Anche se non sono io
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“Per tutti io sono Bonny, - racconta la protagonista - ma il mio vero nome è Abbondanza. Un nome che ho sempre detestato con tutta me stessa. Devo ringraziare l’inventore dei diminutivi che mi ha permesso di trasformare il disastro in Bonny. Credo che la fortuna delle persone sia definita nel momento esatto in cui si nasce. Proprio quando si emette il primo vagito, si definiscono le sorti di ciascuno e la dea bendata interviene a favore dell’uno o dell’altro. Per quanto mi riguarda, la fortuna mi ha spudoratamente girato le spalle nell’esatto istante in cui mia madre ha deciso il mio nome.”
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Anteprima del libro
Anche se non sono io - Michela Zancanella
2014
9 Aprile 2014
Il treno arrivò alla stazione di Verona alle 15 e 23 puntuale. Si sentirono i freni stridere sulle rotaie, le porte si aprirono sbuffando e i passeggeri iniziarono velocemente a scendere. Anche Francesca con il suo trolley rosso che tirava a fatica, si ritrovò nel sottopassaggio, travolta dalla folla che man mano si diradava verso le diverse uscite.
Le vetrate della stazione lasciavano entrare una luce accecante. Il mese di aprile era iniziato da poco, e le temperature erano già piacevolmente primaverili. Il cielo di quel mercoledì era di un azzurro intenso. Solo qualche nuvola bianca e spumosa nascondeva ogni tanto il sole, mentre alitava una leggera brezza.
Francesca era ansiosa di recarsi nello studio dell’avvocato Marchesini che l’aveva chiamata dieci giorni prima fissandole appuntamento per discutere della sua eredità. Quello zio che non aveva mai visto, se non in qualche vecchia fotografia, era stato così imprevedibile e pazzo da lasciare a lei, unica nipote femmina, un appartamento in Piazza Brà.
Francesca abitava a Genova, dove aveva la sua vita, il suo lavoro e le sue amicizie e non capiva l’utilità di possedere una casa in una città del tutto sconosciuta. Tuttavia la faccenda andava affrontata e la settimana precedente, dopo aver avvisato che si sarebbe assentata dal lavoro qualche giorno, aveva contattato l’avvocato per dargli conferma del suo arrivo, per firmare la documentazione e diventare proprietaria definitiva e legittima di quei 110 metri quadrati.
Iniziò a girare per le strade con la valigia in una mano e la mappa della città nell’altra, alla ricerca di via Quattro Spade dove si trovava lo studio legale. L’appuntamento era fissato per le 17 e lei aveva tutto il tempo per gironzolare e curiosare.
Finalmente arrivò in Piazza Brà. Si guardò intorno con il naso all’insù. Chissà in quale di quei palazzi era situato il suo appartamento. Sperò che si trattasse di un attico, perché avrebbe potuto offrire un panorama niente male. La città cominciò a piacerle. Peccato che non conoscesse anima viva, sarebbe stato bello visitare quei posti con qualche sua amica, sorseggiare un caffè in un piccolo bar con i tavolini all’aperto e fare shopping nei negozi del centro.
Se ne stava lì ad ammirare ogni novità con il suo impermeabile color sabbia, un foulard svolazzante blu al collo e i riccioli castani che le ricadevano sulle spalle. Mentre cercava di immaginare il numero di stanze, il colore del pavimento e la forma delle finestre dell’appartamento, sentì una voce chiamare il suo nome.
Francesca!
, gridò qualcuno.
Lei non ci fece caso.
Non si girò nemmeno a vedere da dove provenisse quella voce e proseguì per la sua strada.
Ehi Francesca, fermati!
Di nuovo la voce di prima, alle sue spalle. Questa volta era più forte e più vicina.
A quel punto non poté fare a meno di girarsi. Inquadrò subito un ragazzo alto e magro che la stava fissando con uno sguardo strano, un miscuglio tra gioia e incredulità.
Lei non lo aveva mai visto, lui sembrava conoscerla da sempre.
Si guardarono in faccia per un po’, senza parlare, senza muovere un passo. Su di loro cadde una strana attesa: carica di aspettative per lui, di imbarazzo per lei.
Lui sperava in un abbraccio, in uno slancio di affetto; lei si stava colpevolizzando perché la sua debole memoria non riusciva a mettere a fuoco quei lineamenti.
Finché Lorenzo si decise a parlare: Avevo perso le speranze, pensavo che non sarei mai arrivato a incontrarti di persona, e devo dire che dal vivo sei decisamente molto meglio che in fotografia!
. Effettivamente un metro e settanta, una cascata di riccioli castani e occhi scuri e profondi, permettevano a Francesca di non passare inosservata, che lei se ne rendesse conto oppure no.
Le parole pronunciate da Lorenzo crearono ancora più confusione. Francesca non capiva a che foto si stava riferendo quel ragazzo.
Lorenzo si avvicinò, lei gli sembrava bellissima. Finalmente poteva prenderle la mano, abbracciarla, vederla sorridere, ascoltare dalla sua voce quello che aveva solo letto nei suoi messaggi. Lei fino a quel momento gli era sembrata solo un bel sogno, ma adesso ce l’aveva davanti: il suo