Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

I demoni
I demoni
I demoni
E-book990 pagine15 ore

I demoni

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Pubblicato nel 1873, "I demoni" è forse il romanzo più politico di Dostoevskij, nel quale l'autore prende una posizione decisamente critica nei confronti del movimento rivoluzionario che con i suoi attentati terroristici scosse la Russia intorno alla seconda metà del XIX secolo. Volendone semplificare la trama, il romanzo non è altro che il racconto della nascita di una cellula terroristica all'interno degli ambienti liberali e progressisti di una piccola cittadina di provincia. Ma più che su una trama, il romanzo si basa soprattutto sui suoi straordinari personaggi, tra i quali spiccano il retorico e ampolloso Stepan Trofimovič, figura del tipico intellettuale fallito; suo figlio Pëtr Stepanovič, organizzatore di un gruppo terroristico, l’annoiato Stavrogin, sospeso nel suo vuoto metafisico; la madre di quest'ultimo, la ricca Varvara Petrovna, che si avvicina alle nuove idee liberali solo per capriccio; Kirillov, forse il rappresentante più puro della filosofia nichilista.
I dèmoni, in definitiva, sono quegli “ossessi” che, avendo perduto la nozione del bene e del male, precipitano nell'abisso morale che loro stessi hanno creato.
Nella sua prima uscita la censura mutilò il romanzo di un capitolo molto importante: “La confessione di Stavrogin”, capitolo che in questa edizione viene reintegrato nella sua posizione originaria.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2022
ISBN9788831372329
I demoni

Leggi altro di Fëdor Dostoevskij

Correlato a I demoni

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su I demoni

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    I demoni - Fëdor Dostoevskij

    Fëdor Dostoevskij

    I demoni

    ISBN: 9788831372329

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    PRESENTAZIONE

    Fëdor Michajlovič Dostoevski

    I DEMONI (sinossi)

    PERSONAGGI

    AVVERTENZA

    PARTE PRIMA

    CAPITOLO PRIMO

    CAPITOLO SECONDO

    CAPITOLO TERZO

    CAPITOLO QUARTO

    CAPITOLO QUINTO

    PARTE SECONDA

    CAPITOLO PRIMO

    CAPITOLO SECONDO

    CAPITOLO TERZO

    CAPITOLO QUARTO

    CAPITOLO QUINTO

    CAPITOLO SESTO

    CAPITOLO SETTIMO

    CAPITOLO OTTAVO

    CAPITOLO NONO

    CAPITOLO DECIMO

    CAPITOLO UNDICESIMO

    PARTE TERZA

    CAPITOLO PRIMO

    CAPITOLO SECONDO

    CAPITOLO TERZO

    CAPITOLO QUARTO

    CAPITOLO QUINTO

    CAPITOLO SESTO

    CAPITOLO SETTIMO

    CAPITOLO OTTAVO

    FËDOR DOSTOEVSKIJ

    I DEMONI

    e-book

    (edizione integrale)

    Titolo originale: Бесы traslitterato: Besy

    Traduzione a cura di Claudio Carini

    (traduzione effettuata da una edizione di pubblico dominio in lingua inglese)

    Recitar Leggendo Edizioni

    ©2022 audiolibro - ©2022 Ebook - Diritti riservati

    Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata

    RECITAR LEGGENDO EDIZIONI

    www.recitarleggendo.it

    (marchio e logo depositati)

    ISBN Ebook: 978-88-31372-32-9

    Copertina a cura di Giuseppe Rossi

    La versione in audiolibro di questo testo può essere reperita presso:

    Recitar Leggendo Audiolibri

    https://www.recitarleggendo.it/b-31-i-demoni

    PRESENTAZIONE

    Recitar Leggendo Audiolibri è una iniziativa editoriale indipendente nata nel 2004 e curata da Claudio Carini, attore di prosa con oltre quarant’anni di esperienza nel campo della lettura ad alta voce. Da questa vasta esperienza nasce la linea editoriale della Casa Editrice, prevalentemente dedicata ai grandi classici: Ariosto, Dante, Boccaccio, Petrarca, Leopardi, Omero, oltre a quei moderni che sono ormai anch'essi dei grandi classici, come Calvino, Verga, Svevo, Pirandello.

    Con il duplice scopo di diffondere ulteriormente le opere immortali dei grandi classici, e di permettere, a chi ne senta la necessità, di seguire il testo durante l’ascolto dell’audiolibro, Recitar Leggendo ha avviato una collana di ebook nei quali è riportato fedelmente il testo intrepretato ad alta voce nell’audiolibro. Tutti i testi della collana ebook, infatti, sono disponibili anche in audiolibro, in formato digitale (scaricabile dai più importanti portali di audiolibri) e, per alcuni titoli, anche in formato CD fisico (nelle migliori librerie).

    Per conoscere il mondo Recitar Leggendo visita il sito:

    www.recitarleggendo.it

    e-mail: info@recitarleggendo.com

    Fëdor Michajlovič Dostoevski

    breve biografia

    Fëdor Michajlovič Dostoevskij, rimasto orfano della madre all’età di 16 anni, viene iscritto dal padre alla scuola del genio militare di Pietroburgo. Ma il giovane Fëdor, seguendo le sue attitudini letterarie, una volta ottenuto il diploma, rinuncia alla carriera militare per iniziare il lavoro di scrittore. Da più parti arrivano critiche incoraggianti alla sua prima opera: Povera gente che vede la luce nel 1846. Già fin da questo primo lavoro, lo scrittore sviluppa uno dei temi principali della successiva produzione: la sofferenza per l'uomo socialmente degradato e incompreso. Il suo secondo romanzo: Il sosia tratta della storia di uno sdoppiamento psichico che non ottiene però il consenso del primo romanzo. Successivamente pubblica su riviste alcuni racconti e romanzi brevi, tra i quali Le notti bianche.

    Il 23 aprile 1849 viene arrestato per partecipazione a società segreta con scopi sovversivi e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo. In realtà, Dostoevskij aveva partecipato ad alcune riunioni non come attivista, ma come semplice uditore. Il 16 novembre dello stesso anno, insieme ad altri venti imputati viene condannato alla pena capitale tramite fucilazione, ma incredibilmente il 19 dicembre lo zar Nicola I commuta la condanna a morte in lavori forzati a tempo indeterminato. La revoca della pena capitale viene comunicata allo scrittore quando è già sul patibolo. Questo avvenimento lo segnerà per tutta la vita. Al trauma della mancata fucilazione vanno associate le sue ricorrenti crisi di epilessia.

    Verso l’inizio degli anni ‘60 dell’800 Dostoevskij inizia un’attività giornalistica soggetta ad alterne fortune. Proprio in quel periodo la sua vita privata è costellata da ripetute disgrazie; nel 1864 muore la sua prima moglie e, poco dopo il fratello Michail, che gli lascia ingenti debiti da pagare. Nel 1866 scrive il suo capolavoro: Delitto e castigo, e l’anno successivo sposa la sua stenografa. Nel 1867 compie un lungo viaggio in Europa, a Firenze, dove comincia a scrivere L'idiota, storia della sconfitta di un uomo «assolutamente buono». Tornato in Russia, pubblica nel 1873 'I demoni'. Tra il 1879 e il 1870 scrive 'I fratelli Karamazov', il suo romanzo più imponente e forse più ricco di drammaticità e moralità. Il romanzo ottiene subito un enorme successo. Lo scrittore è ormai famoso quando muore improvvisamente 9 febbraio 1881.

    È considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi. A lui è intitolato il cratere Dostoevskij sulla superficie di Mercurio.

    I DEMONI (sinossi)

    Pubblicato nel 1873, I demoni è forse il romanzo più politico di Dostoevskij, nel quale l'autore prende una posizione decisamente critica nei confronti del movimento rivoluzionario che con i suoi attentati terroristici scosse la Russia intorno alla seconda metà del XIX secolo. Volendone semplificare la trama, il romanzo non è altro che il racconto della nascita di una cellula terroristica all'interno degli ambienti liberali e progressisti di una piccola cittadina di provincia. Ma più che su una trama, il romanzo si basa soprattutto sui suoi straordinari personaggi, tra i quali spiccano il retorico e ampolloso Stepan Trofimovič, figura del tipico intellettuale fallito; suo figlio Pëtr Stepanovič, organizzatore di un gruppo terroristico, l’annoiato Stavrogin, sospeso nel suo vuoto metafisico; la madre di quest'ultimo, la ricca Varvara Petrovna, che si avvicina alle nuove idee liberali solo per capriccio; Kirillov, forse il rappresentante più puro della filosofia nichilista.

    I demoni, in definitiva, sono quegli ossessi che, avendo perduto la nozione del bene e del male, precipitano nell'abisso morale che loro stessi hanno creato.

    Nella sua prima uscita la censura mutilò il romanzo di un capitolo molto importante: La confessione di Stavrogin, capitolo che in questa edizione viene reintegrato nella sua posizione originaria.

    PERSONAGGI

    PERSONAGGI PRINCIPALI DEL ROMANZO:

    Stepan Trofimovič Verchovenskij

    Scrittore e poeta incompreso, ingenuo e sentimentale, padre di Pëtr Stepanovič Verchovenskij.

    Pëtr Stepanovič Verchovenskij

    Figlio di Stepan Trofimovič

    Varvara Petrovna Stavrogina

    Ricca possidente, madre di Nikolaj Vsevolodovič e grande amica di Stepan Trofimovič Verchovenskij

    Nikolaj (Nikolas) Vsevolodovič Stavrogin

    Figlio di Varvara Petrovna Stavrogina, Ultimo discendente di una ricca famiglia di proprietari terrieri.

    Ivan Pavlovič Šatov (Šatuška)

    Studente, fratello di Darja.

    Darja (Daša) Pavlovna Šatova

    Sorella di Šatov e protégé di Varvara Petrovna.

    Marija (Marie) Ignatijevna Šatova

    Moglie di Ivan Šatov, sposata da questi all'estero.

    Aleksej Nilič Kirillov

    Ingegnere legato al movimento nichilista.

    Anton Lavrentievič G...v

    L'Io narrante, colui che racconta il succedersi dei fatti. Amico e confidente di Stepan Trofimovič.

    Praskovja Ivanovna Drozdova

    Amica di Varvara Petrovna.

    Lizavieta (Liza) Nikolaevna Tušina

    Figlia di Praskov'ja Ivanovna,

    Mavrikij Nikolaevič (Maurice)

    Capitano d’artiglieria, poi fidanzato con Lizaveta.

    Ignat Timofeevič Lebjadkin

    Ex-Capitano ubriacone e manesco.

    Marija Timofeevna Lebjadkina

    Sorella di Ignat Lebjadkin, zoppa e malata di mente.

    Andrej Antonovič von Lembke

    Governatore di origini tedesche.

    Julia Michajlovna von Lembke

    Moglie del governatore.

    Andrej Antonovič Blüm

    Parente e consigliere personale del governatore.

    Karmazinov

    Famoso letterato amico della famiglia Drozdov (è una caricatura di Ivan Turgenev).

    Tichon

    Ex vescovo ortodosso.

    Fëdor Fëdorovič (Fëd'ka)

    Un criminale evaso

    Virginskij; Šigalëv; Sergej Vassil'evič Liputin; Ljamšin; Tolkačenko

    Membri del comitato dei cinque a capo del gruppo terroristico.

    Erkel

    Giovane sottotenente, grande ammiratore di Pëtr Stepanovič Verchovenskij

    Nastasja (Stasie)

    domestica di Stepan Trofimovič Verchovenskij

    Aleksej Egorič

    Vecchio servitore di Nikolaj (Nikolas) Vsevolodovič Stavrogin.

    Sophie Matveïevna Oulitine

    Venditrice di libri religiosi

    AVVERTENZA

    In Russia è tuttora in uso l'uso del patronimico dopo il nome proprio e prima di quello della famiglia. In pratica, il patronimico sta per figlio di. Per esempio: Pëtr Stepanovič Verchovenskij può essere decifrato in questo modo: Pëtr (nome) Stepanovič (patronimico, cioè, figlio di Stepan) Verchovenskij (cognome).

    Stessa cosa per i nomi femminili, ma con una piccola variante; per esempio, Praskovja Ivanovna Drozdova va decifrata così: Praskovja (nome) Ivanovna (patronimico, figlia di Ivan) Drozdova (cognome).

    Il patronimico viene sempre usato in circostanze formali. Nei grandi romanzi dell'Ottocento, come nel caso di Dostoevskij, i nomi propri sono sempre seguiti da patronimico.

    Per il lettore (o l'ascoltatore italiano) questo può rappresentare qualche difficoltà nella memorizzazione dei personaggi, tanto più che non di rado viene usato un diminutivo del nome stesso (come, ad esempio, Daša al posto di Darja).

    Il suggerimento che ci sentiamo di dare per facilitare la memorizzazione dei personaggi è quello di concentrarsi soprattutto sul nome di battesimo, quello iniziale (ad esempio: Pëtr , Varvara , Nikolaj , e così via). Ma siamo sicuri che Dostoevskij sarà comunque capace di conquistare la vostra attenzione, nonostante queste piccole difficoltà.

    Anche se mi uccideste, non vedo tracce: siamo perduti: che faremo? Senza dubbio, è il demonio che ci spinge per i campi E ci fa girare in tondo senza senso. Quanti sono? Dove vengono cacciati? Perché cantano in modo così lugubre? È il funerale di un diavoletto o le nozze di una strega? ( A. Puškin).

    C’era una grossa mandria di porci che pascolava sulla montagna; e i demoni Lo pregarono di permettere loro d'entrare in questi porci, ed Egli lo permise loro. I demoni dunque, usciti da quell'uomo, entrarono nei porci, e la mandria si precipitò da quel luogo scosceso nel lago, e annegò. E i mandriani, vedendo questo, fuggirono e lo raccontarono in città e nelle campagne. Allora la gente uscì per vedere ciò che era accaduto; e arrivati da Gesù, trovarono l'uomo dal quale erano usciti i demoni seduto ai piedi di Gesù, vestito, e con la mente lucida: ed ebbero paura. E quelli che avevano visto queste cose raccontarono loro come l'indemoniato fosse stato liberato. (Vangelo San Luca, cap. VIII, 32-37).

    PARTE PRIMA

    CAPITOLO PRIMO

    A mo’ d’introduzione. Alcuni particolari biografici sul molto rispettabile Stepan Trofimovič Verchovenskij .

    I

    Nell’accingermi a raccontare i recenti e strani avvenimenti che si sono verificati nella nostra città, nella quale finora non è mai accaduto nulla di speciale, la mia inesperienza mi costringe a cominciare da più lontano e a fornire alcuni particolari biografici sul molto rispettabile Stepan Trofimovič Verchovenskij. Questi particolari serviranno da introduzione alla presente cronaca che mi accingo a scrivere.

    Lo dirò sinceramente: Stepan Trofimovič ha avuto sempre tra noi un ruolo speciale, civile, per così dire, e ha amato questo suo ruolo fino alla passione, e credo che sarebbe morto piuttosto che rinunciarvi. Non è che io voglia paragonarlo ad un attore sulla scena: Dio me ne guardi, tanto più che ha tutta la mia stima. Nel suo caso, tutto poteva dipendere dall’abitudine, o, per meglio dire, da una nobile tendenza che, sin dalla sua infanzia, l’aveva sempre spinto a sognare una bella posizione civica. Per esempio, amava straordinariamente la sua condizione di perseguitato e di esiliato. In tutte e due queste parolette c’è una sorta di splendore classico che lo aveva sedotto definitivamente e che, innalzandolo a poco a poco, nella considerazione di sé stesso, nel corso degli anni, lo aveva issato sopra un piedistallo particolarmente alto e lusinghiero per la sua vanità. In un romanzo satirico inglese del secolo scorso, un certo Gulliver, tornato dal paese dei Lillipuziani, dove la statura media della gente era non più di due pollici, stando fra loro si era talmente abituato a considerarsi un gigante, che, anche camminando per le vie di Londra, involontariamente lanciava grida ai passanti e alle carrozze perché si facessero da parte davanti a lui e perché facessero attenzione dato che lui avrebbe potuto schiacciarli, perché immaginava di essere ancora un gigante fra i nani. Per questo tutti ridevano di lui o lo insultavano e qualche rozzo cocchiere prendeva perfino a frustate quel presunto gigante. Ma era forse giusto? Cosa non può fare l'abitudine! L'abitudine aveva condotto quasi allo stesso punto anche Stepan Trofimovič, anche se in modo più innocente e inoffensivo, se ci possiamo esprimere così, perché era davvero un'ottima persona.

    Io credo che, verso la fine, tutti l’avessero dimenticato, ma non si può dire che prima fosse stato uno sconosciuto. È indiscutibile che per un certo periodo egli abbia fatto parte di quella famosa pleiade di illustri personaggi della nostra passata generazione e che per un certo tempo, magari anche solo per un minuto, il suo nome fosse stato pronunciato da gente frettolosa di allora, accanto, se non addirittura allo stesso livello, a nomi del calibro di Čaadàev, di Belinskij, di Granovskij e di Herzen, il quale in quel periodo stava appena iniziando la sua carriera all’estero. Disgraziatamente, la carriera di Stepan Trofimovič si interruppe proprio all’inizio, stroncata, come diceva lui dal vortice delle circostanze. Ebbene? Sta di fatto che, non solo il vortice, ma anche le circostanze" risultarono in seguito del tutto inesistenti in questo caso. Solo pochi giorni fa sono venuto a sapere, con mia grande meraviglia, ma con assoluta certezza, che Stepan Trofimovič viveva tra noi nella nostra provincia, nient’affatto in esilio, come tutti credevamo, ma che non era mai stato neanche sotto sorveglianza. Guardate, dunque, che grande potere ha l’immaginazione! Lui stesso credette per tutta la vita che in certi ambienti avessero una gran paura di lui, che i suoi passi fossero contati, i suoi gesti spiati, e che ognuno dei tre nuovi governatori mandati da Pietroburgo negli ultimi venti anni a reggere la nostra provincia, avesse istruzioni precise concernenti la sua persona. Se a quell’epoca qualcuno, con prove inconfutabili, avesse dimostrato al molto rispettabile Stepan Trofimovič che, in realtà, non aveva proprio nulla da temere, egli certamente si sarebbe offeso. Tuttavia, era un uomo intelligentissimo e pieno di talento, addirittura un uomo di scienza, per dir così… sebbene in campo scientifico sembra che non avesse fatto proprio un bel niente. Ma con gli uomini di scienza, da noi in Russia, queste cose capitano di continuo.

    Tornato dall’estero, verso il 1850 aveva occupato brillantemente una cattedra universitaria; riuscì però a tenere solo poche lezioni, sembra sull’argomento degli arabi. Svolse inoltre con molto successo una tesi sull’importanza civica e anseatica della piccola città tedesca di Hanau nel periodo tra gli anni 1413 e 1428 e sulle mai ben chiarite cause per cui tale importanza non fu mai acquisita. Questa tesi era piena di frecciate pungenti conto gli slavofili [1] dell’epoca, cosa che gli fece guadagnare una grande quantità di nemici in quell’ambiente. In seguito - del resto questo avvenne quando aveva già perso la cattedra universitaria - fece pubblicare in una rivista mensile di tendenze progressiste e che traduceva Dickens e che diffondeva le idee di George Sand, il principio di uno studio molto approfondito sulle cause della straordinaria nobiltà morale di certi cavalieri in una certa epoca, o qualcosa di simile. Per lo meno, vi era sostenuta un’idea molto elevata e nobile. Si sparse poi la voce che il seguito dello studio era stato tempestivamente vietato e anche che quella rivista progressista aveva corso un brutto rischio per aver osato pubblicarne la prima parte. Non è impossibile che tutto questo sia accaduto perché cosa non succedeva a quell’epoca? Ma in questo caso specifico, l’ipotesi più probabile è che non sia accaduto nulla e che solo la pigrizia abbia impedito all’autore di terminare il suo lavoro. Aveva cessato le sue lezioni sugli arabi a causa di un piccolo incidente: una lettera compromettente, scritta da Stepan Trofimovič e indirizzata non si sa bene a chi, e contenente l’esposizione di certe circostanze era stata intercettata da un terzo (probabilmente un retrogrado), cosa che lo costrinse a fornire spiegazioni alle autorità.

    Non so se sia vero, ma affermavano anche che nello stesso periodo a Pietroburgo era stata scoperta una società segreta formata da una trentina di persone, società segreta che tramava contro lo Stato. Si diceva che si stessero preparando a tradurre lo stesso Fourier. Neanche a farlo apposta, proprio in quei giorni, a Mosca furono sequestrate in casa di alcuni studenti, alcune copie di un poema che Stepan Trofimovič aveva scritto a Berlino sei anni prima, nella sua prima giovinezza. Proprio ora, mentre scrivo, una copia di questo poema si trova nel cassetto del mio tavolo, me ne diede una copia autografata non più tardi di un anno fa lo stesso Stepan Trofimovič, con tanto di dedica e una rilegatura in marocchino rosso. Per la verità, questo poema non è del tutto privo di valore letterario e di un certo ingegno, (parrà strano, ma a quell’epoca, cioè fra il ’30 e il ’40 si scrivevano spesso cose del genere); ma mi troverei in imbarazzo se mi si chiedesse di raccontarne il soggetto, perché non ci capisco davvero nulla. È una specie di allegoria scritta in forma lirico-drammatica che ricorda vagamente la seconda parte del Faust. La scena si apre con un coro di donne, segue poi un coro maschile, poi entra in scena un coro di non so quali forze, e sul finale un coro di anime che non hanno ancora vissuto, ma che avrebbero una gran voglia di vivere. Tutti questi cori cantano qualcosa di molto indefinito, in particolare una maledizione verso non so bene chi, ma sempre con una sfumatura fortemente ironica. Poi la scena cambia all’improvviso per lasciare il posto a una sorta di festa della vita nella quale cantano persino gli insetti, poi appare una tartaruga che sproloquia certe parole sacramentali in latino e canta qualcosa e, se non ricordo male, canta persino un minerale, cioè un oggetto assolutamente inanimato. Insomma, cantano tutti ininterrottamente e, quando parlano, non fanno altro che litigare e far confusione, ma sempre con sfumature di altissimo significato. Infine, la scena cambia di nuovo e appare un luogo selvaggio e fra i dirupi si vede vagare un giovane incivilito che strappa certe erbe per succhiarle e alla domanda di una fata perché succhi quelle erbe? ..., lui risponde che sentendo in sé un eccesso di vita, va in cerca dell’oblio e che lo trova nel succo di quelle erbe, ma che il suo desiderio più grande è quello di perdere al più presto la ragione (desiderio tutto sommato superfluo). Poi, improvvisamente entra in scena un giovanetto di indescrivibile bellezza a cavallo di un destriero nero, seguito da una folla sterminata di popoli. Il giovanetto rappresenta la morte, e tutti i popoli la desiderano. Alla fine, proprio nell’ultima scena, a un tratto appare la torre di Babele, e certi atleti finiscono di costruirla innalzando un canto di speranza, e quando ormai sono arrivati fino alla cima, il signore dell’Olimpo se ne scappa via in modo abbastanza comico e l’umanità, che alla fine ha capito, occupa il suo posto e inizia subito una nuova vita, con un modo completamente nuovo di capire le cose. Ecco, è proprio questo il poema che avevano trovato tanto pericoloso. L’anno scorso proposi a Stepan Trofimovič di pubblicarlo, vista la sua perfetta innocenza e innocuità, ma lui rifiutò la proposta con un evidente malcontento. Era proprio il fatto che io lo consideravo un poema del tutto innocente e innocuo a non andargli giù e penso che sia proprio questa la ragione di una sua certa freddezza verso di me che è durata almeno per un paio di mesi. Ma cosa avvenne a questo punto? Avvenne che proprio nei giorni in cui io gli proponevo di pubblicarlo qui, il poema fu stampato , cioè all’estero, in una di quelle riviste rivoluzionarie e per giunta del tutto all’insaputa di Stepan Trofimovič. All’inizio lui rimase spaventato, tanto che si precipitò dal governatore e scrisse una nobilissima lettera di giustificazione, me la lesse due volte, ma non la spedì, non sapendo a chi indirizzarla. Insomma, si agitò per un mese intero, ma io sono convinto che nei più reconditi meandri del suo cuore egli, in realtà fosse straordinariamente lusingato. Per poco non dormiva con la rivista che gli avevano fatto avere, e di giorno la nascondeva sotto il materasso e aveva vietato alla domestica di rifare il letto e, sebbene aspettasse da un giorno all’altro un certo telegramma non si sa bene da chi, guardava tutti dall’alto in basso. Non arrivò nessun telegramma. E allora si riconciliò anche con me, cosa che testimonia la straordinaria bontà del suo cuore mite, del tutto incapace di serbare rancore.

    II

    Intendiamoci, non voglio qui affermare che non abbia sofferto alcuna persecuzione, ma ora mi sono convinto che avrebbe potuto continuare a parlare dei suoi arabi quanto voleva: sarebbe stato sufficiente solo fornire qualche spiegazione. Ma a quel tempo egli era pieno di amor proprio e volle convincersi una volta per tutte e con particolare sollecitudine che la sua carriera era stata stroncata sul nascere da un turbine di circostanze. Ma, per dire come stanno le cose effettivamente, la vera causa del cambiamento della sua carriera va ricercata in una delicatissima proposta fattagli già da prima e poi rinnovata da Varvara Petrovna Stavrogina, moglie di un tenente generale e notevolmente ricca, di prendersi cura, in qualità di alto pedagogo ed amico, dell’educazione e della maturazione morale e spirituale del suo unico figlio, per non parlare del profumato stipendio. Questa proposta gli era stata fatta per la prima volta quando era ancora a Berlino, e più precisamente quando era rimasto vedovo per la prima volta. La sua prima moglie era una frivola ragazza della nostra provincia che lui aveva sposato quando era ancora un giovane spensierato e irresponsabile e, a quanto pare, con questa ragazza che, peraltro era molto attraente, aveva sofferto molti dispiaceri, sia per mancanza di mezzi al loro mantenimento, sia per altre delicate questioni. La donna era morta a Parigi, dopo aver vissuto negli ultimi tre anni separata dal marito, lasciandogli un figlio di cinque anni, frutto del loro primo felice e limpido amore, come sfuggì detto un giorno ad un malinconico Stepan Trofimovič in mia presenza. Il ragazzino fu subito spedito in Russia, dove venne allevato da certe lontane zie, in qualche posto dimenticato dell’interno del Paese. Stepan Trofimovič aveva rifiutato la proposta fattagli quella volta da Varvara Petrovna e prima ancora che fosse passato un anno si era sposato di nuovo con una taciturna tedeschina di Berlino e, quello che più conta, senza che ne avesse un particolare bisogno. Ma sembra che ci furono anche altre ragioni a spingerlo a rifiutare quel posto di educatore: a quell’epoca era rimasto affascinato dalla gloria che circondava un certo indimenticabile professore, e così egli aveva spiccato il volo verso la cattedra, per mettere alla prova le sue ali di aquila. Ma poi, con le ali ormai bruciate, si era ricordato di quell’offerta di lavoro che già la prima volta lo aveva fatto esitare. Poi, l’improvvisa morte della seconda moglie, che non aveva trascorso con lui nemmeno un anno, sistemò tutto definitivamente. Per dirla in tutta sincerità, tutto fu accomodato grazie all’energico intervento e alla preziosa classica amicizia (se così ci si può esprimere a proposito dell’amicizia), di Varvara Petrovna. Stepan Trofimovič si gettò letteralmente fra le braccia di questa amicizia e tutta la faccenda fu sistemata per oltre vent’anni. Ho usato l’espressione si buttò fra le braccia, ma non vorrei essere frainteso, Dio guardi dal pensare a qualcosa di frivolo e fuori luogo: queste braccia vanno intese solo nel più alto senso morale. Quei due esseri così notevoli furono uniti da un legame sottile e delicato.

    Il posto di educatore fu accettato anche perché la piccola, piccolissima proprietà avuta in eredità dalla prima moglie di Stepan Trofimovič, si trovava casualmente proprio accanto a Skvorešniki, la magnifica tenuta degli Stavrògin nella nostra provincia. Inoltre, gli era sempre possibile, nella quiete del suo studio, lontano dalla grande quantità di impegni universitari, dedicarsi senza distrazioni alla scienza e arricchire la letteratura patria di studi profondissimi. Di studi, per la verità, non ne venne pubblicato mai nemmeno uno; ma in compenso gli fu possibile rimanere per tutto il resto della vita, per più di vent’anni, come un rimprovero vivente davanti alla patria, secondo l’espressione del poeta popolare:

    Un rimprovero vivente

    Per la patria fosti

    O liberale idealista!

    Ma il personaggio al quale questi versi erano dedicati, probabilmente aveva il diritto di starsene tutta la vita a quel modo, se proprio ne aveva voglia, per quanto la cosa potrebbe risultare alquanto noiosa. Ma, per la verità, il nostro Stepan Trofimovič, era solo un imitatore al confronto con simili personaggi e si stancava di starsene sempre lì in posizione eretta, tanto che, spesso e volentieri, si sdraiava su un fianco. Ma bisogna essere giusti: anche in quella posizione orizzontale conservava quel suo ruolo di rimprovero vivente, tanto più che per la nostra provincia era più che sufficiente. Avreste dovuto vederlo quando veniva a giocare a carte da noi al circolo! Tutto il suo aspetto sembrava dire: Ma guardate come sono ridotto! Me ne sto seduto qui a giocare a carte con voi! Di chi è la colpa se sono ridotto così!? Ah, perisca la Russia! E con aria di grande sufficienza buttava giù un carico di cuori.

    Ma, per la verità, amava moltissimo misurarsi nel gioco delle carte, tanto che, negli ultimi tempi, aveva degli spiacevoli scontri con Varvara Petrovna, tanto più che perdeva continuamente. Ma di questo parleremo più avanti. Aggiungerò solo che in certe circostanze diventava persino scrupoloso (solo qualche volta, voglio dire), cosa che a volte lo faceva diventare triste. Durante tutta la ventennale amicizia con Varvara Petrovna, per almeno tre o quattro volte all’anno cadeva in quella che fra noi viene definita tristezza civile, o, se volete, in uno stato di semplice ipocondria, ma quell’espressione piaceva alla rispettabile Varvara Petrovna. In seguito, oltre che nella tristezza civile, cominciò a cadere anche nello champagne, ma per tutta la vita l’attenta Varvara Petrovna riuscì a tenerlo lontano da qualsiasi brutta inclinazione. D’altra parte, egli aveva proprio bisogno che qualcuno si prendesse cura di lui, dato che a volte diventava davvero strano: quando era, magari, nel pieno di uno stato di profonda tristezza, all’improvviso cominciava a ridere nel modo più plebeo. A volte gli capitava persino di parlare in termini umoristici di sé stesso. Ma Varvara Petrovna non temeva nulla più del senso dell’umorismo. Era una donna classica, una donna mecenate che agiva solo tenendo bene in vista considerazioni superiori. Fu decisiva l’influenza che nell’arco di vent’anni ebbe sul suo povero amico. Di lei bisognerebbe parlarne a parte, cosa che farò subito.

    III

    Ci sono delle amicizie strane: a volte due amici sembra che vogliano divorarsi l’uno con l’altro e vivono così tutta la vita, ma non riescono a fare a meno l’uno dell’altro. Anzi, non riescono assolutamente ad allontanarsi; l’amico che si irrigidisse troppo fino a troncare l’amicizia sarebbe il primo ad ammalarsi e magari a morirne. Io so per certo che Stepan Trofimovič, varie volte, e perfino dopo un intimo colloquio a quattr’occhi tra i due, dopo che Varvara Petrovna se ne era andata, balzava su dal divano e cominciava a tempestare di pugni i muri della stanza. E non faceva per finta, tanto che una volta fece persino cadere l’intonaco dal muro. Qualcuno si domanderà come io sia venuto a conoscenza di un particolare così intimo. Ebbene, e se io stesso fossi stato un testimone oculare? E se lo stesso Stepan Trofimovič avesse in diverse occasioni singhiozzato sulla mia spalla, raccontandomi a chiare tinte tutti i retroscena? E cosa non raccontava in quelle occasioni! Ma quasi sempre, il giorno dopo quegli scoppi di pianto, lui era già pronto a spargersi il capo di cenere per farsi perdonare la propria ingratitudine e correva a casa di lei oppure si precipitava da me, solo per annunciarmi che Varvara Petrovna era un autentico angelo di onore e delicatezza, e che lui era esattamente l’opposto. Non solo correva da me, ma in varie occasioni aveva scritto alla stessa Varvara Petrovna delle lettere in cui le raccontava tutto, confessandole, per esempio, di aver, non più tardi del giorno prima, raccontato ad un estraneo che lei manteneva la sua amicizia con lui solo per vanità, che invidiava la sua cultura e il suo talento, che lo odiava e che aveva paura di palesare questo suo odio per timore che lui si allontanasse da lei rovinandole così la sua reputazione letteraria e che tutto questo lo portava a disprezzare sé stesso e aveva quindi deciso di morire di morte violenta, e aspettava da lei l’ultima parola, eccetera eccetera, sempre su questo tono. Dopo di che, è facile immaginare a quale livello di isterismo potessero arrivare certe crisi di nervi di Stepan Trofimovič, il più infantile dei cinquantenni! Mi capitò una volta di leggere una di queste sue lettere, scritta dopo non so quale litigio fra loro per un futile motivo, ma risoltasi in una lite piena di veleno. Mi spaventai e lo supplicai di non spedire quella lettera.

    - Non è possibile!... È più onesto… è mio dovere… morirò se non riuscirò a confessarle tutto, tutto! - rispose quasi in uno stato di delirio, e spedì ugualmente la lettera.

    Proprio in questo consisteva la differenza tra loro: Varvara Petrovna, infatti, non avrebbe mai mandato una lettera simile. È vero che lui amava follemente scrivere, le scriveva pur abitando nella stessa casa e quando cadeva nei suoi attacchi di nervi arrivava a scriverle anche due volte al giorno. So con certezza che lei leggeva quelle lettere sempre con la massima attenzione, anche quando ne riceveva due al giorno e, dopo averle lette, le annotava e le classificava riponendole poi in un certo cassetto oltre che nel proprio cuore. Poi, dopo aver fatto attendere per tutto il giorno una risposta al suo amico, lo incontrava come se niente fosse, come se il giorno prima non fosse accaduto nulla di speciale. A poco a poco l’aveva addestrato a tal punto che neanche lui osava più ricordare quanto era accaduto il giorno prima e si limitava a cercare lo sguardo di lei. Ma Varvara Petrovna, per la verità, non dimenticava proprio nulla, mentre lui, al contrario, dimenticava anche troppo rapidamente e, incoraggiato dall’atteggiamento calmo e tranquillo di lei, nello stesso giorno gli capitava di scoppiare a ridere e aveva un comportamento spigliato bevendo champagne con gli amici. Chissà con quanto veleno negli occhi doveva averlo guardato in quei momenti Varvara Petrovna, ma lui non si accorgeva di nulla! Poi, magari una settimana o un mese o sei mesi dopo, ricordandosi improvvisamente di una frase di quelle lettere o della lettera intera in tutti i particolari, avvampava per la vergogna e si tormentava a tal punto da cadere in uno dei suoi attacchi di enterite. Erano una sorta di attacchi di gastroenterite simili alla colerina e, a volte, erano il risultato delle sue scosse nervose e rappresentavano una curiosa particolarità della sua costituzione fisica.

    In realtà, molto spesso Varvara Petrovna doveva odiarlo sicuramente, ma di una cosa sola lui non si accorse mai: che per lei, in un certo senso, era diventato come un figlio, una sua creatura, addirittura una sua invenzione, di essere diventato carne della sua carne e che lei non si prendeva cura di lui solo per invidia del suo talento. E come doveva sentirsi offesa Varvara Petrovna per simili supposizioni! Nel suo cuore, fra l’odio, la gelosia e il disprezzo, doveva celarsi un incontenibile amore per lui. Lo aveva tenuto lontano da ogni granello di polvere, lo aveva cullato per ventidue anni e non avrebbe dormito per intere notti per l’inquietudine e la preoccupazione, se solo fosse stata in gioco la sua reputazione di poeta, di scienziato, di cittadino. Lo aveva inventato lei e lei per prima credeva nella sua invenzione; Stepan Trofimovič era come il frutto della sua fantasia… Ma, in cambio, lei esigeva effettivamente molto, moltissimo da lui, fino a renderlo schiavo, a volte. E serbava rancore fino all’inverosimile. A questo proposito racconterò due storielle.

    IV

    Una volta, quando ancora correvano le prime voci sulla abolizione della schiavitù, quando tutta la Russia esultava e si preparava a rinascere, fece visita a Varvara Petrovna, un barone di Pietroburgo di passaggio, un uomo introdotto negli ambienti che contano e con relazioni molto importanti. Lei apprezzava molto questo tipo di visite, perché le sue relazioni con l’alta società si erano molto affievolite dopo la morte del marito, fino a cessare del tutto. Il barone si trattenne un’ora a casa sua e prese il tè. Non c’era nessun altro, ma Varvara Petrovna aveva invitato Stepan Trofimovič e lo aveva messo bene in mostra. Il barone aveva già sentito qualcosa su di lui, o fece finta, ma, prendendo il tè, non si rivolse quasi mai a lui. Naturalmente, Stepan Trofimovič non era il tipo da fare brutta figura e si comportava sempre in modo molto elegante. Sebbene, a quanto pare, non fosse di origini molto elevate, era stato comunque educato fin dall’infanzia in una famiglia nobile di Mosca e quindi aveva modi eccellenti, e, inoltre, parlava molto bene il francese. In modo che il barone, fin dal primo sguardo, avrebbe dovuto capire bene di quali persone si circondasse Varvara Petrovna, pur nell’isolamento della provincia. Ma le cose andarono diversamente. Quando il barone confermò positivamente l’attendibilità delle voci che si erano diffuse a proposito di quella grande riforma, Stepan Trofimovič non poté trattenersi e improvvisamente gridò: Urrà! accompagnando addirittura questo grido con un ampio ed entusiastico gesto delle braccia. Per la verità, non aveva gridato a voce troppo alta e, nell’insieme, questa sua manifestazione di entusiasmo era stata abbastanza elegante, probabilmente era tutto premeditato e doveva averlo preparato davanti allo specchio per mezz’ora prima del tè, ma qualcosa non gli dovette riuscire troppo bene, perché il barone accennò un sorriso, malgrado poi si affrettasse con fare gentile ad infilare lì una frasetta sulla universale e più che giustificata esultanza di tutti i cuori russi per quel grande avvenimento. Dopo di che se ne andò con una certa fretta, non dimenticando di tendere due dita anche a Stepan Trofimovič. Tornata in salotto, Varvara Petrovna rimase silenziosa per qualche minuto, come se cercasse qualcosa sulla tavola, ma poi, d’un tratto si voltò verso Stepan Trofimovič e, pallida in volto, gli sibilò tra i denti:

    - Questo non ve lo perdonerò mai!

    Il giorno dopo incontrò il suo amico come se niente fosse, non una parola su quanto era accaduto. Ma tredici anni più tardi, in un momento tragico, le tornò in mente e glielo rinfacciò, impallidendo come tredici anni prima. Solo due volte in tutta la vita gli disse Non ve lo perdonerò mai! Quella volta con il barone era stata la seconda. Ma anche la prima occasione era stata abbastanza singolare ed ebbe, a quanto pare, un peso così determinante nel destino di Stepan Trofimovič, che mi decido a raccontare anche questa.

    Era il ’55, in primavera, a maggio, precisamente dopo che a Skvorešniki era arrivata la notizia della morte del tenente generale Stavrogin, un vecchio libertino, morto per una malattia dello stomaco mentre era in viaggio verso la Crimea, dove correva a prendere servizio nell’esercito. Varvara Petrovna era rimasta vedova ed era vestita a lutto. Per la verità, non doveva essere poi così addolorata, visto che negli ultimi quattro anni, per incompatibilità di carattere, era vissuta separata dal marito il quale le passava una rendita (il tenente generale possedeva in tutto centocinquanta anime e il suo stipendio, oltre al casato e alle relazioni; tutto il patrimonio e la tenuta di Skvorešniki appartenevano a Varvara Petrovna, figlia unica di un ricchissimo appaltatore). Tuttavia, ella rimase molto turbata da quella notizia, tanto che si ritirò in solitudine. Naturalmente, Stepan Trofimovič le stava sempre accanto, non la lasciava un attimo.

    Maggio era in fiore, le serate erano meravigliose, il ciliegio selvatico aveva cominciato a fiorire. I due amici si incontravano ogni sera in giardino e si trattenevano fino a notte sotto una pergola, scambiandosi pensieri e sentimenti. A volte vivevano dei momenti poetici. Varvara Petrovna, forse anche in seguito a quanto le era accaduto, parlava più del solito. Sembrava attaccarsi al cuore dell’amico, e andò avanti così per alcune sere. Stepan Trofimovič fu sfiorato da un pensiero, e cioè che quella vedova inconsolabile facesse dei calcoli su di lui e che, una volta passato l’anno di lutto, si aspettasse una proposta da lui. Era un pensiero cinico, ma è proprio l’elevata struttura della natura umana a favorire talvolta il nascere di pensieri cinici, non fosse altro che per la varietà degli sviluppi possibili. Cominciò ad approfondire questo suo pensiero e pensò che la cosa non fosse poi così inverosimile: Il patrimonio è immenso, è vero, ma… Effettivamente Varvara Petrovna non era esattamente quello che comunemente si definisce una bellezza: era alta, un po’ giallognola, ossuta, con un viso esageratamente lungo che aveva qualcosa di vagamente equino. Stepan Trofimovič era sempre più esitante e tormentato dai dubbi, un paio di volte era perfino scoppiato in lacrime per l’indecisione (anche se, per la verità, piangeva abbastanza spesso). Di sera, sotto la pergola, involontariamente il suo viso assunse un’espressione tra il beffardo e il civettuolo e allo stesso tempo altezzosa. Sono cose che capitano quasi involontariamente, anzi, quanto più l’uomo è di nobili sentimenti, tanto più il fenomeno risulta evidente. Dio solo sa come stessero effettivamente le cose, ma è più che probabile che nel cuore di Varvara Petrovna non ci fosse nulla che potesse giustificare il sospetto di Stepan Trofimovič. E inoltre, non avrebbe sicuramente cambiato il proprio nome di Stavrogina con quello di lui, anche se tanto glorioso. Forse da parte di lei si trattava solo di un inconscio gioco femminile, assolutamente naturale in una donna in determinate circostanze. Del resto, non posso dire nulla con certezza: la profondità del cuore di una donna resta ancora oggi qualcosa di assolutamente imperscrutabile. Ma andiamo avanti.

    È plausibile immaginare che ben presto Varvara Petrovna avesse indovinato il senso di quella strana espressione sul viso dell’amico; lei era una donna molto attenta e perspicace, al contrario di lui, che era spesso molto ingenuo. Ma le serate trascorrevano come prima e le chiacchierate erano altrettanto piacevoli e interessanti. Ed ecco che una volta, al sopraggiungere della notte, dopo una conversazione particolarmente vivace e poetica, si salutarono amichevolmente, stringendosi con calore le mani vicino alla scaletta del padiglione dove alloggiava Stepan Trofimovič. Ogni estate, infatti, lui si trasferiva nella grande casa signorile di Skvorešniki, in quel piccolo padiglione che sorgeva quasi al centro del giardino. Era appena entrato in camera sua con aria pensierosa, aveva preso un sigaro senza avere il tempo di accenderlo, si era fermato, stanco, davanti alla finestra aperta a contemplare le nuvole bianche che scorrevano leggere accanto alla luna, quando, a un tratto, un lieve fruscio lo fece trasalire e voltare. Davanti a lui stava di nuovo Varvara Petrovna, che lui aveva lasciato solo pochi minuti prima. Il suo viso giallo era come illividito, aveva le labbra serrate che fremevano agli angoli. Lei lo guardò in silenzio per almeno una decina di secondi, con occhi duri e implacabili, e a un tratto gli sibilò impetuosamente:

    - Questa non ve la perdonerò mai!

    Quando Stepan Trofimovič, dieci anni dopo, mi raccontò questo fatto, lo fece sottovoce, dopo aver chiuso la porta, e mi giurava di essere rimasto a tal punto allibito, che non aveva né sentito né visto come Varvara Petrovna fosse uscita. Siccome, in seguito lei non accennò mai all’accaduto, e tutto continuò come se nulla fosse, per tutta la vita egli pensò che si fosse trattato solo di un’allucinazione, di un sintomo premonitore di qualche malattia; tanto più che proprio quella sera lui si ammalò seriamente, tanto che per due intere settimane dovette sospendere gli appuntamenti alla pergola.

    Ma, nonostante la speranza che si trattasse solo di un’allucinazione, per tutta la vita lui rimase in attesa di uno sviluppo di quell’avvenimento, non poteva credere che la questione fosse terminata così. E se così non era, doveva lanciare degli sguardi davvero strani alla sua amica!

    V

    Era stata la stessa Varvara Petrovna a ideare il tipo di abbigliamento che lui portò per tutta la vita. Erano abiti eleganti e caratteristici: un soprabito nero a lunghe falde, abbottonato fin quasi in cima, ma che gli stava a pennello; un cappello floscio a tesa larga (d’estate di paglia), una cravatta bianca di batista con un gran nodo e le estremità penzolanti, una canna col pomo d’argento e i capelli lunghi fino alle spalle. I suoi capelli erano castani e solo negli ultimi tempi cominciarono a incanutire. Si radeva baffi e barba. Si dice che da giovane fosse molto bello. Ma, secondo me, anche da vecchio era molto imponente. E poi, possiamo parlare di vecchiaia a cinquantatré anni? Eppure, per una sorta di civetteria civica, non solo non si ringiovaniva, ma sembrava vantarsi della sua età matura e con il suo abbigliamento, con la sua figura alta, magra e con i capelli fino alle spalle dava l’idea di un patriarca o, meglio ancora, del ritratto del poeta Kukolnik, litografato in non so quale edizione intorno agli anni ’30 o ’40, specialmente quando d’estate sedeva su una panchina in giardino, sotto un arbusto di lillà fiorito, con le mani appoggiate al bastone, un libro aperto accanto, immerso in poetiche meditazioni sul tramonto del sole. A proposito di libri, noterò che verso la fine cominciò stranamente ad allontanarsi dalla lettura. Ma questo solo verso la fine. Leggeva regolarmente giornali e riviste che Varvara Petrovna gli faceva avere in quantità. Si interessava continuamente anche alle novità della letteratura russa, senza per questo perdere nulla della propria dignità. Un tempo si era interessato allo studio della nostra alta politica a proposito di affari interni ed esteri, ma aveva presto abbandonato questa impresa, facendo un gesto di rinuncia. Capitava anche che portasse con sé in giardino Tocqueville, mentre teneva nascosto in tasca Paul de Kock. Ma queste sono davvero delle inezie.

    Osserverò tra parentesi qualcosa a proposito del ritratto di Kukolnik: questo quadretto era capitato per la prima volta in mano a Varvara Petrovna quando, ancora bambina, si trovava in un collegio a Mosca. Si era subito innamorata del ritratto, seguendo la consuetudine di tutte le fanciulle dei collegi che si innamorano di tutto quello che capita loro a tiro, oltre che dei loro insegnanti, si capisce, soprattutto quelli di calligrafia e disegno. Ma il fatto curioso qui non è tanto il comportamento di una fanciulla, quanto il fatto che a cinquant’anni Varvara Petrovna conservasse ancora quel ritratto fra le sue cose più intime e preziose, al punto che forse solo per questo aveva ideato per Stepan Trofimovič un abbigliamento molto simile a quello del quadretto. Ma, naturalmente, anche queste non sono altro che inezie.

    Nei primi anni, o, più precisamente, nella prima metà della sua permanenza presso Varvara Petrovna, Stepan Trofimovič aveva ancora in animo di scrivere una certa opera e ogni giorno si accingeva molto seriamente a cominciare l’impresa. Ma nella seconda metà doveva aver dimenticato completamente questo suo progetto. Sempre più spesso ci diceva: Mi pare di essere pronto, ormai ho raccolto tutto il materiale necessario, ma non riesco a lavorare! Non riesco a scrivere nulla! e abbassava la testa, profondamente afflitto. Sicuramente, proprio questo gli conferiva ai nostri occhi una grandezza ancora maggiore, come se fosse un martire della scienza, ma lui voleva qualcos’altro. Più di una volta gli sfuggì detto: Mi hanno dimenticato, nessuno ha bisogno di me! Questa sorta di profonda malinconia si era impossessata di lui intorno al 1860. E Varvara Petrovna, alla fine, si rese conto che la questione era seria. Non poteva accettare l’idea che il suo amico fosse ormai dimenticato e inutile. Per distrarlo e anche per rinfrescare la sua gloria, lo aveva portato a Mosca, dove aveva alcune eleganti conoscenze nell’ambiente letterario e scientifico, ma anche in seguito alla permanenza a Mosca le cose sostanzialmente non cambiarono affatto, anche Mosca si era rivelata insoddisfacente. Era un periodo molto particolare, era nato un fermento nuovo, non c’era più il silenzio di prima, c’era un’atmosfera molto strana ma che poteva essere avvertita dovunque, persino a Skvorešniki. Giungevano diverse voci. Grosso modo i fatti erano noti a tutti, ma era ormai chiaro che, insieme ai fatti, si erano sviluppate anche certe idee che circolavano in grande quantità. Era proprio questo che provocava un turbamento: non era proprio possibile documentarsi e sapere con esattezza cosa significassero quelle idee. Varvara Petrovna, seguendo il suo istinto femminile, sospettava qualche segreto. E così cominciò a leggere giornali e riviste, comprese molte pubblicazioni proibite e stampate all’estero e perfino i primi volantini che cominciavano a diffondersi proprio in quel periodo (lei, infatti, riusciva a procurarsi tutto); ma il risultato fu solo un gran mal di testa. Si mise a scrivere lettere, ma le risposte a queste lettere erano poche e sempre più vaghe e incomprensibili. Stepan Trofimovič fu invitato in modo molto solenne a spiegarle tutte quelle idee una volta per tutte, ma lei rimase decisamente insoddisfatta delle spiegazioni del suo amico. Il punto di vista di Stepan Trofimovič sul movimento in generale era estremamente altezzoso e sprezzante, per lui tutto si riduceva al fatto che lui era stato dimenticato e che si sentiva inutile. Ma finalmente si ricordarono anche di lui, dapprima su certe pubblicazioni estere, dove veniva descritto come un martire in esilio, e subito dopo a Pietroburgo, dove veniva dipinto come una stella che aveva fatto parte di una certa costellazione; chissà perché, lo paragonavano perfino a Ra discev. Dopo di che qualcuno pubblicò addirittura la notizia che egli era morto e ne prometteva il necrologio. Stepan Trofimovič risuscitò in un battibaleno e cominciò subito a darsi un sacco di arie. Tutta l’altezzosità e il disprezzo che aveva dimostrato per i suoi contemporanei svanirono di colpo e in lui si formò un sogno, e cioè di aderire al movimento e mostrare tutto il suo valore. Varvara Petrovna tornò subito ad avere in lui una cieca fiducia e a darsi un gran da fare. Fu deciso di andare subito a Pietroburgo, di prendere informazioni precise su tutto quanto stava accadendo e, se possibile, dedicarsi alla nuova attività con tutte le forze. Dichiarò, fra l’altro, di essere disposta a fondare lei stessa una nuova rivista e dedicare all’impresa tutta la sua vita. Visto a che punto si era arrivati, Stepan Trofimovič si fece ancora più presuntuoso e durante il viaggio cominciò ad avere nei confronti di Varvara Petrovna un atteggiamento quasi protettivo, cosa che Varvara ripose subito nel suo cuore. D’altra parte, lei aveva anche un altro motivo molto importante per fare quel viaggio, vale a dire rinnovare le sue alte relazioni. Bisognava fare tutto il possibile perché il mondo si ricordasse di lei, o, almeno, tentare. Comunque, il pretesto ufficiale di quel viaggio era un incontro con il suo unico figlio che proprio in quei giorni terminava il corso di studi al liceo di Pietroburgo.

    VI

    Partirono e passarono a Pietroburgo quasi tutta la stagione invernale. Ma, nel periodo della quaresima, tutto scoppiò come una bolla di sapone. I sogni svanirono e lo scompiglio non solo non si chiarì, ma diventò ancora più disgustoso. Per prima cosa, non fu possibile riavviare le alte relazioni, se non in misura microscopica e a prezzo di sforzi umilianti. Varvara Petrovna, fortemente offesa, si era gettata a capofitto nelle nuove idee e aveva deciso di organizzare due serate a casa sua. Invitò dei letterati e gliene portarono subito in gran numero. Poi cominciarono ad arrivare da soli anche senza invito: ognuno portava qualche amico. Non aveva mai visto dei simili letterati. Traboccavano vanagloria da tutta la loro persona e in modo del tutto esplicito, come se stessero compiendo un loro preciso dovere. Alcuni, anche se non tutti, si presentavano addirittura ubriachi, come se in questo trovassero un fascino particolare di cui vantarsi. Tutti si vantavano di qualche cosa. Su tutti i visi stava scritto che avevano appena scoperto un segreto straordinariamente importante. Continuavano a litigare fra loro, ritenendolo una cosa di cui vantarsi. Era difficile sapere precisamente cosa avessero scritto, ma c’erano comunque dei critici, dei romanzieri, dei drammaturghi, dei satirici, dei panflettisti. Stepan Trofimovič riuscì ad entrare perfino nel loro ambiente più riservato, dove si dirigeva il movimento. Arrivare fino ai dirigenti era un’impresa ardua, ma quelli lo accolsero cordialmente, benché, naturalmente, nessuno di loro sapesse o avesse mai sentito parlare di lui, se non che era un rappresentante dell’idea. Si dette da fare così tanto nel loro ambiente, che riuscì perfino a farli venire un paio di volte nel salotto di Varvara Petrovna, malgrado la loro olimpica maestà. Avevano tutti un’aria molto seria e cortesissima; si comportavano bene; tutti sembravano temerli, ma era anche evidente che avevano una gran fretta di andarsene. Si fecero vedere anche due o tre celebrità letterarie di una volta, che passavano per caso proprio in quei giorni a Pietroburgo e con le quali Varvara Petrovna già da tempo intratteneva relazioni molto cordiali. Ma, con sua grande meraviglia, quelle che un tempo erano state delle autentiche e indiscutibili glorie erano più tranquille dell’acqua di uno stagno, più umili dell’erba, e alcune di esse andavano mendicando vergognosamente dei favori. Da principio a Stepan Trofimovič andò bene; si attaccarono a lui e cominciarono a metterlo in mostra nelle pubbliche riunioni letterarie. Quando salì per la prima volta su un palco, durante una di quelle letture pubbliche, fra gli oratori scoppiarono dei battimani fragorosi che andarono avanti per almeno cinque minuti. Nove anni dopo ricordava ancora quell’episodio con le lacrime agli occhi, anche se, per la verità, questo accadeva più per il carattere artistico della sua natura che per gratitudine. Io sono pronto a scommettere… anzi, vi giuro… mi diceva poi (ma solo a me in gran segreto) che fra tutto quel pubblico nessuno sapeva nulla di me!. Confessione non di poco conto; era dunque molto intelligente se in quell’occasione sul palco era stato in grado di capire tutta la situazione, nonostante quel momento fosse per lui a dir poco inebriante; ma, nello stesso tempo non doveva essere troppo intelligente se perfino nove anni dopo non riusciva a ricordare quell’episodio senza sentirsi offeso. Gli fecero firmare due o tre proteste collettive (contro che cosa non lo sapeva nemmeno lui), e lui firmò. Convinsero anche Varvara Petrovna ad apporre la sua firma sotto un certo comportamento scandaloso, e anche lei firmò senza battere ciglio. D’altronde, la maggior parte di quegli uomini nuovi, frequentavano, sì, Varvara Petrovna, ma si sentivano anche in diritto di guardarla con disprezzo e con una malcelata ironia. Nei suoi momenti di tristezza, Stepan Trofimovič mi confessava poi che appunto a quell’epoca lei aveva cominciato ad invidiarlo. Certamente, lei si rendeva conto di non poter frequentare quella gente, tuttavia, la riceveva con avidità, con tutta la sua impazienza isterica di donna e, soprattutto, era sempre in attesa di qualcosa. Durante quelle serate non parlava molto, anche se avrebbe potuto, per lo più preferiva ascoltare. Gli argomenti di conversazione erano, per esempio, la soppressione della censura, l’abolizione di una lettera dell’alfabeto antiquata, la sostituzione dell’alfabeto russo con quello latino, la deportazione di un tale avvenuta il giorno prima, un certo scandalo accaduto al Passage, l’opportunità dello smembramento della Russia secondo le nazionalità seguendo lo schema di un libero legame federativo, la soppressione dell’esercito e della flotta navale, la restaurazione della Polonia fino al Dnepr, la riforma contadina e i proclami, l’abolizione del diritto ereditario, della famiglia, dei figli e dei preti, i diritti delle donne, la casa di Kraevskij che nessuno avrebbe mai potuto perdonare, eccetera eccetera. Era evidente che in quella accozzaglia di uomini nuovi c’erano anche molti scrocconi, ma era anche evidente che molti di loro erano onesti ed anche molto simpatici, malgrado certi loro aspetti davvero sorprendenti. Gli onesti erano molto più difficili da capire dei disonesti e degli ignoranti, ma non si sapeva bene chi dominasse sugli altri. Quando Varvara Petrovna comunicò il suo progetto di pubblicare una rivista, in casa sua arrivò ancora più gente, ma le rinfacciarono subito di essere una capitalista e una sfruttatrice del lavoro degli altri. Queste accuse erano tanto disinvolte quanto improvvise. Il decrepito generale Ivan Ivanovič Drozdov, vecchio amico e compagno d’armi del defunto generale Stavrogin, uomo a suo modo degnissimo e che noi tutti qui conosciamo, testardo e irascibile fino all’estremo, gran mangiatore e che aveva anche una gran paura dell’ateismo, in una di quelle serate a casa di Varvara Petrovna aveva cominciato a discutere con un giovane molto celebre. Questi gli disse subito: Se parlate così siete sicuramente un generale!, nel senso che non poteva trovare un insulto peggiore di generale. Ivan Ivanovič si inquietò terribilmente: Certo, caro signore, io sono un generale, io ho servito il mio sovrano, mentre tu, caro signore, non sei altro che un moccioso senza Dio! Si scatenò uno scandalo terribile. La faccenda finì anche sulla stampa e si cominciò a raccogliere le firme per una protesta collettiva contro il comportamento indecente di Varvara che non aveva cacciato subito il generale. In una rivista illustrata comparve addirittura una vignetta che raffigurava Varvara Petrovna, Stepan Trofimovič e il generale come tre amici retrogradi; la vignetta era accompagnata da alcuni versi scritti per l’occasione da un poeta popolare. Da parte mia, vorrei far notare che, in effetti, molti graduati dell’esercito hanno il vezzo un po’ ridicolo di dire: Io ho servito il mio sovrano, come se non avessero lo stesso sovrano che abbiamo tutti, ma ne avessero uno particolare, tutto per loro.

    Naturalmente, non era possibile rimanere ancora a Pietroburgo, tanto più che Stepan Trofimovič aveva subìto un fiasco definitivo. Non era riuscito a trattenersi e aveva proclamato pubblicamente i diritti dell’arte, attirando su di sé una valanga di sghignazzi. Nella sua ultima conferenza gli venne in mente di mettere in atto un’efficace forma di eloquenza civile, immaginando in questo modo di raggiungere il cuore degli ascoltatori e confidando sul rispetto per il suo esilio. Si dichiarò completamente d’accordo sull’inutilità e la comicità della parola patria, fu d’accordo anche sulla pericolosità della religione, ma dichiarò con fermezza, a voce alta, che Puškin era più importante di un paio di stivali, e anche di molto. Al che, fu fischiato senza pietà, tanto che scoppiò in lacrime di fronte a tutti, proprio lì, sul palco. Varvara Petrovna lo riportò a casa che era più morto che vivo. " On m’ha traité comme un vieux bonnet de coton! balbettava lui stordito. Lei lo vegliò per tutta la notte, gli diede delle gocce di lauro ceraso e gli ripeté fino all’alba: Voi siete ancora utile, comparirete ancora in pubblico, vi apprezzeranno ancora… in un altro posto!"

    Il giorno dopo, di mattina presto, si presentarono da Varvara Petrovna cinque letterati, dei quali tre assolutamente sconosciuti e che lei non aveva mai visto. Con un’aria molto severa le comunicarono di aver esaminato tutta la faccenda della sua rivista ed erano venuti per esporre le loro opinioni sull’argomento. Per la verità, Varvara Petrovna non aveva mai dato a nessuno l’incarico di esaminare il progetto della rivista. La risoluzione che avevano preso era questa: una volta fondata la rivista, lei doveva cederla subito a loro, insieme ai capitali, a titolo di libera associazione, poi se ne doveva tornare a Skvorešniki insieme al suo amico Stepan Trofimovič che era invecchiato, come dicevano loro. Per delicatezza acconsentivano a riconoscerle i diritti di proprietà e a mandarle ogni anno un sesto dell’utile netto. La cosa più commovente era che almeno quattro di quelle cinque persone non si erano presentate da lei con nessun interesse di lucro e si davano da fare solo in nome della causa comune.

    - Ce ne andammo come tramortiti. - raccontava Stepan Trofimovič - Io non riuscivo neanche a rendermi conto di cosa fosse accaduto e ricordo che balbettavo continuamente, seguendo il ritmo del treno:

    Vek e Vek e Lev Kambèk,

    Lev Kambèk e Vek e Vek…

    E chissà cos’altro, fino a Mosca. Solo una volta arrivati a Mosca mi ripresi, come se là avessi potuto trovare qualcosa di diverso! - a volte esclamava - Oh, amici miei! Voi non potete immaginare che angoscia e che rabbia possa invadere la nostra anima quando degli ignoranti si impadroniscono di una vostra grande idea che voi avete fatto nascere e poi avete venerato come una cosa santa, quando viene rubata da dei cialtroni che poi la trascinano per la strada verso gente stupida come loro, e poi voi ritrovate improvvisamente quella vostra vecchia idea al mercatino degli stracci, irriconoscibile, sporca di fango, esposta male, senza proporzioni, senza armonia, ridotta come un giocattolo destinato a degli stupidi bambini! No! Ai nostri tempi non era così, non erano queste le nostre aspirazioni! Io non riconosco più nulla. Ma vedrete che il nostro tempo ritornerà e di nuovo tutto ciò che oggi vacilla sarà avviato su una nuova strada! Altrimenti, cosa mai accadrà?

    VII

    Appena ritornati da Pietroburgo, Varvara Petrovna mandò il suo amico all’estero perché si riposasse, anche perché da un po’ di tempo lei sentiva che sarebbe stato bene separarsi per qualche tempo. Stepan Trofimovič partì con entusiasmo esclamando - Laggiù potrò rinascere! Finalmente mi dedicherò alla scienza! - ma fin dalle sue prime lettere da Berlino aveva ripreso a lagnarsi come al solito: Il mio cuore è spezzato, non riesco a dimenticare. Qui a Berlino tutto mi ricorda il mio passato, le mie prime gioie e i miei primi tormenti. E lei dov’è? Dove sono adesso tutte e due? Dove siete voi due angeli, dei quali non sono stato mai degno? Dov’è mio figlio, il mio amato figlio? E io, dove sono? Dov’è il mio io di un tempo, forte come l’acciaio e indistruttibile come una roccia, mentre adesso un qualunque Andreieff", un qualunque pagliaccio ortodosso con barba peut briser mon existence en deux, (può spezzare in due la mia esistenza) e via di questo passo. Per quanto riguarda suo figlio, Stepan Trofimovič l’aveva visto sì e no un paio di volte in tutta la vita, la prima volta quando era nato, e la seconda era stata di recente a Pietroburgo, dove il ragazzo si preparava a entrare all’università. Come abbiamo già detto, il ragazzo era stato educato (a spese di Varvara Petrovna) dalle zie nella provincia di O… a settecento miglia da Skvorešniki. Quanto poi ad Andreieff, cioè Andreev, si trattava semplicemente di un bottegaio delle nostre parti, un tipo originale, un archeologo autodidatta, collezionista di antichità russe, il quale a volte faceva a gara con Stepan Trofimovič su argomenti eruditi e, soprattutto, su questioni politiche. Questo stimato mercante che aveva una gran barba e un paio di occhiali d’argento, non aveva ancora finito di restituire a Stepan Trofimovič i quattrocento rubli che gli aveva chiesto in prestito per comprare qualche ettaro di bosco da taglio nella sua piccola proprietà vicino a Skvorešniki. Benché Varvara Petrovna fosse stata molto generosa con il suo amico, al momento di partire per Berlino Stepan Trofimovič contava di riavere i suoi quattrocento rubli, probabilmente per qualche spesa segreta, e per poco non scoppiò in lacrime quando Andreieff lo pregò di aspettare ancora un mese, in un certo senso avendo diritto a una dilazione, dato che aveva pagato le prime rate con sei mesi di anticipo, viste le particolari ristrettezze in cui versava Stepan Trofimovič in quel periodo. Letta con avidità questa prima lettera, Varvara Petrovna sottolineò a matita l’esclamazione: Dove siete voi, due angeli?, vi segnò la data e la chiuse in una cassettina. Era chiaro che alludeva alle sue due defunte mogli. Nella seconda lettera arrivata da Berlino il tono era leggermente diverso: Lavoro dodici ore al giorno - fossero almeno solo undici, borbottò Varvara Petrovna - "rovisto nelle biblioteche, riassumo, prendo appunti, corro; sono stato da vari professori. Ho riannodato la mia frequentazione con l’eccellente famiglia Dundasov. Com’è deliziosa ancora oggi Nadežda Nikolaevna! Vi saluta. Il suo giovane marito e i suoi tre nipoti sono a Berlino. La sera conversiamo con i ragazzi fino all’alba; sono delle serate quasi ateniesi, ma solo per quanto riguarda finezza ed eleganza; è tutto molto nobile e raffinato! Molta musica, arie spagnole, sogni di rinnovamento universale, l’idea della bellezza eterna, la Madonna della Sistina, una luce interrotta solo da qualche angolo di tenebra; ma anche il sole ha le sue macchie! Oh, mia nobile e fedele amica! Il mio cuore è sempre con voi, sempre e solo con voi, en tout pays e anche dans le pays de Makar et de ses veaux, del quale, ricorderete, avevamo parlato, fremendo, a Pietroburgo prima della partenza. Quando ci penso, mi viene da sorridere. Appena passata la frontiera mi sono sentito al sicuro, una sensazione nuova e strana che non provavo ormai da tanti anni"… eccetera eccetera.

    - Mah! Tutte sciocchezze! - concluse Varvara Petrovna riponendo anche questa

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1