Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

The hoax
The hoax
The hoax
E-book455 pagine6 ore

The hoax

Valutazione: 3.5 su 5 stelle

3.5/5

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook


Best seller in Inghilterra, l’esilarante storia di Clifford Irving e della truffa relativa al plurimiliardario Howard Hughes, da cui è stato tratto l’omonimo film con Richard Gere.

“Una storia che si legge come un thriller e contiene spunti per innumerevoli copioni cinematografici. Incontri misteriosi, passaporti falsi, una splendida baronessa danese, conti correnti svizzeri… Alferd Hitchcock saprebbe maneggiare il tutto in modo esemplare.”
THE TATLER“Merita di vendere un milione di copie, perché racconta quanto di più bizzarro sia mai stato scritto, trasportando il lettore in una lettura mozzafiato dalla prima all’ultima pagina. Nessuno può dubitare delle straordinarie capacità di Irving come scrittore.”
THE LONDON EXPRESS“Affascinante” TIME; “Brillante” NEWSDAY; “Un capolavoro” CBS-RADIO; “Incantevole” PUBLISHER WEEKLY; “Sensazionale” NEW YORK DAILY NEWS.Clifford Irving nasce nel 1930 negli Stati Uniti.
Autore di numerosi libri di discreto successo, sale alla ribalta mondiale proprio grazie all’auto-biografia di Howard Hughes da lui redatta e mai pubblicata.
LinguaItaliano
Data di uscita17 dic 2015
ISBN9788865962305
The hoax
Autore

Clifford Irving

Clifford Michael Irving was a novelist and investigative reporter

Autori correlati

Correlato a The hoax

Ebook correlati

Criminali e fuorilegge per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su The hoax

Valutazione: 3.56666664 su 5 stelle
3.5/5

15 valutazioni2 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

  • Valutazione: 3 su 5 stelle
    3/5
    Interesting but the hoax is dated for anyone under 40. Can't imagine the movie being a success because the mystery of Howard Hughes has not survived over the years. The author is rich and unsympathetic. His naive wife unfairly received a greater punishment for her part in the affair.
  • Valutazione: 5 su 5 stelle
    5/5
    In one of the most bizarre publishing schemes ever, an author convinced a publisher that the rich recluse Howard Hughes had designated him his agent to negotiate the publication of his autobiography. Over the next few months, the author produced signed documents from Hughes and secured a contract and a large advance. The problem was that Clifford Irving, the author turned purported agent, had never met Howard Hughes.Irving delivered a manuscript that he himself had written. From material about Hughes that Irving was able to gather, much of it public but obscure, other from private sources, Irving wrote the so-called autobiography and pocketed the publisher's money. In the end, as is widely known, Irving was caught and found guilty of fraud.After serving his prison sentence, Irving published his first person account surrounding the fake Hughes' autobiography, "The Hoax." In it, he describes the audacious, and frequently preposterous, story of deluding the publisher, crafting the book, and pocketing the money.The book is extremely entertaining. Irving's chutzpah is at once endearing and terrifying. His accomplices, his co-author/researcher Richard Suskind and his wife (now ex-wife) Edith, seem drawn in to the plot by Irving's charm and determination as much as by their own greed.It should be noted that I question the veracity of Irving's account. Frequently, it struck me as implicitly self-serving, glossing over some rough edges. I also thought that it was designed to cover whatever roles other people had in the hoax, relocating most of the blame on Irving's own shoulders. Irving claims he is telling the truth; I believe that the title, "The Hoax," is likely applicable to both the Hughes' autobiography and this book.This opinion in no way diminished my enjoyment in reading the account. Irving is clearly a talented author, with a knack for developing characters and constructing a gripping and dramatic narrative. After reading this book, I really wanted to read Irving's manuscript "The Autobiography of Howard Hughes"; I'm sure it's a gripping page-turner as well. Like "The Hoax," I wouldn't believe most of it, but I'd enjoy it.

Anteprima del libro

The hoax - Clifford Irving

Edizioni Clandestine

impag.oaxh

UUID: f846f6c2-8e7f-11e8-b316-17532927e555

Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

http://write.streetlib.com

Indice dei contenuti

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 1

Edizioni Clandestine

www.edizioniclandestine.com

e-mail: info@edizioniclandestine.com

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 2

Progetto di copertina: Edizioni Clandestine.

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 3

The Hoax

(L’imbroglio)

Clifford Irving

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 4

© Ed. Clandestine, 2008

Ed. Clandestine, Marina di Massa (Ms) - 2008

Stampa: Tipografia Bertelli (Scandicci - Fi)

ISBN: 978-88-95720-10-4

Lingua originale inglese, titolo originale: The Hoax.

Traduzione di Viviana Cerqua.

Copyright © Clifford Irving

Pubblicato in Gran Bretagna nel 1977 dalla Allison & Busby Ltd. con il titolo Project Octavio. Prima riedizione negli Stati Uniti 1981 da Permanent Press, Sagaponack New York.

E’ una storia vera.

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 5

Nota dell’autore

Molto è stato scritto in merito alla truffa di Hughes, comprese alcune verità desunte da documenti e sentenze. Per lo più, si tratta però di posizioni prettamente difensive e mon-tature da gossip che hanno conferito all’intera vicenda l’i-nattendibilità di una favola. Ma, chiese un critico, nella sua analisi di Hoax – un compendio lungo quanto un libro, composto da ritagli di giornali, citazioni errate e confuse fantasie giornalistiche – seppur il libro progettato dallo stesso Clifford Irving racconti la storia nei dettagli – chi mai potrebbe credergli?

La risposta a questa domanda è semplice quanto doloro-sa. Mia moglie Edith, Richard Suskind ed io abbiamo fornito prove dei fatti davanti al Gran Giurì Federale e a quello dello Stato di New York. Un’indagine su vasta scala è stata condotta, accogliendo anche le deposizioni giurate di altri testimoni, fino a quel momento sconosciute, per accertare che quanto testimoniavamo corrispondesse a verità - tutta la verità e nient’altro che la verità. Robert Morvillo, capo del Dipartimento Criminale dell’ufficio del Procuratore degli Stati Uniti del distretto meridionale di New York, mi spiegò

– senza tanti preamboli – che se i fatti contenuti in questo testo si fossero rivelati in disaccordo con quanto deposto di fronte alla pubblica accusa e alle corti, io e Richard Suskind saremmo stati perseguiti per falsa testimonianza, rischian-do una condanna fino a cinque anni di reclusione. Malgrado le caratteristiche kafkiane dei nostri mesi passati, ci ritenevamo ancora sufficientemente sani di mente da non mettere nuovamente a repentaglio la nostra libertà.

Dunque, questa pubblicazione contiene la verità - per quanto bizzarra possa apparire e per quanto possa provar-ne vergogna o rammarico, soprattutto a causa delle conse-5

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 6

guenti difficoltà affrontate da Edith e dai miei figli. E’ il frutto di uno sforzo comune, mio e di Richard Suskind, così come lo era l’Autobiografia di Howard Hughes. Perfino mia moglie ha apportato il suo contributo nella parte relativa ai viaggi a Zurigo.

Sebbene sia stato sempre definito ed etichettato dalla stampa come il ‘ricercatore di Irving’, Dick Suskind rappresenta molto di più. Questo libro reca il mio nome come autore, ma molti passaggi li ha scritti lui, seppure dalla mia prospettiva. Condivisa la responsabilità dello scherzo, siamo pronti a spartire il merito, o l’assenza di esso, di questa rivelazione finale.

Lo dedichiamo ai molti amici a cui, nel corso della vicenda, abbiamo mentito e che, realizzato l’imbroglio, ci hanno offerto la loro incondizionata solidarietà. Non occorre no-minarli, loro sanno a chi mi riferisco.

Clifford Irving

East Hampton, New York

6

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 7

Prima Parte

Solo dopo aver compiuto un’azione, se ne può analizzare il mo-vente. I suoi effetti generano non solo la ricerca della causa in sé, ma della sua verità. Eppure, vi devo avvertire che tentare di stabilire la relazione tra impulso ed azione, causa e risultato è tra le maggiori perdite di tempo mai escogitate dall’uomo. Sapete perché avete preso a calci il gatto stamattina? O perché avete donato soldi a quel mendicante? Perché vi siete diretti a Gerusalemme e non a Gomorra?

Jean le Malchanceux

1. Genesi a Palma

Il Juan March era al largo della banchina nel porto di Palma. Avevo bisogno di un caffè. Sebbene fossero già passate le otto, in quella gelida mattina di dicembre, il sole stava ancora sorgendo e un vento pungente soffiava dalle montagne che delimitavano la costa settentrionale di Mallorca.

Tremante, alzai il bavero del cappotto avvicinandomi alla folla che sostava impaziente al parapetto.

Individuai immediatamente Dick Suskind. La sua enorme sagoma in attesa, le mani premute nelle tasche, era inconfondibile. Calata la passerella, dopo pochi minuti, ci stringemmo le mani sorridendo.

Prendiamo un caffè qui suggerì Dick, e diamo il tempo a Ginette di mandare Raphael a scuola. Dopo potrà pre-pararti una vera colazione.

Sorseggiammo i cafés con leche al banco dentro la stazione.

Accanto a noi, alcuni scaricatori di porto addentavano grossi panini con la sobreasada, accompagnandoli con bicchieri di vino rosso.

7

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 8

Il giorno precedente, avevo avvertito Dick telefonicamente da Barcellona per informarlo che, morta la madre di Edith dieci giorni prima, noi e i nostri figli, Nedsky e Barney, eravamo volati in Germania per il funerale e la lettura del testamento. Ricevuta in eredità una Mercedes Berlina vecchia di un anno, al ritorno avevo lasciato la famiglia a Barcellona, dove avrebbe preso il primo volo per Ibiza e mi ero imbarcato con l’auto sul traghetto. Benché consapevole di quanto una tale vettura sarebbe sembrata inadeguata alle strade polverose dell’isola, il cui mezzo ideale risultava essere la jeep, non ero comunque disposto a privarmi di quel lascito.

Considerando che il Juan March non avrebbe proseguito la traversata per Ibiza fino alle undici, intendevo approfittar-ne per scambiare quattro chiacchere con Dick - ci vedevamo raramente da quando si era trasferito a Mallorca, quattro anni prima. Pubblicati diversi libri storici, adesso era impegnato nella biografia per ragazzi di Riccardo Cuor di Leone, ma si trovava di fronte ad un ostacolo: la dilagante omoses-sualità del personaggio.

"Come diavolo fai ad aggirare un problema del genere?

Non posso parlare di sodomia o simili - il mio editore di-venterebbe viola."

L’edizione stava richiedendo parecchio tempo e Dick confessò di essere in difficoltà: "Sono indebitato fino al collo con il droghiere, la padrona di casa, la scuola di Raphael.

Ma parlami di te? Come sta Edith? E la questione danese?"

Elusi quest’ultima domanda.

Non mi posso lamentare, dissi.

Ero a due terzi del mio nuovo romanzo e avevo stipulato, con la McGraw-Hill, un contratto per quattro libri, che prevedeva, tra l’altro, un anticipo totale di circa 150.000 dollari. Sapevo che, prima di proseguire per Ibiza, avrei dovuto offrire dei soldi a Dick. Non che questo costituisse un pro-8

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 9

blema, già altre volte, in passato, eravamo ricorsi a reciproci prestiti, tra l’altro sempre restituiti.

Non è una Mercedes, affermò Dick allegramente, aprendo lo sportello di un’ammaccata Simca grigia, ma mi porta a destinazione – il più delle volte.

Ci avviammo lungo la strada costiera, verso la periferia di Palma, dov’era collocata la sua abitazione. Dalla mia ultima visita, erano stati costruiti molteplici alberghi e palazzine.

Non potei fare a meno di comparare quel paesaggio cemen-tificato ai miei ricordi del 1957, quando io e Dick facemmo amicizia giocando a dama in un caffè di Ibiza: qualche hotel sparso qua e là, una dozzina di vecchi taxi e distese di spiagge deserte e incontaminate, in cui raramente si indossava il costume.

Estratto lo spiegazzato Newsweek dalla tasca del cappotto, lo aprii all’articolo su Howard Hughes – " Il caso del miliardario invisibile - Hai visto?"

Hughes era appena scappato dalla proprietà di Las Vegas alla volta di Paradise Island nelle Bahamas. A quanto pareva il suo Impero nel Nevada era prossimo al crollo. Dopo un rapido sguardo, Dick tornò a guardare la strada.

"Ma che problema ha quel tizio? Ho letto la stessa storia sul Time di questa settimana. Da quelle parole, emerge tutta la decadenza e la follia dell’America. Ecco perché non potrei tornare a viverci neanche per scommessa. La popolazione del Biafra e del Pakistan muore di fame, io stesso sono sull’orlo della miseria, ma se un vecchio coglione con due miliardi di dollari vola in vacanza alle Bahamas, la stampa si eccita. Che diavolo ha fatto Howard Hughes, a parte scoprire le tette di Jane Russell e costruire quella ridicola nave volante?"

"Non si tratta di cosa abbia fatto, ma di come lo abbia realizzato. Rappresenta il ranger solitario dei grandi affari.

Praticamente è un’eremita. Sai che non viene intervistato da 9

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 10

quindici anni? Perfino le persone che lavorano per lui non lo hanno mai incontrato."

Non mi sorprenderei se fosse morto e si trattasse di una messinscena da parte dei più intimi collaboratori, per sot-trargli il capitale.

Dick scoppiò in una sonora risata: Perché non sono nato Mormone?

Convertiti, suggerii. Non è mai troppo tardi – ma prima ascolta, mi è venuta un’idea pazzesca.

L’ultima non era quella di cavalcare un elefante dall’India a Ibiza ottenendo il finanziamento della NBC in cambio dell’esclusiva delle riprese? E in passato non intendevi forse salpare per Odessa su quel colabrodo che ti ostini a chiamare yacht? Allora, qual’è l’ultimo frutto del tuo ingegno?

Guarda, intendo parlarne con te perché so che hai le idee chiare e sei una persona estremamente cinica.

Dick sogghignò, accettando il complimento.

Se pensi che abbia perso la testa, dimmelo.

Questo è accaduto tanto tempo fa, quando hai ricomin-ciato a frequentare la danese. Comunque, aggiornami.

Beh, Hughes esercita un certo fascino su di me. Estremamente riservato, non permette a nessuno di avvicinarlo e non esistono biografie su di lui. Supponi che io vada dal mio editore, la McGraw-Hill, e lo convinca a collaborare ad un progetto in base al quale io fingerei di aver incontrato Hughes e di averlo convinto a permettermi di scrivere la sua biografia. Capisci, autorizzata da Lui in Persona.

Il libro si baserebbe su interviste registrate - spiegai - come il precedente Fake! , costruito sulle conversazioni con Elmyr De Hory, famoso falsario di dipinti, solo che in questo caso sarebbe tutto fasullo. Un imbroglio, una truffa letteraria, ordita dall’autore in collaborazione con l’editore."

Dick mi fissava sbalordito: E tu pensi che la McGraw-Hill appoggerebbe una cosa del genere?

10

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 11

Vale la pena provare. Sono sempre in cerca di un best-seller. Hughes, probabilmente, non sarebbe in grado di sma-scherarci e se anche lo fosse sono certo non si prenderebbe un tale disturbo. L’appoggio di un editore è necessario, perché occorre un incredibile lavoro di ricerca. Dovrà essere un’autobiografia esauriente, ricca di citazioni. Scommetto che pagherebbero almeno 100.000 bigliettoni per un libro del genere – e noi ne abbiamo dannatamente bisogno! Dovremo viaggiare per gli States in lungo e in largo, scavare tra gli archivi di tutti i posti in cui ha vissuto Hughes, inter-vistare centinaia di persone che lo hanno conosciuto…

"Aspetta un attimo. Noi? "

Non sono un ricercatore. E poi, è un lavoro imponente per un uomo solo.

Senti, proferì Dick, "piuttosto cavalcherei un elefante.

La McGraw-Hill oltre ad essere un colosso editoriale è il gruppo più conservatore di New York. Non avvalleranno mai un’idea così assurda. Offrire 100.000 dollari per un imbroglio? Proponiglielo soltanto e vedrai le conseguenze. Ma non coinvolgere me."

Dick arrestò l’auto lungo una stradina sporca e senza uscita, indicata come Calle Gamundi. Al cancello, un barbonci-no ci regalò un chiassoso benvenuto guidandoci per il sentiero acciottolato.

In effetti hai perso la testa, concluse Dick. "Ma non preoccuparti, la masturbazione mentale è una malattia tipica della professione. Piuttosto comune tra gli scrittori. Dedi-cati al tuo romanzo ed io porterò a termine Riccardo Cuor di Leone, uno studio sulla pederastia reale nel Medioevo."

Sua moglie, una francese dai capelli rosso scuro sciolti sulle spalle, mi salutò con un bacio sulla guancia. Pancetta e frittelle sfrigolavano in due padelle. Seduti nel suo studio, intendevo proseguire il discorso, ma Dick cambiò argomento. Voleva avere informazioni sulla situazione degli alloggi 11

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 12

a Ibiza. A lui e Ginette mancavano i vecchi amici e la vita a Mallorca, oltre che monotona, sembrava troppo costosa.

Dai un’occhiata in giro per noi, mi disse. Qualcosa di grande, ma economico. E teniamoci in contatto. Ultimamente mi sento solo, annoiato. Forse perché sono un uomo di mezza età.

Succede anche a me. È una strana sensazione.

I primi quarant’anni della nostra vita forniscono il testo… i seguenti il commento..., aggiunse Dick, citando Schopenhauer.

Non sono ancora pronto a cessare di aggiungere il contenuto.

Avvilito, promisi che mi sarei impegnato a cercare loro una casa poi, terminata la colazione, ci dirigemmo nuovamente al porto. Durante il tragitto, gli allungai 10.000 pese-tas, circa 150 dollari, rassicurandolo del fatto che non avevo fretta di riaverli.

Poi tentai ancora: Senti, per quella cosa su Hughes, metti che …

Vai a Odessa, disse Dick.

No, ascolta. Probabilmente hai ragione tu, nessun editore accetterebbe di sovvenzionare un imbroglio. Ma supponi che non lo sapesse, che dicessi alla McGraw-Hill di essere davvero in contatto con Hughes. Non chiedermi come, ma immagina di riuscire a convincerli che si tratta di interviste reali. Ammetti perfino che io possa preparare un contratto privato fasullo tra me e Hughes, in cui gli si proibisca di contattare l’editore. Pensa alla grandiosità di quel libro, al personaggio straordinario cui si darebbe vita, usando fatti noti che lo riguardano e inventando il resto. Si tratta solo di falsificare le interviste e fare delle ricerche. E l’editore non verrebbe mai a saperlo.

Dopo avermi ascoltato attentamente, Dick assentì som-messo: Ora sì, che l’idea merita!

12

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 13

"Offrirebbero di certo l’anticipo per le ricerche e poi…

forse… una volta finito il libro, potrei dirgli che è un falso.

Oppure no. Chissa? In entrambi i casi, terrei da parte una quota dell’anticipo per la penale. E il libro sarebbe straordinario. Finirò il romanzo per aprile o maggio… potrei cominciare subito dopo."

Gesù Cristo, mormorò Dick.

Pensando ad alta voce, ero riuscito a convincerlo. Si gettò con tale veemenza sul cambio da rischiare di spezzarlo:

Potrebbe funzionare…

La Simca uscì di strada arrestandosi bruscamente in mezzo ai cactus.

E’ un’idea fantastica! Lo sai, si potrebbe davvero realiz-zarla! Noi potremmo…

" Noi? "

Mi hai chiesto di aiutarti o no?

Portami a quel maledetto traghetto. Ho una moglie e due bambini che mi aspettano. Pensaci su qualche giorno.

Quando arrivammo al molo, i marineros stavano già sle-gando la corda della passerella. Presi ad armeggiare cercando il biglietto del traghetto poi, nel salire a bordo, mi rivolsi ancora a Dick, esortandolo a non perderci il sonno. Rimaneva un’idea delirante, una masturbazione mentale come lui stesso l’aveva definita. Occorreva pensarci bene prima di intraprendere una strada senza dubbio irta di infiniti osta-coli.

2 Moglie e amante

La città vecchia di Ibiza, una piramide di cubi bianchi so-vrastati dalla torre della cattedrale, si stagliava drammatica-mente contro il blu scuro del Mediterraneo. La baia scintillava sotto la luce nitida del sole invernale. Scrutai la banchi-13

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 14

na in cerca di Edith, che avrebbe dovuto trovarsi lì con i bambini, ma di loro non vi era traccia. Un’ora più tardi, sbarcata la Mercedes, ancora non accennavano a comparire.

Angosciato, mi diressi a casa, abbandonando San Josè per immergermi nella campagna. Solitamente Edith manteneva le promesse.

Ad alcuni chilometri dalla città, la finca, una vecchia casa colonica di quindici stanze, attorniata da buganville e tenuta insieme da trecento anni di imbiancature, si stendeva ir-regolarmente su oltre un acro di terreni rocciosi e giardini.

Come sempre, la scimmietta Eugen, vinta ad una partita a poker nel lontano 1966 e regalata ad Edith per il compleanno, avvertì immediatamente il sopraggiungere della macchina sul vialetto. Ne udii gli schiamazzi prima ancora di scendere dall’auto, con la valigia in mano ed il cestino ibi-zenco di paglia appeso alla spalla. Allertato dal frastuono, Nedsky corse fuori, i capelli biondi arruffati, gridando: Pa-pà! Papà!

Lasciai cadere una valigia e lo sollevai. Barney era sicuramente dai vicini a infastidire le galline di Antonia, divenuta ormai nonna onoraria oltre che giardiniera di fiducia.

Dov’è mamma? chiesi.

All’interno, stipato di antichi mobili francesi, libri e quadri, la vidi, il volto imbronciato.

Cosa diavolo è successo? Crollai in una poltrona imbottita, Nedsky sulle mie ginocchia.

"Ti aspettavo al traghetto. Mi sono spaventato a morte.

Ho pensato ti fosse accaduto un qualche incidente. Tornato è il marinaio, tornato è dal mare 1. Perché questa fredda accoglienza?"

Per questo, disse Edith, gettandomi una lettera.

1 Si tratta dei due celebri versi dell’elegia Requiem di Stevenson. Rientrato il marinaio, rientrato dal mare/ e rientrato dal monte il cacciatore.

14

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 15

Nell’accorgermi che aveva pianto, la mia collera svanì.

Sapevo di cosa si trattava ancora prima di leggerne il contenuto.

Stamattina sono uscita a ritirare la posta.

E chi ti ha detto di aprirla?

"Non conosco la sua calligrafia, ma ho bastata un’occhiata per capire che veniva da lei."

" Mi è bastata," la corressi istintivamente. Nata in Germania e cresciuta in Svizzera, la sua grammatica rimaneva alquanto approssimativa, aspetto per me accattivante. La busta, priva di mittente, portava il timbro postale di Londra. Il biglietto, scritto frettolosamente, non era firmato. Lo scorsi:

Tesoro, qualcuno mi ha riferito che sei stato a Londra il mese passato. Bastardo! Ammetto che eravamo d’accordo di non vederci più. Ma almeno avresti potuto chiamarmi. Verrò a Ibiza in Gennaio. Pensi che, se facessi un salto al tuo studio, potresti dedicarmi un minuto?

Quella troia, si infuriò Edith. Sorrideva così dolcemente, mentre mi giurava – solo l’estate scorsa! – che non ti amava. Tu mi hai assicurato trattarsi di un rapporto plato-nico o stronzate del genere. E lei che fa? Cerca ancora di ru-barmi il marito! Se la vedo per le strade di Ibiza, dichiarò solennemente, con le lacrime agli occhi, le taglio la faccia con un rasoio. Se si avvicina al tuo studio, l’ammazzo!

Persuasi Nedsky a uscire dalla stanza in cerca di Barney, Antonia e Rafaela, la domestica. Poi mi rivolsi nuovamente a Edith, seduta sul divano con la testa tra le mani.

Tesoro, io non l’ho incontrata a Londra. Neppure ho cercato di farlo. Questo è quanto importa, no?

Non potevi. Eri con me. Se fossi stato solo l’avresti chiamata.

Mai, mentii. "È finita. Eravamo d’accordo. Non l’ho più vista dall’estate scorsa e tu lo sai. E quella lettera non dice 15

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 16

alcunché. Per l’amor di Dio, leggila! Tutto ciò che chiede è se può fare un salto in studio a salutarmi."

Per circa un’ora, la discussione proseguì tra dolorose rie-vocazioni del passato, accuse e foschi presagi. Lei era la moglie ferita. Io, l’uomo che, pur conoscendo la verità, non osava rivelarla. Del resto Edith si rappresentava ancora la vita come una sorta di favola, in cui principe azzurro e con-sorte vivono per sempre felici e contenti in un castello, al sicuro dai draghi. Quando affermai: È una lettera assolutamente innocente e se l’avessi letta senza pregiudizi, te ne saresti accorta, percepii la sua rabbia montare, prossima all’esplosione: "Vuoi dire che chiamarti tesoro è del tutto innocente? Pensi che sia stupida? So benissimo che lei è una delle puttane con cui vai a letto perché annoiato da moglie, bambini e lavoro!"

Dentro di me non potei che trasalire. Quelle parole non erano andate poi così lontane dalla realtà. In un ultimo mo-to di collera, Edith scaraventò ai miei piedi un vaso colmo di gerani. I vetri volarono dappertutto, l’acqua mi inzuppò calzoni e camicia e alcuni fiori ricaddero sulla mia testa. At-tonito, incapace di parlare, mi limitai a verificare di non averme schegge conficcate nella carne. Mi accorsi di quanto ridicolo dovessi apparire in quel momento, quando vidi Edith sforzarsi di rimanere seria, sentenziando senza convinzione: Cretino!

Infine, come già accaduto in passato, scoppiammo a ridere, mettendo da parte i recenti rancori. Più tardi mi diressi al mio studio. Era per me un vero e proprio rifugio, colloca-to a quasi dieci chilometri da casa, al di là delle mura roma-ne della città vecchia di Ibiza. Appollaiato su una roccia protesa sul mare, lo si poteva raggiungere solo percorrendo una stradina impervia. Perfino con Edith avevo concordato che poteva venire solo su invito. Attraverso la porta a vetri, il sole inondava la stanza rendendo inutile l’accensione 16

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 17

della stufa a gas. Mi sedetti alla scrivania e dimenticata la stesura del mio romanzo, rimasi a lungo a fissare il mare.

Se un progetto avesse guidato gli ultimi sette anni della mia vita, si sarebbe basato principalmente su quattro ele-menti: Ibiza, il mio lavoro, Edith Sommer e Nina van Pallandt.

Ibiza significava casa. Vi arrivai la prima volta nel 1953, deciso a rimanervi per una stagione. Economica, antica, eso-tica e bella, rappresentava quanto l’Europa poteva offrire ad un giovane americano che sognava di diventare scrittore. Da allora tornai spesso in quella che gli spagnoli chiama-vano la isla blanca – l’isola bianca. In pochi anni, vi scrissi quattro romanzi e un libro su Elmyr de Hory, il famoso falsario di quadri divenuto, poi, mio vicino. Per uno scrittore, il posto dove riesce a lavorare bene coincide spesso con quello che finisce per chiamare casa. Senza contare che sull’isola avevo buoni amici, una barca a vela e una vita agia-ta. Infine vi erano accadute le cose più importanti della vita.

La mia seconda moglie, Claire, che morì – all’ottavo mese di gravidanza - in un tragico incidente stradale in California, mi era stata presentata proprio a Ibiza. In seguito, nel 1960, mentre passeggiavo lungo il porto, conobbi Fay, ragazza di una bellezza fragile, i cui capelli rossi scintillavano come sangue caldo al sole. Girammo il mondo, ci sposammo e, dopo la nascita di nostro figlio, divorziammo – sintesi forse un po’ meschina di quei cinque anni, ma tali eventi non sono rilevanti in questa storia.

Ancora a Ibiza – prima del divorzio avvenuto nella primavera del 1964 – incontrai la danese Nina van Pallandt. Era sposata con Frederick van Pallandt, un barone olandese di bella presenza, che amava darsi arie da intellettuale e da gu-ru sufista. Conosciuto Frederick qualche mese prima, era stata sufficiente una conversazione di quindici minuti, per provare una sensazione di déja entendu; i suoi discorsi mi 17

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 18

ricordavano infatti gli ingenui dibattiti a cui ci abbandona-vamo durante il corso di filosofia, nel mio secondo anno alla Cornell. Lui e Nina vivevano esibendosi in canzoni folk e avevano un forte seguito nelle Midlands inglesi. In pubblico apparivano una coppia perfetta: nobili, belli, talentuosi e con due splendidi bambini biondi; sembravano davvero innamorati. In privato erano invece infelici – Tu e i bambini, le disse lui una volta, siete il peso che non mi permette di diventare l’uomo che avrei bisogno di essere – eppure, continuarono a soprassedere per il bene dei figli e della carriera.

Tale finzione svanì quando io e Nina ci incontrammo. Frederick aveva comprato uno yacht con cui intendeva naviga-re da Ibiza all’Inghilterra, dove stavano allestendo una ca-sa per le vacanze estive. Io, Nina e altri due amici parteci-pammo ad una spedizione che ricercava cimeli fenici nella costa settentrionale dell’isola. Risalita faticosamente la pare-te di una montagna, sotto il caldo sole primaverile, scavam-mo per ore, a mani nude, all’ombra di una caverna. Come ricompensa, trovammo qualche frammento di vaso e la testa crepata della dea Tannit: se questa avesse davvero lanciato una maledizione sui saccheggiatori della sua tomba, noi avremmo potuto essere annoverati tra le vittime. Neppure ricordo le parole che ci scambiammo in quei momenti. Quando ci si innamora, esse perdono di importanza, altre sono le voci che parlano. Restammo insieme per tre settimane, poi, all’improvviso, Frederick tornò. Patito il mal di ma-re nella Manica, era sbarcato in Francia, affidando lo yacht all’equipaggio per il resto della traversata.

Non posso mentirgli. Confessò Nina.

Le dissi di non farlo, sollecitandola a raccontargli tutto:

Ti amo e voglio che tu resti con me.

Mi raggiunse, in lacrime, il pomeriggio successivo. Frederick l’aveva implorata di non lasciarlo, di non portargli 18

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 19

via i bambini: Vuole riprovare. Dice che, dandomi per scontata, non aveva realizzato che poteva perdermi. Giura che sarà diverso.

E tu cosa vuoi, Nina?

Non lo so…

Una settimana dopo era ancora nella ruota dell’incertezza, dilaniata tra il marito, i bambini, la carriera, il senso di colpa – e un uomo che conosceva da meno di un mese.

Ti amo, ma non posso buttare tutto all’aria.

Allora rimani con lui.

È quello che desideri?

No. Io ti voglio con me.

Singhiozzando, aggiunse: Non riesco a lasciare andare neanche te.

Inchiodata ad una sorta di ruota della tortura, deperiva giorno dopo giorno, comparendo ogni volta con cicatrici sempre più evidenti. I suoi grandi occhi blu, inizialmente sorridenti, erano ormai costantemente pieni di lacrime. Perfino le rughe sulle guance sembravano maggiormente pro-nunciate e nel dondolarsi sulla sedia, in cerca di una soluzione al suo dilemma, raccoglieva i capelli dorati, ripetendo tra sé: Non portarmi via i bambini…

Il mio matrimonio con Fay era finito sei mesi prima e nella separazione io stesso avevo perso un bambino di due anni. L’angoscia di Nina, oltre a muovermi a compassione, risvegliava in me rimorsi e paure. Per questo tentavo di sol-lecitarla a prendere una decisione.

Non vedi che non ne sono capace? Clifford, dimmi, cosa devo fare?

Seduti sulle rocce di un promontorio in prossimità di Ibiza, non potei che esortarla a tornare dal marito: "Quanto è accaduto ti sta uccidendo. Dagli una possibilità. Tu lo ami, lo so. Sei innamorata anche di me, ma forse questo passerà.

Considera la nostra un’avventura estiva fuori stagione."

19

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 20

Pensi che lo sia veramente?

Affatto, dissi. " Ma tu stai per tornare da lui e io dovrò convincermi che sia così, se non voglio diventare matto. E

altrettanto dovrai fare tu."

Le dissi addio, lasciandola sola sugli scogli, mentre lacrime interminabili le solcavano il volto ed il suo corpo si ran-nicchiava tremante sulla pietra dura.

Quando incontrai Edith, nell’estate in cui stavo finendo il mio quarto romanzo The 38th Floor, il ricordo di Nina era ancora vivo in me. Edith, pittrice svedese, era una ventot-tenne incantevole ed esuberante, che reputava la sua indipendenza più importante di ogni altra cosa. Separata dal marito, un industriale tedesco della Ruhr, aveva due figlie e possedeva una piccola finca in campagna. Ci abbandonammo entrambi ad un amore ponderato, privo di pressioni e promesse e a gennaio decidemmo di andare a vivere insieme in quella che divenne la nostra stabile dimora.

Ma l’ombra di Nina non si allontanò. Avendo guadagna-to una discreta somma, io ed Edith decidemmo di metterci in viaggio attraverso la Spagna meridionale, fino al Maroc-co e alle Indie Orientali. Generosa, lei non reprimeva alcun sentimento, eppure il fantasma della mia passata relazione continuava a perseguitarmi. Venni a sapere da amici comuni, che il matrimonio tra Nina e Frederick era franato meno di un anno dal nostro ultimo incontro; solo la carriera li teneva ancora insieme. Nell’estate del 1966, Nina si presentò nel mio studio di Los Molinos e ricominciammo a fre-quentarci. La nostra divenne un’ossessione che, seppur celata nei profondi abissi dell’anima, emergeva inesorabile al primo sguardo, all’accenno di un nome, al lampo improvviso di un ricordo. Non so se si trattasse di passione o follia –

forse di entrambe. Ma adesso c’era anche Edith nella mia vi-ta. In un crescendo di armonia e calore, cui non potevo più 20

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 21

rinunciare. Chiamatelo amore, oppure incolmabile desiderio di appagamento – mi ripeto, poteva essere entrambi.

Colui che cerca di definire le proprie emozioni ne dimostra solo l’artificio.

Nel gennaio del 1967, andai a New York per un mese e Nina, in vacanza ad Antigua, mi raggiunse. Restammo insieme per quasi due settimane, ma il nostro incontro non passò inosservato ed alcune voci trapelarono. A febbraio, quando tornai alla finca, Edth, già impacchettata la mia ro-ba, mi invitò di andarmene.

Incapace di affrontare il suo dolore e la mia colpa, mi tra-sferii nello studio. Sapevo che Nina, tornata a Londra da Frederick, era tristemente impegnata a ridipingere il nuovo appartamento sul lungofiume di Chelsea. Ci scrivemmo, ma lei era ancora troppo coinvolta per poter lasciare tutto e io sentivo che raggiungerla sarebbe stato un errore. Neces-sitavamo entrambi di un po’ di tempo per riflettere, consapevoli che gettarsi da una relazione all’altra sarebbe apparso estremamente folle.

Edith lasciò l’isola per un mese, ma al suo ritorno, deciso a riallacciare il nostro rapporto, la attesi all’aeroporto: Sei tu che amo. Se provi lo stesso per me, perdonami e proviamo ancora.

Certe ferite si rimarginano lentamente. Edith sembrava insicura, io irrequieto. In quel periodo, leggemmo, su tutti i giornali, quanto le minacce arabe contro Israele si stessero incrementando. Parlando con alcuni amici ebrei sull’isola, prendemmo seriamente in considerazione la possibilità di arruolarci volontari. Per quanto utopistico potesse sembrare, sentivamo di poter dare il nostro contributo a Tel Aviv.

Tali sentimenti erano autentici, eppure l’indolenza ebbe la meglio ed essi si persero nel nulla. Il 2 giugno 1967, lasciai l’isola con il traghetto notturno per Alicante, diretto a Gibilterra, dove avrei dovuto cambiare la targa della mia 21

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 22

Peugeot station wagon. Il pomeriggio successivo, a Grana-da, lessi che i carri armati israeliani erano penetrati nel deserto del Sinai. I giornali spagnoli riportavano resoconti di svariate vittorie egiziane. Telefonai all’ambasciata israelia-na a Parigi, ma mi dissero che non erano previsti voli per Tel Aviv. Nel proseguire per Gibilterra e poi ancora per Ma-laga, sentivo di dover prendere una decisione. Mi recai a Parigi e quando, terminate le offensive, i collegamenti con Israele furono ripristinati, prenotai l’unico posto libero su un jet dell’Air France inviando a Edith un telegramma: Volo a Gerusalemme. Contattami Hotel King David. Fidati di me. Ti amo. Clifford.

Una volta arrivato, riuscii a ottenere le credenziali della stampa. Al momento di partire, ancora non conoscevo le reali motivazioni che mi spingevano a recarmi sul posto.

Attribuivo quell’impulso semplicemente ad una sorta di ve-na primordiale di ebraicità. Ma una volta raggiunte le Al-ture del Golan e parlato con i soldati, compresi cosa potevo e dovevo fare: scrivere un libro. Quando tornai da Gerico, trovai un telegramma all’Hotel King David: Arrivo in Israele.

Volo Alitalia martedì notte. Anch’io ti amo. Edith.

Conoscendo la sua storia, quello fu un vero e proprio atto di coraggio. Figlia minore di un orologiaio svizzero cattoli-co, era vissuta in Germania durante la seconda guerra mon-diale. Uscì indenne dai bombardamenti e i suoi genitori, portati via dai nazisti per essere fucilati, furono salvati al-l’ultimo momento da un ufficiale locale. La guerra significava per lei il ricordo di un incubo. Se leggere un libro, narrante una tragedia realmente accaduta, le suscitava prostra-zione e pianto, vedere un film con scene cruente o torture, la induceva perfino ad allontanarsi tremante dallo schermo.

Per quanto i combattimenti nel Medio Oriente risultassero conclusi, ne permanevano le tracce nell’aria, nei volti delle persone, nella desolazione del paesaggio. Sapevo quanto le 22

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 23

costasse assistere a tutto ciò: era partita solo perché io ero lì.

Riteneva che, essendo io il suo uomo, fosse in dovere di raggiungermi.

Viaggiammo insieme fino al Mar Morto, a Gaza, alle altu-re Siriane e poi giù attraverso il Sinai seguendo il convoglio con Irwin Shaw, Martha Gellhorn e Jules Dassin. Con noi, a bordo della jeep, un comandante miope dell’Intelligence Israeliana armato solo di un vecchio fucile. Sapevamo che i disertori dell’esercito egiziano erano dispersi nel deserto.

Mentre guidavo, Edith - rannicchiata scomodamente sul retro, insieme ad un groviglio confuso di approvvigionamen-ti - era intenta a cucire due bandiere.

Quando le chiesi spiegazioni, terminata la sua opera, me la mostrò orgogliosa: Una è la bandiera della Croce Rossa, l’altra è della Svizzera. Se dovessimo incontrare gli egiziani, potrò sventolarle entrambe. I soldati riconosceranno la prima, gli ufficiali la seconda, perché è in quel paese che hanno i conti bancari.

Fu proprio a Israele che, consolidato il nostro amore, decidemmo di sposarci e di avere un figlio. Comprai, da un gioielliere del luogo, una sottile fede d’oro che le misi subito al dito. Pochi giorni dopo, terminato il nastro durante un’intervista ad un pilota israeliano, le chiesi di recuperar-mene uno nuovo dalla valigia. Vi trovò anche l’ultima lettera di Nina, cui ancora non avevo risposto. Decisa e preoccupata al tempo stesso, sentenziò: Adesso tu le scrivi. Le dici che è tutto finito e che non vuoi più vederla.

Mi sentii intrappolato, costretto a fare una scelta da sempre rimandata: E’ un ultimatum?

Fallo, rispose Edith, incrollabile. E consegnami la busta affinché la spedisca. Me lo devi.

Seduto alla scrivania, scrissi la lettera che lei prontamente imbucò.

Due giorni dopo il nostro matrimonio, nel dicembre del 23

impag.oaxh 2-04-2008 19:29 Pagina 24

1967, un incendio nell’appartamento di mio padre a New York distrusse il libro che stavo scrivendo sulla Guerra dei Sei Giorni e la prima stesura quasi finita di un

Ti è piaciuta l'anteprima?
Pagina 1 di 1