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La via si fa con l'andare
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E-book246 pagine3 ore

La via si fa con l'andare

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Info su questo ebook

Una piccola antologia di cose visi e costumi vicini e lontani; di storielle ricordi e ritratti marini e montani; una raccolta di fatti ed esperienze vissute in prima persona: di cose luoghi e personaggi incontrati in varie contrade.

Una selezione variopinta come un prato in primavera; una lettura per chi ama le cime innevate, mentre si tingono di rosso al tramonto; per chi ama l’oceano in burrasca o in bonaccia, per chi sa leggere l’eterno messaggio di un lago, impietrito dal gelo in inverno, dolce e suadente in estate.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2013
ISBN9788891127600
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    Anteprima del libro

    La via si fa con l'andare - Nicolaus

    2. Affrettati, viandante

    Così verde era il bosco quest'anno, sotto la pioggia. Sovrastando gli arbusti fioriti e i cespugli, tutto abbracciava la cupola verde: ai suoi piedi, il suolo celava e i suadenti colori dei fiori spuntati nell’ombra.

    Dalla mattina alla sera, il bosco si tinse di rosso e di giallo - ultima espressione di un’effimera vita – e dopo poche settimane, le foglie avvizzite cominciarono a cadere e a marcire sul suolo bagnato: lasciano, dietro di se, solo alberi spogli, rigidi rami nudi diritti e ritorti, sotto il grigiore del cielo.

    Sono solo rami, eppure sembrano membra d’esseri umani; sembrano mani o gambe, sembrano braccia ritorte. Sono alberi assieme ad anime d’esseri umani: avvinghiate guardano al cielo; sono differenti espressioni di vita, hanno un passato e un presente in comune, ma un incerto futuro.

    Gli alberi, quando erano ricchi di foglie, cantavano al vento melodie piene di vita. Ora, il vento non fruscia tra i rami, ma sibila, geme; lamenta il dolore del tempo che corre e che passa veloce, la disperazione di tante vite perdute; a volte buttate, sprecate.

    Anime, alberi e rami, guardano indietro come fantasmi. Cercano tracce, che più non vedranno; le orme, le gesta, gli sguardi, le voci dei tanti viandanti; di cavalieri e passanti finiti nel nulla.

    Restano scie sul mare e nel cielo; sulla terra, si vedono solo orme sbiadite e castelli di sabbia. Stracci di nuvole al vento si stagliano, bianche e fugaci, sull’azzurro del cielo infinito.

    Affrettati, viandante é ora che arrivi; il sentiero diventa più erto, l’andar faticoso ed affannoso il respiro; lontano nella foschia, un fioco barlume di luce segnala la fine del lungo cammino e forse l’inizio di un nuovo percorso; sicuramente promette riposo.

    Affrettati, viandante, le tenebre sono alle porte: presto cancelleranno qualsiasi traccia di vita.

    Affrettarsi a che giova, viandante: il buio ha inghiottito ogni barlume di luce e speranza.

    Tutto é sparito: ogni scia, ogni traccia.

    3. Dal profondo dell’anima

    I ricordi affiorano lentamente dal profondo dell'anima. Sono immagini confuse e sbiadite: si ricompongono poco alla volta, fino a ritornare a colori, contorni e sembianze reali. Le prime immagini, sfocate, piatte e scolorite, sono messe a fuoco lentamente; gli angoli smussati, gl’incerti contorni e profili ritrovano grazia e armonia, mentre i toni grigi e slavati esplodono in una cascata dai mille colori: é come se fosse rinata la vita.

    I ricordi ritrovano, man mano, fondatezza e consistenza, ci riportano a vecchie esperienze passate, fino a diventare motivo di dubbio: quanto sarà vera realtà, quanto pura fantasia; quanto semplice ricostruzione di sogni e desideri inespressi. Potrebbero essere un intrigo, un inganno di mente e coscienza; una trappola ordita perfidamente da un inconscio represso.

    Basta un nonnulla, a risvegliare i meccanismi reconditi della memoria: una parola, una voce, un odore, un colore; uno sguardo, un viso somigliante a qualcuno di noto. Basta l’espressione degli occhi o uno sguardo carpito, a scatenare la caccia a vecchi ricordi; a sensazioni, emozioni nascoste e mai cancellate del tutto.

    Popoli antichi, famosi per la loro saggezza, come, i greci, i sumeri e gli egizi, asserivano in buona fede, che il ricordare é un dono del cielo, una grazia divina: eppure la coscienza non rispecchia in modo fedele, il mondo che ci circonda; lo manipola e modifica a suo piacimento.

    Ogni ricordo fa rivivere vecchie esperienze, belle o brutte che siano state, interpretando e plasmando desideri remoti o repressi: é una grande ingannatrice, questa coscienza.

    4. Magiche gocce

    Sono cadute tutte le foglie ed il lago sembra grigio e imbronciato, proprio là dove prima si specchiava il bosco ridente, sotto i raggi del sole. Il vestito, che ammantava di verde, monti e colline, si ritrova a terra, strappato e macchiato; le foglie, una volta, verdi e nervose, si sono afflosciate e sono cadute: sparse al suolo a casaccio, hanno lo sporco color della terra.

    I rami protesi al cielo, diritti o contorti, oppure attorcigliati nelle forme più strane, sono nudi ed informi: hanno perso ogni barlume di vita.

    D’estate, frusciando attraverso le fronde tinte di verde, la brezza echeggiava melodie di dolci lidi lontani, mescolando gli aromi della macchia e del mare. Ora che le fronde sono cadute ed incombe l’inverno, il vento non canta, ma geme imbronciato tra i rigidi rami; gli aromi si sono dissolti e dispersi: il salmastro è divenuto pungente.

    Dopo la pioggia, scivolando sui rami, le gocce tremolanti si rincorrono di tralcio in tralcio, formando magici globi d’argento. Piccole sfere, che al riapparire del sole si trasformeranno in una variopinta cascata: come arcobaleni caduti dal cielo.

    Sulla riva di fronte, oltre il lago ed il buio della notte, s’accendono mille luci lungo la spiaggia. Una stupenda collana di perle compare, come dal nulla, si staglia lucente sul lago, accarezza ed abbraccia la sponda in un amplesso di luce. Sono magiche gocce di luce e d’argento nel buio della notte; forse, sono solo frammenti di stelle cadute dal cielo.

    5. Scalpiccio di zoccoli e ciabatte

    Il sole s’accinge a scacciare la notte, stuzzicando le membra ancora assonnate. Il buio si dirada e come la nebbia al primo tepore dell’alba, cede il passo a toni scialbi e sommessi, ad un chiaroscuro senza calore. Domina un grigiore diffuso, mentre la notte pare indecisa a lasciare ed il giorno è ancora incerto e confuso.

    Al primo stridente richiamo del muezzin, tutto s’agita, nelle strade deserte, nei vicoli, nelle viuzze adiacenti; nel cortile del vecchio palazzo, obbedendo ad usanze e cadenze sperimentate da secoli.

    Tende pesanti, all’interno delle finestre, balconi socchiusi e robuste persiane all’esterno, proteggono da sguardi indiscreti e dal sole, lasciando filtrare solo timidi sprazzi di luce. In questa penombra, che protegge anima e corpo assonnato, ogni debole suono o guizzo di luce, anche se tenue, evoca inattesi miraggi.

    Uno scalpitio di zoccoli molto leggero, uno scalpiccio di piedi già stanchi; un rauco mormorio, fatto di parole spezzate, gutturali e non familiari, sale, attutito dal selciato coperto di sabbia: si fonde in un sordo rumore che supera ogni barriera.

    Sul soffitto e sulle pareti, della stanza vasta come un salone, esplode una cascata di magiche luci: ombre e figure, ora chiare ora scure, corrono, saltano, ondeggiano; s’inseguono, ora piccole e tarchiate, ora smilze e affilate.

    Frammisti al brusio, si riconoscono i tocchi di cavalli nervosi; quelli lenti, goffi e pesanti degl’infastiditi cammelli, quelli strascicanti di piedi nudi e ciabatte. Il magico gioco, di luci ed ombre all’interno e di ritmi all’esterno, si fonde in una cascata di suoni e di luci, che é pura armonia: uno spartito, che affonda le proprie radici in un lontano passato.

    6. Un raggio di luce

    Non c’è vita, in questo deserto. Non si trovano tracce di vita, presente o passata, nemmeno scavando sotto la sabbia; non si vede ombra librarsi nell’aria; non si sente alcun suono: il silenzio é assoluto, il paesaggio è lunare (Paracas, Perù).

    Si alternano picchi rocciosi di lava nera come la pece o grigiastra, a dune dal colore cangiante. Gialle come l’ocra o tinte d’arancio, con riflessi ora rossastri ora violacei. Tra le dune, canaloni tortuosi salgono e scendono ripidi ed erti; le pendenze si snodano in piccole valli, fino a scivolare in gran buche che sembrano baratri.

    Accelerando il motore, risaliamo di corsa le chine, sfuggiamo alle tenebre e c’inondiamo di nuovo di sole: un globo rossastro, che volge al tramonto. All’orizzonte, l’oceano increspato riemerge alla vista, come per gioco. Attraverso l’aria rovente, arriva il profumo del salmastro ghermito dal vento e portato a folate su per le dune: sapore di mare, sapore di vita.

    I raggi del sole calante s’infrangono nei mille granelli di sabbia e nei tanti minuti cristalli, creando lampi di luce dai mille colori. Un arcobaleno, nato in terra invece che in cielo. È un groviglio di luci cangianti. È il frutto d’ordine e caso: creatura, di cristalli perfetti e del caos dei mille granelli di sabbia, con i raggi del sole calante.

    Freddi e senza vita sono, invece di notte, i raggi del pianeta d’argento. Gelida é la luce bianca e accecante; bianca é la luce riflessa dai mille granelli di sabbia e dai tanti minuti cristalli. Tutto diventa bianco o grigio dattorno. Con la luna, non si forma quella specie d’arcobaleno, creato di giorno dai tanti granelli di sabbia con la luce del sole: chissà perché, non si forma di notte; colpa dei tanti granelli di sabbia e cristalli. Chiarore senza calore e colore: questa é la sensazione, che incute l’astro d’argento, di notte in mezzo al deserto. Quella luce, fredda e priva di vita, a prima vista gela animo ed ossa, uccide ogni speranza. Non é la luna, che inonda di luce e riempie di gioia le magiche notti, nelle nostre contrade.

    Bianco e gelido, ma é pur sempre un raggio di luce, che emerge dal buio più profondo del cosmo. Unico barlume di luce e di vita, in questo deserto.

    7. Ombre risorte dal nulla

    Scomparse le nuvole, dopo il temporale improvviso, i raggi del sole guizzano, impazziti, tra il verde dei rami e frusciano le fronde: disegnano al suolo strane figure danzanti al ritmo del vento.

    Suoni, luci e colori si agitano, mescolandosi in un qualcosa che palpita, vibra e non si può definire ma solo percepire: nasce una sinfonia di luci e di suoni, d’accordi orchestrati con somma perizia e armonia.

    Quando arriva la brezza, di prima mattina o a sera inoltrata, le ombre s’allungano al suolo e cambiano aspetto, danzando sotto l’azione del vento. Lo stormir delle fronde muta allora di tono. A volte sembrano gemiti o grida, mentre figure senza volto assumono sembianze d’esseri umani; di visi, che qui hanno vissuto, gioito e sofferto in tempi remoti; che hanno calcato questo suolo e lasciato labili orme.

    Nell’aria, aleggiano i penetranti profumi di glicine e gelsomino, di rosa e ginestra: si fondono con gli aromi della macchia, in suprema armonia. La brezza, che sale dal mare, striscia su alberi, prati ed arbusti, sulle distese coltivate dei campi. A tutti ghermisce reconditi odori, che trascina con sé.

    Strisciando nei vecchi quartieri, su tetti e selciati, la brezza raccoglie l’odore di legna bruciata e riporta alla mente dolci ricordi ed affetti, legati al focolare natio, ma anche cicatrici dolenti. Filtrando attraverso agrumeti, eucalipti, pini e ginepri, la brezza carpisce fragranze, che ricordano esotici lidi.

    Di tanto in tanto, un brusio di voci lontane trapela, attraverso i filari di pini e castagni, mescolandosi al ronzio degli insetti, allo sfrigolio di grilli e cicale. Un leggero scalpiccio tradisce viandanti spossati, attardati od in strada verso la siesta. Ancora più tenui e lontani, risuonano il nitrito di un cavallo, lo scalpiccio di un mulo od il raglio di un asino errante; il gemito roco di ruote e mozzi stremati, il rombo lacerante di un motore lontano.

    Dopo il calare del sole, i raggi dell’astro d’argento creano ombre e riflessi spettrali, mentre la brezza diffonde esilaranti profumi. Il vento si alza si abbassa, si placa. Il fruscio cambia di ritmo e di tono; segue le periodiche note di uno spartito: quello della natura. Le ombre ondeggiano sotto la dolce pressione dell’aria; si rincorrono, incalzano, inseguendo melodie sconosciute. Il gioco dei chiaroscuri, dovuto all’ondeggiare di fronde ed arbusti sotto la luna, muta di direzione, spinto dal vento. Nascono figure geometriche dai nuovi contorni, sempre più vaghi.

    Le ombre ondeggiano, danzano fuor delle righe in cerchi e spirali. Sono orchestrate dal mormorio della brezza, che insegue la partitura del mare. Danzando fuor dalle righe, le ombre acquistano umane sembianze; ricordano volti d’amici, conoscenti, parenti; visi di personaggi scomparsi: é l’anima del mare che canta.

    Frusciando, la brezza orchestra le voci di genti passate, d’antichi naviganti; mercanti, soldati, abitanti. Le voci richiamano volti; non sono più ombre sono facce vere, vocianti. Sono ombre e volti risorti dal nulla; sono relitti, fantasmi che insorgono e lottano per uscir dall’oblio; per ritrovare dignità nel nostro pensiero. Riaffiora l’energia immortale di vite scomparse e sparite nel nulla; il loro vigore si spande attorno come l’acqua di un torrente in piena: pervade le piante, le pietre; perfino, l’orizzonte tinto di rosso.

    Sono anime che vociano e gridano, che si ribellano al proprio destino: anime che implorano il sole, mentre questo affonda nel mare. Fra poco sarà notte, buio fondo; svaniranno i colori e le ombre risorte dal nulla; spariranno scie, tracce e ricordi: scomparirà ogni cosa.

    Scomparsi gli attori dell’umana commedia, la brezza continuerà a soffiare e fischiare su e giù per le dune, a frusciare tra fronde ed arbusti, danzando in un turbinio di foglie e di sabbia: è come se il vento intonasse il cantico del mare; un inno che é fuori del tempo.

    8. Insostenibili emozioni

    Lasciandoci dietro l’aeroporto, imbocchiamo, in gran fretta, la strada che tira diritta verso nord, tra campi assetati tinti di giallo, tra macchie d’oleandri fioriti e maestosi pini marittimi.

    La macchina, sospinta da un motore potente, scorre sull’asfalto infuocato; corre silenziosa ma pare che voli: è spronata dall’insostenibile voglia di vita, dalla complicità dei passeggeri, tutti sopraffatti da emozioni troppo a lungo represse. Ad ogni cambio di marcia, il motore stressato geme come un cavallo frustato; pare che gridi, che urli: un chilometro dopo l’altro, si sciolgono gli animi, assaporando nuove realtà. Strette di mano e sguardi furtivi si alternano a dolci carezze e lunghi silenzi; sono più espressivi di tanti discorsi.

    Dopo un centinaio di chilometri, abbandoniamo l’autostrada e ci gettiamo su strade e stradine sterrate, inerpicandoci sulle colline; tra vecchi ruderi ammantati di verde; tra cascine e fienili, sparpagliati per la montagna. Si sale, si scende, su e giù per una strada tortuosa, che diventa sempre più stretta verso la cima del passo, mentre incombe la notte. Superato il crinale, la strada sprofonda in un vortice, seguendo le voglie di una ripida e bizzarra discesa: attraverso cespugli e ginestre fiorite, incendiate dai raggi del sole, che volge al tramonto, spunta l’azzurro profondo di un lago incantato. Più si allarga la vista, scendendo, più il fiato si mozza e ti lascia senza respiro. La riva esposta a ponente brilla sotto gli ultimi sprazzi di sole; fiori, prati; alberi e arbusti si accendono all’improvviso: sono come le luminarie di una sagra paesana, durante le ultime prove. Con l’oscurità che lentamente ti abbraccia, il lago s’imbroncia, vira dall’indaco al blu; precipita nel buio della sera: riflette gli ultimi raggi di fuoco, annunciando una notte d’incanto.

    A notte fonda, sulle colline che circondano il lago, tondo come un cratere, s’accendono luci rade e lontane, così piccole e fioche da non turbare il sonno del lago. Sono luci di case, casolari e cascine, sparsi per le colline, così piccole e rade come le stelle del cielo, nei mari del sud. Poco più tardi, di colpo s’illumina anche la sponda del lago: si cinge di una collana di perle, scintillanti come gli astri del cielo.

    L’incanto a lungo non dura.

    Basta un poco di brezza, una dolce folata di vento e lo specchio d’acqua s’incrina; la collana scompare, ingoiata dai flutti; le perle si frantumano in mille frammenti, scintillando e guizzando come impazziti. La superficie del lago, prima tersa come uno specchio, sia vicino alla riva sia al largo, si é improvvisamente coperta di rughe: sembra il viso di una donna avvenente, avvizzito per maleficio.

    Sono scomparse le perle lucenti, ingoiate da un vortice nero: sopravvive uno scintillio

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