Socc'mel... che notte!
Di Autori vari
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Info su questo ebook
Questa antologia raccoglie i migliori racconti ispirati alle mitiche notti bolognesi. Un puzzle composto di piccoli tasselli per raccontare cos’era Bologna, come quel gusto speciale della notte sia riuscito a creare un alone di fascino e curiosità.Fra le ombre dei portici e i profumi di Bologna si intrecciavano di notte i racconti goliardici, le risate, i successi e le disavventure di chi ha sempre vissuto su un fuso orario diverso e ha reso immortali quelle notti.
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Anteprima del libro
Socc'mel... che notte! - Autori vari
Autori Vari
SÓCC’MEL… CHE NOTTE!
Prima Edizione Ebook 2022 © Edizioni del Loggione
ISBN: 9788893472135
Edizioni del Loggione srl
Via Piave n. 60
41121 Modena – Italy
loggione@loggione.it
http://www.loggione.it
img1.jpgSÓCC’MEL… CHE NOTTE!
Le notti bolognesi del leggendario cantante rock Marzio Vincenzi che negli anni Sessanta passava le notti nelle osterie, tra sbronze, concerti e partite a carte o quelle di Francesco Guccini raccontate nelle sue canzoni fra osterie e il gioco del tarocchino bolognese. Le notti dei tiratardi i biassanot
che girovagavano per tutta la notte rimandando il più possibile il momento del cinema Bianchetti
(altra perla del gergo bolognese: vado al cinema Bianchetti per dire vado fra le lenzuola).
INDICE
UNA NOTTE DI QUELLE NOTTI NO
CHE NOTTE STANOTTE
QUASI UN SORSO DI VOLUTTÀ
UNA TESI AL SAPORE DI LAMBRUSCO
IL BAR DEL MORO
DISCO INFERNO
SOCC’MEL… CHE NOTTE!
LA TIZIA CHE SI CHIAMA PATRIZIA
LA MIA NOTTE BRAVA!
INCONTRO FATALE
QUELLE DUE AUSTRIACHE
DRAGO-BALOTTA
VIA SAN FELICE 137
ARTURO
IL CAPOLAVORO
NOTTE PRIMA DELL’ESAME
RUBATO AL TEMPO
AL CINEMA BIANCHETTI, MA SENZA FRETTA
BIASSANOT
FUGA DAL NAVILE
UNA NOTTE COME TUTTE LE ALTRE
UNA CORSA SOTTO AI PORTICI
COM’ERA BELLA, BOLOGNA, NELLE CALDE SERE D’ESTATE
LO SCANNATOIO
FUORI TEMPO
LO SPECCHIO MAGICO
Biografie autori
Catalogo Edizioni del Loggione
UNA NOTTE DI QUELLE NOTTI NO
Rodolfo Andrei
Odio le notti d’inverno. Tristi, fredde e senza senso.
Nuvole d’aria cristallina si plasmano davanti al naso, mentre le parti estreme del corpo rimangono ghiacciate come un bicchierino di limoncello.
A dire il vero odio anche le notti di primavera e anche quelle d’autunno.
Odio tutte le notti.
Ma le notti che odio di più sono quelle d’estate.
Come si fa ad amare qualcosa che ogni volta ti agita, ti scombussola e ti inquieta; creandoti scompiglio dalla cima dei capelli fino alla punta dei piedi?
Appiccicose, soffocanti e interminabili.
Le lenzuola ti fasciano il corpo come una tunica di un antico censore romano.
Tutto intorno vedi solo un mondo stabile, inamovibile e senza respiro.
Solamente l’immancabile zanzara fa da cornice, e da fastidioso sonoro, a questo palcoscenico quasi irreale.
Giro e rigiro mille e più volte il cuscino; come Antonio, il re della pizza, quando lavora il suo impasto magico.
Nel frattempo il ventilatore continua insistentemente a rimestare l’aria della stanza, dando solo un minimo sollievo a un corpo quasi in fiamme.
L’orologio alla parete sembra compiere i suoi giri a ritroso, secondi e minuti si rincorrono a vicenda, tornando poi immancabilmente al punto di partenza, mentre le stanche ore restano a guardare immobili questa frenetica gara.
Una notte bollente che sembra non voglia finire mai.
Notti insonni e colme di pensieri che si rincorrono rumorosamente, mentre con gli occhi sbarrati verso l’ignoto resto immobile a contemplare una taciturna parete.
Quella era una notte di quelle notti no.
Che fare allora? Era lo spinoso dilemma.
Restare seduto sul letto a recitare il mio personale soliloquio a un bianco muro, spettatore assente, in attesa che le prime luci dell’alba scacciassero gli spiriti notturni, oppure uscire e andare in giro per la dormiente città, tornando finalmente spossato alla dimora per un, anche se breve, meritato riposo?
La seconda scelta fu da me abbracciata con forte convinzione.
Senza avere una meta, né un punto d’arrivo, decisi di prendere al volo il primo autobus notturno che passava sotto casa, il 14 o il 21, e fare così un giro in centro e ritornare.
Salito sul bus la compagnia della serata era variopinta e multietnica, anche se un pochino assonnata. Comodamente seduto su uno dei seggiolini vicini all’entrata, notai un giovane homeless che teneva gelosamente tra le proprie mani un brik di vino rosso, avvolto da una pagina del Resto del Carlino di Bologna.
Capelli arruffati, camicia a quadri tinti... molto tinti, e un leggero impermeabile color beige scuro, diventato oramai molto più scuro che beige, occhi grandi e faccia simpatica, pur se non pulitissima.
A testa bassa parlava sottovoce tra sé e sé, e ogni tanto alzava lo sguardo lanciando un grosso e caldo sorriso ai passeggeri seduti più o meno vicini a lui.
Il posto accanto al ragazzo era ben libero; sicuramente le persone pensavano che fosse meglio farsi il tragitto in piedi invece di mescolare colori e odori dei propri vestiti con quelli del giovane senzatetto.
Gli esseri umani salivano e scendevano freneticamente dal mezzo pubblico, quasi a rincorrersi l’un l’altro, senza far caso affatto a quell’individuo appartato nel proprio mondo.
Alla fermata di piazza Malpighi una signora molto distinta e ben vestita con la propria giacchetta color beige... stavolta nel vero senso della parola, salì sull’autobus e, vedendo quel posto libero, si apprestò a prenderne possesso.
Si bloccò immediatamente notando il suo futuro compagno di viaggio.
Dette un’occhiata veloce al ragazzo e, schifata da quell’essere per lei indecoroso, storse la bocca in segno di disgusto e, senza proferire parola alcuna, si voltò dall’altra parte.
A quel punto il giovane vagabondo, avendo ben visto con la coda dell’occhio la scena, senza scomporsi affatto, prima si concesse un’altra sorsata di quel suo ottimo rosso, poi alzò la testa ed esclamò:
«Cara signora se lei non si lavasse... ci sarebbe un bel posto libero a sedere... proprio qui vicino a me!»
Subito dopo, con quella sua solita aria paciosa, il giovane homeless lanciò a noi vicini compagni di viaggio un altro dei suoi caldi sorrisi e, riabbassando la testa, si rituffò nuovamente nel proprio mondo.
Quel sorriso fu ricambiato con piacere da me e da altri passeggeri che avevano notato la buffa scena, e scaldò ancor di più la già tiepida serata.
Poche fermate ancora e il bus mi riportò al punto di partenza.
Di nuovo feci mestamente ritorno alla mia notte no, andavo nuovamente al cinema Bianchetti, ma questa volta con un piccolo, inaspettato e gradevole sorriso nel cuore.
CHE NOTTE STANOTTE
Michele Attanasio
Mamma mia che freddo. Ma come mi è venuto in mente di uscire di casa da solo a quest’ora di sera. Potevo aspettare Lucrezia, mi sarei divertito di più; magari avremmo incontrato qualche amico e invece per la mia testardaggine non ho voluto aspettare. Adesso mi ritrovo in giro da solo e sono anche senza il mio cappotto, ma se fosse solo questo il problema: la cosa più preoccupante è che sono abbastanza convinto di essermi perso. Soccia sono proprio uno stordito, non ce la posso fare. Le strade proprio non mi entrano in testa.
Le riconosco, mi ricordo di esserci passato, ma non riesco a ricordarne i nomi. Lucrezia me li dice tutti, ma io non ho memoria. A dirla tutta lei canta spesso anche quella canzone che dice che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino: beh io ci sono riuscito, incredibile.
Ma che freddo.
Comunque è inutile che mi lamenti, devo riuscire a ritornare a casa.
Allora dove sono adesso? La conosco questa piazza, ci veniamo spesso, aspetta, come la chiama Lucrezia? Le sette chiese, sì esatto ho indovinato. Ci veniamo anche quando c’è il mercato dove vendono le cose antiche, a lei piacciono tanto. Abbiamo la casa piena di zavagli che sono sempre in mezzo, per forza capita che qualcosa si possa rompere; mica lo faccio apposta. Ma quando succede apriti cielo, urla e inveisce come se fosse morto qualcuno.
Però aspetta, devo restare concentrato. Allora se non mi sbaglio sotto quel portico c’è l’entrata di Corte… Corte Isolani, esatto. Da lì si esce dove c’è quel portico di legno che io non sopporto. Tutte le volte che ci passiamo Lucrezia dice: Ecco le frecce, le vedi?
No. Non le vedo e nemmeno m’interessa vederle, cosa vuoi mai che siano tre frecce piantate sul soffitto di un portico.
No, meglio andare verso sinistra, seguendo quella strada dovrei arrivare alle due torri, da quel punto dovrei ricordarmi dove devo andare, mi sembra più facile.
Non c’è nessuno per strada, speriamo di non incontrare qualche malintenzionato, sono da solo e ho un po’ paura, ma perché sono stato così stupido? Ho freddo; inizio anche a essere stanco, ma non posso fermarmi, devo tornare a casa.
Via Rizzoli così vuota non l’ho mai vista, quando la sera usciamo con Lucrezia un po’ di gente in giro c’è sempre, deve essere veramente tardi.
Ecco questa è Piazza Maggiore, è bellissima. Ma guarda te, non ci sono i piccioni; per fortuna, è più forte di me, proprio non li sopporto, sempre a piluccare per terra. Li odio.
Dovrei riposarmi ma è meglio continuare, adesso prendo questa strada e poi arrivo in quella piazzetta che mi piace tanto.
Mamma che freddo.
Guarda mò che ci ho preso, adesso mancano i tavoli, ma qui incontriamo sempre la Vale e Jack a fare colazione, anzi mangerei proprio qualcosa, ho una gran fame ma sono tutti chiusi, anche se fossi con Lucrezia non ci sarebbe niente da fare.
Mi siedo sui gradini della chiesa. Questa piazza ha sempre un’atmosfera speciale, di pace. E quei due chi sono? Guarda mò che carini, si vede che sono innamorati, si tengono per mano, guardano le stelle, parlano sottovoce, si baciano, continuano a baciarsi, ancora baci. No va beh, fammi spostare, non voglio mica stare qui a guardare cosa fanno.
Adesso arrivo fino in fondo a questa strada e poi giro a sinistra. Piano piano riesco a ricordare tutto, però che fatica. Sto invecchiando, Lucrezia me lo dice sempre che sto diventando vecchio e sordo. A dir la verità qualche volta faccio finta, ci sento benissimo. Però capita che sono sul divano che mi sto rilassando mentre guardo un film oppure una partita di calcio e lei mi chiama. Io adoro il calcio, Lucrezia dice che non riesce a capire che divertimento ci sia a correre dietro a un pallone, in quei casi io provo a far finta di non sentire, ma poi lei si avvicina e a quel punto devo darle ascolto.
Di una cosa sono certo: mi vuole bene e stiamo bene insieme. Viviamo in un appartamento dove non ci manca nulla e siamo proprio felici. Per questo voglio ritornare a casa sul mio divano a guardare la tv.
Ok, anche questa zona la conosco: questa è Galleria Cavour dove ogni tanto passiamo per guardare le vetrine, a me interessano poco, ma Lucrezia ci passerebbe le giornate. Se continuo diritto per questa strada mi ritrovo nella piazza dove c’è una grande statua con intorno le panchine, me la ricordo perché una volta siamo andati a visitare il percorso che fa il torrente che passa sotto Bologna e alla fine del giro si esce proprio in quella piazza. Guarda mò, anche stavolta ci ho preso.
Deve essere proprio tardi, non c’è più nessuno in giro, ma se voglio tornare a casa mi devo far venire un’idea, continuo sotto il portico e vediamo dove arrivo.
Questa vetrina l’ho già vista, questa pure.
Soccia che freddo.
Vorrei che fosse una bella giornata di sole come quando con Lucrezia andiamo ai Giardini Margherita, mi sembra di sentire il profumo dell’erba appena tagliata, invece è buio pesto.
Guarda, sono fortunato, ecco tre ragazzi che camminano nel portico di fronte, mi avvicino così magari mi possono aiutare. Devo stare attento ad attraversare, non ho visto tante macchine girare, ma come dice Lucrezia meglio un’occhiata in più piuttosto che essere investiti. Ancora mi ricordo quando facemmo quel gran busso con il ciclista. Camminavamo sotto i portici, Lucrezia voleva vedere una vetrina dall’altra parte della strada, ma appena usciti dal portico un ragazzo che stava consegnando le pizze ci prese sotto. Devo dire che non è molto furbo mettere la ciclabile appena fuori dal portico, si rischia la vita. Per fortuna che nessuno si fece male, Lucrezia si spaventò a morte perché vide il ragazzo tutto insanguinato, poi si rese conto che in realtà era il pomodoro delle pizze che trasportava. Io invece presi un gran pacca, ma dopo cinque minuti ero già a posto. Da allora quando attraversiamo stiamo molto più attenti.
I ragazzi mi hanno visto, meno male, vengono verso di me, così mi potranno aiutare, stanno anche sorridendo. Cosa avranno da dirsi così sottovoce, no ma che fanno, perché hanno iniziato a correre? No, lasciatemi, lasciatemi. Cosa volete da me, aiuto! Aiuto! Lasciatemi! Io non vi ho fatto nulla.
No, non può essere che ci siano persone così cattive in giro, io volevo solo un aiuto per tornare a casa, nulla di più. Forse erano ubriachi, ma perché prendersela con me? Mi fa male un po’ la testa, uno di quei cinnazzi mi deve aver dato una pacca con una bottiglia.
Oddio che schifo!! Un topo. Li odio i topi, più dei piccioni. Per fortuna non se ne vedono tanti, ma proprio non riesco a sopportarli. Fammi allontanare in fretta, non vorrei che fosse in compagnia.
Questa vetrina l’ho già vista, questa pure, aspetta un attimo: ma se giro a sinistra mi ritrovo dove ero prima, non è possibile; non ci posso credere, sono di nuovo al punto di partenza. Ho girato per tutta la notte per ritrovarmi di nuovo qui alle sette chiese.
Ha ragione Lucrezia, sono vecchio, sto perdendo anche la vista, forse è per questo che non mi sono reso conto che stavo tornando indietro.
Sono molto stanco, se continuo a girare non cavo un ragno dal buco. Ormai è l’alba, si sta facendo giorno e sono stato fuori tutta la notte.
Adesso mi viene in mente solo una cosa: mi fermo qui e aspetto che passi qualcuno a cui chiedere aiuto. Devo trovare un punto dove mi possano vedere, mi metto seduto sugli scalini appena fuori da Corte Isolani, così riesco a vedere anche