Poesie
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Anteprima del libro
Poesie - Giambattista Marino
Poesie
Giambattista Marino
In copertina: Sandro Botticelli, Ritratto femminile
© 2012 REA Edizioni
Via S. Agostino 15
67100 L’Aquila
Tel 0862 717001
Tel diretto 348 6510033
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redazione@reamultimedia.it
La Casa Editrice esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi alla presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.
Indice
Amori
1 - Cantatrice crudele
2 - Poeta che canta
3 - Chiome sciolte
4 - Errori di bella chioma
5 - Rete d'oro in testa della sua donna
6 - Nel medesimo suggetto
7 - Lontananza consolata
8 - Nel medesimo suggetto
9 - Nel medesimo suggetto
10 - Anfione di marmo
11 - Nel medesimo suggetto
12 - Donna bella e crudele
13 - Inferno amoroso
14 - Beltà crudele
15 - Seno
16 - Seno
17 - Occhi
18 - Occhi
19 - Occhi
20 - Occhi
21 - Occhi
22 - Sguardo
23 - Occhi e mammelle
24 - Bella schiava
25 - Donna vestita di nero
26 - Amor secreto
27 - Gelosia
28 - Lontananza
29 - La lontananza
30 - Sogno
31 - Sogno
32 - Sogno
33 - Giuoco di dadi
34 - Giuoco di primiera
35 - Giuoco di pallone. Per una donna
36 - Giuoco di racchetta. Per la medesima
37 - Canto
38 - Bella cantatrice
39 - Bella cantatrice
40 - Pianto
41 - Pianto
42 - Madonna chiede versi di baci
43 - Piacere imperfetto
44 - Nel medesimo suggetto
45 - Trastulli estivi
46 - Per la signora N. Vipereschi
47 - Pendenti in forma di serpi
48 - Treccia riccamata di perle
49 - Di Ravenna. Al sig. cavalier Andrea Barbazza
50 - Al sig. Rafaello Rabbia
ADONE
Canto 1
Canto 2
Canto 3
Canto 4
Canto 5
Canto 6
Canto 7
Canto 8
Canto 9
Canto 10
Canto 11
Canto 12
Canto 13
Canto 14
Canto 15
Canto 16
Canto 17
Canto 18
Canto 19
Canto 20
Amori
1 - Cantatrice crudele
O tronchi innamorati,
o sassi che seguite
questa fera canora,
ch'agguaglia i cigni e gli angeli innamora,
ah fuggite, fuggite:
voi prendete da lei sensi animati;
ella in se stessa poi
prende la qualità che toglie a voi,
e sorda e dura, ahi lasso,
diviene ai preghi un tronco, ai pianti un sasso.
2 - Poeta che canta
Qualor sì dolcemente,
caro Selvaggio, a la mia Lidia avanti
rime amorose canti
novo Anfion ti credo e fra me dico:
s'Amor costei non sente
or, che sente quel dolce
cantar che l'aria molce,
pietra non è, che s'ella fusse pietra
senso torria da sì soave cetra.
3 - Chiome sciolte
Mentre ch'al'aureo crine
il vel madonna toglie
e le chiome divine
per maggior pompa al sol tepido scioglie,
Amor le fila accoglie
e d'esse in mille modi
tesse al mio cor le reti, ordisce i nodi,
ch'avolto grida in sì ricco lavoro:
O che bella prigion, tra lacci d'oro.
4 - Errori di bella chioma
O chiome erranti, o chiome
dorate, innanellate,
o come belle, o come
e volate e scherzate:
ben voi scherzando errate
e son dolci gli errori,
ma non errate in allacciando i cori.
5 - Rete d'oro in testa della sua donna
Porta intorno madonna
lacci a lacci aggiungendo ed oro ad oro,
d'aurea prigion l'aurea sua chioma avolta.
Alma libera e sciolta
fra quel doppio tesoro
ove n'andrai, che non sii presa alfine,
s'ella ha rete nel crine e rete è il crine?
6 - Nel medesimo suggetto
Dal zoppo genitore
appreso hai forse l'arte
d'ordir le reti, industre fabro Amore?
Ecco le trecce bionde,
pur dianzi al'aura sparte,
ricca rete gentil lega ed asconde.
Ma se' mastro migliore
(sannol tua madre e Marte)
ed han le reti tue forza maggiore:
quelle stringono il corpo e queste il core.
7 - Lontananza consolata
Vita mia, di te privo,
sai tu com'io son vivo?
Poiché mi manca il vero
ti formo col pensiero
e ti parlo e t'adoro
e mirando l'imagine non moro.
8 - Nel medesimo suggetto
Mentre lunge ti stai
da me, dolce ben mio,
o bel ritratto che di te serb'io!
Questo ognor, se nol sai,
vaneggiando vagheggio,
vagheggiando vaneggio.
Qual la pittura sia, chi sia 'l pittore
forse cercando vai?
L'imagine se' tu, la tela il core,
il pennello lo strale, il fabro Amore.
9 - Nel medesimo suggetto
Or che da te, mio bene,
Amor lunge mi tiene, il pensier vago
spesso innanzi mi pon l'amata imago.
E qual ape ingegnosa,
quindi un giglio talor, quinci una rosa
scegliendo a suo diletto,
rappresentar mi sole
ne le più belle forme il caro oggetto;
e spesso mostra al cor, ch'egro si dole,
la tua beltà nel Ciel, gli occhi nel Sole.
10 - Anfione di marmo
Quel musico tebano,
lo cui soave canto
ale pietre diè vita,
or son di pietra imagine scolpita.
Ma benché pietra, io vivo, io spiro, e 'ntanto
così tacendo io canto.
Or ceda ogni altra il pregio ala tua mano,
fabro illustre e sovrano,
poich'animar la pietra
sa meglio il tuo scarpel che la mia cetra.
11 - Nel medesimo suggetto
Non è di vita privo,
non è di spirto casso
quest'Anfion di sasso,
anzi sì vive e spira
che, se 'l plettro movesse insù la lira,
quand'ei non fusse vivo,
la sua stessa armonia
avivar lo poria.
12 - Donna bella e crudele
Amor, com'esser può che per mia doglia
chiuda un tenero seno anima alpina?
Com'è che si nasconda e si raccoglia
mente infernal sotto beltà divina?
Sì bella guancia con sì cruda voglia
sembra cinta di fior tana ferina;
sì fero core in sì leggiadra spoglia
è qual vipera in rosa o rosa in spina.
Chi crederà che Morte empia si celi
in angelico sguardo? e che 'n un riso
dolce il pianto e 'l dolor si copra e veli?
Potrò ben dir, s'un mansueto viso
esser ministro dee d'opre crudeli
ch'abbia ancor le sue Furie il Paradiso.
13 - Inferno amoroso
Donna, siam rei di morte. Errasti, errai;
di perdon non son degni i nostri errori.
Tu, ch'aventasti in me sì fieri ardori;
io, che le fiamme a sì bel sol furai.
lo, ch'una fera rigida adorai;
tu, che fosti sord'aspe a' miei dolori.
Tu nel'ire ostinata, io negli amori.
Tu pur troppo sdegnasti, io troppo amai.
Or la pena, laggiù nel cieco Averno,
pari al fallo n'aspetta. Arderà poi
chi visse in foco, in vivo foco eterno.
Quivi (s'Amor fia giusto) amboduo noi
al'incendio dannati, avrem l'inferno:
tu nel mio core, ed io negli occhi tuoi.
14 - Beltà crudele
E labra ha di rubino
ed occhi ha di zaffiro
la bella e cruda donna ond'io sospiro.
Ha d'alabastro fino
la man che volge del tuo carro il freno,
di marmo il seno e di diamante il core.
Qual meraviglia, Amore,
s'a' tuoi strali, a' miei pianti ella è sì dura?
Tutta di pietre la formò natura.
15 - Seno
O che dolce sentier tra mamma e mamma
scende in quel bianco sen, ch'Amor allatta!
Vago mio cor, qual timidetta damma,
da' begli occhi cacciato, ivi t'appiatta;
dal'ardor, che ti strugge a dramma a dramma,
schermo ti fia la bella neve intatta:
neve ch'ognor dala vivace fiamma
di duo soli è percossa e non disfatta.
Vattene pur, ma per la via secreta
non distender tant'oltre i passi audaci
che t'arrischi a toccar l'ultima meta;
raccogli sol, cultor felice, e taci,
in quel solco divin (se 'l vel nol vieta)
da seme di sospir messe di baci.
16 - Seno
Da duo candidi margini diviso
apre quel sen, ch'ogni altro seno aborre,
con angusto canal, che latte corre,
una via che conduce in paradiso.
Non osa alcun, che non rimanga ucciso,
in quel fonte vital le labra porre,
ché quinci e quindi alabastrina torre
guarda in duo vivi scogli Amore assiso,
e, volando talor spedito e lieve
su quell'alpi d'avorio, aventa e scocca
strali di foco involti entro la neve;
onde, mentr'ivi a un punto ed arde e fiocca,
con amara dolcezza insieme beve
assenzio il core e nettare la bocca.
17 - Occhi
Occhi, s'è ver ch'uom saggio
le chiare luci pote
signoreggiar dele celesti rote,
a me perché non lice
posseder voi, voi luminose e belle,
nate a un parto col sol, terrene stelle?
Astrologia felice,
se potessi, baciando un vostro raggio,
dirvi: "Più non vi temo infausti e rei:
occhi, voi siete miei".
18 - Occhi
Occhi dela mia vita,
se dentro 'l cor mi state,
voi pur le fiamme ond'ardo ognor mirate.
Itene dunque e raccontate a lei
i gravi incendi miei.
Deh no, meco restate,
occhi, però che 'l core
per voi sol vive e senza voi si more.
19 - Occhi
Luci belle e spietate,
gli sguardi che girate
o di sdegno o d'amor son sempre eguali:
omicidi e mortali;
perché s'altrui mirate
colme d'ira e d'orgoglio
uccidete d'affanno e di cordoglio,
e se pietose ancor vi rivolgete
di dolcezza uccidete.
20 - Occhi
Chi vuol veder, chi vuole
veder, amanti, al mezzodì più chiaro
le stelle in fronte al sole,
venga a mirar del'idolo mio caro
gli occhi, onde 'l sole ha scorno:
che portan notte altrui, mentre fan giorno.
21 - Occhi
Luci serene e liete,
ond'ha la luce il sol, l'azzurro il cielo:
se del zaffiro è naturale il gelo,
come l'alme accendete?
O vie più di Neron perfide e felle,
luci crudeli e belle,
ch'amor non conoscete
e con fiamme amorose il mondo ardete!
22 - Sguardo
Altra mercè giamai
ch'esser da voi mirato io non bramai,
occhi avari e superbi, e voi 'l negaste.
Al fin pur mi miraste,
e se turbato il bel guardo sereno
ver me volgeste, almeno
pur negar non potete
che mirato m'avete.
23 - Occhi e mammelle
Miro i vostr'occhi belli,
donna, e rimiro le leggiadre mamme,
queste di latte e quelli
fabricati di fiamme.
Dico poi sospirando in doppia arsura:
"Non devea por Natura
per rischiarar da sì sereni poli
duo mondi di beltà men di duo soli".
24 - Bella schiava
Nera sì, ma se' bella, o di Natura
fra le belle d'Amor leggiadro mostro.
Fosca è l'alba appo te, perde e s'oscura
presso l'ebeno tuo l'avorio e l'ostro.
Or quando, or dove il mondo antico o il nostro
vide sì viva mai, sentì sì pura,
o luce uscir di tenebroso inchiostro,
o di spento carbon nascere arsura?
Servo di chi m'è serva, ecco ch'avolto
porto di bruno laccio il core intorno,
che per candida man non fia mai sciolto.
Là 've più ardi, o sol, sol per tuo scorno
un sole è nato, un sol che nel bel volto
porta la notte, ed ha negli occhi il giorno.
25 - Donna vestita di nero
Cinto di fosche e tenebrose bende,
di nero manto e di funesto velo
veggio rotar per l'amoroso cielo
quel sol che solo i miei desiri accende.
Lo mio cor che da lui virtù sol prende,
qual fiore oppresso da notturno gelo
cade languido e more, o quasi stelo
cui gelid'ombra o fero turbo offende.
Ed a ragion chi del suo sole ognora
per la luce vital convien che viva,
per l'eclisse mortal convien che mora.
Se sole è del mio cor chi 'l cor m'aviva,
e 'l mio cor vive sol nel sol ch'adora,
chi gli offusca il suo sol, di vita il priva.
26 - Amor secreto
Ardi contento e taci,
o di secreto amore
secretario mio core.
E voi sospiri, testimoni ascosi
de' miei furti amorosi,
che per uscire ador ador m'aprite
le labra, ah non uscite,
ch'ai saggi, oimè, del'amorosa scola
il sospiro è parola.
27 - Gelosia
Vecchio importun, che 'l rozzo labro irsuto
sporgi al labro di lei, ch'io prego invano,
onde con Citerea sembri Vulcano,
ed ella par Proserpina con Pluto,
e mentre curvo e pallido e barbuto
accosti al bianco sen la rozza mano,
passero insieme e cigno, ascondi insano
giovinetto pensiero in pel canuto,
fuggi, ah fuggi meschin, né tanto possa
quel desir, che t'innebria i sensi sciocchi
e che t'empie d'ardor le gelid'ossa.
Sai ch'alberga la morte in que' begli occhi,
e tu che 'l piè su l'orlo hai dela fossa,
in vece di fuggir, la stringi e tocchi.
28 - Lontananza
Ove ch'io vada, ove ch'io stia, talora
in ombrosa valletta o 'n piaggia aprica,
la sospirata mia dolce nemica
sempre m'è innanzi, onde convien ch'io mora.
Quel tenace pensier che m'innamora,
per rinfrescar la mia ferita antica,
l'appresenta a quest'occhi e par che dica:
io da te lunge, e tu pur vivi ancora?
Intanto verso ognor larghe e profonde
vene di pianto e vò di passo in passo
parlando ai fiori, al'erbe, agli antri, al'onde;
poscia in me torno, e dico: ahi folle, ahi lasso;
e chi m'ascolta qui? chi mi risponde?
Miser, che quello è un tronco, e questo è un sasso.
29 - La lontananza
È partito il mio bene,
ho perduto il mio core. Oimè, qual vita
in vita or mi sostene?
Lasso, com'è rimaso
fosco il sol, negro il cielo!
Il dì giunto al'occaso,
amor fatto è di gelo.
Duro partir, che m'hai l'alma partita,
chi ti disse partire
devea con più ragion dirti morire.
O Dio, quel dolce a Dio
che piangendo mi disse, a cui piangendo
a Dio risposi anch'io,
deh, come dala spoglia
l'anima non divise?
E come per gran doglia
la vita non uccise?
Alma e vita io non ho, poiché, perdendo
il mio dolce conforto,
a Dio dirgli ho potuto, e non son morto.
Morto non sono ed ardo
lontan dal foco mio, dal caro foco
di quel celeste sguardo.
E quanto è men dapresso
la fiamma ond'io languisco,
dal grave incendio oppresso
più moro e 'ncenerisco.
Il foco, ahi no, che per cangiar di loco
da me non si disgiunge;
sol la cagion del foco è da me lunge.
Tetto, già lieto e fido
tempio del'idol mio, ciel del mio sole,
or solitario nido,
spelunca abbandonata
di spavento e di morte,
chiudi, chiudi l'entrata
dele dolenti porte;
tenebrosa magion, misera mole,
cadi pur, cadi, ahi lasso,
ch'al mio core è saetta ogni tuo sasso.
Balcon gradito e caro,
che fosti già di più sereno die
oriente più chiaro,
or fatto atro soggiorno
di notte oscura e mesta,
serra, deh serra al giorno
la finestra funesta;
ché, qualor s'apre a queste luci mie,
con spada di dolore
me n'apre un'altra in mezzo al petto Amore.
Cameretta fedele,
già pacifico porto e dolce meta
dele mie stanche vele,
or che battuto ondeggio
per l'onde e per gli scogli,
poiché morir pur deggio
fra pianti e fra cordogli,
chi mi cela il mio polo? e chi mi vieta
che morte e tomba almeno
non mi dian que' begli occhi e quel bel seno?
Letto, del mio diletto
felice un tempo albergo, or del mio duolo
sconsolato ricetto,
se sei pur, come sembri,
di me pietoso tanto,
poich'accogli i miei membri
ed asciughi il mio pianto,
pietà più non chegg'io; cheggioti solo,
in questa notte oscura,
che ti cangi di letto in sepoltura.
Specchio, che ti specchiavi
nel sol del chiaro volto e nele stelle
de' begli occhi soavi,
or di quel lume ardente
vedovato ed oscuro,
ben sei cristallo algente,
anzi diamante duro,
se per più non stampar luci men belle
di quelle onde sei privo,
non distempri il tuo ghiaccio in pianto vivo.
Candido eburneo rastro,
non ch'agguagli però dela man bianca
l'animato alabastro,
tu che solevi, arando
i solchi dei bel crine,
l'oro gir coltivando
dele fila divine,
ahi come sono, or ch'ogni ben ti manca,
i tuoi minuti denti
sol per mordermi il cor fatti pungenti!
Acque felici e chiare,
cui d'esser tributario ebbe più volte
ambizione il mare;
in cui vivono ancora
le faville amorose
di quel sol che talora
ne' vostri umor s'ascose;
deh, perché non struggete, inun raccolte,
accresciute dal'onde
dele lagrime mie, l'infauste sponde?
Aria pura e gentile,
fatta serena già da sì bei rai,
non avrai dunque a vile
ch'altro petto, altro fiato
di te viva e respiri?
Terren sacro e beato,
non sdegni e non t'adiri
ch'altro men vago piè ti calchi mai,
quando ancora si serba
dele bell'orme in te fiorita l'erba?
Musici arnesi, e voi
che talor l'angel mio trattar solea,
dolci trastulli suoi,
che sua mercé rendeste
angelica armonia,
senza la man celeste
di voi, lassi, che fia?
Poscia che così vuol fortuna rea,
omai le vostre tempre
ché non sciogliete? o non piangete sempre?
Ma tu perché non torni,
o sol degli occhi miei?
Deb, che fai? chi t'accoglie? e dove sei?
30 - Sogno
È sogno o ver? Se sogno, ahi, chi depinge
viva la bella imagine ala mente?
Come fiamma sì lucida e sì ardente
gelid'ombra notturna esprime e finge?
S'è ver, qual lieta stella or la sospinge
cortese a consolar questo dolente?
Da qual nova pietà mossa repente
la sua man mi distende e la mia stringe?
Questo è pur il mio sol, l'idolo mio;
è pur la bianca man questa ch'io veggio.
lo la tocco, io la bacio. lo son pur io.
Ciò che sei, vero o sogno, altro non cheggio.
Se sei vero, è già pago il gran desio
e se sei sogno, io volentier vaneggio.
31 - Sogno
In sogno ancora (Amor, che puoi più farmi?)
gioco mi fai del tuo spietato impero.
Ecco colei, che già mi sparve, apparmi
in dolce atto vezzoso e lusinghiero.
Com'esser può che possa il sonno darmi
quel che 'n vigilia poi mi nega il vero?
Che mi conceda or tu quelche mostrarmi
non ardì mai l'adulator pensiero?
Ma se ben erro ed insensibil giaccio,
quanti oggetti più cari il senso formi
non vaglion l'ombra del'error ch'abbraccio.
Ahi, ben vegg'io che mentre in grembo a tormi
viene il riposo ed io gli dormo in braccio,
vegghia il mio incendio, e tu crudel non dormi.
32 - Sogno
Vien la mia donna in su la notte ombrosa
qual suole apunto il mio pensier formarla
e qual col rozzo stil tento ritrarla,
ma qual mai non la vidi a me pietosa.
"Pon freno al pianto, e pace spera, e posa,
o mio fedel, che tempo è da sperarla"
sorridendo mi dice, e mentre parla
m'offre del labro l'animata rosa.
Allor la bacio: ella ribacia e sugge;
lasso, ma 'l bacio in nulla ecco si scioglie,
e con la gioia insieme il sonno fugge.
Or qual, perfido Amor, fra tante doglie
deggio attender mercé da chi mi strugge,
se i mentiti diletti anco mi toglie?
33 - Giuoco di dadi
Stiamo a veder di quante palme adorna
sen vada, Amor, la man leggiadra e bianca,
mentre del mobil dado ardita e franca
travolge i punti e fa guizzar le corna.
L'aggira, il mesce, il tragge, indi il distorna,
né d'agitarlo e scoterlo si stanca;
e dala destra intanto e dala manca
stuolo aversario e spettator soggiorna.
Posto è in disparte, al vincitor mercede,
cumulo d'oro; e variar più volte
sorte il minuto avorio ognor si vede.
Felici in sì bell'urna ossa raccolte,
perché pur ale mie non si concede
in sì terso alabastro esser sepolte?
34 - Giuoco di primiera
Con venti e venti effigiate carte
(armi del'Ozio) il sol de' miei pensieri
esercitando gìa fra tre guerrieri
in domestico agon scherzi di Marte.
L'accogliean, le spendean confuse e sparte,
fatti di cieca dea campioni alteri,
e con assalti or simulati or veri,
or schernian l'arte, or si schermian con l'arte.
Quando ver me volgendo il guardo pio
(e gliele diè di propria mano Amore)
quattro ne prese il bell'idolo mio.
V'era col quadro e con la picca il fiore,
il cor non v'era già; ma gli died'io
(per farlo apien vittorioso) il core.
35 - Giuoco di pallone. Per una donna
Globbo gravido d'aure al ciel sospinto
ferir con cavo legno, il volto e 'l crine
sparso di vive fiamme e vive brine,
veggio scherzando il mio novel Giacinto,
e, crudel fra gli scherzi, al gioco accinto,
ma più molto ale stragi, ale rapine,
strugger mill'alme, e di chi vince alfine
trionfar vincitore, e vincer vinto.
E mentre, quasi un ciel ch'avampi e scocchi,
battendo il lieve suo volubil pondo
tuona col braccio e folgora con gli occhi,
par, degli strazi suoi lieto e giocondo,
o la man vaga, o 'l piè leggiadro il tocchi,
gioir percosso e ripercosso il mondo.
36 - Giuoco di racchetta. Per la medesima
Quasi in campo di Marte, in chiuso loco
contro mi vien di rete e d'arco armato,
non ignudo, non cieco e non alato
il mio novello Amore, il mio bel foco.
Già mi saetta, e contrastar val poco,
emulo del bel viso, il braccio amato.
Già m'imprigiona, e misero e beato
perdo in un punto stesso il core e 'l gioco.
Fuggitivo il mio cor, quasi farfalla
intorno alo splendor del caro oggetto
vola al volar dela volubil palla.
E quanti colpi intanto il mio diletto
m'aventa con la man, che mai non falla,
tanti fa nodi al'alma e piaghe al petto.
37 - Canto
O voi, che lieti ove vi spinge e mena
in mal secura nave aura seconda,
l'infido mar, che tanti legni affonda,
ite solcando d'una in altra arena,
di questa bella e micidial sirena
fuggite il canto inver la destra sponda:
canto, cui par non ha la terra o l'onda
dala riva d'Eurota ala tirrena.
Pur, se 'l ciel mai vi guida al dolce loco,
con greco ingegno, ove lusinga amore,
chiudete il varco al'armonia di foco.
Ma di fral cera a sì possente ardore
l'orecchio armar che val, s'anco val poco
armar di smalto adamantino il core?
38 - Bella cantatrice
O bella incantatrice,
quel tuo sì dolce canto
dolce canto non è, ma dolce incanto,
nova magia d'Amor, novella sorte
di far dolce la morte.
Allor la vita more
quando l'aura vital si manda fore,
ma in alma innamorata
con quell'aura mortal Morte ha l'entrata.
39 - Bella cantatrice
Abbi, musica bella,
anzi musa novella, abbiti il vanto
dele due chiare cetre,
che le piante movean, movean le pietre.
Che val però col canto
vivificar le cose inanimate,
se nel tuo vivo cor morta è pietate?
O chiari, o degni onori,
porger l'anima ai tronchi e torla ai cori!
O belle, o ricche palme,
dando la vita ai sassi, uccider l'alme!
40 - Pianto
Versar vid'io da' suoi begli occhi fore
la mia nemica lagrime dolenti,
dentro i cui puri e lucidi torrenti
tutto s'immerse e si sommerse il core.
Nela sua cote a quel soave umore
le quadrella arrotava aspre e pungenti,
e, qual vago augelletto a' giorni ardenti,
scotea le piume e si lavava Amore.
Forse pietosa feritrice e vaga
volse del petto, che trafisse a torto,
con l'armi, onde l'aprì, chiuder la piaga.
Dispietata pietà, tardo conforto:
nova serpe d'Egitto il cor m'impiaga,
e piagne il mio morir poiché m'ha morto.
41 - Pianto
O quali, o quali io sento
angelici spirar celesti odori,
mentre veggio tra' fiori
di due piagge animate
tenera distillar pioggia d'argento.
O lagrime odorate,
lagrime voi non già, ma preziose
acque d'angeli siete, acque di rose.
42 - Madonna chiede versi di baci
Le carte, in ch'io primier scrissi e mostrai
l'arte del ben baciar, Lilla mi chiedi.
Ma di tanti, che loro io già ne diedi,
tu crudel pur un solo a me non dai.
Deh, perché quei che'n lor baci stampai,
stampar nel volto tuo non mi concedi?
E quel piacer, che tu con gli occhi vedi,
con la bocca sentire a me non fai?
Saprai qual sia maggior de' duo diletti,
s'io di questi o di quei sia miglior fabro,
e quai più dolci sien, gustati o letti.
lo volentier con porpora e cinabro
cangio un vil don, se tu cangiar prometti
baci per versi e con un libro un labro.
43 - Piacere imperfetto
Alza costei dal fondo de' tormenti
dov'erger l'ali apena osan le voglie,
promettendo conforto a tante doglie,
le mie speranze debili e cadenti.
Ma come sol, che con suoi raggi ardenti
nube in alto solleva e poi la scioglie,
repulsa allor mi dà quando m'accoglie
e i più lieti pensier fa più dolenti.
Lasso, e perché con placid'aura e lieve
le mie vele omai stanche al porto alletta,
se poi tra' flutti abbandonar mi deve?
Così suol giocator, che palla aspetta
per ribbatterla indietro, e la riceve
sol per spingerla poi con maggior fretta.
44 - Nel medesimo suggetto
Il più mi dona e mi contende il meno
questa crudel, che del giardin d'Amore
mi nega il frutto e mi concede il fiore,
posto ai desir su 'l maggior corso il freno.
Desta la voglia e non l'appaga apieno,
tempra la fiamma e non spegne l'ardore,
m'alletta il senso e non mi sazia il core,
m'accoglie in braccio e non mi vuole in seno.
O spietata pietà, fiera bellezza,
per cui more il piacere, in fasce ucciso
apena nato, in grembo ala dolcezza!
Così congiunto a lei, da lei diviso,
povero possessor d'alta ricchezza,
Tantalo fatto sono in paradiso.
45 - Trastulli estivi
Era nela stagion quando ha tra noi
più lunga vita il giorno
e l'ombra ai tronchi intorno
stende minori assai gli spazi suoi;
allor che 'l sol congiunto
con la stella che rugge
dal più sublime punto
saetta i campi, e i fiori uccide e strugge;
ed era l'ora apunto
quando con linea egual la rota ardente
tien fra l'orto il suo centro e l'occidente.
Io tutto acceso d'amoroso affetto
col cor tremante in seno
stavami in parte e pieno
di desir, di speranza e di diletto,
gìa misurando l'ore
del mio promesso bene.
Fortunate dimore,
onde poscia il piacer doppio diviene!
Son le tue gioie, Amore,
tanto bramate più, quanto più rare,
tanto aspettate più, tanto più care.
Quinci con mente cupida e confusa
e gelava ed ardea;
dela finestra avea
l'una parte appannata e l'altra chiusa.
Qual suol lume che scende
torbido in folto bosco,
o qual sul'alba splende
misto ala notte il dì tra chiaro e fosco,
con tal luce s'attende,
perché 'l rossor si celi e la paura,
vergognosa fanciulla e mal secura.
Ed ecco allor soletta a me vid'io
venir Lilla la bella,
Lilla la verginella,
la mia fiamma, il mio sol, l'idolo mio.
Succinta gonna e breve,
quasi al più chiaro cielo
nebbia sottile e lieve,
ombra le fea d'un candidetto velo;
onde di viva neve
le membra, ch'onestà nasconde e chiude,
eran pur ricoverte e parean nude.
Tra le braccia la strinsi, in sen l'accolsi;
del'odorato lino
l'abito pellegrino
con frettolosa man le scinsi e sciolsi.
E benché frale spoglia
fusse fren maltenace
a sì rapida voglia,
non fu però ch'io la sciogliessi in pace.
Sdegno, alterezza e doglia
ne' begli occhi mostrò; pugnò, contese:
dolci risse, onte care e care offese.
Vidi per prova allor, sì come e quanto
mal volentier contrasta
o ritrosetta o casta
vergine, e qual sia l'ira e quale il pianto.
Falso pianto, ira finta:
ancorché pugni e neghi,
vuol pugnando esser vinta;
son le scaltre repulse inviti e preghi.
Di scorno il viso tinta,
dar non vuol mai né tor la giovinetta
ciò che brama in suo cor, se non costretta.
Corsi ale labra e, quant'ardente ardito,
con grata allor, non grave
violenza soave
più d'un spirto gentil n'ebbi rapito.
E la bocca divina,
pur contendente i baci,
crucciosa ala rapina,
gli prendea tronchi e gli rendea mordaci.
Ma chiunque destina
ai baci amor, né varca oltra quel segno,
quegli è de' baci stessi ancora indegno.
Qual mi fess'io, ciò ch'io scorgessi in lei,
poiché le falde intatte
del'animato latte
si svelaro, o beati, agli occhi miei,
ridir né so né voglio.
Mille oltraggi diversi
da quel tenero orgoglio,
mille ingiurie innocenti allor soffersi.
Ma, qual fra l'onde scoglio,
alcuna parte dei mio seno ignudo
dala candida man mi facea scudo.
Lentato il morso al'avido desire
(o dolcezze, o bellezze,
o bellezze, o dolcezze)
m'apersi il varco al'ultimo gioire.
Quivi a sfiorar m'accinsi
l'orto d'amor pian piano
e nel suo chiuso spinsi
l'ardita mia violatrice mano.
Dolce meco la strinsi,
appellandola pur luce gradita,
gioia, speranza, core, anima e vita.
"Che fai crudel?, dicea, crudel che fai?
Dunque me, che t'adoro,
del mio maggior tesoro,
del maggior pregio impoverir vorrai?
Tu signor del volere,
tu possessor del'alma,
a che cerchi d'avere
dela parte più vil men degna palma?
Ahi, per sozzo piacere
non curi, ingordo di furtive prede,
di macchiar la mia fama e la tua fede?"
Tre volte a questo dir giunto assai presso
ale dolcezze estreme,
qual'uom che brama e teme,
fui de' conforti miei scarso a me stesso,
e, del suo duol pietoso,
il mio piacer sostenni.
Pur del corso amoroso
ala meta soave al fin pervenni,
ed al'impetuoso
desir cedendo il fren libero in tutto,
colsi il suo fiore e de' miei pianti il frutto.
Ala piaga d'Amor cadde trafitta
e, vinta al dolce assalto,
di bel purpureo smalto
rigò le piume, inun lieta ed afflitta.
Io vincitor guerriero
dela nemica essangue
quasi in trionfo altero
portai nel'armi e nele spoglie il sangue .
Così l'alato arciero
l'arsura in me temprò cocente e viva
dela fiamma amorosa e del'estiva.
Canzon, lasciar intatta
da sé partire amata donna e bella
non cortesia, ma villania s'appella.
46 - Per la signora N. Vipereschi
Vipera mia, che di fin or lucenti
tergi le spoglie al sol del vero onore,
a cui di spine cinto aspre e pungenti
fatto è siepe il mio petto e nido il core:
spirano i cari tuoi fiati innocenti
di grave fiamma invece, arabo odore.
Sono i tuoi fischi angelici concenti,
e 'l tuo veleno è nettare d'amore.
O per grazia del ciel, sì com'io lessi
ch'a Cadmo ed Ermion fu dato in sorte,
anch'io cangiarmi in aspido potessi,
ché s'ambo un nodo poi tenace e forte
n'unisse, ed io baciassi, e tu mordessi,
chi da più dolci morsi ebbe la morte?
47 - Pendenti in forma di serpi
Quegli aspidi lucenti
che d'oro e smalto in picciol orbe attorti
dal'orecchie pendenti,
vaga Lilla, tu porti,
dimmi, che voglion dir? Sì sì, t'intendo:
son dele pene altrui crude ed indegne
misteriose insegne,
ché, qual aspe mordendo,
cruda ferisci altrui, sorda non senti
preghi, pianti o lamenti.
48 - Treccia riccamata di perle
Questo bel crine aurato,
prezzo del mio dolore,
ritegno del mio core,
dele lagrime mie tutto fregiato,
fu già tuo laccio, or è mio dono, Amore.
Ecco ch'io 'l bacio e godo,
e del mio ricco nodo
movo invidia agli amanti, e dico altrui:
Vedete l'oro onde comprato io fui
.
49 - Di Ravenna. Al sig. cavalier Andrea Barbazza
Barbazza, io mi son qui dove ristagna
l'onda nel pian che paludoso e molle
infra 'l Ronco e 'l Monton le sacre zolle
più di sangue che d'acqua impingua e bagna.
Ma del mio cor, che senza te si lagna,
non affrena già 'l volo o selva o colle,
né da te, di cui solo avampa e bolle,
tanto tratto di ciel mai lo scompagna.
Qui però duro intoppo il piè ritiene,
né mai luce di sol che non sia negra
porta l'ore per me poco serene.
Così passo la vita afflitta ed egra
e così sempre fia se'n te non viene
la metà di quest'alma a farsi integra.
50 - Al sig. Rafaello Rabbia
Rabbia, io men vò lungo il castalio rivo
qual già l'ebrea famelica e mendica,
dietro ai cultor del'eloquenza antica
per lo campo latino e per l'argivo.
E mentre d'Israel la strage scrivo,
altro frutto non ho di mia fatica
che qualche bella e preziosa spica
lor caduta di sen, raccor furtivo.
Ma la messe miglior recide e rade
la falce sì de' duo toscani illustri,
ch'omai poco per me n'avanza o cade.
Pur men'andrò fra metidori industri
dopo costor, se non ariste e biade,
solo cogliendo almen rose e ligustri.
ADONE
Canto 1
allegoria
LA FORTUNA. Nella sferza di rose e di spine con cui Venere batte il figlio si figura la qualità degli amorosi piaceri, non giamai discompagnati da' dolori. In Amore che commove prima Apollo, poi Vulcano e finalmente Nettuno, si dimostra quanto questa fiera passione sia potente per tutto, eziandio negli animi de' grandi. In Adone che con la scorta della Fortuna dal paese d'Arabia sua patria passa all'isola di Cipro, si significa la gioventù che sotto il favore della prosperità corre volentieri agli amori. Sotto la persona di Clizio s'intende il signor Giovan Vincenzo Imperiali, gentiluomo genovese di belle lettere, che questo nome si ha appropriato nelle sue poesie. Nelle lodi della vita pastorale si adombra il poema dello Stato rustico, dal medesimo leggiadramente composto.
Canto 1, argomento
Passa in picciol legnetto a Cipro Adone
dale spiagge d'Arabia, ov'egli nacque.
Amor gli turba intorno i venti e l'acque,
Clizio pastor l'accoglie in sua magione.
Canto 1
Io chiamo te, per cui si volge e move 1
la più benigna e mansueta sfera,
santa madre d'Amor, figlia di Giove,
bella dea d'Amatunta e di Citera;
te, la cui stella, ond'ogni grazia piove,
dela notte e del giorno è messaggiera;
te, lo cui raggio lucido e fecondo
serena il cielo ed innamora il mondo,
tu dar puoi sola altrui godere in terra 2
di pacifico stato ozio sereno.
Per te Giano placato il tempio serra,
addolcito il Furor tien l'ire a freno;
poiché lo dio del'armi e dela guerra
spesso suol prigionier languirti in seno
e con armi di gioia e di diletto
guerreggia in pace ed è steccato il letto.
Dettami tu del giovinetto amato 3
le venture e le glorie alte e superbe;
qual teco in prima visse, indi qual fato
l'estinse e tinse del suo sangue l'erbe.
E tu m'insegna del tuo cor piagato
a dir le pene dolcemente acerbe
e le dolci querele e'l dolce pianto;
e tu de' cigni tuoi m'impetra il canto.
Ma mentr'io tento pur, diva cortese, 4
d'ordir testura ingiuriosa agli anni,
prendendo a dir del foco che t'accese
i pria sì grati e poi sì gravi affanni,
Amor, con grazie almen pari al'offese,
lievi mi presti a sì gran volo i vanni
e con la face sua, s'io ne son degno,
dia quant'arsura al cor, luce al'ingegno.
E te, ch'Adone istesso, o gran Luigi, 5
di beltà vinci e di splendore abbagli
e, seguendo ancor tenero i vestigi
del morto genitor, quasi l'agguagli,
per cui suda Vulcano, a cui Parigi
convien che palme colga e statue intagli,
prego intanto m'ascolti e sostien ch'io
intrecci il giglio tuo col lauro mio.
Se movo ad agguagliar l'alto concetto 6
la penna, che per sé tanto non sale,
facciol per ottener dal gran suggetto
col favor che mi regge ed aure ed ale.
Privo di queste, il debile intelletto,
ch'al ciel degli onor tuoi volar non vale,
teme al'ardor di sì lucente sfera
stemprar l'audace e temeraria cera.
Ma quando quell'ardir ch'or gli anni avanza, 7
sciogliendo al vento la paterna insegna
per domar la superbia e la possanza
del tiranno crudel che'n Asia regna,
vinta col suo valor l'altrui speranza
fia che'nsu'l fiore a maturar si vegna,
allor, con spada al fianco e cetra al collo,
l'un di noi sarà Marte e l'altro Apollo.
Così la dea del sempreverde alloro, 8
parca immortal de' nomi e degli stili,
ale fatiche mie con fuso d'oro
di stame adamantin la vita fili
e dia per fama a questo umil lavoro
viver fra le pregiate opre gentili,
come farò che fulminar tra l'armi
s'odan co' tuoi metalli anco i miei carmi.
La donna che dal mare il nome ha tolto 9
dove nacque la dea ch'adombro in carte,
quella che ben a lei conforme molto
produsse un novo Amor d'un novo Marte,
quella che tanta forza ha nel bel volto
quant'egli ebbe nel'armi ardire ed arte,
forse m'udrà, né sdegnerà che scriva
tenerezze d'amor penna lasciva.
Ombreggia il ver Parnaso e non rivela 10
gli alti misteri ai semplici profani,
ma con scorza mentita asconde e cela,
quasi in rozzo Silen, celesti arcani.
Però dal vel che tesse or la mia tela
in molli versi e favolosi e vani,
questo senso verace altri raccoglia:
smoderato piacer termina in doglia.
Amor pur dianzi, il fanciullin crudele, 11
Giove di nova fiamma acceso avea.
Arse di sdegno e'l cor d'amaro fiele
sparsa, gelò la sua gelosa dea,
e'ncontro a lui con flebili querele
richiamossi del torto a Citerea;
onde il garzon sovra l'etade astuto
dala materna man pianse battuto.
- Oimé, possibil fia (dicea Ciprigna) 12
ch'io mai per te di pace ora non abbia?
Qual cerasta più livida e maligna
nutre del Nilo la deserta sabbia?
qual furia insana, o qual arpia sanguigna
là negli antri di stige ha tanta rabbia?
Dimmi, quel tosco ond'ogni core appesti,
aspe di paradiso, onde traesti?
Vuoi tu più mai contaminar di Giuno 13
le leggittime gioie e i casti amori?
Udrò di te mai più richiamo alcuno,
ministro di follie, fabro d'errori,
sollecito avoltor, verme importuno,
morbo de' sensi, ebrietà de' cori,
di fraude nato e di furor nutrito,
omicida del senno, empio appetito?
Ira mi vien di romperti que' lacci 14
e quell'arco che fa piaghe sì grandi,
né so chi mi ritien ch'or or non stracci
quante reti malvage ordisci e spandi,
che per sempre dal ciel non ti discacci,
che'n essilio perpetuo io non ti mandi
su i gioghi ircani e tra le caspie selve,
arcier villano, a saettar le belve.
Che tu fra gli egri e languidi mortali, 15
di cui s'odono ognor gridi e lamenti,
semini colaggiù martiri e mali,
convien, malgrado mio, ch'io mi contenti;
ma soffrirò che'n ciel vibri i tuoi strali,
non perdonando ale beate genti?
che sostengan per te strazi sì rei,
serpentello orgoglioso, anco gli dei?
Che più? fin dele stelle il sommo duce 16
questo malnato di sforzar si vanta,
e spesso a stato tale anco il riduce
ch'or in mandra or in nido, or mugghia or canta.
Un pestifero mostro, orbo di luce,
avrà dunque fra noi baldanza tanta?
un, che la lingua ancor tinta ha di latte,
cotanto ardisce? - E ciò dicendo il batte.
Con flagello di rose insieme attorte 17
ch'avea groppi di spine, ella il percosse
e de' bei membri, onde si dolse forte,
fe' le vivaci porpore più rosse.
Tremaro i poli e la stellata corte
a quel fiero vagir tutta si mosse;
mossesi il ciel, che più d'Amor infante
teme il furor che di Tifeo gigante.
Dela reggia materna il figlio uscito, 18
con quello sdegno allor se n'allontana
con cui soffiar per l'arenoso lito
calcata suol la vipera africana
o l'orso cavernier, quando ferito
si scaglia fuor dela sassosa tana
e va fremendo per gli orror più cupi
dele valli lucane e dele rupi.
Sferzato e pien di dispettosa doglia, 19
fuggì piangendo ala vicina sfera,
là dove cinto di purpurea spoglia,
gran monarca de' tempi, il Sole impera
e'nsu l'entrar dela dorata soglia,
stella nunzia del giorno e condottiera,
Lucifero incontrò, che'n oriente
apria con chiave d'or l'uscio lucente.
E'l Crepuscolo seco, a poco a poco 20
uscito per la lucida contrada
sovra un corsier di tenebroso foco,
spumante il fren d'ambrosia e di rugiada,
di fresco giglio e di vivace croco
forier del bel mattin spargea la strada
e con sferza di rose e di viole
affrettava il camino innanzi al Sole.
La bella luce, che'n su l'aurea porta 21
aspettava del Sol la prima uscita,
era di Citerea ministra e scorta,
d'amoroso splendor tutta crinita.
Per varcar l'ombre innanzi tempo sorta
già la biga rotante avea spedita
e'l venir dela dea stava attendendo,
quando il fier pargoletto entrò piangendo.
Pianse al pianger d'Amor la mattutina 22
del re de' lumi ambasciadrice stella
e di pioggia argentata e cristallina
rigò la faccia rugiadosa e bella,
onde di vive perle accolte in brina
potè l'urna colmar l'Alba novella,
l'Alba che l'asciugò col vel vermiglio
l'umido raggio al lagrimoso ciglio.
Ricoverato al ricco albergo Amore, 23
trovò che, posto a' corridori il morso,
già s'era accinto il principe del'ore
con la verga gemmata al novo corso
e i focosi destrier, sbuffando ardore,
l'altere iube si scotean su'l dorso
e, sdegnosi d'indugio, il pavimento
ferian co' calci e co' nitriti il vento.
Sta quivi l'Anno sovra l'ali accorto, 24
che sempre il fin col suo principio annoda
e'n forma d'angue innanellato e torto
morde l'estremo ala volubil coda
e, qual Anteo caduto e poi risorto,
cerca nova materia ond'egli roda;
v'ha la serie de' Mesi e i Dì lucenti,
i lunghi e i brevi, i fervidi e gli algenti.
L'aurea corona, onde scintilla il giorno, 25
del Tempo gli ponean le quattro figlie.
Due schiere avea d'alate ancelle intorno,
dodici brune e dodici vermiglie.
Mentre accoppiavan queste al carro adorno
gli aurati gioghi e le rosate briglie,
gli occhi di foco il Sol rivolse e'l pianto
vide d'Amor, che gli languiva a canto.
Era Apollo di Venere nemico 26
e tenea l'odio ancor nel petto vivo,
daché lassù del'adulterio antico
publicò lo spettacolo lascivo,
quando accusò del talamo impudico
al fabro adusto il predator furtivo
e, con vergogna invidiata in cielo,
ai suoi dolci legami aperse il velo.
Orché gli espone Amor sua grave salma: 27
- E che sciocchi dolor (dice) son questi?
Se' tu colui che litigar la palma
in riva di Peneo meco volesti?
Tu tu, mente del mondo, alma d'ogni alma,
vincitor de' mortali e de' celesti,
or con strale arrotato e face accesa
vendicar non ti sai di tanta offesa?
Quanto fora il miglior, sicome afflitto 28
di lagrime infantili il volto or bagni,
volgere il duolo in ira e'l dardo invitto
aguzzar nel'ingiuria onde ti lagni?
Fa che con petto lacero e trafitto
per te pianga colei per cui tu piagni;
ché, se vorrai, non senza gloria e nome
seguiranne l'effetto; ascolta come.
Là nela region ricca e felice 29
d'Arabia bella, Adone il giovinetto,
quasi competitor dela fenice
senza pari in beltà vive soletto.
Adon nato di lei, cui la nutrice
col proprio genitor giunse in un letto,
di lei che, volta in pianta, i suoi dolori
ancor distilla in lagrimosi odori.
Schernì la scelerata il re malsaggio 30
accesa il cor di sozzo foco indegno,
ond'egli poi per così grave oltraggio
quant'ella già d'amore, arse di sdegno
e le convenne in loco ermo e selvaggio
girne ad esporre il malconcetto pegno,
pegno furtivo, a cui la propria madre
fu sorella in un punto, avolo il padre.
Fattezze mai sì signorili e belle 31
non vide l'occhio mio lucido e chiaro.
Sventurato fanciullo, a cui le stelle
prima il rigor che lo splendor mostraro:
contro gli armò crude influenzie e felle,
ancor da lui non visto, il cielo avaro,
poiché, mentre l'un sorse e l'altra giacque,
al morir dela madre il figlio nacque.
Qual trofeo più famoso? e qual altronde 32
spoglia attendi più ricca o più superba,
se per costui, ch'or prende a solcar l'onde,
il cor le ferirai di piaga acerba?
Dolci le piaghe fian, ma sì profonde
ch'arte non vi varrà di pietra o d'erba.
Questa fia del tuo mal degna vendetta:
spirto di profezia così mi detta.
Più oltre io ti dirò. Mira là dove 33
a caratteri egizzi in note oscure
intagliati vedrai per man di Giove
i vaticini del'età future:
havvi quante il destino al mondo piove
da' canali del ciel sorti e venture,
che de' pianeti al numero costrutte
sono in sette metalli incise tutte.
Quivi ciò che seguir deggia di questo 34
legger potrai, quasi in vergate carte:
prole tal nascerà del bell'innesto,
che non ti pentirai d'avervi parte.
In lei, pur come gemme in bel contesto,
saran tutte del ciel le grazie sparte;
e questa, o per tai nozze apien beato,
al tiranno del mar promette il fato.
Se ciò farai, non pur n'andrà in oblio 35
la memoria tra noi de' gran contrasti,
ma tal premio n'avrai d'un dono mio,
che'n mercé di tant'opra io vo' che basti;
lira nel mio Parnaso aurea serb'io,
ch'ha d'or le corde e di rubino i tasti;
fu d'Armonia tua suora ed io di lei
con questa celebrai gli alti imenei.
Questa fia tua. Così qualor ti stai 36
di cure e d'armi alleggerito e scarco
musico com'arcier, trattar potrai
il plettro a par di me non men che l'arco;
ché l'armonia non sol ristora assai
qualunque sia più faticoso incarco,
ma molto può co' numeri sonori
ad eccitare ed incitar gli amori. -
Fur queste efficacissime parole 37
folli, ch'al folle cor soffiaro orgoglio,
ond'irritato abbandonò del Sole
senza far motto il lampeggiante soglio
e, ruinando dal'eterea mole
inver le piagge del materno scoglio,
corse col tratto dele penne ardenti,
più che vento leggier, le vie de' venti.
Come prodigiosa acuta stella, 38
armata il volto di scintille e lampi,
fende del'aria, orribil sì ma bella
passaggiera lucente, i larghi campi;
mira il nocchier da questa riva e quella
con qual purpureo piè la nebbia stampi
e con qual penna d'or scriva e disegni
le morti ai regi e le cadute ai regni:
così mentrech'Amor dal ciel disceso 39
scorrendo va la region più bassa,
con la face impugnata e l'arco teso
gran traccia di splendor dietro si lassa;
d'un solco ardente e d'auree fiamme acceso
riga intorno le nubi ovunque passa
e trae per lunga linea in ogni loco
striscia di luce, impression di foco.
Su'l mar si cala, e sicom'ira il punge, 40
sestesso aventa impetuoso a piombo;
circonda i lidi quasi mergo e lunge
fa del'ali stridenti udire il rombo;
né grifagno falcon quando raggiunge
col fiero artiglio il semplice colombo
fassi lieto così, com'ei diventa
quando il leggiadro Adon gli si presenta.
Era Adon nel'età che la facella 41
sente d'Amor più vigorosa e viva
ed avea dispostezza ala novella
acerbità degli anni intempestiva,
né su le rose dela guancia bella
alcun gemoglio ancor d'oro fioriva
o, se pur vi spuntava ombra di pelo,
era qual fiore in prato o stella in cielo.
In bionde anella di fin or lucente 42
tutto si torce e si rincrespa il crine;
del'ampia fronte in maestà ridente
sotto gli sorge il candido confine;
un dolce minio, un dolce foco ardente,
sparso tra vivo latte e vive brine,
gli tinge il viso in quel rossor che suole
prender la rosa infra l'aurora e'l sole.
Ma chi ritrar del'un e l'altro ciglio 43
può le due stelle lucide serene?
chi dele dolci labra il bel vermiglio,
che di vivi tesor son ricche e piene?
o qual candor d'avorio o qual di giglio
la gola pareggiar, ch'erge e sostiene,
quasi colonna adamantina, accolto
un ciel di meraviglie in quel bel volto?
Qualor feroce e faretrato arciero 44
di quadrella pungenti armato e carco,
affronta o segue, inun leggiadro e fiero,
o fere attende fuggitive al varco
e in atto dolce cacciator guerriero
saettando la morte incurva l'arco,
somiglia intutto Amor, senon che solo
mancano a farlo tale il velo e'l volo.
Egli tanto tesoro in lui raccolto 45
di natura e d'amor par ch'abbia a vile
e cerca del bel ciglio e del bel volto
turbar il sole, inorridir l'aprile,
ma, minacci cruccioso o vada incolto,
esser però non sa senon gentile
e, rustico quantunque e sdegnosetto,
convien pur ch'altrui piaccia a suo dispetto.
Or mentre per l'arabiche foreste, 46
dov'ei nacque e menò l'età primiera,
l'orme seguia per quelle macchie e queste
d'alcuna vaga e timidetta fera,
errore il trasse, o pur destin celeste,
dala terra deserta ala costiera,
colà dove fa lido ala marina
del lembo ultimo suo la Palestina.
Giunto ala sacra e gloriosa riva 47
che con boschi di palme illustra Idume,
dietro una cerva lieve e fuggitiva
stancando il piè, sicom'avea costume,
trovò, di guardia e di governo priva,
ritratta in secco appo le salse spume,
da' pescatori abbandonata e carca
d'ogni arredo marin, picciola barca.
Ed ecco varia d'abito e di volto 48
strania donna venir vede per l'onde,
ch'ha su la fronte il biondo crine accolto
tutto in un globo e quel ch'è calvo asconde;
vermiglio e bianco il vestimento sciolto
con lieve tremolio l'aura confonde;
lubrico è il lembo e quasi un aer vano,
che sempre a chi lo stringe esce di mano.
Nel'ampio grembo ha dela copia il corno 49
e nela destra una volubil palla;
fugge ratto sovente e fa ritorno
per le liquide vie scherzando a galla;
alato ha il piede e più leggiera intorno
che foglia al vento si raggira e balla
e, mentre move al ballo il piè veloce,
in sì fatto cantar scioglie la voce:
- Chi cerca in terra divenir beato, 50
goder tesori e possedere imperi,
stenda la destra in questo crine aurato,
ma non indugi a cogliere i piaceri,
ché, se si muta poi stagione e stato,
perduto ben di racquistar non speri:
così cangia tenor l'orbe rotante,
nel'incostanza sua sempre costante. -
Così cantava; indi, arrestando il canto, 51
con lieto sguardo al bel garzone arrise,
ed alo scoglio avicinata intanto
spalmò quel legno e'n sul timon s'assise.
- Adon, seguimi (disse) e vedrai quanto
cortese stella al nascer tuo promise;
prendi la treccia d'or che'n man ti porgo,
né temer di venirne ov'io ti scorgo.
Benché vulgare opinione antica 52
mi stimi un idol falso, un'ombra vana
e cieca e stolta e di virtù nemica
m'appelli, instabil sempre e sempre insana
e tiranna impotente altri mi dica
vinta talor dala prudenza umana,
pur son fata e son diva e son reina,
m'ubbidisce natura, il ciel m'inchina.
Chiunque Amore o Marte a seguir prende 53
convien che'l nome mio celebri e chiami;
chi solca l'acqua e chi la terra fende
o s'alcun v'ha ch'onore e gloria brami,
porge preghi al mio nume e voti appende
ed io dispenso altrui scettri e reami;
toglier posso e donar tutto ad un cenno
e quanto è sotto il sol reggo a mio senno.
Me dunque adora e'nsu l'eccelsa cima 54
dela mia rota ascenderai di corto;
per me nel trono, onde ti trasse in prima
l'empio inganno materno, or sarai scorto;
solché poi dove il fato or ti sublima
sappi nel conservarti essere accorto,
ché spesso suol con preveder periglio
romper fortuna rea cauto consiglio. -
Tace ciò detto ed egli, vago allora 55
di costeggiar quel dilettoso loco,
entra nel legno e del'angusta prora
i duo remi a trattar prende per gioco.
Ed ecco al sospirar d'agevol ora
s'allontana l'arena a poco a poco,
siché mentr'ei dal mar si volge ad essa
par che navighi ancor la terra istessa.
Scorrendo va piacevolmente il lido 56
mentr'è placido e piano il molle argento
e da principio, del suo patrio nido
rade la riva a passo tardo e lento,
indi al'instabil fè del flutto infido
sestesso crede e si commette al vento
lunge di là dov'a morir va l'onda
e con roco latrar morde la sponda.
Trasparean sì le belle spiagge ondose, 57
che si potean del'umide spelonche
nele profonde viscere arenose
ad una ad una annoverar le conche.
Zefiri destri al volo, Aure vezzose
l'ali scotean: ma tosto lor fur tronche,
il mar cangiossi, il ciel ruppe la fede:
oh malcauto colui ch'ai venti crede.
O stolto quanto industre, o troppo audace 58
fabro primier del temerario legno,
ch'osasti la tranquilla antica pace
romper del crudo e procelloso regno;
più ch'aspro scoglio e più che mar vorace
rigido avesti il cor, fiero l'ingegno,
quando sprezzando l'impeto marino
gisti a sfidar la morte in fragil pino.
Per far una leggiadra sua vendetta 59
Amor fu solo autor di sì gran moto;
Amor fu ch'a pugnar con tanta fretta
trasse turbini e nembi, africo e noto.
Ma dela stanca e misera barchetta
fu sempr'egli il poppiero, egli il piloto;
fece vela del vel, vento con l'ali,
e fur l'arco timon, remi gli strali.
Dala madre fuggendo iva il figliuolo 60
quasi bandito e contumace intorno,
perché, com'io dicea, vinto dal duolo,
di fanciullesca stizza arse e di scorno.
Né perché poscia il richiamasse, il volo
fermar volse giamai né far ritorno
e'n tal dispetto, in tant'orgoglio salse
che di vezzo o pregar nulla gli calse.
Per gli spazi sen gia del'aria molle 61
scioccheggiando con l'Aure Amor volante
e dettava talor rabbioso e folle
tragiche rime a più d'un mesto amante;
talor lungo un ruscello o sovra un colle
piegava l'ali e raccogliea le piante
e, dovunque ne giva, il superbetto
rubava un core o trapassava un petto.
- Non è questo lo stral possente e fiero 62
ch'al rettor dele stelle il fianco offese?
per cui più volte dal celeste impero
l'aureo scettro deposto in terra scese?
quel ch'al quinto del ciel nume guerriero
spezzò, passò l'adamantino arnese?
quel che punse in Tessaglia il biondo dio,
superbo sprezzator del valor mio?
Questa la face è pur cui sola adora, 63
nonché la terra e'l ciel, Stige e Cocito,
che strugger fè, che fè languir talora
il signor dele fiamme incenerito,
quella da cui non si difese ancora
di Teti il freddo ed umido marito,
che tra' gelidi umori infiamma i fonti,
tra l'ombre i boschi e tra le nevi i monti.
Ed or costei, da cui con biasmo eterno 64
mill'onte gravi io mi soffersi e tacqui,
perché dee le mie forze aver a scherno,
seben dal ventre suo concetto io nacqui?
Dunque andrà da que' lacci il cor materno
libero, a cui, nonch'altri, anch'io soggiacqui?
arse per Marte, è ver, ma questo è poco,
lieve piaga fu quella e debil foco.
Altro ardor più penace, altra ferita 65
vo' che più forte al cor senta pur anco.
Si vedrà ch'ella istessa ha partorita
la vipera crudel, che l'apre il fianco.
Degg'io sempre onorar chi più m'irrita?
forse per tema il mio valor vien manco?
No no, segua che può... - Così dicea
l'implacabil figliuol di Citerea.
Mentre che quinci e quindi, or basso or alto 66
vola e rivola il predator fellone,
come prima lontan dal verde smalto
vede in picciol legnetto il vago Adone,
subitamente al disegnato assalto
l'armi apparecchia e l'animo dispone
e, tutto inteso a tribular la madre,
vassene in Lenno ala magion del padre.
Nela fuliginosa atra fucina 67
dove il zoppo Vulcan, suo genitore,
de' numi eterni i vari arnesi affina
tinto di fumo e molle di sudore,
entra per fabricar tempra divina
d'un aureo strale imperioso Amore,
stral ch'efficace e penetrante e forte
possa un petto immortal ferire a morte.
Libero l'uscio al cieco arciero aperse 68
la gran ferriera del divino artista,
parte di già polite opre diverse,
parte imperfette ancor, confusa e mista.
Colà fan l'armi lampeggianti e terse
del celeste guerrier superba vista,
qui la folgor fiammeggia alata e rossa
del gran fulminator d'Olimpo e d'Ossa.
V'è di Pallade ancor lo scudo e l'asta, 69
il rastello di Cerere e'l bidente,
l'acuto spiedo di Diana casta,
la grossa mazza d'Ercole possente,
la falce, onde Saturno il tutto guasta,
l'arco, ond'Apollo uccise il fier serpente,
di Nettuno il trafiero e di Plutone
con due punte d'acciaio havvi il forcone.
Le trombe v'ha con cui volando suona 70
la Fama e gli altrui fatti or biasma or loda;
v'ha i ceppi, tra' cui ferri Eolo imprigiona
i venti insani e le tempeste inchioda;
v'ha le catene, onde talor Bellona
il Furor lega e la Discordia annoda;
e v'ha le chiavi, ond'a dar pace o guerra
Giano il gran tempio suo serra e disserra.
Presso al focon di mille ordigni onusto 71
travaglia il nero fabro entro la grotta.
Più d'un callo ha la man forte e robusto,
ale fatiche essercitata e dotta;
ruginosa la fronte, il volto adusto,
crespa la pelle ed abbronzata e cotta,
sparso il grembial di mill'avanzi e mille
di limature e ceneri e faville.
Quand'egli scorge il nudo pargoletto, 72
la forbice e'l martel lascia e sospende
e curvo e chino entro il lanoso petto
con un riso villan da terra il prende.
Tra le ruvide braccia avinto e stretto
l'ispido labro per baciarlo stende
e la sudicia barba ed incomposta
al molle viso e dilicato accosta.
Ma mentre ch'egli l'accarezza e stringe, 73
raccolto in braccio, con paterno zelo,
Amor, perché baciando il punge e tinge,
la faccia arretra dal'irsuto pelo
e, con quel sozzo lin che'l sen gli cinge,
per non macchiarsi di carbone il velo,
al'aspra guancia d'una in altra ruga
del'immondo sudor le stille asciuga.
- Padre, dala tua man (poscia gli dice) 74
voglio or or sovrafina una saetta,
che fia de' torti tuoi vendicatrice:
lascia la cura a me dela vendetta.
Il come appalesar né vo' né lice,
basti sol tanto, spacciati, ch'ho fretta;
non porta indugio il caso, altro or non puoi
da me saper, l'intenderai ben poi.
Il quadrel ch'io ti cheggio esser conviene 75
di perfetto artificio e ben condotto,
ch'esserne fin nele più interne vene
deve un petto divin forato e rotto.
S'usò mai sforzo ad impiegarsi bene
il tuo braccio, il tuo senno esperto e dotto,
fa, prego, in cosa ov'hai tanto interesse,
del gran saper le meraviglie espresse.
Starò qui teco a ministrarti intento 76
sotto la rocca del camin che fuma;
accioché'l foco non rimanga spento,
mantice ti farò del'aurea piuma
e s'egli averrà pur che manchi il vento
al folle che l'accende e che l'alluma,
prometto accumular tra questi ardori
in un soffio i sospir di mille cori. -
Non pon Vulcano in quell'affar dimora, 77
ma sceglie la miglior fra cento zolle,
e pria che'nsu l'incudine sonora
ei la castighi, al focolar la bolle;
e non la batte e non la tratta ancora
finché ben non rosseggia e non vien molle;
divenuta poi tenera e vermiglia,
con la morsa tenace ei la ripiglia.
Amor presente ed assistente al'opra 78
come l'abbia a temprar, come l'aguzzi
gli mostra, accioché poi quando l'adopra
non si rompa o si pieghi o si rintuzzi
e di sua propria man vi sparge sopra
del'umor d'un'ampolla alquanti spruzzi,
piena di stille di dogliosi pianti
di sfortunati e desperati amanti.
Mentr'è caldo il metallo, i tre fratelli 79
ch'un sol occhio hanno in fronte e son giganti,
con vicende di tuoni i gran martelli
movono a grandinar botte pesanti
e'l dotto mastro al martellar di quelli,
che fan tremar le volte arse e fumanti,
per dar effetto a quel ch'ha nel disegno,
pon gli stromenti in opera e l'ingegno.
Tosto che'l ferro è raffreddato, in prima 80
sbozza il suo lavorìo rozzo ed informe,
poi, sotto più sottil minuta lima,
con industria maggior gli dà le forme;
l'arrota intorno e lo forbisce in cima,
applicando al pensier studio conforme;
col foco alfin l'indora e col mordente
e fa l'acciaio e l'or terso e lucente.
Poiché l'egregio artefice alo strale 81
pertutto il liscio e'l lustro ha dato apieno,
n'arma il fanciullo un'asticciuola frale,
ma che trafige ogni più duro seno;
gl'impenna il calce di due picciol ale
e'l tinge di dolcissimo veleno
e, tutto pien d'una superbia stolta,
pon la caverna e i lavoranti in volta.
Va dela dea che generaro i flutti 82
il baldanzoso e temerario figlio
spiando intorno e i ferramenti tutti
dela scola fabril mette in scompiglio;
or de' ciclopi mostruosi e brutti
la difforme pupilla e'l vasto ciglio,
or il corto tallon del piè paterno
prende con risi e con disprezzi a scherno.
Veggendo alternamente arsicci e neri 83
pestar ferro con ferro i tre gran mostri
- Troppo son (dice) deboli e leggieri
a librar le percosse i polsi vostri;
omai con colpi assai più forti e fieri
questa mano a ferir v'insegni e mostri;
impari ognun dala mia man, che spezza
qualunque di diamante aspra durezza. -
Volto a colui, ch'ha fabricato il telo 84
soggiunge poscia: - In questa tua fornace
le fiamme son più gelide che gelo,
altro ardor più cocente ha la mia face. -
Tolto indi in mano il fulmine del cielo
e sciolto il freno al'insolenza audace,
in cotal guisa, mentre il vibra e move,