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Anemos
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E-book377 pagine5 ore

Anemos

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Info su questo ebook

Anemos è un mondo magico sull’orlo dell’abisso; qualcosa di terribile si sta addentrando nell’animo dei suoi abitanti. Sophie è un’alunna poco brillante, una figlia distratta, che ha perso i ricordi della propria infanzia. Anemos è qualcosa di più, è una storia nella storia: un’amicizia con la “A” maiuscola e un mondo a sé (forse non troppo diverso dal nostro). Così Sophie, tra Cavalieri, arti magiche e buffe creature, dovrà affrontare un cammino di maturazione personale, costituito da incontri e mezze verità.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2013
ISBN9788898419074
Anemos

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    Anteprima del libro

    Anemos - Valentina Sagnibene

    memoria.

    I. parte (4-6): Un nuovo mondo per ricordare

    4.

    Sophie aprì gli occhi, provando un dolore lancinante alla testa come se per gioco si fosse divertita a sbatterla contro il muro con assiduità. Si trovava faccia a terra, questo lo capiva bene perché dei fili d’erba le stavano solleticando le narici e le ginocchia le dolevano contro un terreno sicuramente solido; ci mise un secondo per capire che qualcuno, al di sopra di lei, stava cercando di soffocare una risata. In effetti, Sophie si rese conto che la situazione poteva avere qualcosa di buffo, ma poi ricordò quello che era successo e la paura occupò la sua mente, dandole anche la forza per mettersi a carponi e respirare meglio, pronta ad una fuga veloce; il dolore alla testa la fece vacillare.

    Che cosa pensi di fare? È almeno un’ora che sei stesa qui a terra e ti aspetti di alzarti come se niente fosse? Ho io qualcosa che fa per te!.

    Prima che Sophie potesse reagire, optando sempre per la fuga come soluzione più rapida e abbordabile, una secchiata d’acqua ghiacciata le mozzò il fiato, stordendola per un attimo ancora più di quanto già non fosse. Ma cos... ma che diamine fai? Sophie aveva pronto un elenco delle sue imprecazioni migliori da snocciolare allo sconosciuto, ma quando balzò in piedi, per la seconda volta nel giro di poche ore, le parole le vennero a mancare. Riuscì solo a domandare: chi diavolo sei?. La gentilezza in quel momento non era certo il suo forte.

    La domanda giusta è... chi sei tu?.

    Di nuovo Sophie rimase in silenzio, tenendosi le costole doloranti. In piedi era più alta del suo inatteso spettatore di almeno una spanna. Spalancò gli occhi, lasciando – anche piuttosto sgarbatamente – che il suo sguardo scivolasse su di lui, rimanendo a bocca aperta: davanti a lei vi era un omino insolito, con addosso una lunga casacca di tela color marrone, ampia, che nascondeva la sua evidente rotondità, un lungo bastone nodoso, più alto di lui e bardato di rosso, e a piedi completamente nudi, sporchi di terra. Il suo volto fu la cosa che più lasciò sorpresa la giovane spaesata: profondi solchi tracciavano una strana geografia sulle guance, ma la bocca sottile e il naso, troppo grande anche per quei boxeur che nelle sere afose d’estate suo padre si metteva a guardare con vivo interesse, pur esprimendo gravità sembravano tradire un’espressione giocosa. Occhi neri e profondissimi la fissavano, divertiti; una straordinaria e assurda chioma bianca partiva da un’attaccatura piuttosto alta della fronte per arrivare fino a terra. Se Sophie lo avesse creduto possibile, gli avrebbe dato come minimo mezzo secolo di età. Ma, in effetti, ormai era pronta a credere tutto.

    Io... sono Sophie. Fece per allungare la mano per presentarsi, ma le sembrava un gesto poco rispettoso nei confronti di quella creatura che non arrivava al metro e dieci. Così corresse il gesto riponendo la mano nella tasca della tuta, imbarazzata.

    Sophie, eh? Sì, lo immaginavo. Ti stavo aspettando. La creatura davanti a lei sembrava non avere notato nulla.

    Aspettando?

    Sì certo, per il tè! Certo, pensavo fossi un po’ più bassa, ma ti accontenterai. Ora, se vuoi seguirmi...

    Non credo di avere molte altre scelte...

    Oh no, tutti noi abbiamo sempre una serie di possibilità; per esempio io potevo scegliere di lasciarti qualche minuto in più per far sì che ti riprendessi completamente o versarti quel secchio d’acqua addosso... ma, spero mi perdonerai, la seconda alternativa era decisamente più allettante!

    E io quale altra alternativa avrei? Sophie non sapeva più che pensare, perciò provocava.

    Potresti stare seduta qui in mezzo al niente, troppo impaurita per fare un passo in più verso la conoscenza, così a lungo fino a dimenticarti, o aver paura persino della tua ombra. Oggi qui, con me, domani chissà, magari con qualcuno di meno socievole... anche se facilmente più avvenente. Mi spiego?. Lo sconosciuto parlava piano, enigmatico, guardandola distrattamente, come fosse un oggetto di ben poco interesse o come se stesse parlando delle previsioni metereologiche. Sophie si rabbuiò, sapendo di non avere altra scelta.

    Ok, ok, mi hai convinto, mi arrendo. Ti seguo.

    Sophie sospirò mentre il vecchio, sempre sorridendo, apriva le braccia in segno di accoglienza. Poi, raccolto da terra il secchio di ferro tutto ammaccato, tornando sui suoi passi la invitò a seguirlo; Sophie guardò per un attimo quella folta chioma bianca che strisciava per terra, e decise di affidarsi a quel curioso essere strampalato.

    Finalmente, per la prima volta si concentrò sul paesaggio circostante, sentendosi sempre più frastornata: si trovava in uno spiazzo, all’apparenza infinito, che poteva essere una qualsiasi prateria di quelle fiction d’amore che trasmettevano il pomeriggio, che proponevano uno stereotipo, che lei non aveva mai compreso, di paesaggio incontaminato come culla ideale per un amore puro e sincero. C’era qualcosa di diverso, però: niente cavalli e stalloni da ammaestrare, niente ragazze viziate di città trasferite inspiegabilmente nella natura selvaggia, niente recinti, niente cowboy (ecco, questo era un vero peccato!), ma solo alberi enormi, presumibilmente querce, dalle chiome incredibilmente grandi e verdi, alternati a cespugli color smeraldo, ricchi di frutti. Sophie rimase stupita però da ciò che le alte e splendide fronde ospitavano: sui robusti rami vi era ogni sorta di animale curioso, da semplici scoiattoli color nocciola con strisce bianche sul muso, che si rincorrevano fra loro, a minuscoli uccelli dal becco d’oro che canticchiavano allegramente. Sembrava di essere in uno dei suoi sogni, che mai erano stati così reali, e Sophie si sorprese nel sentirsi a proprio agio persa in quel mondo straordinario, come se in fondo avesse sempre saputo che vi sarebbe arrivata. Aveva l’impressione di trovarsi nel posto giusto, cosa che capitava di rado a un animo ribelle come il suo. Scosse la testa e, seguendo lentamente il vecchio, continuò a osservare ciò che le stava attorno, scoprendo una fantastica cascata più a nord, proprio dove si stavano dirigendo, cristallina, che si perdeva nel soffice terreno; la ragazza cercò il letto d’acqua dove, ragionevolmente, avrebbe dovuto concludere la sua corsa la cascata, ma trovò solo un ruscello molto più a Oriente. Dovette trattenere una risata: sulla sponda del ruscello, cinque furetti grigio/bianchi si stavano preparando per tuffarsi. Sì, preparando era il termine giusto secondo Sophie che li osservava, sempre più incredula, sfregarsi le zampette con delle lunghe unghie nere, sicuramente molto forti, che palesemente invitavano l’un l’altro a buttarsi per primo nell’acqua gelida. Ridevano forte, e il cielo terso sopra di loro, il sole di una luce accecante rendevano lo spettacolo ancora più incredibile.

    Prima che potesse vedere altro, dagli strani arbusti che emettevano altrettanto strani fischi, ai petali che lentamente si aprivano lasciando intravedere piccole gemme colare al loro interno, giunsero ai piedi della cascata e la ragazza si accorse che l’acqua, scrosciando, non faceva alcun rumore, e che sgorgava da un punto situato talmente in alto da perdersi in una nebbiolina azzurrognola, migliaia di metri sopra di loro.

    Forza fanciulla, entriamo!

    Entriamo... Dove?!

    Lo sconosciuto la guardò sorridendo, poi si voltò e con un passo deciso attraversò la cascata, scomparendo dalla sua vista. Sophie rimase interdetta, domandandosi quante altre stranezze potesse sopportare prima di andare fuori di senno – ammesso che non lo fosse già. Si guardò intorno pregando che nessuno la vedesse, trattenne il fiato, fece un passo lungo e si lanciò al di là.

    Completamente fradicia si ritrovò di nuovo faccia a terra: stava diventando davvero una cattiva abitudine. Il vecchio, asciutto, questa volta non si trattenne e proruppe in una profonda risata, mentre Sophie si alzava gocciolando e fumante di rabbia.

    Cosa ci trovi di tanto divertente? E soprattutto perché TU sei passato indenne?!

    Oh, è semplice, si tratta della differenza fra chi crede... e chi no!

    Cosa vuoi dire?

    C’è tempo, Sophie... a proposito, eccoci nella mia umile dimora!. Dal suo metro e dieci di statura, aprì coraggiosamente le braccia in segno di benvenuto.

    Solo allora Sophie si guardò intorno. Era atterrata, nel vero senso della parola, in una specie di grotta circolare estremamente in disordine, illuminata da un’ampia finestra che dava su di bellissimo giardino. Ampi scaffali di un elegante legno bianco ospitavano la gamma di oggetti più vasta che Sophie avesse mai visto: boccali intagliati, bottiglie dalle forme stravaganti, bacinelle ancora fumanti. Su di una mensola vi era un acquario rettangolare pieno di acqua di color blu scuro che ospitava alcune creature mai viste; un po’ più a destra, un caminetto annerito, e alla sua sinistra, un mobiletto sudicio con due fornelli. Al centro della grotta, un tavolo di legno di noce, con gambe robuste e due vecchie sedie; per terra, in un angolo, russava un calderone enorme e nero.

    Prego, accomodati, fai come se fossi a casa tua!

    Oh... Be’, grazie

    Titubante, Sophie prese una sedia e si sedette, lasciando dietro di sé piccole pozze d’acqua, delle quali lo sconosciuto si accorse: schioccando le dita, fece evaporare l’acqua dal pavimento roccioso e dalla tuta della ragazza infreddolita. Poi, appoggiando il lungo bastone al muro, cominciò a trafficare con la vecchia teiera di ceramica, mise l’acqua a bollire e al posto delle classiche bustine di tè inglese, che Sophie amava tanto, prese a schiacciare con una lama piatta delle erbe prese da un sacchetto di tela scura; sentendosi gli occhi di Sophie puntati addosso si voltò:

    Spero ti piaccia, sono foglie di eucalipto e bacche di Eiock, simili alle deliziose noci d’Inverno! Sai, in realtà sono esperimenti che faccio io... Sophie, che si era trattenuta fino a quel momento ma stava morendo di curiosità, lo interruppe senza troppi complimenti:

    Posso sapere chi sei? E soprattutto dove sono finita?!

    Il mio nome è Altasset. Sono il Grande Saggio... Ah, e a proposito, benvenuta ad Anemos.

    Sophie rimase in silenzio; non sapeva che cosa rispondere, aveva una tale confusione in testa che anche queste poche informazioni le rimbalzavano addosso, mentre una spia, nella parte più remota della sua mente, le suggeriva ancora di trovare una via d’uscita. O forse si aspettava, inconsciamente, che quel vecchio, che si autodefiniva addirittura saggio, da un momento all’altro si togliesse la maschera e quei vecchi vestiti urlando pesce d’aprile!. Ma nulla di ciò avvenne, e Altasset tornò a trafficare fra tazze, tovaglioli, cucchiaini e zucchero che, a un solo cenno del suo lungo bastone, planarono docilmente sul tavolo davanti a lei; da sole, le posate e le piccole tazze si misero ognuna al proprio posto.

    Anemos? Cos’è, uno scherzo? E soprattutto... TU, saggio?. Delle mille domande che avrebbe voluto porgli, questo fu tutto ciò che riuscì a dire. La tua idiozia aumenta al passo dei tuoi ormoni le sussurrò una vocina all’orecchio, ma la ragazza la ignorò; non poteva farci nulla se, davanti all’insicurezza di una situazione assolutamente incomprensibile, preferiva attaccare piuttosto che rimanere sulla difensiva.

    Potevo immaginare la tua reazione, ma sei stata tu a chiedere... Vedi, il problema è che la sete di sapere è qualcosa di terribilmente diverso dal desiderio di conoscere: a causa della prima spesso gli uomini entrano in conflitto fra di loro, gli uni contro gli altri, senza comprendere che il nome delle cose, il suono della natura, il richiamo degli animali, vanno innanzitutto conosciuti. E così come tutto; ma gli uomini lasciano che la fame di informazioni accechi il loro spirito, portandoli inevitabilmente a non possedere ciò che ottengono…

    Sophie non aveva la minima idea di cosa significasse il discorso del vecchio Saggio, ma era affascinata dal suo lento modo di parlare: scandiva ogni parola, soppesandola e gustandola prima di pronunciarla. Altasset, zoppicando leggermente, prese il bollitore dal fuoco e versò l’acqua nelle tazze, aggiungendo la polvere ricavata dai petali di eucalipto e dalle bacche di quella pianta mai sentita prima. Le tazze rabbrividirono a contatto con il liquido caldo e un cucchiaino, rizzatosi in piedi, fece un cenno di dissenso nei confronti del vecchio.

    Come sapevi che sarei arrivata?. Ecco, finalmente una domanda intelligente.

    In fondo l’ho sempre saputo, osservò Altasset, con tono profondo, lo sguardo fisso sul ciondolo di Sophie, che se ne accorse e lo prese fra le mani come a volerlo proteggere.

    Cosa intendi dire?

    Con calma, fanciulla, la fretta è cattiva consigliera e questa è una storia lunga e difficile. Come si può raccontare l’esistenza di un mondo intero di cui non sai niente? E’ tutto così cambiato da quando...

    Da quando?

    Altasset guardò Sophie sporgersi sulla sedia, gli occhi spalancati, la curiosità scritta sul suo viso a deformarlo in un’espressione che ricordò al vecchio Saggio come il Male fosse sempre dietro l’angolo, o dietro a un sorriso. Rabbrividì e restò in silenzio, così che Sophie passò all’attacco:

    Allora? Sono sicura che sono moltissime le cose che devo ‘conoscere’... Eh, insomma, ho avuto una giornataccia! Ho passato la metà del tempo a preoccuparmi per la mia salute mentale, fino a scoprire che forse non stavo impazzendo e che non c’era niente di così concreto come un’OMBRA indistinta che mi voleva uccidere o catturare o chissà cosa... Avrò pure il diritto di ottenere delle risposte, questo non lo sai, mio Grande Saggio?

    La frustrazione delle ultime ore stava avendo il sopravvento sul suo carattere di solito determinato, ma docile per natura; per un attimo la visione di sua madre che veniva a svegliarla per la colazione le fece salire un nodo alla gola. Con la tazza fumante stretta nelle minuscole mani, Altasset si alzò dalla sedia e si mise di fronte alla finestra, emettendo un lungo sospiro; solo allora sembrò mostrare tutta la sua vecchiaia.

    I suoi occhi si persero nel nulla per un po’, e Altasset pensò che le decisioni cambiano sempre il corso delle cose, che lo si voglia o meno. Nella sua vita, una vita assai lunga in effetti, mai come in quel momento era stato consapevole del potere che la conoscenza può avere, non solo sul presente, ma anche sul futuro: a volte poteva salvare le persone, altre volte perderle per sempre. Valeva la pena rischiare? Il Grande Saggio si decise:

    Una volta, in un tempo che si perdeva nel nulla, ancora erano le tenebre e la luce assieme. Non si distinguevano l’una dall’altra, perché non ve n’era bisogno; ogni uomo era considerato virtuoso perché sapeva distinguere cosa fosse il bene e cosa il male, e tutto viveva nella tranquillità. Il tempo non influenzava il flusso della vita, il sole decideva da solo quando lasciare posto alle tenebre, e anche il buio più cupo non era mai totale, rischiarato dalla luce delle nostre due Lune. In quell’epoca nessuno sapeva cosa ci fosse oltre i nostri confini, il mondo finiva al di là di questa terra; poi, in un giorno come tanti altri, per la prima volta furono le tenebre a prendere il posto del sole, e la luce con le sue magiche influenze ci abbandonava impotente. Gli uomini e le creature impazzirono perché, non riuscendo a distinguere il giorno dalla notte, non riuscivano neanche più a capire cosa fosse il bene e cosa no. Dilagò corruzione e povertà, rabbia e dimenticanza, che mai avevano lambito i nostri territori.... Sophie era a bocca aperta e non riusciva a staccare gli occhi dall’ampia finestra luminosa, come aspettandosi che le parole di Altasset si concretizzassero davanti a lei; aveva molte domande da porgli, ma per la prima volta da quando era arrivata provò per quell’uomo grande rispetto, o qualunque cosa fosse, e rimase in silenzio. Il vecchio accusò il dolore dei ricordi ma capì che era necessario; l’immagine di un uomo dagli occhi grigi gli occupò la mente per un attimo, ma decise di lasciarla andare. ...i regni nei quali è diviso Anemos, cioè Zefiro, Borea, Noto e Argeste, cominciarono a farsi guerra: avevano dimenticato cosa fosse la pace, non riuscivano più a distinguere amici e nemici, mentre creavano armate fantasma per combattere, terribili incantesimi furono impiegati nelle battaglie, e l’energia magica usata inaridì questo mondo, uccidendolo lentamente. E lentamente moriva anche il nostro Spirito, la Dea Eos, invisibile a tutti ma onnipresente: colei che tutto può, unica a poterci salvare...

    Un improvviso rumore interruppe il racconto, facendo svanire come nuvole di fumo evanescente le immagini che Sophie stava costruendo sulla scia delle parole di Altasset. Il suo cuore, che batteva a mille, si quietò per un attimo mentre osservava uno strano essere tentare di rialzarsi da terra.

    Ma una porta normalissima non la metterai mai?! Tu e il tuo anticonformismo da vecchio nostalgico!. La voce era stridula, al limite del fastidioso. Riuscì a rimettersi in piedi, e Sophie si accorse che nemmeno lui si era bagnato nell’attraversare la cascata; davanti a lei una specie di grossa talpa, con tanto di occhiali, la stava squadrando dalla testa ai piedi. Finalmente Altasset intervenne:

    Almatusset, lei è Sophie. Sophie, Almatusset. Entrambi si scambiarono un grugnito come saluto.

    È uno Scroggy, creatura magica di indole fedele (anche se scorbutica), profondo conoscitore dei meandri della terra e delle proprietà delle piante. E’ il mio aiutante ormai da moltissimo tempo

    Aiutante? Almatusset sembrava indignato sono molto più di questo, vecchiaccio! Comunque, bando alle chiacchiere, è proprio lei? E le rivolse un’occhiata penetrante. Altasset sorrise alla provocazione e annuì:

    Esattamente, e se fossi così gentile da metterti seduto e prepararti una tazza di ottimo tè, io potrei riprendere il mio racconto prima che Sophie si riscaldi nuovamente.

    Sbuffando, lo Scroggy, o qualunque cosa fosse, fece come gli era stato detto e in un attimo si sedette ben lontano dalla ragazza.

    Dunque, dove ero rimasto? Ah, sì, eravamo perduti perché Eos, la dea dell’Aurora, si indeboliva giorno dopo giorno come Anemos, il mondo che da lei dipendeva. Poi un giorno apparve un maestoso cavaliere, dalla splendente armatura: era uno dei cavalieri di Eos, leggendaria scuola di virtù e valore, la prima in assoluto fra le nostre diverse istituzioni. La sua spada era stata forgiata immemorabile tempo prima, quando tenebre e luce erano ancora una cosa sola; arrivava da un lungo viaggio, nel quale aveva affrontato, visto e compreso ogni cosa. Portava con sè una piccola casacca nella quale diceva di avere un oggetto magico che avrebbe potuto dare nuova vita alla nostra terra; ci regalava parole di speranza. Poi partì e nessuno lo vide più per moltissimo tempo... C’è chi dice che avesse un’enorme arma potentissima in grado di ristabilire l’ordine della natura, chi affermava con convinzione di averlo visto spargere pozioni, altri ancora dissero che in realtà portava con sé solo violenza e notte. La dimenticanza ormai imperversava ad Anemos, nessuno sembrava ricordare quale gloriosa epoca avevamo vissuto; ma un giorno ci svegliammo e per la prima volta era di nuovo Luce. L’ordine era stato ristabilito, i regni e i popoli smisero di farsi battaglia fra loro: Eos era risorta e, di nuovo vitale e invincibile, restituì il soffio della vita ad Anemos. Ma i morti, i sacrificati, l’odio che era stato a lungo covato dentro il cuore di ognuno di noi non potevano essere rimossi dalla memoria del nostro popolo. Rimasero tutti e tre in silenzio, ognuno nei propri pensieri, mentre l’unico rumore che si sentiva era lo sgradevole risucchio che Almatusset produceva bevendo dalla sua tazza di ceramica scrostata, senza troppi complimenti. La mente di Sophie galleggiava nella confusione più totale, cercando di fare sue tutte quelle informazioni; la sua sete di verità le aveva impedito di interrompere Altasset durante tutto il racconto, ma ora che il silenzio creava una barriera impenetrabile fra i loro pensieri, si sentiva completamente stordita. Eppure mancava qualcosa alla storia, lo percepiva: come se in un enorme e complicato puzzle mancasse qualche tassello fondamentale per riconoscerne interamente il soggetto, e lei rimaneva sconsolata davanti al disegno incompleto, senza sapere come andare avanti. Solo che ora non aveva nessuna intenzione di fermarsi: finì in un sol sorso il suo tè, mentre la boccetta di zucchero saltellava dal tavolo alla credenza malconcia. Poi interruppe quel silenzio carico di attesa:

    Non è tutto, vero? Non lo aveva fatto apposta, ma il suo tono era di sfida.

    Cosa intendi dire? Altasset finalmente distolse lo sguardo dalla finestra e la guardò senza batter ciglio.

    La tua storia è molto affascinante, davvero... ma sono sicura che ci sia ancora qualcosa che, distrattamente, non mi hai rivelato Sophie sostenne il suo sguardo.

    Ehi ragazzina, non ti sembra di esagerare?! La voce stridula intervenne, infastidita e fastidiosa al tempo stesso. Sophie provò un lieve istinto omicida, ma pensò di lasciarlo al livello del subconscio per concentrarsi sul vecchio, sarcastico ma non insopportabile come l’aiutante. Così lo ignorò con fatica, continuando a rivolgersi solo al Saggio.

    No, non credo. Insomma, vorrei solo maggiori spiegazioni! Per esempio, cosa ci faccio io qui e soprattutto come torno a casa... Alla parola casa il cuore di Sophie ebbe un sussulto, e le narici le si riempirono di un profumo dolce e deciso, di una qualche marca di basso profilo. Il profumo della madre. Chissà cosa stava facendo...

    Povera bambina! Anemos sta lentamente scivolando nell’oblio irreversibile e giustamente tu ci sottoponi i tuoi problemi... Come puoi pensare che ti possiamo mettere a parte dei segreti più nascosti del nostro mondo, quando non credi veramente? Quando la tua sete non è di giustizia ma di semplice e superficiale conoscenza? Anemos è molto di più di un semplice mondo da conoscere attraverso qualche bella storiella da raccontare! Almatusset era sbottato come se fino a quel momento non avesse fatto altro che accumulare energia negativa e nessuno se ne fosse accorto: aveva il fiato corto e gli occhiali dalle lenti spesse e dalla montatura finissima scivolarono sul grosso naso per l’indignazione. Sophie rimase interdetta, ma gli riservò la sua occhiata più furente. Spostando lo sguardo dall’uno all’altra, Altasset schioccò le dita e fece comparire una piccola bandiera bianca in mezzo al tavolo fra loro due: essa cominciò a sventolare, pacifica.

    Calmiamoci tutti quanti. È evidente che siamo sotto pressione per motivi vari e questa casa sta diventando un polo di tensione incredibile. Avete ragione entrambi: Sophie, che non conosce nulla di Anemos ed è appena arrivata, e Almatusset che, preoccupato come tutti gli abitanti di questo mondo, cerca di difendere i nostri segreti da chi non è pronto per accoglierli veramente perché il suo cuore non è ancora aperto e preparato. E per quanto io possa esserne affranto, cara fanciulla, il mio amico ha ragione: non posso dirti ogni cosa, la verità è una meta che va conquistata passo dopo passo e amata fino in fondo. Senza fretta, altrimenti essa potrebbe diventare una metà della mela, singola parte dell’intero. Incomprensibile e soggetta a fraintendimenti, sarebbe preda facile di tutte le passioni umane...

    La frustrazione cominciò a stringere Sophie in una morsa d’acciaio; era una cosa che non sopportava, come il finale sospeso delle storie che leggeva. Doveva sapere come andava a finire, per far tacere tutte le insicurezze che derivavano dal suo passato, e per questo amava le storie che avevano una precisa conclusione, lieta o meno che fosse. La rassicuravano, facendole capire che non tutti erano come lei, persa nel suo mondo poco concreto, e che c’era qualcuno, lo scrittore, che sapeva perfettamente cosa scrivere e come condurre la storia dei propri personaggi fino all’epilogo. Per lei non era mai stato così, forse anche perché i suoi ricordi si fermavano molto indietro, aggiungendo all’incertezza del suo futuro anche quella per il suo

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