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La teoria della discendenza
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E-book252 pagine3 ore

La teoria della discendenza

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Tra di noi camminano creature che non temono l’invecchiamento e la morte, così antiche e potenti che sono costrette a celare la verità alla loro stessa progenie, lasciata quindi sola con l’arduo compito di scoprire le proprie origini e la propria diversità...
Ma in una società sempre più razionale e materialista c’è ancora spazio per conoscere e scoprire se stessi?
In una Torino contemporanea e frenetica, Simone, come i suoi fratelli prima di lui, si trova a scontrarsi con le credenze e le sicurezze che il mondo gli ha messo davanti agli occhi... Riuscirà a vedere la realtà nascosta dietro il velo di illusione?

Carlo Dell’Aquila nasce il 28 aprile 1984 a Ciriè, una graziosa cittadina ai piedi delle Valli di Lanzo, vicino Torino, prima Capitale d’Italia. Esuberante fin dalla nascita, a due anni tenta caparbiamente di salire con un triciclo le scale di casa, riportando parecchie ammaccature e un colpo in testa. L’evento traumatico è probabilmente la causa che sancisce l’inizio della sua carriera di Supereroe: immaginazione e fantasia non sono più imbrigliate e vagano indisturbate per il suo intelletto. Gli è possibile, così, esplorare mondi sconosciuti fino a quel momento, per la gioia di mamma e papà, amorevoli genitori e floridi scrittori. Pecora nera di una casa volta agli studi umanistico-letterari, si dedica anima e corpo alle materie scientifiche, per cui, dopo essersi diplomato con il massimo dei voti al Liceo Scientifico, decide di perseguire il suo sogno di bambino e si iscrive al Politecnico di Torino, laureandosi a pieni voti nel luglio 2009. Nel corso degli anni, tuttavia, scopre che la lettura e la scrittura gli infondono una strana sensazione di piacere e soddisfazione, pertanto, complici la genetica e una febbre molto alta, fa uno di quei sogni che promettono di cambiargli la vita. Nasce così il suo primo romanzo, un urban fantasy ambientato negli anfratti più reconditi e misteriosi della città di Torino. Coniugare passione e lavoro è la sua sfida quotidiana: dall’angolo di creatività della scrittura parte lo slancio che gli apre sempre nuove prospettive di vita, corroborate dall’entusiasmo di chi gli sta accanto.
LinguaItaliano
Data di uscita29 feb 2020
ISBN9788830619074
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    La teoria della discendenza - Carlo Dell’Aquila

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-1907-4

    I edizione elettronica febbraio 2020

    Al Cuore, che ha ragioni che la Ragione non conosce.

    Alla Ragione, che ha ragioni che il Cuore non comprende.

    All’Anima, che ha ragioni che il Corpo non immagina.

    Al Corpo, che ha ragioni che l’Anima non considera.

    A Noi, che siamo Cuore, Ragione, Anima e Corpo.

    Il cielo era nero. La pece ancora non esisteva ma certamente avrebbe dato una vaga idea delle tinte che dominavano quella mattina. Da un giorno così non ci si poteva attendere nulla di buono. Un’era giungeva al termine per lasciare spazio a questa che, ancora oggi, regna incontrastata.

    Una spada insanguinata venne estratta con forza dalla schiena squarciata che giaceva inerme davanti ai suoi occhi ancora assetati di sangue.

    «L’Olimpo d’ora in avanti avrà un altro dio. Il Re di tutti gli Dei».

    I

    Anno 2003

    «Sveglia Maria! – urlava Orel – devi andare a scuola!»

    «Uhm… sì mamma… ora arrivo. Giuro, solo più un minuto…» la risposta con influenza piemontese della figlia, perennemente assonnata.

    «Maria!! Dai cavolo è il primo giorno di Università! Mica mi vorrai fare arrivare tardi anche oggi!» giungeva invece dal piano di sotto la voce squillante di Simone.

    «Sì, sì, ho capito, ora scendo…»

    «Devo andare in bagno, papi!»

    «Sì Luca, un minuto, ho finito, mi sto solo lavando i denti»

    «Mamma mia quanto siete lenti…»

    «Ma la smettete di urlare per cortesia! Vorrei dormire, io! Ho finito da un po’ con la scuola! – tuonava invece dall’alto Pietro – tutti i giorni la stessa storia e io non posso mai dormire!»

    «Vai a letto presto la notte allora! Al mattino saresti sicuramente più gentile» rispondeva Eol dall’alto della sua maturità paterna.

    Le mattine erano tutte così: Maria non si svegliava mai, Simone si lamentava in continuazione, Luca era pronto sempre all’ultimo secondo, Pietro cercava di dormire dopo una notte passata sui libri, Papà Eol si alzava così presto che anche le galline lo rimproveravano e Mamma Orel a fare da chioccia in questa allegra e un po’ anomala famigliola torinese. Ogni mattina. Da sempre, verrebbe da dire, se non fosse che il sempre è un concetto molto astratto e soggettivo.

    Ognuno si stava recando nel proprio piccolo mondo, alla scoperta di quelle bellezze e quei tesori nascosti che solo i libri ti sanno dare. La scuola e la cultura. Ciò stava alla base di questa famiglia, supportata con eterna forza dalle parole di Eol e Orel.

    Senza una solida cultura non puoi andare da nessuna parte, resterai per sempre nel limbo e non ti si apriranno mai le porte della conoscenza. Questo era un po’ il loro motto. Ma che noia per i quattro ragazzi ascoltare tutte le volte questi sermoni! D’altronde, però, è sempre così: quando sei piccolo qualsiasi cosa ti venga propinata diventa noiosa, può essere la verità più grande e importante che la Terra abbia mai ascoltato, ma per te, adolescente ancora acerbo, sarà sempre e solo una noia mortale. E loro erano ancora tre adolescenti. Solo Pietro era già nella seconda parte della sua vita, quella che conduce alla maturità e alla consapevolezza. Sette anni intercorrevano tra lui e il secondogenito, Simone. E poi in rapida successione Maria, l’anno dopo, e Luca, il più piccolo, che aveva 15 anni all’inizio dei fatti, 11 in meno di Pietro.

    Simone, da sempre fissato con i numeri, si stava recando alla Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino, mentre Maria, romantica sognatrice, e Luca, artista spensierato, si dirigevano verso il Collegio San Giuseppe, in pieno centro. Partivano tutti insieme verso le 7,10 per poter essere a scuola tra le 8 e le 8,30. Un giro che ormai da 2 anni era diventata routine per la macchina pazza, come l’avrebbe definita qualcuno vedendo quei tre allegri ragazzi ascoltare musica a tutto volume e urlare a squarciagola di prima mattina le canzoni dei propri beniamini. Ma la cosa più curiosa era soprattutto vedere come Mamma Orel, alla guida, non ne fosse minimamente turbata, anzi, cantava beatamente con loro. E poco importava se si arrivava in ritardo, cosa d’altronde inevitabile se qualcuno ha presente il traffico del mattino a Torino.

    Ma anche tutto ciò ormai era routine. Alla fine i Professori di Maria e Luca non si arrabbiavano più e i compagni di Simone lo aspettavano direttamente in aula, tenendogli il posto, da buoni amici quali erano. Poi insieme fino alle 18,30 tutti i giorni, dal lunedì al venerdì compresi. Era un impegno notevole studiare Ingegneria Edile, però Simone lo faceva con gusto e passione. Sperava di diventare qualcuno da grande. Ma ancora non sapeva che il suo destino era ben diverso dal futuro che faticosamente si stava costruendo. E neanche immaginava quanto grande sarebbe potuto diventare. Ancora un teenager, ma ormai proiettato verso l’età adulta, amava giocare a calcio ed era anche un buon giocatore, con un passato un po’ sfortunato alle spalle, ampiamente ripagato, tuttavia, dai successi in ambito scolastico.

    È molto intelligente il ragazzo…però è troppo vivace!: questa l’opinione dei professori, e certamente non avevano tutti i torti, nel giudicarlo vivace, puntuale protagonista di innumerevoli vicende che si sarebbero potute scrivere in un libro di successo. Così i giorni della settimana passavano lenti, seguiti dal lampo del week-end, che era sempre sovraffollato di appuntamenti, dalle uscite con gli inseparabili amici, fino alla partita della domenica pomeriggio.

    II

    «I tempi ormai stanno cambiando. Sta finendo un’epoca che lascerà spazio alla pace e alla prosperità. O per lo meno questo è ciò che le stelle sembrano indicarci, Ethan».

    «Già, lo sento nell’aria, ha un profumo diverso. Che sia davvero giunto il nostro tempo?»

    III

    Non appena sentiva chiudere la porta di casa, Pietro scattava come una molla, già attivo in vista della giornata che lo attendeva. Sapeva che anche quel giorno, come ormai succedeva da cinque anni, l’avrebbe passato sui libri alla ricerca di un’identità e soprattutto di un senso da dare a tutto ciò che lo circondava. Osservava con mistico piacere la copertina rossa del grande volume che aveva davanti, con quei caratteri in oro che profumavano di arcano e che per i più erano del tutto incomprensibili. Lettere morbide, in cui si fondevano insieme le forme tondeggianti della Potnia con lo stile dritto e squadrato degli occhi a mandorla, dando vita a un alfabeto semplicemente perfetto, in cui rigore e logica erano un tutt’uno con l’imprevedibilità della natura. Si inseguivano migliaia di parole come in una competizione, in cui non esistevano singoli fuoriclasse, ma solo grandi coralità, dove la parola precedente spingeva con la forza della sua bellezza quella che seguiva verso una meta irraggiungibile. La mano che li aveva incisi sulle pagine in carta di riso non poteva certamente definirsi umana e Pietro lo sapeva bene, era proprio questo il motivo che lo aveva spinto a chiedersi cosa fosse in realtà quel libro che aveva tra le mani e se ne esistevano altri in circolazione. I genitori erano appassionati collezionisti di libri di ogni sorta e questo gli provocava una piacevole sensazione, perché lo portava alla consapevolezza che probabilmente di libri come quelli, in giro, se ne trovavano pochi, ma uguali a quello che stava sfogliando non ce n’era nessuno. E non poteva che essere così. Quel libro rosso, con enormi caratteri in oro, raccontava il passato della sua dinastia. Della dinastia di tutta la loro famiglia. Una famiglia antichissima che esisteva fin dalla notte dei tempi e che da sempre era stata un pilastro su cui la civiltà aveva potuto fondare le proprie fondamenta. Ancora non aveva capito bene tutto ciò che c’era da sapere, ma aveva capito che il loro destino era indissolubilmente legato a quello dell’umanità e della Terra stessa.

    Leggeva ogni giorno; poco o tanto dipendeva dalla mole, assolutamente considerevole, di parole nuove da imparare alle quali dover dare un significato e una posizione nel contesto.

    Sono migliorato tanto in quest’ultimo periodo. Certo all’inizio avevo sottovalutato la questione, ma ora…, continuava a ripetersi. Era da tanto tempo che stava inseguendo la conoscenza, ma, per quelle che erano le sue attitudini, sapeva che ancora aveva molta strada da fare. Puntiglioso all’inverosimile, era in grado di trovare mille sfaccettature e si bombardava sempre di un’infinità di domande per cercare di non trascurare mai nulla. A volte venivano poste solo per il semplice gusto di poter dare risposte corrette e coerenti, che gli permettevano di avvalorare le sue ipotesi e formulare le sue tesi con acume e precisione. Non lasciava mai nulla al caso. Nulla. Difficilmente sbagliava quando si trattava di scegliere, anche se le sue scelte lo portavano a ragionamenti più complicati di rompicapi e alla perdita di diverse ore di sonno. Per questo non era ancora riuscito a possedere in tutta la sua essenza il libro che continuava a stringere dolcemente tra i polpastrelli.

    Ring! Ring!

    Squillava dal basso il telefono cordless, mentre Pietro si perdeva tra i suoi pensieri. Tre, quattro, cinque squilli. Al sesto finalmente il ricevitore si alzò.

    «Pronto?» rispose il giovane.

    «Ciao caro» disse la voce suadente, che provocò allo stomaco del ragazzo una capriola con doppio avvitamento carpiato, di quelle con cui si può vincere una medaglia olimpica.

    «Ciao Giada - riuscì a dire appena ripreso - Non mi aspettavo una tua chiamata. Come stai?»

    «Io bene, e tu? Ieri sera alla fine sei scomparso. Cos’hai fatto?»

    «Siamo andati da Marco, abbiamo guardato un film e poi c’era il Meeting di Rieti, e sai com’è, non potevamo perdercelo!»

    «Sì, lo immaginavo… voi e l’atletica… capisco, capisco. Comunque domani studiamo insieme?»

    Eccola la domanda che aspettava e che al tempo stesso non voleva sentir pronunciare. Andare o non andare: questo il problema. Una giornata in compagnia del suo dolce profumo o verità scritte che ogni giorno di più gli occupavano la mente e il corpo? Come al solito scegliere significava ponderare, e in quel momento non aveva il tempo di farlo. Optò per la risposta più semplice e contemporaneamente meno compromettente.

    «Mah, guarda, forse domani devo andare a Torino con i miei. Ti faccio sapere ok? Ti mando un sms. Per che ora, se riesco a liberarmi?»

    Papà Eol era seduto alla sua scrivania di faggio. Il suo ufficio era molto semplice, con un arredamento sobrio e minimalista. Oltre alla scrivania su cui era appoggiato elegantemente un computer, infatti, erano presenti due sedie, anch’esse dello stesso legno, dalla parte opposta alla sua che, a differenza delle altre due, aveva la seduta in pelle. Poi un armadio bianco che occupava la parete adiacente in perfetto accordo con il resto. Null’altro. Non un quadro, non un orpello. Il tutto, in quella stanza, era in armonia con la sua personalità molto essenziale e diretta. Amava arrivare al lavoro quando ancora in giro per i corridoi non si vedeva che il pulviscolo entrare dai vetri delle finestre. Non una persona che scaldasse con il calore del proprio corpo quelle quattro mura anonime decorate solamente dai segni che il tempo aveva lasciato sull’intonaco delle pareti.

    Erano le 7 del mattino e lui era già operativo. Dirigente di un Liceo Scientifico nel paese dove viveva con la sua famiglia nella prima cintura di Torino, vagava spesso con la mente al suo passato e gli veniva da sorridere ogni volta che pensava a tutti i lavori che aveva svolto nella sua vita. Era un profondo conoscitore della cultura europea e, da buon ex-professore di italiano, latino, storia e geografia, conosceva molto bene la letteratura del Vecchio Continente. Era abituato a porsi degli obiettivi per potersi sentire vivo: gli davano la forza di andare avanti nella sua ricerca, una ricerca che durava da ormai troppi anni e che lo aveva dapprima destabilizzato, per dargli infine la forza di reagire. Era sposato da tanto tempo, neanche si ricordava esattamente quanti anni fossero passati, ma certo non poteva chiederlo a Orel, altrimenti avrebbe passato i cinque minuti più brutti della sua esistenza.

    Quel giorno un professore di Italiano particolarmente mattiniero si aggirava intorno alla macchinetta del caffè ripetendo frasi sconnesse, apparentemente senza senso. Eol, incuriosito, si avvicinò e ascoltò con attenzione ciò che il Professore stava decantando.

    «…ché la diritta via era smarrita…esta selva selvaggia...si volse a retro a rimirar lo passo…»

    Un sorriso carico di ricordi si stampò sul viso duro dell’uomo, come in un perfetto ossimoro scritto da un poeta più o meno famoso. Gli tornò alla mente una soleggiata mattina di un autunno fiorentino di tanti anni prima, quando vide seduto a cavalcioni sul Ponte Vecchio quel personaggio un po’ bizzarro. Se ne stava con la piuma d’oca a mezz’aria come se aspettasse che le parole uscissero da sole e si componessero sul foglio di pergamena che teneva abbandonato al suo fianco. Gli si era avvicinato e aveva notato che il motivo della sua immobilità era stato causato da una visione che l’uomo seduto stava avendo: una bellissima ragazza coi capelli scuri intenta a raccogliere acqua dall’Arno, così dolce e fragile che – aveva pensato Eol – anche solo lo sguardo estasiato di quell’uomo avrebbe potuto sgualcirla. Il giovane poeta si riscosse alla vista della curiosità di Eol e finse un blocco che, a detta sua, gli scrittori hanno sempre prima di comporre il loro capolavoro. Eol aveva sorriso anche in quell’occasione, cordialmente, interessandosi agli argomenti che il poeta stava cercando di sostenere. Aveva scoperto come, in realtà, la donna che il suo interlocutore aveva fissato fino a un attimo prima fosse già sposata, seppur giovanissima, e che tra loro c’era sempre stato un amore platonico. Dalle parole del poeta Eol dedusse che il sentimento che l’uomo provava era sincero e si dispiacque per l’ingiustizia che purtroppo solo la vita sa offrirti. Avevano continuato a chiacchierare per un paio d’ore e subito aveva intuito che quel giovane bizzarro, probabilmente, in un futuro sarebbe davvero diventato grande. Anche se non immaginava neanche lontanamente che sarebbe diventato così grande.

    «Lei, Preside, che ne pensa?»

    Furono queste le parole che lo fecero tornare con la rapidità del fulmine al presente. Non aveva sentito neanche una parola di quelle che gli stava rivolgendo da qualche minuto il professore e solo ora si accorse che non aveva la minima idea di che risposta dare.

    «Beh, Professore, sono d’accordo con ciò che giustamente ha detto lei, senza dubbio», mentì spudoratamente Eol.

    Il viso del Professore divenne una maschera di gioia e, sulle ali dell’entusiasmo, continuò: «Davvero lo pensa anche Lei? Pensi che è la prima persona che mi dà ragione, mi hanno sempre detto che ero un visionario, probabilmente suggestionato dalla fantasia.»

    Chissà cosa ho appena confermato si trovò a pensare il Dirigente Scolastico. Ma non fece in tempo a chiederselo che il professore già stava esponendo la sua tesi anche alla nuova arrivata, una docente di Storia.

    «Anche il Preside la pensa come me, sai Marina? Anche secondo lui Dante Alighieri era omosessuale e Beatrice è solo una figura frutto della sua fantasia!»

    Coooosa? Dante omosessuale?!? Ma no! Ma cosa ho detto? Mannaggia a me e a quando non ascolto! E ora come l’aggiusto? E pensare che quel poveretto era davvero innamorato di quella donna!

    «No, Professore, forse non ci siamo intesi bene. Io mi riferivo solo alla questione di Beatrice, che molto probabilmente lui non ha mai avuto modo di conoscere dal vivo. Ma sul fatto che amasse le donne, direi che non ci sono prove controverse».

    «Ma neanche prove che certifichino il contrario! E chi ci dice che Beatrice in realtà non fosse solo un suo amante a cui ha dovuto dare un nome femminile per non destare scalpore in quel tempo in cui sicuramente sarebbe stato perseguitato dalla Chiesa?»

    Beh, certo non posso dirgli che l’ho conosciuto e che tutto era tranne che omosessuale… direi che non è la soluzione migliore.

    «Professore – esordì dunque – non ricorda forse il XV Canto dell’Inferno?»

    «Certamente. E sarei pronto a scommettere che anche quello sia stato uno stratagemma per sviare i sospetti da lui.»

    «Beh, io non lo credo affatto. In quel Canto condanna apertamente gli omosessuali, tra cui il suo stesso Maestro, Brunetto Latini. Gli parla con deferenza e rispetto, rimanendo addirittura addolorato di trovarlo tra i peccatori che dovranno restare per sempre all’Inferno, eppure lo inserisce ugualmente in questo girone, ritenendo l’omosessualità un peccato. Mi sbaglio, forse?»

    «Certo che no Preside, però nessuno può affermare con certezza che effettivamente lui non stesse parlando a se stesso. D’altronde ogni romanzo, racconto o poesia che sia, mette su carta ciò che la nostra mente elabora».

    «Siamo d’accordo. E probabilmente l’intento di Dante era proprio di parlare di omosessualità. La questione però è chiara e cioè che, al tempo in cui scriveva il Poeta, la gente come il suo Maestro veniva condannata per ciò che era. Mi viene da pensare che l’abbia fatto anche in qualche modo per denunciare, ai posteri o a chi leggesse, il vero problema, cioè che l’omosessualità era da lui ritenuta un peccato contro natura, ma che un omosessuale certamente è un uomo come tutti gli altri, da cui si può imparare molto, tanto da assumerlo, come nel suo caso, a proprio Maestro.»

    «Osservazione interessante quella di considerare Dante un anacronista su un tema che ancora oggi è di massima attualità…»

    «Io lo credo fortemente: d’altronde i grandi Geni hanno capacità che solo con il passare dei secoli possono essere comprese a fondo.»

    «La sua tesi è quanto mai interessante e sicuramente mi ha dato da riflettere. È stato un piacere discutere con lei.»

    L’ho scampata per un pelo. Povero Dante, se mi avesse sentito mentre confermavo le parole del Professore si sarebbe rivoltato nella tomba, credo.

    «Anche per me, Professore. Discutere di letteratura è una mia passione!"

    «Solo una cosa in tutto ciò mi sfugge: ma allora prima, quando mi ha detto di pensarla come me… a cosa si riferiva?»

    IV

    Bruaich si era svegliato da qualche minuto dal suo stato di parziale incoscienza in cui tutti i Daimon cadono e che la gente comune chiama sonno. Si sentiva ansioso da qualche mese e continuava a cacciare via i propri pensieri come si fa con le mosche fastidiose che, però, ritornano puntuali immediatamente dopo averle allontanate. Le sue preoccupazioni continuavano a tormentarlo, tuttavia non aveva la minima idea della motivazione. In alcune occasioni si era sorpreso anche a toccarsi l’addome a causa di un prurito del tutto privo di fondamento, se si può escludere il fattore psicosomatico della questione. Non sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco tempo. Ma probabilmente qualcosa sospettava, come d’altronde era inevitabile, se incarni il ruolo che ti sei guadagnato con sudore e morte. Devi per forza sapere qualcosa che altri non sanno. E lui sapeva che, forse, era giunto il tempo di rimettere mano alle armi.

    «Aulo!»

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