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Questo è un gioco?
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E-book315 pagine4 ore

Questo è un gioco?

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Ecco a cosa serve la domanda “Questo è un gioco?” nella Comunità Terapeutica e per quale motivo è necessario che a questa domanda non si trovi una risposta certa, non possiamo essere ne fedeli ne agnostici mettendoci il cuore in pace e rimanendo tali e quali. La domanda che si perpetua giorno dopo giorno ha un semplice grande obiettivo: mantenere le persone in quello stato mentale tra la stabilità di una semplice risposta, si o no, e la confusione di una totale incertezza: non posso saperlo e questo mi riempie di angoscia e decido di non pormi più il problema. Entrambi i casi non permettono il cambiamento e hanno come conseguenza o l'attraversamento dell'esperienza rimanendo uguali a come si era all'inizio, o l'abbandono dell'esperienza perché percepita come non interessante, inutile o troppo ansiogena. Era necessario mantenere le persone all'interno di risposte possibili ma sempre discutibili, si ma, no ma, che hanno bisogno di tempo per maturare e nello stesso momento hanno la capacità di rimandare ad altre possibili risposte, in un processo ricorsivo, faticoso ma creativo e generativo. Oggi penso che era davvero semplice, e allo stesso tempo difficilissimo: bastava quella semplice domanda senza possibilità di risposta certa: “Questo è un gioco?”
LinguaItaliano
Data di uscita3 mar 2014
ISBN9788890867637
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    Anteprima del libro

    Questo è un gioco? - Mauro Serio

    2013

    INTRODUZIONE

    In questo nostro lavoro faremo un ideale salto che ci porterà dall'analisi deduttiva della mente all'analisi delle manifestazioni osservabili nella relazione tra individui, tra individui e, più in generale, l'ambiente. Abbiamo continuamente la necessità di raccogliere informazioni sul mondo che ci circonda, queste informazioni sono per noi dei dati da elaborare per guidare il nostro comportamento. Ogni comportamento umano è costantemente una potenziale fonte di informazione, come è per noi un'informazione anche la temperatura dell'aria. Riceviamo informazioni dall'ambiente attraverso gli organi di senso : vista, udito, sensazioni cinestesiche (il tatto, lo stimolo della fame, eccetera), olfatto/gusto. Riceviamo informazioni anche da quello che abbiamo fino a quel momento memorizzato. A queste organizzazioni di informazioni memorizzate diamo un significato che utilizziamo per guidare il nostro comportamento. Se l'organizzazione di queste informazioni, o il significato a loro attribuito, cambia, cambierà anche la risposta comportamentale. Esamineremo un modello (chiamato sistemico) che vuol descrivere come viene organizzata la comunicazione, all'interno di sistemi di interazione tra individui. Descrivere una sequenza di interazione, di un sistema di interazione tra individui, ci permette di individuare o costruire delle tecniche efficaci per modificare questa sequenza di interazione. Se questa sequenza di interazione è significativa e ricorrente, modificarla significa modificare il comportamento di quel sistema. Ma la modifica del comportamento di ogni sistema comporta la modifica del comportamento di tutti i componenti di quel sistema. Questo è il lavoro che svolge, per esempio, il terapeuta familiare, cercando di modificare alcune sequenze di interazione del sistema famiglia.

    Esamineremo un secondo modello (chiamato della struttura dell'esperienza soggettiva) che vuole descrivere come le informazioni che riceviamo dall'ambiente, vengono organizzate dall'individuo, e come l'individuo organizza le informazioni, per comunicare le sue esperienze. Descrivere come un individuo organizza le informazioni, ci permette di individuare o costruire delle tecniche efficaci, per modificare questa organizzazione delle informazioni. Se questa organizzazione delle informazioni è significativa e ricorrente, modificarla significa modificare il comportamento di quell'individuo. Descrivere come un individuo organizza le informazioni per comunicare le sue esperienze, ci permette di individuare o costruire delle tecniche per modificare come vengono comunicate le esperienze. Questo è il lavoro che svolge, per esempio, il programmatore neuro-linguistico, cercando di modificare come vengono organizzate le informazioni da un individuo, e come vengono comunicate le esperienze.

    È chiara la pericolosità dei modelli a cui faremo riferimento : hanno la capacità di essere efficaci, e vengono quotidianamente utilizzati per manipolare il comportamento umano, consapevolmente o non consapevolmente. Ancora una volta il sapere diventa strumento di potere e viceversa, come più volte ha mostrato e descritto nei suoi libri Michel Foucault. Non è, comunque, la consapevolezza dei meccanismi di manipolazione a costruire la manipolazione. Un sapere diffuso, un controllo etico filosofico, una trasparenza nell'operato di politici e tecnici possono e devono garantirci dagli abusi, e anche se non è questo l'argomento del nostro lavoro, non poteva non essere accennato. Il primo obiettivo del nostro lavoro sarà quello di mettere in correlazione questi due modelli nel tentativo di verificare se e quanto siano integrabili. Se questa possibilità esiste dovremmo ottenere un modello, che chiameremo integrato, nel senso che rappresenta l'integrazione di questi due modelli. Siamo stimolati e facilitati in questo compito dall'esplicito riferimento, dei costruttori di questi modelli, a presupposti teorici comuni. La prima parte prenderà in esame i principali presupposti teorici dei due modelli. Il nostro intento non è quello di approfondire questi presupposti, ma di verificare se nell'insieme costituiscono un corpus teorico coerente al suo interno. La nostra attenzione sarà quindi volta a ricercare similitudini piuttosto che differenze. questo va onestamente dichiarato. in quanto quello che riusciamo a vedere dipende fortemente da quello che vogliamo cercare. Siamo convinti, comunque, che la nostra attenzione sarà sufficiente a mostrare eventuali incompatibilità tra i modelli.

    Per essere più espliciti l'atteggiamento scientifico non è al di sopra delle parti, ma ogni lavoro coglierà principalmente quegli aspetti funzionali agli obiettivi che si pone. L'onestà scientifica va dunque ricercata nel tentativo di descrivere, il più esplicitamente possibile, obiettivi e metodo di lavoro. Quello che ci conforta e ci stimola a formulare un'ipotesi di coerenza nei presupposti teorici dei due modelli, quello che ci fa sentire autorizzati a costruire una prima parte unica per i due modelli, è la constatazione che questi modelli si pongono come sviluppi del lavoro di Gregory Bateson. Gli autori di questi modelli fanno esplicito riferimento ai lavori di Bateson e utilizzano in larga misura l'impianto concettuale da lui organizzato.

    Nella parte seconda descriveremo i due modelli nelle loro linee principali. Vedremo che i due modelli differiscono sia per gli elementi strutturali che utilizzano, sia per l'insieme di regole e direttive che utilizzano per comporre questi elementi. Se così non fosse ci accorgeremmo di parlare di un unico modello. L'ipotesi della seconda parte è che questi due modelli descrivono due distinti momenti di un unico processo. Momenti distinti ma interattivi, e questa interazione dovrebbe essere potenzialmente in grado di descrivere in buona parte, se non completamente, il comportamento umano. Sottolineiamo che parliamo di descrizione e non di spiegazione del comportamento umano. Se prendiamo la mappa di una città, questa ci descrive la città con un suo codice specifico. Certe linee rappresentano certe strade, altre linee le zone verdi o le abitazioni; esisterà un rapporto, e sarà specificato, tra la grandezza della mappa e quella della città che rappresenta, troveremo l'indicazione dei punti cardinali, eccetera. Se conosciamo il codice della mappa saremo in grado di raggiungere Piazza Garibaldi, o il numero 18 di via Silvio Pellico, utilizzando le indicazioni della mappa. La mappa descrive la città con un suo specifico codice, ma non la spiega. Non ci dice perchÈ una strada è fatta in un dato modo, perchÈ una piazza si chiama con un determinato nome. La mappa non è il territorio, se perdiamo di vista questo rischiamo di cadere nel paradosso di confondere la classe con gli elementi della classe. Possiamo rischiare di camminare sul metro quadrato di carta della mappa di Milano pensando di visitare Piazza del Duomo.

    Possiamo quindi pensare ai nostri due modelli come a due mappe che descrivono uno stesso territorio. ma ponendone in risalto aspetti differenti, e utilizzando codici differenti, codici funzionali alla descrizione di quegli aspetti specifici che si vogliono rappresentare. Immaginiamo di avere di fronte a noi la carta geografica dell'Italia e la carta stradale dell'Italia. Le carte ci appariranno molto diverse e dovremmo conoscere i due distinti codici per poterle utilizzare. Ma possiamo tranquillamente dire che tutt'e due descrivono il territorio italiano, e tutt'e due hanno una loro specifica utilità. Possiamo anche dire che insieme descrivono meglio il territorio di quanto non faccia una singola mappa : le mappe sono distinte ma possono essere usate in modo integrato, cioè possiamo integrare le informazioni di una mappa con le informazioni dell'altra. Ci è difficile affermare se la mappa di una città è vera o è falsa. È forse più vera la fotografia dall'alto di una città? La verifica di una mappa è fatta nell'utilizzazione di questa, si verifica la capacità di descrivere quelle parti di territorio in modo che risulti efficace nel farci raggiungere quegli obiettivi che ci poniamo. Se territori diversi necessitano mappe diverse, uno stesso territorio può essere descritto da mappe diverse, come abbiamo detto. Si può commettere il grave errore di confondere la mappa con il territorio, ma anche di confondere i diversi codici da utilizzare per decifrare le mappe.

    La verifica di un modello la possiamo ottenere solamente attraverso la sua applicazione, e i modelli a cui facciamo riferimento hanno trovato utili applicazioni nella terapia, nell'educazione, nella gestione aziendale. In questo lavoro possiamo verificare la plausibilità di questi modelli cercando di utilizzarli, basandoci sull'epistemologia che ha permesso il loro sviluppo, per descrivere il funzionamento di una Comunità Terapeutica (CT da ora in poi), e a questo sarà dedicata la parte terza di questo lavoro.

    In Italia esiste ormai un ampio numero di comunità per tossicodipendenti che si definiscono o meno terapeutiche. Ciò che dicono di fare varia molto da una comunità all'altra. come varia l'analisi del problema tossicodipendenza, a cui si collegano le varie metodologie di lavoro. Purtroppo esistono pochissimi dati sui metodi delle comunità, mentre abbondano quelli sulle metodologie: sappiamo cosa dicono di fare, ma conosciamo assai poco quello che fanno. La nostra riflessione parte da un dato a prima vista assai sconcertante: la maggior parte delle comunità per tossicodipendenti. funzionanti da almeno tre anni, vantano risultati positivi, nonostante che il ventaglio delle diverse metodologie da loro adottate risulti piuttosto ampio. [1] Questo dato è in una certa misura sconcertante, uno di quei dati che si è tentati di rifiutare, in quanto contraddice tutte le ipotesi. Sembrerebbe che per le CT vada bene tutto ed il suo contrario. È proprio da questo dato che vogliamo iniziare la nostra riflessione. A rischio di ripetizioni, sottolineiamo nuovamente una differenza di tipologia logica tra quello che si dice di fare e quello che si fa. È la differenza tra il modello c la 'realtà', quando si disconosce o non si riconosce questa differenza, si provoca molta confusione.

    Utilizzando i modelli basati sulla pragmatica della comunicazione umana, partendo dall'assunto che ogni comunità è costantemente percorsa da comportamenti comunicativi. possiamo formulare l'ipotesi che esistono delle analogie nei modelli comunicativi adottati dai gruppi operativi delle diverse CT, al di là di quello che vari gruppi operativi dicono di fare. Noi pensiamo che una seria ricerca sia in grado di individuare questi modelli comunicativi nelle varie CT, ma questo è al di là dei fini e dei mezzi di questo lavoro : il nostro obiettivo è di costruire un'ipotesi su quali possono essere questi modelli comunicativi, cioè costruire un modello. Nella costruzione di questo modello, il primo obiettivo sarà di fornire a chi lavora nelle CT degli strumenti operativi che siano efficaci e coerenti fra loro, e coerenti con le premesse epistemologiche adottate. Molto spesso, a chi lavora in queste strutture, non viene data nessuna formazione, nei casi più fortunati vengono organizzati dei corsi sulle varie teorie sulle tossicodipendenze. sulle varie CT, sui vari approcci psicologici o sociologici. Quando l'operatore inizia il primo giorno di lavoro. si trova subito a decidere cosa dire, cosa rispondere, come comunicare, che senso dare a ciò che gli viene comunicato. Sulla propria pelle capisce che quello che gli hanno contato non gli è di nessun aiuto per affrontare quello che, per la maggior parte del suo tempo di lavoro. deve fare: comunicare.

    1.1 LA COMUNICAZIONE

    Quando il nostro interesse si sposta dall'individuo, dall'analisi di un elemento della realtà, all'interazione tra individuo e ambiente, diventa essenziale lo studio del processo di interazione. Questo processo è caratterizzato dallo scambio di informazioni attraverso messaggi che devono essere codificati e decodificati. Una caratteristica fondamentale di questo processo è la circolarità: vedremo che nell'interazione tra individui, definire un comportamento come causa di un altro comportamento, che definiamo effetto, è arbitrario.

    1.11 Causa ed effetto

    Il concetto di causa ed effetto permea la nostra filosofia della scienza e la nostra cultura. È un concetto così potente, cosi semplice per descrivere e spiegare il mondo, che il solo pensare di non utilizzarlo può far venire il capogiro. A uno studente che, ad un esame di psicologia, insisteva troppo sulla circolarità di un'interazione tra individui, sull'indecidibilità di definire una causa ed un effetto, gli fu risposto che questo era solo un modo di fare confusione, che di Questo passo si sarebbe arrivati a non capire più niente. Le scienze umane pagano un grosso tributo a questo concetto.

    Vediamo, con Bertrand Russell, che la sua validità è stata lungamente sopravvalutata: Nei moti dei corpi reciprocamente attraentesi, non vi è niente che si possa chiamare una causa e niente che si possa chiamare un effetto; vi è soltanto una formula. Si possono scoprire certe equazioni differenziali che valgono in ciascun istante per ogni particella del sistema e che, data data la configurazione del sistema e date le velocità in un istante. oppure le configurazioni in due istanti, rendono teoricamente calcolabile la configurazione in qualsiasi istante precedente o successivo. Vale a dire, la configurazione in un istante è una funzione di quell'istante e delle configurazioni in due istanti dati. Questa affermazione vale in tutta la fisica, e non soltanto nel caso particolare della gravità. Ma in un sistema del genere non vi è nulla che si possa propriamente chiamare causa e nulla che si possa propriamente chiamare effetto.

    Indubbiamente il motivo per cui la vecchia legge di causalità ha continuato così a lungo a pervadere i libri dei filosofi è semplicemente questo: l'idea di una funzione non è familiare alla maggior parte di loro, e quindi essi ricercano una formula indebitamente semplificata. ( Russell B., Misticismo e logica, p. 183) Quindi, non solo nelle scienze del comportamento il concetto di causa fa sentire la sua inadeguatezza.

    Parleremo più avanti della punteggiatura delle sequenze di eventi, qui vogliamo dire che questa punteggiatura viene utilizzata dagli esseri umani per dare significato alla realtà. Modificare la punteggiatura di una sequenza ne modifica il significato. Paul Watzlawick affronta il problema del significato della realtà in La realtà della realtà da cui abbiamo tratto il seguente passo :

    «In una barzelletta. ben nota agli studenti di psicologia. un ratto di laboratorio dice del suo sperimentatore: Ho addestrato quell'uomo in modo che ogni volta che premo quella leva, lui reagisce dandomi da mangiare. Evidentemente, il ratto della barzelletta vede la stessa sequenza SR stimolo risposta) diversamente dallo sperimentatore: per quest'ultimo il fatto che il ratto prema la leva costituisce una reazione condizionata ad uno stimolo precedente, somministrato da lui stesso ; mentre nella visione della sequenza da parte del ratto, il fatto di premere la leva costituisce lo stimolo che esso (il ratto) somministra allo sperimentatore.» (p.63)

    Appare lampante da questo esempio, come una stessa sequenza di eventi assume significati diversi se diversamente punteggiata. Discostarci, seppur per breve tempo, dall'abitudine di vedere la realtà come un insieme di catene lineari di causa ed effetto, ci risulta difficile. Non ci interessa capire, in questo momento, perchÈ gli uomini abbiano l a necessità di punteggi are la sequenza di eventi, ci accontentiamo di constatare che senza quest'ordine il mondo ci apparirebbe davvero casuale, imprevedibile e quindi minaccioso, e questo ci riempirebbe di angoscia. Dire questo è ovviamente molto diverso dal dire che il mondo è ordinato e composto da un insieme di catene lineari di causa ed effetto. Durante la lettura di questo nostro lavoro, sarà necessario abituarsi a concentrare l'attenzione sulla descrizione delle sequenze di eventi, e non sui significati che possiamo attribuire a queste. Continueremo. dentro di noi, a punteggiare le sequenze, cioè a stabilirne un significato, però, ora possiamo cominciare ad accettare che il significato che noi attribuiamo ad una sequenza non è l'unico possibile. un'altra persona potrebbe punteggiare diversamente quella stessa sequenza, e darne quindi un significato diverso. Il problema di quale sia il significato vero di una sequenza noi lo consideriamo come indecidibile.

    1.12 La ridondanza

    Abbiamo accennato quanto sia importante per l'essere umano riempire di significato il mondo che lo circonda. Il concetto di ridondanza sembra individuare un'altra modalità con cui gli esseri umani collegano la realtà a dei significati. Bateson affronta il problema della ridondanza e del significato nel suo saggio Ridondanza e codificazione [2]

    «Si dice che il materiale dei messaggi ha ridondanza se, quando riceve la sequenza priva di qualche elemento, il ricevitore può risalire agli elementi mancanti con esito migliore di quello garantito dal caso [..] Circoscrivendo la loro attenzione alla struttura interna del supporto materiale dei messaggi, gli ingegneri ritengo di poter evitare le complicazioni e le difficoltà introdotte nella teoria della comunicazione dal concetto di significato. Vorrei tuttavia far notare che il concetto di ridondanza è almeno in parte sinonimo di significato. A mio parere, se il ricevitore può risalire alle parti mancanti del messaggio, allora le parti ricevute devono, di fatto, contenere un significato che si riferisce alle porzioni mancanti ed è informazione su quelle.» (Bateson G., Verso un'ecologia della mente, pp. 424/5)

    Se consideriamo il mondo esterno dei fenomeni naturali, notiamo subito che è caratterizzato da ridondanza. Ognuno di noi ha la capacità di esasperare un balbuziente, concludendo in modo piuttosto accurato le frasi e le parole su cui si blocca. Durante l'evolversi della conversazione, notando la sua crescente irritazione e l'aumento della sua balbuzie, aumenteremo ancora di più i nostri sforzi, pensando magari, che la sua irritazione sia dovuta a qualche nostro errore nel completamento delle frasi, arrivando ad una notevole efficacia durante questo sforzo di umana collaborazione. Alla fine del dialogo il balbuziente si sentirà particolarmente irritato, ma la sua esperienza lo aiuta a sopportare queste cose, mentre noi abbiamo potuto sperimentare la nostra intuitiva conoscenza della ridondanza nella semantica e nella sintassi della nostra lingua. Anche nella pragmatica della comunicazione si riscontra ridondanza, e questo è uno degli aspetti di cui si interessa questo lavoro.

    Noi siamo intuitivamente in grado di cogliere la ridondanza nel mondo che ci circonda, e ce ne serviamo per costruire dei modelli concettuali che utilizziamo come guida per il nostro comportamento. Se prendiamo un ipotetico osservatore di una partita di scacchi, e supponiamo, come nell'esempio tratto dalla Pragmatica della comunicazione umana, di Watzlawick, Beavin, Don D. Jackson, che non possa comunicare con i giocatori e che non conosca il gioco, con la sola osservazione potrà individuare diverse ricorrenze: l'alternanza delle mosse tra i due giocatori, con maggior difficoltà le caratteristiche di movimento di ciascun pezzo, e se può osservare molte partite può arrivare a comprendere un'eccezione alla regola dell'alternanza delle mosse, cioè i due tipi di arrocco, e l'obiettivo del gioco: dare scacco matto. A questo punto diciamo che l'osservatore è riuscito a dare significato alla partita di scacchi, nel senso che quello che fanno i giocatori non gli appare più insensato e puramente casuale.

    «Un risultato simile significa che l'osservatore ha spiegato il comportamento dei giocatori? Noi diremo che ha identificato un modello complesso di ridondanze. È chiaro che se volesse potrebbe attribuire un significato ad ogni singolo pezzo ed ad ogni regola. Nulla gli vieta di creare una complessa mitologia del gioco e del suo significato più profondo e reale che includa anche una narrazione fantastica dell'origine del gioco, come in realtà è già stato fatto. Ma sono tutte cose che non servono a capire il gioco ; una spiegazione del genere o una mitologia avrebbe con il gioco degli scacchi lo stesso rapporto che ha l'astrologia con l'astronomia.» ( p. 31)

    È possibile anche che punteggi la sequenza dicendo che il Re si difende dagli Alfieri, o che la Regina aggredisce diversi pezzi avversari. Individuare una 'ricorrenza nel gioco degli scacchi ci aiuta a formulare una regola del gioco stesso, ma non ci spiega il suo significato nel diverso universo esistenziale o mitologico. Usando le parole di Bateson:

    «Insomma, ridondanza e significato divengono sinonimi ogni volta che siano applicati allo stesso universo di discorso. Ridondanza entro l'universo limitato delle sequenze di messaggi non è, ovviamente, sinonimo di significato entro il più vasto universo che include sia i messaggi sia il referente esterno. Si osserverà che questo modo di concepire la comunicazione raggruppa tutti i metodi di codificazione nell'unica categoria della parte per il tutto.» (Bateson G., Verso un'ecologia della mente, p. 425)

    Parleremo più avanti di questa nostra capacità di percepire una parte e di riuscire a cogliere il tutto, come la frase combattenti di cielo, di terra e di mare ci fa cogliere un ben più ampio universo di discorso. Un esempio di come, recependo un dato sensoriale specifico, le impronte di piedi su un tappeto, si può allargare un'esperienza emotiva ad un più vasto universo di discorso, e come è possibile modificare questa esperienza emotiva, ci viene offerto da R. Bandler e J. Grinder :

    «Quando questa donna guardava il tappeto e ci vedeva un'impronta di piede, provava un'intensa reazione negativa di tipo viscerale cinestetico. Doveva precipitarsi a prendere l'aspirapolvere e immediatamente passarlo sul tappeto. Era una casalinga professionista. Passava l'aspirapolvere sul tappeto da tre a sette volte al giorno [..] La famiglia sembrava andare avanti bene, purchÈ non fossero a casa. Se andavano per esempio fuori a cena, non c'erano problemi. Se andavano in vacanza, non c'erano problemi. Ma a casa, secondo quanto tutti riferivano, la madre era una brontolona, brontolava per questo, brontolava per quello. Brontolava comunque e soprattutto riguardo al tappeto  Con questa donna Lesli (la terapeuta) fece così,

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