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Il nido segreto
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E-book516 pagine8 ore

Il nido segreto

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Info su questo ebook

Le giovani Mary, Fanny e Jane trascorrono l’infanzia e la giovinezza nella casa del padre, il filosofo William Godwin. Vengono così cresciute in un ambiente insolito per la Londra di inizio 1800, ricco di stimoli culturali e di erudizione. Godwin, infatti, vedovo di Mary Wollstonecraft, una delle più importanti filosofe femministe della sua epoca, ama circondarsi di un gruppo di letterati, scienziati e pensatori, assidui frequentatori del suo salotto.

Mary è coraggiosa ed estremamente intelligente, Fanny è insicura e obbediente, Jane è sognatrice e irriverente. Le loro vite trascorrono nella quiete, nonostante le difficoltà economiche, fino a quando alla porta di casa non bussa Percy Bysshe Shelley, giovane poeta idealista e grande ammiratore delle opere di Godwin, intenzionato ad aiutare finanziariamente il suo modello, che ormai si trova sull’orlo della bancarotta. Con la sua presenza carismatica, Shelley rivoluziona l’esistenza dell’intera famiglia. Dotato di grande fascino e di una personalità ribelle, non incline a seguire nessuna regola, Shelley conquista rapidamente il cuore delle tre sorelle, occupando sempre più spazio nelle loro vite.

Stregate dalla spontaneità e dalle fragilità del ragazzo, Mary e Jane si trovano a stravolgere il loro futuro, arrivando a compiere scelte coraggiose e scandalose agli occhi dei contemporanei, mentre Fanny lotta per trovare il coraggio di essere se stessa.

Mary e Shelley, che condividono una passione smisurata per la letteratura, finiranno per essere sempre più vicini, e si sproneranno a vicenda a migliorarsi nelle loro opere, sostenendosi attraverso numerose difficoltà e tragedie.
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2022
ISBN9788831399814
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    Anteprima del libro

    Il nido segreto - Martina Tozzi

    1

    LONDRA, 1797

    God preserve this poor child, and render her happier than her mother ¹.

    - Mary Wollstonecraft


    Le mancava la mamma. La mamma la stringeva forte, le sorrideva sempre, la chiamava Fannykin e la sollevava verso il cielo per farla volteggiare, solleticandole il mento con la sua voluminosa capigliatura argentea. Quando c’era la mamma si sentiva subito più tranquilla, era la sua voce che la calmava sempre.

    Ma la mamma non c’era. Marguerite, la sua bambinaia, le aveva detto che era morta, ed era una cosa molto, molto triste. La casa era sprofondata nella disperazione, Marguerite non cantava più tanto come prima e papà era scontento di tutto. Anche Fanny si sentiva profondamente infelice. Sperava che la mamma non restasse morta ancora per molto.

    Nella stanza di papà, quella che chiamavano lo Studio, era appeso un quadro che la raffigurava. Quando poteva, Fanny sgusciava lì dentro e lo osservava senza parlare. A volte allungava la manina paffuta cercando di toccarla. Il dipinto era troppo in alto perché potesse raggiungerlo, dietro il grosso tavolo di legno rossastro, chino sul quale papà trascorreva molte ore leggendo e scrivendo. Fanny sapeva che, quando era impegnato in quelle attività, non avrebbe dovuto disturbarlo, ma a volte la sfiorava il pensiero che anche lui, come la mamma, fosse sparito nel nulla, e allora dimenticava quella regola, andava a cercarlo e si faceva prendere in braccio. Lui la stringeva contro di sé, le baciava la testolina ricciuta e mormorava qualcosa con la sua voce profonda. Fanny gli si abbandonava addosso, si rannicchiava contro la sua spalla, e la preoccupazione e la tristezza che albergavano nel suo cuore scivolavano via. Aveva bisogno di sentire che papà la amava, di pensare che lui non sarebbe andato via.

    Ma la mamma, oh, la mamma le mancava tanto. Aveva chiesto a Marguerite se la sua mammina sarebbe rimasta morta per molto altro tempo, e la sua bambinaia l’aveva stretta a sé mormorando:

    «Povera Fanny, la tua mamma è morta, ma tu non sai cosa significa, non è vero? Vuol dire che non la vedrai mai più.»

    Questo non le aveva chiarito le idee, perché Fanny non riusciva a capire cosa si intendesse con mai più. Non aveva domandato niente, ma ancora aveva dei forti dubbi sull’assenza della mamma.

    Faceva freddo, quel giorno. Aveva fatto freddo per tutta l’estate, e ormai si approssimava il Natale, anche se Fanny non lo sapeva perché quell’anno a casa sua nessuno aveva voglia di festeggiare. La piccola aveva passato il pomeriggio in compagnia della bambinaia e giocando con il gattone della famiglia, che lei aveva battezzato Bobby. Ma, quando aveva sentito che la porta dello studio veniva aperta e che papà scendeva giù per le scale, approfittando dell’assopimento della bambinaia la piccola era scivolata silenziosamente fuori dalla sua stanza e si era intrufolata tremante nello studio di papà. Aveva il cuore in gola, e si sentì sollevata quando si richiuse con sforzo alle spalle la pesante porta in legno scuro e si trovò di fronte il volto amato e rilassato della sua mamma.

    La mamma non la guardava, ma aveva gli occhi persi da qualche parte, intenta ad ammirare qualcosa oltre la tela. La sua figura emergeva dall’oscurità, lo sfondo era un grande spazio scuro e tutta l’attenzione era concentrata su di lei. Indossava una cuffietta nera e un abito bianco, e sembrava tranquilla, soddisfatta. Fanny sperava sempre che il ritratto si animasse e la mamma si voltasse per regalarle uno dei suoi meravigliosi sorrisi, ma non accadeva mai. Avrebbe tanto desiderato essere di nuovo in sua compagnia.

    Gli occhi le si riempirono di lacrime. Perché la mamma non poteva tornare a prenderla in braccio e giocare con lei? Perché non la smetteva di essere morta? Tirò rumorosamente su con il naso, e stava per abbandonarsi ai singhiozzi quando un rumore di passi la fece trasalire. Qualcuno stava salendo le scale, e probabilmente presto sarebbe entrato in quella stanza. Papà non voleva che vi stesse da sola, era sempre preoccupato che potesse mettere in disordine i suoi fogli, e Fanny non voleva che si arrabbiasse con lei. Se l’avesse fatto infuriare così tanto da spingerlo ad andarsene, come la mamma? Svelta, la bambina si infilò sotto la grossa scrivania e desiderò con tutte le sue forze diventare invisibile. Forse la mamma glielo avrebbe concesso.

    Suo padre, il filosofo dissidente William Godwin, fece il suo ingresso nella stanza seguito da Joseph Johnson, l’editore e il più caro amico della sua defunta moglie, Mary Wollstonecraft, anche lei pensatrice e scrittrice dalle idee radicali. Fanny si appiattì contro la gamba del tavolo. Poteva vedere solo i piedi dei due uomini, ma riconobbe immediatamente le calzature del suo adorato papà, che andò a sistemarsi alla sua sedia alla scrivania. Johnson sedette davanti a lui, all’altro lato del tavolo, e Fanny trattenne il respiro. Non si erano accorti di lei. Forse la mamma l’aveva davvero resa invisibile, dopotutto.

    «William,» esordì Johnson guardando con preoccupazione il suo amico. «Non fa piacere a nessuno vederti in questo stato. Devi riprenderti.»

    «Mi sono già ripreso al massimo delle possibilità,» replicò con durezza Godwin. «Non penserai che sia così folle da ritenere che nel mio futuro potrà mai esserci una felicità simile a quella che stavo vivendo con Mary. Avevo appena iniziato ad assaporare le gioie della nostra vita insieme, e sono stato spaventosamente privato della sua presenza al mio fianco. Soffro enormemente per questo, ma sono grato di aver avuto la possibilità di condividere con lei parte della strada. Grazie al suo aiuto, la mia intelligenza si è ampliata e il mio cuore è diventato più grande.»

    «Capisco bene quello che intendi, anche io amavo molto tua moglie, lo sai. Abbiamo condiviso tante esperienze, e la luce che brillava nel suo sguardo non sarà dimenticata,» sospirò mestamente Johnson. «Ma non possiamo smettere di vivere solo perché se n’è andata. Devi resistere, essere forte. Per le bambine, prima di tutto. A proposito, come stanno?»

    «Mary cresce ed è robusta. Mi illudo che abbia ereditato qualcosa dell’energia di sua madre.» Fanny osservò i piedi di papà muoversi sotto la scrivania e trattenne il fiato. «L’ho fatta vedere al dottor Nicholson, chiedendogli di fare una valutazione frenologica. La piccola è scoppiata a piangere mentre la visitava, ha dei polmoni possenti.»

    «Una valutazione frenologica?» la voce di Johnson suonò scettica, ma né Godwin né Fanny sembrarono rendersene conto.

    «Esattamente. Mi sembrava una buona idea sapere cosa dovessi aspettarmi dalla figlia che io e Mary abbiamo generato.»

    «E…?»

    «Il medico è molto fiducioso riguardo alle doti di nostra figlia. Non ha individuato segni di una natura difficile, forse crescendo avrà un carattere lievemente fastidioso, ma non ha trovato nessun segnale di scontrosità o antipatia, nessuna caratteristica che porti a credere che sia incline alla rabbia. Per quanto riguarda le doti intellettuali, sostiene che avrà una grande memoria e intelligenza, e sinceramente non mi aspetto di meno dall’erede di una tale madre. Anche se, ovviamente, non ci sono molte possibilità che la possa eguagliare. Credo che non sia mai esistita una donna sua pari su questa terra.»

    «E l’altra bambina, la piccola Fanny?» c’era un tono affettuoso nel modo in cui Johnson pronunciava il suo nome e, appiattita contro la gamba del tavolo, Fanny si sentì riscaldata.

    «Soffre molto per la morte della madre. È diventata più taciturna,» ammise Godwin.

    «Sto ancora cercando di mettermi in contatto con Imlay. Forse nella sua vita c’è una nuova donna, e se fosse una relazione stabile potrebbe essere una madre per Fanny. Dopotutto, è lui suo padre e…»

    «Non c’è alcun bisogno di scomodare Imlay,» lo interruppe Godwin con un tono perentorio, facendo sussultare la bambina nascosta sotto la scrivania. Amava profondamente suo padre, ma a volte la spaventava. «Non si è interessato a Fanny quando Mary era in vita, e mia moglie ha tentato in ogni modo di farlo comportare come un padre. Ma lui ha smesso di versare il denaro alla bambina non appena io e Mary ci siamo sposati, perché riteneva che, a quel punto, io ne fossi diventato il padre. Fanny non ricorda Imlay, ed è me che chiama papà.»

    «Dunque, non hai cambiato idea riguardo alla questione? Desideri ancora tenerla con te?»

    «Mary ha lasciato dietro di sé sulla terra questa bambina che non ha alcun amico. Non nutro il benché minimo desiderio di affidarla alle mani di un uomo che, avendo la possibilità di passare la sua vita al fianco di una creatura come mia moglie, e per qualche strana ragione amato da lei sebbene privo di meriti, si è comportato come si è comportato. Non posso provare altro che pietà per la sua persona. Non riesco a immaginare che sia in grado di crescere Fanny, e credo che sia mio preciso dovere prendermi cura di lei, come sua madre desiderava. E poi, le voglio bene.»

    Seguì un momento di silenzio, e Fanny chiuse gli occhi. Strinse al petto la sua scimmietta giocattolo. Stava comoda, dopotutto, le piaceva stare sotto i tavoli.

    «Per quanto riguarda la ragione della mia visita…» iniziò Johnson.

    «Sì?»

    «Ebbene, ho avuto modo di leggere la bozza che mi hai fornito del memoir cui stai lavorando.»

    «Direi che è praticamente finito. Allora, trovi che rispecchi il carattere della nostra Mary? Vorrei che la gente la conoscesse per quella che era davvero, la creatura che ho amato e che mi amava. Sapeva essere così giocosa, e piena di fiducia, gentilezza e comprensione. Voglio mostrarla al mondo per quell’astro luminoso che è stata.»

    «Forse, però, non sei ancora pronto. Sono passati meno di quattro mesi dalla sua scomparsa, e sei ancora in una fase in cui è difficile riuscire a vedere le cose con la dovuta chiarezza,» rispose pazientemente Johnson. «Scrivere queste memorie ti ha sicuramente giovato, perché ti ha permesso di affrontare la sofferenza con un compito attivo da svolgere. Ma per il momento, che ne pensi di lasciare il tuo scritto nel cassetto per qualche tempo, e poi tirarlo fuori quando sarai più tranquillo, così da poter dare un giudizio più freddo su quello che intendi far conoscere di Mary Wollstonecraft?»

    Fanny aveva gli occhi chiusi e sentiva le voci provenire da lontano, come quando si è sul punto di sprofondare nel sonno. Sentì papà che rispondeva:

    «E a che scopo aspettare? Andare subito in stampa, invece, è una scelta estremamente razionale. La gente prova più curiosità per la vita di una persona illustre che è morta da poco tempo, attendere significherebbe raggiungere un pubblico più limitato.»

    «Ma William, non puoi davvero voler pubblicare le pagine che mi hai fatto leggere,» proruppe Johnson. «La reputazione di Mary…»

    «La reputazione di Mary? A lei non importava niente di quello che la società proclama come verità infallibile. Se la gente comune non afferra il genio e la dolcezza di mia moglie, allora tanto peggio per loro. Non c’è nulla della vita di questa donna che debba essere nascosto o adulterato. È sempre stata fedele ai suoi principi, e con risoluzione ha vissuto un’esistenza di cui andare fiera.»

    «E i tentativi di suicidio? L’amore per Imlay, il loro falso matrimonio? La gente…»

    «La gente capirà che era Imlay ad essere nel torto,» rispose con decisione Godwin. «Mary era innamorata di lui, e per lei l’amore era sacro. Oh, ma sapranno benissimo di cosa parlo, dal momento che intendo pubblicare anche le lettere d’amore che ha scritto a Imlay prima che tra di loro finisse.»

    Johnson sobbalzò, preso di sorpresa. «Le lettere? E Mary ne sarebbe contenta?»

    «Sì, ne sono sicuro. Attraverso di esse, traspare la sua essenza. Non ho mai letto nulla di più elevato, dolce, sincero, delle parole che rivolge all’uomo che amava, e…»

    Johnson non lo lasciò proseguire. «Non è una decisione saggia. Ovviamente, puoi fare quello che desideri, ma non credo che Mary apprezzerebbe questa mossa.»

    «Come puoi pensare di conoscere mia moglie meglio di quanto la conoscevo io?»

    «William, riflettici bene. Ha sempre anteposto il benessere di sua figlia a tutto il resto. Fanny era la sua amata giocherellona, la sua damina, il suo Ercole. Se ha accettato di passare per la moglie di Imlay, contro ai propri principi, è stato per proteggere la reputazione della sua bambina. Voleva che non crescesse sentendo sulle spalle il biasimo della gente. Se pubblicherai quelle memorie, allora tutti potranno leggere ogni ribellione di Mary alle norme imposte dalla società. Leggeranno che, durante i suoi anni in Francia, si è innamorata di un giovane capitano americano, e che hanno concepito una bambina fuori dal matrimonio, Fanny. Leggeranno di come lui l’ha respinta e del tentativo di suicidio, e di come poi si sia ripresa grazie a un nuovo amore, il tuo. E vi leggeranno ancora che anche la sua seconda bambina, Mary, è stata concepita fuori dal vincolo nuziale, e che vi siete sposati solo in seguito, appena cinque mesi prima del parto. È questo quello che desideri? Le persone la considereranno una sgualdrina, una poco di buono, una donna che non conosce la virtù. E Fanny sarà tacciata come bastarda.»

    Godwin alzò la voce, facendo sussultare Fanny. «Non è così che andrà! Leggeranno di una donna innamorata, che è rimasta fedele a sé stessa in ogni circostanza della vita. Parli di virtù! Mary era disgustata al pensiero che la sola virtù richiesta alla donna fosse la castità. Lei possedeva molte altre virtù, prima tra tutte la ragione, che le permetteva di pensare con la propria testa.»

    «Per favore, William. Cerca di fare la cosa giusta per la memoria di tua moglie e per il futuro delle sue figlie, soprattutto di Fanny.»

    Godwin si alzò in piedi e Johnson lo imitò.

    «La mia decisione è presa,» disse con fare grave Godwin. «E non intendo tornare sui miei passi. Se non hai altro da aggiungere…»

    «Niente, William. Non posso fermarti, ma sappi che non ti approvo. Mary non sarebbe contenta, e neanche io lo sono. Per quanto riguarda Fanny, è mio dovere parlare con suo padre. Se davvero è d’accordo a lasciartela, che lo sottoscriva davanti a un notaio, così sarai tutelato se in futuro dovesse cambiare idea. Non ho altro da aggiungere, ti prego però di riflettere sulle mie parole.»

    «Lo farò, Joseph. Ma non credo che giungerò a conclusioni differenti da quelle attuali. Comunque, grazie per il tuo interessamento.» La voce di papà non era calda, ma era ostile e arrabbiata. Fanny osservò i piedi di Johnson allontanarsi con un peso sul cuore. Papà era molto arrabbiato? Vide che si lasciava cadere di nuovo sulla sedia. Lo sentì sospirare. Perché? Era molto triste?

    Non aveva capito quasi nulla di quello che si erano detti lui e Joseph. Parlavano della mamma, e questo era chiaro, ma Fanny non si era concentrata sulle loro parole. Però papà era diventato freddo e astioso. Fanny osservò i suoi piedi muoversi ansiosamente sotto la scrivania. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Sapeva che non avrebbe dovuto essere lì, però ormai c’era, e papà era arrabbiato e triste. Scivolò fino alle sue gambe e si strinse alla sua caviglia. Godwin sobbalzò.

    «Cosa diavolo…?» si chinò e vide la testa ricciuta della piccola Fanny, le braccia paffute strette contro di lui.

    Godwin sospirò. Allungò le braccia per sollevarla e la fece sedere sulle proprie ginocchia.

    «Sei stata nascosta tutto questo tempo?»

    Lei annuì e scoppiò in singhiozzi.

    «Fanny, cara, che succede?»

    «Sei triste, sei arrabbiato,» gemette la bambina. Godwin le passò le dita tra i capelli, che iniziavano a perdere i toni dorati della prima infanzia e viravano verso il castano.

    «Non sono triste e arrabbiato. Mi manca la mamma, come immagino manchi anche a te, ma non sono arrabbiato,» le spiegò con una voce gentile. Fanny si strinse contro di lui. L’uomo proseguì. «Johnson crede che la storia di tua madre debba essere tenuta nascosta, che ci si debba vergognare della vita che ha condotto. È la stessa opinione delle sue sorelle, le tue zie Everina ed Eliza, che si sono rifiutate di aiutarmi nel mio progetto.»

    Fanny non ricordava quelle due zie. «E la zia Hannah?» domandò con la sua vocetta trillante. La zia Hannah era la sorella di Godwin, che dalla morte della mamma era venuta a trovarla quasi ogni giorno.

    «La zia Hannah è solo una sarta, e non aveva alcuna parentela con tua madre, per queste ragioni lascia che sia io a decidere,» rispose suo padre.

    Fanny annuì. «Non sei arrabbiato, però?»

    Lui le sorrise. «Non sono arrabbiato. Però forse non sono la persona più indicata per rassicurare un bambino, anche se si tratta di una creaturina adorabile come te.» Sospirò. «Adesso devo lavorare. Promettimi che non ti nasconderai più sotto il mio tavolo personale. Non sta bene ascoltare le persone a loro insaputa.»

    «Lo prometto,» garantì Fanny con convinzione.

    «Bravissima. Ora, vai. Marguerite ti starà cercando, per non parlare della signora Jones.»

    Fanny scese dalle sue ginocchia e obbediente si diresse alla porta. Non voleva contrariarlo, ma non era felice di andare dalla signora Jones. Era stata assunta come governante alla morte della mamma, ma non era simpatica e gentile, e lei non si divertiva affatto in sua compagnia. Preferiva Marguerite, la sua bambinaia, che non doveva dividere con nessuno, dal momento che la sua sorellina appena nata, Mary, aveva una bambinaia tutta per sé.

    Fuori dalla porta dello studio, Fanny vide il gattone, Bobby, seduto per terra e intento alla sua toilette. Si precipitò nella sua direzione e lo accarezzò. L’animale fece le fusa, rassicurandola. Le piaceva quel rumore. Ma dal nulla apparve la signora Jones, che la redarguì.

    «Dove ti eri cacciata? Io e Marguerite ti abbiamo cercato dappertutto. Forza, torna in camera tua e non disturbare il signor Godwin. Lo sai anche tu che detesta essere distolto dal suo lavoro.»

    Chinando la testa, Fanny seguì la governante senza protestare.

    Quanto ancora la mamma sarebbe rimasta morta?

    2

    LONDRA, 1800

    I hope it will be a long, long while, before papa goes away again for so much as seven weeks. But he had to come over the sea, & the sea would not let him come when he liked: look at it on the map. ¹

    - William Godwin


    Da quando papà era partito per l’Irlanda, Fanny passava la maggior parte del tempo ad aspettare il suo ritorno. Mary trotterellava per la casa con l’entusiasmo dei suoi tre anni ma Fanny, che di anni ormai ne aveva sei, era di umore più malinconico. Desiderava solo che papà tornasse e stessero di nuovo tutti insieme, sereni e tranquilli.

    L’affetto che provava per il padre si era accresciuto in quegli anni. Godwin era tutto il suo mondo, e la bambina avrebbe fatto qualsiasi cosa per compiacerlo. Era felice quando le rivolgeva qualche complimento e, consapevole che per lui non c’era nulla di più degno di ammirazione dell’intelletto, cercava di soddisfarlo dedicandosi allo studio e alla conoscenza. Taceva quando lui era taciturno, e lo rallegrava con le sue chiacchiere quando la invitava a sedere accanto a lui davanti al caminetto, cercando in ogni modo di adeguarsi al suo umore e di rendere meno grevi le sue ore.

    L’amore per sua madre si era fatto ancora più struggente. Soffriva al pensiero che non l’avrebbe mai vista, e si lasciava cullare dalla fantasia che, in qualche modo, la mamma potesse vedere lei. Forse, dopotutto, poteva osservarla tramite il grande dipinto nello studio di papà. Oppure poteva sentire quello che raccontava quando era davanti alla sua tomba. Papà portava lei e sua sorella in visita al cimitero della chiesa di St Pancras almeno una volta a settimana, e da quando era partito erano Marguerite e Leah, le bambinaie, ad occuparsi di quell’incombenza. Le due sorelle amavano quella spedizione, e Mary era affezionatissima alla tomba della mamma. Toccava la lapide e lasciava scivolare le dita sulle lettere dell’iscrizione.

    «Mary Wollstonecraft Godwin,» leggeva ad alta voce papà. «Il nome di tua madre e anche il tuo nome, Mary.»

    La madre di Mary e Fanny, Mary Wollstonecraft, era morta nel dare alla luce la sua ultimogenita. All’epoca Fanny aveva poco più di tre anni e ricordava ben poco del passaggio terreno della sua mamma, ma papà a volte le leggeva dei brani di lettere scritte dalla donna in cui si parlava di lei. Fanny sentiva quanto era stata amata, perciò non era gelosa che fosse la sorellina, che non poteva serbare alcun ricordo della madre, a portare quel nome così caro.

    La famiglia di Fanny era diversa dalle altre famiglie che conosceva. Suo padre, infatti, non era il suo vero padre: le era stato spiegato che lei era nata da una precedente relazione della mamma con un americano, Gilbert Imlay, che poi l’aveva lasciata da sola e triste.

    «Povera mamma,» sospirava Mary ascoltando quella storia.

    «Ma poi,» spiegava papà, «ha conosciuto me, ci siamo innamorati e sei nata tu, dolce Mary, che adesso sei diventata la piccolina di papà.»

    Mary rideva, e anche Fanny rideva. Quando era con papà era sempre molto contenta, e le dispiaceva che dovesse passare tutto quel tempo sui libri, ma lui era un famoso scrittore, dopotutto.

    Anche la mamma era stata una scrittrice, rivoluzionaria, diceva Johnson, che era stato il suo editore. A causa di una biografia che papà aveva voluto pubblicare subito dopo la sua morte, molte persone si erano fatte una brutta opinione di lei e adesso le sue opere non erano più stampate, qualsiasi cosa volesse dire. Ma papà non si preoccupava della cosa, sebbene lui stesso, a quanto Fanny aveva sentito, non fosse più molto benvisto.

    «Se quelle persone non gradiscono il carattere di Mary, provo pena per loro,» diceva papà e Fanny, sebbene non riuscisse a comprendere completamente quelle parole, annuiva con solennità.

    A casa con loro vivevano le due bambinaie, Marguerite e Leah, e una cuoca grassottella che le dava di tanto in tanto qualche boccone di nascosto prima dei pasti. La governante, la signora Jones, aveva lasciato il suo posto da un anno, ma andava a trovarle spesso. Fanny non l’aveva mai molto apprezzata, ma era stata infelice quando la donna si era trasferita. Le era sembrato di aver subito un altro abbandono, anche se non grave come quello della madre.

    La casa in cui vivevano si trovava in Somers Town, al Polygon. Era una dimora maestosa, con due caminetti in marmo e molte stanze disposte su tre piani. Intorno, la zona era in costruzione e spesso si sentivano rumori da cantieri di edifici che stavano nascendo sotto i loro occhi. In inverno, il terreno che circondava la casa si lasciava penetrare dalla pioggia e dall’umidità e diventava fangoso, e quando era più piccola Fanny sporcava i suoi vestitini rimestando la terra con il suo adorato rastrello giocattolo. Ora non si dedicava più a quel passatempo da bambina piccola.

    La casa era di tanto in tanto rallegrata dalle visite di ospiti, raramente di bambini. Fanny non aveva amici della sua età, ma conosceva bene Johnson, la zia Hannah, Mary Hayes e tutti gli amici di suo padre, come il poeta Coleridge e lo scrittore Charles Lamb.

    Ora che papà non c’era, Fanny passava lunghe ore esercitandosi nella lettura oppure disegnando – questa era una delle sue maggiori passioni. Era estate, e le giornate erano lunghe ma fresche.

    «Perché papà è partito?» domandò una sera a Marguerite, mentre la bambinaia la preparava per la notte.

    «Perché…» la donna esitò, come a volte facevano gli adulti. «Oh, sono cose troppo difficili per una bambina. Soldi.»

    «Soldi?»

    «Sì, questioni economiche, insomma.»

    Fanny si infilò la camicia da notte e domandò:

    «Siamo poveri?»

    «No, piccolina, non poveri. Semplicemente i soldi non bastano mai, come in futuro scoprirai. In ogni caso, il signor Godwin cade sempre in piedi. Trova sempre qualcuno disposto a fargli un prestito, perciò non preoccuparti, tesoro.»

    Fanny scivolò sotto le coperte, i capelli castani raccolti in una treccia.

    «Ma tornerà presto?»

    Marguerite sedette sul letto e si chinò sopra di lei.

    «Prestissimo, stanne certa. Ha già trascorso il tempo che desiderava con la contessa Mount Cashell e adesso, dopo una breve visita alle tue zie e alla loro scuola di Dublino, tornerà di filato da te e tua sorella.»

    Fanny sapeva che le sue due zie residenti in Irlanda, Everina ed Eliza, avevano provato a chiedere a suo padre di farla trasferire da loro, ma papà era stato categorico: lei era sua. Fanny era stata incredibilmente lusingata da quel rifiuto e dalla ragione che era stata addotta. Amava suo padre.

    «Una contessa?» domandò con curiosità la bambina. «Perché papà conosce una contessa in Irlanda?»

    «In realtà, era un’amica di tua madre. Si chiama Margaret King e tua madre le ha fatto da istitutrice anni prima che tu nascessi, prima di conoscere me, quindi. Ne parlava sempre con molto affetto. È una signora molto gentile, stando a quello che dice tuo padre e, sebbene sia ancora molto giovane, ha già cinque figli.»

    «La mamma le voleva bene?»

    «Non come a te,» rispose la bambinaia. Fanny non riuscì a trattenere un sorriso. Era stata lei il tesoro della mamma. «Ora dormi,» mormorò la donna, facendo per soffiare sulla candela.

    «Aspetta ancora un po’ a spengere la luce,» la implorò la bambina. «Non ho sonno.»

    «Ma è ora di dormire.»

    «Mi manca papà. E anche la mamma,» bisbigliò.

    Marguerite le passò la mano sulla testa. «Su, su, Fanny. Coraggio. Non abbandonarti a pensieri cupi prima di dormire. E poi, con un po’ di fortuna il signor Godwin ti troverà presto una nuova mamma.»

    Fanny sobbalzò. «Una nuova mamma? Che cosa significa?»

    «Non ti piacerebbe che il signor Godwin si risposasse?» domandò allora con fare gentile la sua bambinaia. «Lui potrebbe avere una moglie, e tu una mamma.»

    «Ma…» Fanny cercò di raccogliere le idee. «Non posso avere una nuova mamma. Ho già una mamma.»

    Pensò alla donna raffigurata nel dipinto nello studio, al suo sorriso rilassato, alle parole che papà leggeva dai grossi libri scritti dalla mamma, e che parevano essere state composte per lei. Aveva sentito spesso papà narrare dell’incredibile forza della donna che era stata sua madre, della potenza delle sue idee, della tenerezza, anche. Come poteva qualcun altro prendere il suo posto?

    «Ovviamente, la compianta signora Wollstonecraft resterà la tua mamma in cielo, ma sulla terra potresti avere una nuova madre a occuparsi di te. Oh, ma non pensarci adesso, è il momento di dormire.»

    Si chinò per darle un bacio sulla fronte. Da brava bambina qual era, Fanny non fece storie e accettò che Marguerite soffiasse sulla candela e che la stanza sprofondasse nell’oscurità. Nella sua mente, però, turbinavano i pensieri. Cosa voleva dire una nuova mamma? Non le serviva affatto una nuova mamma. Non ne aveva bisogno. Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, chiedere altre spiegazioni, ma Mary era troppo piccola e le bambinaie non avrebbero risposto alle sue domande. E papà, il solo che avrebbe potuto chiarirle le idee, era in Irlanda con la contessa. Quella notte impiegò molto tempo ad addormentarsi.

    Nei giorni seguenti, però, Fanny drizzò le orecchie ai pettegolezzi degli altri abitanti della casa. Fingeva di giocare, leggere, dedicarsi alle sue occupazioni quotidiane, ma in realtà origliava tutto quello che poteva. Così non fu proprio per caso che un pomeriggio riuscì a udire uno stralcio della conversazione della cuoca, Martha, con Marguerite. Era sgattaiolata in cucina quando la bambinaia la credeva a fare un sonnellino, e si era appiattita dietro la porta per sentire quello che stavano dicendo le due domestiche.

    Venne così a sapere che suo padre, che ogni giorno ripeteva alle figlie che maestosa e ineguagliabile donna fosse stata la loro compianta madre, stava cercando in modo molto attivo una nuova moglie. Non perché ne avesse bisogno lui stesso, a quanto pareva – amava ripetere a chiunque che non ci sarebbe mai stata un’altra Mary – ma per crescere le sue bambine.

    «Ha ragione,» sentenziò Martha. «Quelle povere creature hanno proprio bisogno di una madre. Godwin sta facendo del suo meglio, ma non sembra affatto soddisfatto del suo ruolo di padre vedovo. L’ho sentito con le mie orecchie lamentarsi con un amico di quanto sia dura la sua vita, sostenendo che le sue figlie siano la sua morte. Le ha paragonate a due piccole tiranne, che a stento gli permettono di prendere in mano la penna – e non è vero, perché passa metà giornata rinchiuso nel suo studio senza permettere a nessuno di disturbarlo. In ogni caso, sembra che sia intenzionato a trovare una donna cui lasciare l’onere dell’educazione delle due povere piccine, perciò credo proprio che presto ci capiterà tra capo e collo una nuova signora Godwin.»

    «Oh, ma le donne non sembrano entusiaste di cadere tra le braccia di un vedovo di mezz’età, senza il becco di un quattrino e con due bambine di cui occuparsi,» replicò Marguerite ridendo. «Quante gli hanno già detto di no?»

    «Allora, vediamo,» rispose Martha, «la prima se non sbaglio deve essere stata la signora Inchbald, quella con la puzza sotto il naso.»

    «Oh, è stata davvero una cosa irrispettosa,» la interruppe Marguerite. «Conoscevo la signora Wollstonecraft, e so che provava una forte antipatia per quella donna che, poco dopo che la mia padrona si era sposata con Godwin, la accusò di essere immorale e la bandì dalla propria abitazione. Immorale, la mia povera padrona che è stata sempre fedele all’amore. Oh, la signora Inchbald è detestabile

    «Fortuna che non ha accettato la proposta del signor Godwin, allora,» rispose la cuoca allegramente. «Stavamo contando i rifiuti collezionati dal padrone, giusto? Vediamo un po’ chi altro c’è… Harriet Lee, la scrittrice, che conobbe sei mesi dopo la morte della signora Wollstonecraft.»

    «Oh, e poi la signora Reveley, o signora Gisborne, come si chiama adesso. La conosceva da prima di incontrare la signora Wollstonecraft, a quanto pare c’era stato già qualcosa quando la donna era ancora sposata al signor Reveley, anche se, a quello che mi raccontò la mia padrona, all’epoca era stato Godwin a dirle di no, tutto questo prima che lui incontrasse la signora Wollstonecraft. Quando la mia padrona si ammalò fu la signora Reveley ad ospitare me e Fanny e, in seguito, la piccola Mary, e ci tenne presso la sua dimora fino a che la poveretta non morì. Fanny andava tanto d’accordo con quel demonio del suo figlioletto, Henry, mi pare che si chiami. Quando, due anni dopo la morte della signora Wollstonecraft, anche il marito della signora Reveley è morto, il signor Godwin ha pensato di chiedere la mano della sua amica. Sarebbe stata una buona matrigna per le figlie della signora Wollstonecraft, questo è sicuro. Ma lei non era interessata al matrimonio con il padrone, e qualche mese fa è partita per l’Italia con il suo nuovo marito, il signor Gisborne.»

    «E da allora non ha ricevuto nessun altro rifiuto?»

    Marguerite sospirò e rispose, nel suo marcato accento francese:

    «Non che io sappia. Ma non smette mai di guardarsi intorno. Povera Fanny, per lei sarebbe stata davvero una bella cosa se la signora Gisborne avesse accettato la proposta. Confido che dall’alto sua madre guidi bene le scelte del marito.»

    Fanny scivolò via dal suo nascondiglio e si rifugiò nella camera di sua sorella, che giocava per terra con una pallina insieme alla sua bambinaia.

    «Fanny!» la salutò con entusiasmo la bambina correndole intorno.

    Fanny le carezzò la testa. Era confusa. Non desiderava una nuova mamma, e non le faceva piacere pensare che suo padre stesse cercando di sostituire la sua. Le piaceva la sua vita com’era – o meglio, com’era prima che papà partisse per l’Irlanda.

    Prese dallo scaffale un libro per bambini e sedette per terra, imitata da Mary.

    «Sì!» esclamò con soddisfazione la più piccola. «Leggimi una storia!»

    Fanny aprì il libro – era uno dei suoi preferiti, La storia dei passerotti di Sarah Trimmer. Mary era felicissima di ascoltarla leggere ad alta voce. La bambina adorava le storie ed era sempre contenta quando Fanny le leggeva o raccontava qualcosa, e a lei faceva piacere accontentarla. Ma, quel giorno, la maggiore delle sorelle non condivideva l’entusiasmo di Mary. La mente volava alle parole delle domestiche.

    Probabilmente si immaginavano tutto. Forse non c’era neanche niente di vero in quello che avevano detto. Forse, dopotutto, avere un’altra mamma le sarebbe piaciuto – non una che sostituisse la sua, ma che la affiancasse. Insomma, le mamme erano affettuose e tenere, e a lei sarebbe piaciuto essere coccolata. Perché allora avere una matrigna non avrebbe dovuto essere una cosa positiva? Poteva essere piacevole. O spiacevole, se significava dover condividere suo padre con un’altra persona. Già passava così tante ore a studiare o scrivere! Non le sarebbe piaciuto trascorrere ancora meno tempo in sua compagnia.

    Oh, spiare non era stata affatto una buona idea, concluse. Anzi, era stata un’idea terribile. Si stava tormentando per qualcosa che non era accaduto e avrebbe potuto non accadere mai.

    Mary, intanto, ascoltava senza pensieri di come la passerottina Pecksy portasse un ragno per cena alla madre, ricevendo per questo molti elogi.

    «Come sarebbero felici le famiglie se tutti, come te, cara Pecksy, si preoccupassero per il benessere di ciascuno invece di concentrarsi solo sul proprio interesse,» lesse ad alta voce Fanny, mentre Mary la guardava con gli occhi spalancati e la tata iniziava a russare nella sua poltrona. Invidiò la spensieratezza della sua sorellina. Decise che non avrebbe spiato mai più.

    3

    LONDRA, 1801-1802

    I firmly believe there does not exist her equal in the world. I know from experience we were formed to make each other happy. I have not the least expectation that I can now ever know happiness again. ¹

    - William Godwin


    Dopo il ritorno del padre, Fanny cessò di preoccuparsi per la questione della matrigna. Sembrava una cosa lontana e improbabile che alla famiglia fosse aggiunto un nuovo membro, e rapidamente la bambina dimenticò le chiacchiere udite in casa e si concentrò di nuovo sulle proprie attività quotidiane. Leggeva con interesse i testi che le proponeva suo padre, anche se le storie scritte dalla mamma, tratte dal libro Storie vere dalla vita reale, a volte le trasmettevano una leggera sensazione di inquietudine. Non erano storie allegre, gli animali spesso morivano a causa di bambini cattivi che, immancabilmente, la signorina Mason, protagonista dell’opera, rimproverava, ma in ogni caso Fanny si dispiaceva per il destino di quelle creature.

    «Tua madre ha voluto mostrare come nel nostro mondo regni l’ingiustizia,» le spiegò una volta papà, e Fanny accettò la cosa senza porre altre domande. Non le piaceva affatto l’ingiustizia, però.

    Il mondo delle due bambine era felice e rassicurante. Nel corso di una delle immancabili gite al cimitero, che duravano molto a lungo perché entrambe le piccole amavano la tranquillità del luogo e si divertivano a giocare presso il fiume Fleet, che scorreva lì accanto, Mary mostrò a suo padre che sapeva scrivere. Con un legnetto, tracciò sul sentiero sabbioso le lettere che componevano il proprio nome.

    «Guarda, papà,» esclamò soddisfatta mentre tracciava velocemente una M, poi una A, poi una R e infine una Y squadrata.

    «Bravissima,» esclamò con orgoglio suo padre, e anche Fanny fu contenta.

    «Come hai fatto a imparare?» le domandò piena di curiosità.

    «Il mio nome è quello,» rispose orgogliosamente Mary indicando la tomba della mamma. Poi proseguì scrivendo sul terreno WOLLSTONECRAFT GODWIN. Fanny batté le mani e Godwin stabilì che era il momento per la bambina, che all’epoca aveva poco più di tre anni, di iniziare le lezioni di scrittura e lettura. Era molto fiero di lei e della sua precocità: alla sua età Fanny pensava solo a giocare, ma la sua sorellina prometteva di avere un ingegno fuori del comune. Mary era molto contenta di poter leggere da sola le storie che amava, e si impegnò diligentemente per poter capire senza bisogno di aiuto i racconti dei personaggi che tanto la appassionavano.

    Con la sua testolina ricciuta e i modi vivaci, Mary era senza ombra di dubbio la preferita di papà. Fanny a volte non poteva far a meno di sentirsi un po’ gelosa, ma poi si rimproverava ricordandosi che papà l’aveva voluta con sé anche se le zie irlandesi erano disposte a prenderla a casa loro, e aveva detto che lei era sua e di nessun altro. Se Mary riceveva più attenzioni era, ovviamente, solo a causa del fatto che era più piccola, meno responsabile, più birichina. E non era colpa sua se era così carina. Fanny non era molto contenta del proprio aspetto: da neonata aveva avuto il vaiolo, e ancora aveva la pelle del volto segnata dalla malattia. Per il resto i suoi tratti erano gradevoli: gli occhi scuri, i capelli castani, il volto ovale. Mary però era una bambina davvero incantevole, e gli amici di suo padre erano tutti invaghiti della sua simpatia. E della sua bellezza: aveva dei ricci delicati che le incorniciavano il visino e dei grandi occhi nocciola, chiarissimi ma quasi castani intorno all’iride.

    Mary era, dopotutto, irresistibile anche per Fanny, che la adorava. Giocavano spesso insieme e si raccontavano storie, inventavano mondi fantastici e si divertivano a immaginare grandi avventure. La loro vita trascorreva serena, e i piccoli eventi che di tanto in tanto spezzavano la monotonia nelle loro menti assumevano proporzioni gigantesche. Una volta papà le aveva portate in carrozza in un posto chiamato Sadler’s Wells, dove si svolgeva una fiera che entrambe avevano trovato entusiasmante. Per giorni Mary non aveva fatto altro che parlare delle meraviglie che avevano visto: giganti, nani, prestigiatori e giocolieri. Un’altra volta le portò a visitare le grotte di Pope, nella proprietà del poeta a Twickenham. Mary era stata deliziata oltre ogni dire da quel mondo sotterraneo, e in seguito aveva vagheggiato di creature che abitavano nei meandri della terra. Godwin lodava molto la sua ultimogenita per la sua immaginazione.


    Ma la vita delle bambine era destinata a cambiare troppo in fretta. Nella primavera del 1801, quando Fanny aveva sette anni e Mary poco meno di quattro, nella casa vicina a quello dei Godwin si trasferì una nuova famiglia. Leah e Marguerite discutevano allegramente della vita del quartiere, e osservarono con curiosità il nuovo gruppetto che si sarebbe stabilito nella zona.

    «Una vedova, a quanto pare,» spiegò Marguerite a Leah mentre Fanny disegnava seduta al loro fianco. Era molto portata per il disegno, e suo padre la elogiava sempre quando gli mostrava i suoi nuovi lavori. «La signora Clairmont, l’ho vista passare, è una signora con i capelli scuri e i modi decisi. Ha due figli: un maschietto, che deve avere l’età di Fanny, e

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