato assalto

    l'armi apparecchia e l'animo dispone

    e, tutto inteso a tribular la madre,

    vassene in Lenno ala magion del padre.

    Nela fuliginosa atra fucina   67

    dove il zoppo Vulcan, suo genitore,

    de' numi eterni i vari arnesi affina

    tinto di fumo e molle di sudore,

    entra per fabricar tempra divina

    d'un aureo strale imperioso Amore,

    stral ch'efficace e penetrante e forte

    possa un petto immortal ferire a morte.

    Libero l'uscio al cieco arciero aperse   68

    la gran ferriera del divino artista,

    parte di già polite opre diverse,

    parte imperfette ancor, confusa e mista.

    Colà fan l'armi lampeggianti e terse

    del celeste guerrier superba vista,

    qui la folgor fiammeggia alata e rossa

    del gran fulminator d'Olimpo e d'Ossa.

    V'è di Pallade ancor lo scudo e l'asta,   69

    il rastello di Cerere e'l bidente,

    l'acuto spiedo di Diana casta,

    la grossa mazza d'Ercole possente,

    la falce, onde Saturno il tutto guasta,

    l'arco, ond'Apollo uccise il fier serpente,

    di Nettuno il trafiero e di Plutone

    con due punte d'acciaio havvi il forcone.

    Le trombe v'ha con cui volando suona   70

    la Fama e gli altrui fatti or biasma or loda;

    v'ha i ceppi, tra' cui ferri Eolo imprigiona

    i venti insani e le tempeste inchioda;

    v'ha le catene, onde talor Bellona

    il Furor lega e la Discordia annoda;

    e v'ha le chiavi, ond'a dar pace o guerra

    Giano il gran tempio suo serra e disserra.

    Presso al focon di mille ordigni onusto   71

    travaglia il nero fabro entro la grotta.

    Più d'un callo ha la man forte e robusto,

    ale fatiche essercitata e dotta;

    ruginosa la fronte, il volto adusto,

    crespa la pelle ed abbronzata e cotta,

    sparso il grembial di mill'avanzi e mille

    di limature e ceneri e faville.

    Quand'egli scorge il nudo pargoletto,   72

    la forbice e'l martel lascia e sospende

    e curvo e chino entro il lanoso petto

    con un riso villan da terra il prende.

    Tra le ruvide braccia avinto e stretto

    l'ispido labro per baciarlo stende

    e la sudicia barba ed incomposta

    al molle viso e dilicato accosta.

    Ma mentre ch'egli l'accarezza e stringe,   73

    raccolto in braccio, con paterno zelo,

    Amor, perché baciando il punge e tinge,

    la faccia arretra dal'irsuto pelo

    e, con quel sozzo lin che'l sen gli cinge,

    per non macchiarsi di carbone il velo,

    al'aspra guancia d'una in altra ruga

    del'immondo sudor le stille asciuga.

    - Padre, dala tua man (poscia gli dice)   74

    voglio or or sovrafina una saetta,

    che fia de' torti tuoi vendicatrice:

    lascia la cura a me dela vendetta.

    Il come appalesar né vo' né lice,

    basti sol tanto, spacciati, ch'ho fretta;

    non porta indugio il caso, altro or non puoi

    da me saper, l'intenderai ben poi.

    Il quadrel ch'io ti cheggio esser conviene   75

    di perfetto artificio e ben condotto,

    ch'esserne fin nele più interne vene

    deve un petto divin forato e rotto.

    S'usò mai sforzo ad impiegarsi bene

    il tuo braccio, il tuo senno esperto e dotto,

    fa, prego, in cosa ov'hai tanto interesse,

    del gran saper le meraviglie espresse.

    Starò qui teco a ministrarti intento   76

    sotto la rocca del camin che fuma;

    accioché'l foco non rimanga spento,

    mantice ti farò del'aurea piuma

    e s'egli averrà pur che manchi il vento

    al folle che l'accende e che l'alluma,

    prometto accumular tra questi ardori

    in un soffio i sospir di mille cori. -

    Non pon Vulcano in quell'affar dimora,   77

    ma sceglie la miglior fra cento zolle,

    e pria che'nsu l'incudine sonora

    ei la castighi, al focolar la bolle;

    e non la batte e non la tratta ancora

    finché ben non rosseggia e non vien molle;

    divenuta poi tenera e vermiglia,

    con la morsa tenace ei la ripiglia.

    Amor presente ed assistente al'opra   78

    come l'abbia a temprar, come l'aguzzi

    gli mostra, accioché poi quando l'adopra

    non si rompa o si pieghi o si rintuzzi

    e di sua propria man vi sparge sopra

    del'umor d'un'ampolla alquanti spruzzi,

    piena di stille di dogliosi pianti

    di sfortunati e desperati amanti.

    Mentr'è caldo il metallo, i tre fratelli   79

    ch'un sol occhio hanno in fronte e son giganti,

    con vicende di tuoni i gran martelli

    movono a grandinar botte pesanti

    e'l dotto mastro al martellar di quelli,

    che fan tremar le volte arse e fumanti,

    per dar effetto a quel ch'ha nel disegno,

    pon gli stromenti in opera e l'ingegno.

    Tosto che'l ferro è raffreddato, in prima   80

    sbozza il suo lavorìo rozzo ed informe,

    poi, sotto più sottil minuta lima,

    con industria maggior gli dà le forme;

    l'arrota intorno e lo forbisce in cima,

    applicando al pensier studio conforme;

    col foco alfin l'indora e col mordente

    e fa l'acciaio e l'or terso e lucente.

    Poiché l'egregio artefice alo strale   81

    pertutto il liscio e'l lustro ha dato apieno,

    n'arma il fanciullo un'asticciuola frale,

    ma che trafige ogni più duro seno;

    gl'impenna il calce di due picciol ale

    e'l tinge di dolcissimo veleno

    e, tutto pien d'una superbia stolta,

    pon la caverna e i lavoranti in volta.

    Va dela dea che generaro i flutti   82

    il baldanzoso e temerario figlio

    spiando intorno e i ferramenti tutti

    dela scola fabril mette in scompiglio;

    or de' ciclopi mostruosi e brutti

    la difforme pupilla e'l vasto ciglio,

    or il corto tallon del piè paterno

    prende con risi e con disprezzi a scherno.

    Veggendo alternamente arsicci e neri   83

    pestar ferro con ferro i tre gran mostri

    - Troppo son (dice) deboli e leggieri

    a librar le percosse i polsi vostri;

    omai con colpi assai più forti e fieri

    questa mano a ferir v'insegni e mostri;

    impari ognun dala mia man, che spezza

    qualunque di diamante aspra durezza. -

    Volto a colui, ch'ha fabricato il telo   84

    soggiunge poscia: - In questa tua fornace

    le fiamme son più gelide che gelo,

    altro ardor più cocente ha la mia face. -

    Tolto indi in mano il fulmine del cielo

    e sciolto il freno al'insolenza audace,

    in cotal guisa, mentre il vibra e move,

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