Il capolavoro
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Anteprima del libro
Il capolavoro - Lucia De Cristofaro
Coelho
Prefazione
Anche in questa nuova opera, come nelle precedenti l’autrice pone l’accento su importanti tematiche sociali, quali l’interculturalità, il terrorismo, l’immigrazione, le nuove povertà, la difesa della vita e il rispetto della persona. Il suo sguardo aperto sul mondo riesce a narrare la Storia e le storie che ci ruotano intorno e in cui inseriamo la nostra avventura umana, unica e irripetibile, con un approccio diretto alle problematiche, per chiunque desideri orientarsi in un momento storico come il nostro dove spesso appare annullato quel comune orizzonte di senso, verso cui dovremmo protendere. Il protagonista, alla ricerca di una storia, si trova immerso in una realtà dove emerge una prospettiva psicologica sociale dai contorni forti, dove i giovani si manifestano in tutta la loro precarietà e fragilità esistenziale. Ecco che il romanzo diventa narrazione antropologica, attento esame generazionale, facendo emergere la parte più nascosta di ognuno dei personaggi, che si muovono in un tessuto sociale complesso, in cui convivono culture e classi differenti e dove il male si annida lì dove non crederesti di trovarlo. Gli individui spesso nascondono il loro vero io
dietro maschere di perbenismo e di potere, e la libertà è da loro intesa come diritto di comportarsi in senso contrario al benessere generale, pensando solo ed unicamente al proprio tornaconto. Questi che si arricchiscono rubando, imbrogliando e calpestando per poter soddisfare le proprie bramosie, per fortuna non sono che la minima parte di un mondo in cui il bene riesce comunque sempre a emergere.
Le scelte che sembrano dettate dalla paura, si rilevano invece frutto di una analisi profonda da parte dell’autrice, che indaga sensazioni e volontà che si interfacciano con un cambiamento a volte necessario. Questo è il messaggio e la speranza intrinseca dell’opera, in quanto solo quando l’individuo avrà una visione completa del mondo nel quale vive potrà sentirsi realmente responsabile in quanto parte di un tutto, dove può affrontare in modo giusto la propria quotidianità esistenziale. Ogni tentativo di dare un significato alla vita, se essa non si basa sul bene comune e se non ha per scopo il rispetto reciproco, diventa vano, e lontano da qualsiasi logica di umano evoluzionismo. Un libro semplicemente meraviglioso che inneggia al bene, come principale ed unica strada fra le tante possibili.
Johan Galtung
Premio Nobel Alternativo per la Pace
uno
Pagina bianca. Sempre la stessa.
La luce del computer illumina la stanza quel tanto che basta. Di solito è questa l’ora in cui le idee mi arrivano più facilmente. Ma non stasera.
Inizio a immaginare la mia mente come una grande stanza vuota, con sulla porta un grande cartello: Chiuso per ferie
; il problema è che ormai queste vacanze
durano da un po’ troppo tempo e non riesco a scrivere nulla, o almeno nulla che valga la pena di essere pubblicato. E sicuramente letto...
Poi c’è quell’altra, il mio editor
... Sono ormai giorni che mi tormenta con le sue telefonate apparentemente gentili e preoccupate per me, per come mi sento, se ho mangiato o meno, ma so bene che l’unica sua preoccupazione è il romanzo, che avevo promesso per settembre e che ancora non c’è.
Comunque sono tranquillo. Più o meno.
Diciamo che non è certo la prima volta che mi capitano momenti del genere, e per non farmi prendere dal panico penso sempre che anche ai grandi della letteratura è spesso successo qualcosa di simile, il famoso blocco dello scrittore
, e sentendomi così un po’ più vicino a loro, ogni volta ne esco meno agitato, e peraltro particolarmente compiaciuto dell’accostamento.
Stavolta però è diverso, davvero non so da dove cominciare, e penso pure che rispetto agli scrittori famosi del passato ho molte meno possibilità di sfogare la mia rabbia in maniera evidente: loro potevano scaraventare per aria calamai o macchine da scrivere, appallottolare fogli e spezzare matite. Oggi il mio massimo gesto di ribellione è cliccare Non salvare
prima di chiudere Word.
Basta, ho deciso, esco.
Camminare un po’ non potrà che farmi bene.
Il mormorio delle persone mi travolge, ed il rumore del traffico finalmente mi trasmette una sensazione positiva, di tensione, di vita vera.
Quella vita che non riesco più a cogliere o, peggio, a scrivere.
Eppure sono certo che tra queste strade, in questi palazzi, tra risate di bimbi che giocano, urla di coppie che litigano, il canto carezzevole di una mamma che addormenta il proprio bambino o quello stonato sotto la doccia, la mia storia è lì che mi aspetta. Forse sarà lei prima o poi a trovarmi, e probabilmente molto prima che mi accorga che è proprio lì, davanti a me.
Seduto vicino alla finestra del ristorante in fondo alla strada, mi faccio assorbire dagli odori che escono dalla cucina, e soprattutto dal basilico fresco, cosa rara qui da noi. È davvero difficile riuscire a trovare in città un posto che conservi ancora scritte in italiano corretto - e non spagetti con bolognaise o pizza salami - ma Umberto, il proprietario di Pizzeria La Fiorita, italiano lo è per davvero, e peraltro guarda al cambiamento e a tutte le contaminazioni culinarie moderne come a qualcosa che non appartiene né a lui né al suo locale.
Forse è per questo che amo venire dal napoletano, come ama farsi chiamare orgogliosamente. Me ne sto qui, coi miei pensieri, vestito come capita, al mio solito tavolo. Dall’altra parte del vetro la vita che scorre, sempre e comunque, indipendentemente da qualsiasi volontà e sicuramente dalla mia.
Allungo la mano e raccolgo il menù che Maria mi ha appoggiato sul tavolo salutandomi cordialmente. Ormai mi conosce bene e ha anche imparato i miei gusti... Mi consiglia il piatto del giorno... un manicaretto che deve proprio assaggiare!
, dice entusiasta mentre fingo di leggere per decidere, ma più che altro prendo tempo. Sono abituato a mangiare italiano, però ogni volta è sempre un’esperienza unica e davvero particolare.
Saluto Umberto un po’ prima del solito, sento il bisogno di uscire tra la gente. Sarà forse anche merito di quel mezzo litro di Aglianico, ma appena lascio il ristorante mi sento rinato, forte, gagliardo, impavido. Percorro la strada davanti a me senza badare a tutti i ragazzi già in giro per locali, a passo svelto e deciso. Nella mia mente un unico pensiero: trovare qualcosa da raccontare.
Quando capisco che in realtà non so minimamente dove sto andando - ed inizio anche a non riconoscere bene dove sono rispetto a casa mia - mi siedo su una panchina lungo la strada ed estraggo dalla tasca le sigarette come se fossi sceso per non fare altro che quello. Me ne accendo una con calma, come fosse un rito propiziatorio, assaporandola tutta intensamente e cercando in essa stessa qualcosa. Da diversi giorni non so perché ma si è impossessata di me la folle idea che dal fumo possa arrivare una qualche forma di ispirazione. Di fatto, per ora sono arrivati solo tosse e affanno. Ho ricominciato a fumare da alcuni mesi, ma lo faccio di nascosto; Leila, mia moglie, è una salutista convinta e non me lo permetterebbe neanche in punto di morte. Nella mia condizione, però, non riesco proprio a farne a meno...
La tasca del cappotto vibra e mi distrae.
Almeno posso dare la colpa a qualcuno della mancata illuminazione e continuare a credere nelle capacità rivelatorie della nicotina. Vediamo chi è che rompe...
Estraggo dalla tasca il telefono, è il Direttore Editoriale.
E no... Oggi anche questa...
. Stavolta si è preso la briga di chiamarmi il capo dei capi, che tra l’altro è anche uno dei guru dell’editoria nazionale... In effetti un po’ mi fa piacere, ma non è il momento di lusingarsi... Devo rispondere, se non lo faccio sarà anche peggio... Opto per lo stile The Wolf of Wall Street: parto deciso e vediamo cosa viene.
- Pronto!
- Ciao Andreas come stai?
- Benissimo! Oggi poi mi sento davvero in forma…
- Nessuno sa nulla del tuo romanzo, mi hanno detto che non ci hai mandato nemmeno una pagina. Lo sai che abbiamo preparato tutto per presentarlo al prossimo Book Fair in anteprima mondiale, vero?
- Certo, lo so, Karina mi ha informato di ogni dettaglio.
- E dimmi, a che punto sei?
- Beh, direi che ho quasi finito. Proprio in questo momento sono qui al computer a lavorarci.
- Strano, abbiamo provato a chiamarti a casa ma non hai risposto…
- No, l’ho staccato, quando scrivo mi disturba…
- Va bene, ho recepito il messaggio, ti lascio lavorare. Solo per regolarci con i tempi, però, riesci a mandarci il manoscritto completo per fine mese?
- Ci puoi contare, nessun problema!
Mi sono decisamente fatto prendere la mano, sembravo Bradley Cooper in quel film dove ruba il manoscritto a quel vecchio francese. Che poi come idea…
Ad ogni modo ora il panico è totale. Sono sempre più angosciato, solo, senza idee e con una bugia in più sulla coscienza.
Eppure quando scegliemmo di vivere a Frederiksberg pensai da subito che i suoi caffè alla moda, i suoi ristoranti rinomati e tutte le vetrine dei marchi più lussuosi di cui Leila andava matta, avrebbero suscitato in me un’eccitazione sempre nuova, con la voglia di raccontare quella vita e quelle persone sempre diverse. Invece nemmeno Frederiksberg Have, il parco reale, pieno a qualsiasi ora di gente intenta a correre o semplicemente a passeggiare e chiacchierare, riusciva a suscitarmi particolari emozioni. È strano come ci si possa sentire soli in mezzo ad una vera e propria folla perenne.
Ho deciso… torno a casa.
Nell’alzarmi dalla panchina, voltandomi per prendere la via del ritorno, eccomi di fronte al mio destino.
Mi guarda da una vetrina luccicante. Al centro, una mia foto troneggia sui libri, mentre una scritta posta a lato cita una recensione alla mia prima opera: Una storia travolgente che appassiona e commuove, con momenti sublimi di scrittura.
Scrissi La fuga poco dopo la morte di mio padre, e divenne inspiegabilmente un successo planetario ancor prima che me ne rendessi davvero conto. Da un giorno all’altro la fama mi aveva travolto, e solo da poco ho imparato a gestire al meglio le persone che mi fermano per strada e cose del genere.
Alla pubblicazione del libro tutti erano rimasti meravigliati dal fatto che un insignificante correttore di bozze come me avesse potuto scrivere una storia così incredibile e stupefacente
, e devo confessare che anch’io a volte mi ero meravigliato di quelle pagine, di quelle parole che si fondevano nella mia mente come un fiume in piena e che non riuscivo a smettere di scrivere.
Avevo trovato nella soffitta della vecchia casa dei miei genitori una scatola di latta con dentro un diario, in cui mio padre raccontava la sua storia di ebreo catturato durante un rastrellamento, della deportazione in uno dei campi di concentramento, dei tragici anni della Shoah e infine di quelli passati da fuggiasco. Aveva attraversato a piedi tutta l’Europa, nascondendosi e scavando tra i rifiuti per nutrirsi, ripensando sempre a quella fuga incredibilmente andata a buon fine. Leggendo quelle storie, come omaggio a mio padre avevo iniziato a scrivere i primi capitoli di un libro, che non pensavo certo di pubblicare. Dopo aver scritto un po’ di pagine, Leila, all’epoca solo una cara amica, mi aveva suggerito di farli leggere all’editore per il quale lavoravo. Come se fosse semplice!
- ricordo che d’istinto le risposi.