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Catriona
Catriona
Catriona
E-book359 pagine5 ore

Catriona

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Info su questo ebook

Pubblicato nel 1893, Catriona riprende vicende e personaggi da "Il ragazzo rapito", uno dei romanzi più famosi di Stevenson. Nella prima parte l'intrepido David Balfour cerca con tutte le forze di ottenere giustizia per gli innocenti accusati di essere i responsabili dell'omicidio di Appin, fatto storicamente avvenuto. Nel frattempo, il protagonista incontrerà la dolce Catriona, figlia del giacobita James MacGregor, e nella seconda parte i due giovani fuggiranno tra l'Olanda e la Francia, in un crescendo di avventure e pericoli.
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2015
ISBN9788899403096
Catriona
Autore

Robert Louis Stevenson

Robert Louis Stevenson (1850-1894) was a Scottish poet, novelist, and travel writer. Born the son of a lighthouse engineer, Stevenson suffered from a lifelong lung ailment that forced him to travel constantly in search of warmer climates. Rather than follow his father’s footsteps, Stevenson pursued a love of literature and adventure that would inspire such works as Treasure Island (1883), Kidnapped (1886), Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde (1886), and Travels with a Donkey in the Cévennes (1879).

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  • Valutazione: 3 su 5 stelle
    3/5
    A surprisingly well done sequel/continuation of a very famous story. I never knew it existed until I saw it at the Huntington gift shop. Having just finish Kidnapped, I figured I'd give it a shot and was pleasantly surprised. Well worth a read.
  • Valutazione: 4 su 5 stelle
    4/5
    The immediate sequel to Kidnapped. This is not an adventure or travel tale, but a tale of politics, love, propriety, and misunderstanding. David must think through his position constantly, and ultimately accomplishes very little, though he works at it very hard. James Mor MacGregor-Drummond is so exasperating as to be quite entertaining. David has a very refreshing hard-headedness or cold-bloodedness when those whom he has truly disliked die, but his affection for his friends is unaffected and very strong.
  • Valutazione: 4 su 5 stelle
    4/5
    No, this isn't as good at Kidnapped. I fully admit to being a sap in saying that I enjoyed it, for it isn't the high-flying adventure story that the first book is - at all. No, here we have Davie in loooooooove. I do think though that this book is still best for the connections it has to Kidnapped - whether it be David doing right by the people who helped him before, or the rare and wonderful appearances of Alan Breck. And yet, even in this somewhat strained circumstances, I still liked him - and her, as well.
  • Valutazione: 4 su 5 stelle
    4/5
    This book is a sequel to Kidnapped, which I read in 1970. I read a synopsis of it to prepeare to read this volume, which was first published in 1893, the year before Stevenson died. The first 265 pages tell of David traipsing around Scotland, and the things he was trying to do and that others were preventing him from doing are a mite obscure. And there is much Scot dialect, which is a real pain to read and to try to make sense of. But the second part beginning on page 267, tells of David's trip to Europe, accompanied by the love of his life. This part has little Scot dialect, and tells a good story, even poignant at times. The morals of David and his love are exemplary and people wearied by modern fiction characters who have no morals at all will enjoy the contrast which David displays. Ths book is an illustration of the wisdom of not giving up on a book just because the first 265 pages are a chore at times to read.

Anteprima del libro

Catriona - Robert Louis Stevenson

Robert L. Stevenson, Catriona

1à edizione LandscapeBooks, giugno 2015

Collana Aurora n° 5

© Landscape Books 2015

www.landscape-books.com

Traduzione di Maria Grazia Testi Piceni riveduta e corretta dall’edizione BUR 1961.

L’editore ha cercato con ogni mezzo i titolari dei diritti

della traduzione senza riuscire a reperirli;

rimane ovviamente a disposizione per l’assolvimento

di quanto occorra nei loro confronti

ISBN 978-88-99403-09-6

In copertina: Peter Monamy, Harbor scene (particolare), progetto grafico Il Quadrotto

Realizzazione editoriale a cura di WAY TO ePUB

www.waytoepub.com

Robert L. Stevenson

Catriona

Presentazione dell’opera

La collana Aurora si propone di recuperare classici ormai dimenticati e introvabili della letteratura italiana e internazionale, con un breve apparato critico di approfondimento o, come in questo caso, un riepilogo che permetta di fruire meglio del romanzo..

Catriona di R. L Stevenson, pubblicato per la prima volta nel 1893, è il sequel meno conosciuto di un grande classico dell'autore scozzese, ossia Il Fanciullo rapito (pubblicato anche col titolo di Rapito o Il ragazzo rapito in alcune edizioni italiane), scritto invece nei primi mesi del 1886. Nonostante, sia un sequel, si può considerare in tutto e per tutto un'opera indipendente in quanto rappresenta l'inizio di un nuovo capitolo di avventure per il protagonista di entrambe le opere, il giovane ragazzo scozzese David Balfour.

Per onor di completezza riportiamo di seguito poche righe riassuntive del Fanciullo rapito, sicuramente non esaustive ma sufficienti per sventare un eventuale disorientamento in cui il lettore potrebbe inciampare mentre è alle prese con le pagina iniziali di Catriona:

David Balfour, divenuto erede di una grande fortuna dopo la morte del padre, parte alla ricerca di suo zio per reclamare la sua eredità nonché il suo nome; per ordine dello zio viene fatto rapire e imbarcare su una nave diretta oltreoceano, il più lontano possibile dalla sua Scozia. Da questo momento in poi avranno inizio mille peripezie che porteranno il giovane David all'importante incontro con il giacobita Alan Breck e al coinvolgimento di entrambi, loro malgrado, nel famoso omicidio di Appin (storicamente accaduto). Nei primi tentativi di sfuggire alla forca, e in quello personale di David di riappropriarsi dei propri diritti – e del proprio futuro – a dispetto dell'ostile zio, il giovane fortifica il proprio legame d'amicizia con Alan, dal quale, nelle pagine finali, sarà costretto a separarsi, e intraprende anzitempo quel percorso di maturità nella vita a cui gli eventi lo hanno costretto.

Catriona riprende quindi il racconto delle avventure di David Balfour laddove nel Fanciullo rapito si erano interrotte. E Stevenson arricchisce queste pagine di un ingrediente totalmente assente nelle precedenti, ossia l'elemento femminile. Lo fa in maniera altrettanto articolata, legando a doppio filo la bellissima fanciulla Catriona (che dà il titolo all'opera) alle trame di pericolo e scompiglio che anche stavolta il nostro ragazzo-signor Balfour si troverà ad affrontare, affiancato fortunatamente da vecchi amici – già noti al lettore – come l'avventuroso Alan Breck.

Una Scozia settecentesca, puntellata dagli scontri politici tra clan, fa da sfondo a entrambe le avventure di David Balfour, accompagnando il lettore a intrecciare fatti realmente accaduti con una narrazione sì fittizia ma altrettanto vivida, che solo l'estro dell'autore dell'Isola del tesoro poteva rendere senza sbavature.

DEDICA

Mio caro Charles,

il destino di coloro che tanto hanno atteso il seguito di un racconto è di venirne poi delusi; così il mio David, rimasto per più di un lustro in attesa nell’ufficio della British Linen Company, deve aspettarsi che la sua tardiva ricomparsa venga accolta a fischi se non addirittura a sassate. Eppure quando ricordo i giorni delle nostre esplorazioni, non dispero del tutto. Dovrebbe esserci pur rimasto nella nostra città nativa qualche rappresentante della stirpe eletta, e qualche spilungone dalla testa calda deve pur ripetere oggi i nostri sogni e le nostre scorribande di tanti anni fa; egli potrà così gustare il piacere, che avrebbe dovuto essere nostro, di seguire, lungo strade che ora hanno un nome e fra case che ora hanno un numero, le passeggiate campestri di David Balfour, di identificare Dean e Silvermills e Broughton e Hope Park e Pilrig e il povero vecchio Lochend – se ancora ci sarà – e i Figgate Whins – se ne è rimasto qualcuno – o di spingersi, in una giornata festiva, fino a Gillane o al Bass. Così, forse, il suo occhio potrà abbracciare il susseguirsi delle generazioni ed egli considererà con meraviglia il dono importante e allo stesso tempo futile della vita.

Tu sei ancora – come quando ti vidi per la prima volta e ti parlai per l’ultima – in quella venerabile città che sempre devo considerare come patria. Sono arrivato, sin qui, eppure le visioni e i pensieri della mia giovinezza mi inseguono, e vedo come in sogno la giovinezza di mio padre, e quella di suo padre, e l’intero corso delle generazioni scorrere laggiù nel lontano Nord, fra grida di gioia e di dolore, sin quando infine non fui sbattuto, come sospinto da una improvvisa ondata, qui, su queste isole sperdute. E sono pieno di ammirazione e chino il capo davanti alla fiaba del destino.

R. L. S.

Vailina, Upolu, Samoa, 1892.

PARTE PRIMA

Il procuratore generale

I.

UN MENDICANTE A CAVALLO

Il 25 agosto 1751, verso le due del pomeriggio, io David Balfour, uscivo dalla British Linen Company, scortato da un fattorino che mi seguiva con una borsa di denaro, mentre alcuni dei più importanti uomini d’affari si inchinavano dalle porte dei loro uffici al mio passaggio. Due giorni prima, anzi più esattamente ieri mattina, non ero che un mendicante vestito di stracci, ridotto agli ultimi scellini. Mi era compagno un uomo condannato per alto tradimento mentre sulla mia testa era stata messa una taglia per un delitto di cui parlava tutto il paese. Ora invece avevo ripreso il mio grado sociale, cioè quello di proprietario terriero, avevo con me un fattorino che mi portava il denaro, raccomandazioni in tasca e, come si suol dire, la fortuna a portata di mano.

C’erano però due circostanze che frenavano questa mia rapida ascesa: una, la grande difficoltà del rischioso compito che ancora dovevo portare a termine, l’altra, il luogo in cui mi trovavo. La città vasta e scura, il rumore, il traffico e tutta quella gente costituivano un mondo nuovo per me, dopo le brughiere desolate, le spiagge marine e le campagne silenziose che avevo battuto fino allora. La folla soprattutto mi metteva a disagio. Il figlio di Rankeillor era piccolo e mingherlino, i suoi abiti mi si adattavano appena, ed era chiaro che non ero certo nelle migliori condizioni per darmi delle arie davanti a un fattorino di banca. Era evidente, se l’avessi fatto, che non potevo suscitare altro che ilarità e, ciò che nel mio caso era ben peggio, provocare delle domande. Ritenni così opportuno procurarmi degli abiti che fossero proprio miei, e nel frattempo mettermi a camminare a fianco del fattorino e mettergli la mano sul braccio come se fossimo due vecchi amici.

Mi equipaggiai da un mercante dei Luckenbooths: nulla di troppo ricercato, non volendo sembrare un mendicante a cavallo, ma un abbigliamento semplice e decoroso tale da farmi rispettare dalla servitù. Da un armaiolo poi acquistai una spada adatta al mio grado sociale. Con quest’arma mi sentii più sicuro, sebbene digiuno come ero di scherma, la si dovesse anzi considerare un pericolo in più. Il fattorino, che era naturalmente uomo di una certa esperienza, giudicò ben scelto tale mio equipaggiamento.

«Nulla di vistoso», disse; «degli abiti semplici e dignitosi. Quanto alla spada, non c’è dubbio, è adatta alla sua condizione; ma se fossi stato in lei, avrei impiegato meglio i miei quattrini».

Quindi mi propose di comprare delle calze invernali da una donna che stava nel Cowgate, una sua cugina, che le faceva «straordinariamente resistenti».

Ma io avevo cose ben più urgenti da risolvere. Mi trovavo in questa vecchia e nera città, giudicata da tutti una vera tana di conigli, non solo per il numero dei suoi abitanti, ma soprattutto per l’intrico delle sue strade e dei suoi vicoli. Era effettivamente un luogo dove nessun forestiero aveva possibilità di trovare un amico, fosse pure un altro forestiero. E se anche avesse infilato la via giusta, la gente viveva così ammassata in quelle case enormi, che probabilmente avrebbe dovuto girare per un giorno intero prima di trovare la porta che cercava. C’era per questo la consuetudine di prendere un ragazzino, chiamato caddie, che, facendo da guida o da pilota, vi portava dove avevate bisogno per poi ricondurvi, a commissioni fatte, là dove abitavate. Ma questi caddies, essendo sempre occupati nel medesimo genere di lavoro e dovendo necessariamente essere bene informati su ogni casa e su ogni persona della città, avevano finito per trasformarsi in una confraternita di spie. Da quanto mi aveva raccontato il signor Campbell, sapevo come essi fossero in continua comunicazione tra di loro, quale intensa curiosità concepissero per gli affari del loro principale, e infine come fossero divenuti occhi e artigli della polizia. Sarebbe stato poco prudente, data la mia situazione, mettermi un simile furetto alle calcagna. Dovevo fare tre visite, tutte di immediata necessità: una al mio parente signor Balfour di Pilrig, una a Stewart, l’avvocato agente di Appin, e infine una a Guglielmo Grant, Esquire di Prestongrange, procuratore generale di Scozia. Quella al signor Balfour non era una visita impegnativa: d’altra parte, essendo Pilrig in campagna, pensavo che avrei saputo trovare da solo la strada con l’aiuto delle mie due gambe e del dialetto scozzese. La visita all’agente di Appin, proprio in mezzo al rumore sollevato da quell’assassinio, non solo era pericolosa di per se stessa, ma era anche in estrema contraddizione con l’altra. Nel migliore dei casi era probabile che avrei passato un brutto momento dal mio procuratore generale Grant; il fatto di recarmi però da lui immediatamente dopo essere stato dall’agente di Appin, non solo era difficile potesse sistemare le mie faccende, ma avrebbe potuto anzi provocare la completa rovina dell’amico Alan. Nel complesso, avevo l’impressione di stare accendendo due candele: una a Dio e l’altra al diavolo, cosa questa che mi garbava poco. Decisi quindi di farla finita subito con il signor Stewart e con tutta la parte giacobita della faccenda e di servirmi come guida per questo scopo del fattorino al mio fianco. Ma gli avevo appena dato l’indirizzo, quando un improvviso acquazzone – nulla di grave se non per i miei abiti nuovi – ci costrinse a riparare sotto una tettoia all’imboccatura di un vicolo cieco.

Poiché tutto era cosa nuova per me, mi volli addentrare un poco. Il vicolo selciato scendeva rapidamente mentre ai lati si ergevano enormi edifici che, piano su piano, innalzandosi, sembravano avvicinarsi tra loro sempre più, tanto da lasciare scorgere alla loro sommità soltanto un lembo di cielo. Da quanto potevo vedere attraverso le finestre e dall’aspetto rispettabile delle persone che andavano e venivano, capii che le case dovevano essere ben frequentate. Tutto l’aspetto insomma di quel luogo mi affascinava come una fiaba.

Ero ancora intento a osservare, quando all’improvviso udii alle mie spalle un forte rumore di passi cadenzati e un tintinnio di armi. Mi voltai di scatto e vidi un gruppo di soldati armati in mezzo ai quali un uomo di alta statura avvolto in un ampio mantello camminava facendo piccoli inchini quasi per un atto di cortesia, con aria garbata e insinuante. Accennava saluti con le mani e il suo volto era scaltro e piacente. Mi parve che mi avesse notato, ma non riuscii a incontrare il suo sguardo. Il corteo si avvicinò a una porta del vicolo che un servo in elegante livrea preparò aperta: due soldati condussero nell’interno l’uomo, mentre gli altri si fermarono fuori coi loro moschetti.

Nulla può accadere nelle vie di una città senza che si formi subito un codazzo di sfaccendati e di bambini. Accadde così anche questa volta, sennonché la maggior parte di quella folla si disperse subito finché non rimasero che tre sole persone. Una di esse era una fanciulla, vestita come una signora e con in testa una gran sciarpa scozzese coi colori dei Drummond; i suoi compagni invece o, per meglio dire, i suoi seguaci erano dei servi cenciosi, quali già avevo visto a dozzine nel mio viaggio attraverso le Highlands. Parlavano tutti insieme con grande ammirazione in gaelico, lingua a me assai cara per amore di Alan, e così, sebbene avesse finito di piovere e il fattorino mi sollecitasse a riprendere il cammino, mi avvicinai per ascoltare. La fanciulla stava redarguendo aspramente i suoi servi che si scusavano e si inchinavano umilmente davanti a lei, la qual cosa mi fece capire come ella provenisse dalla casa di un capo. Durante tutto quel tempo i tre continuarono a frugarsi nelle tasche e da quel che potei arguire discutevano fra di loro a proposito di pochi centesimi. Sorrisi al pensiero di come tutta la gente delle Highlands si assomigliasse nell’essere servile e nell’avere la borsa vuota.

A un tratto la fanciulla si voltò e io riuscii a vederne il viso per la prima volta. Nulla è più sorprendente di come il volto di una giovane donna possa fissarsi nella mente di un uomo e rimanervi impresso senza che egli sappia mai dirvene il perché, quasi non desiderasse altro. I suoi occhi erano meravigliosi, lucenti come stelle e, oserei dire, non estranei alla mia emozione. Ciò che ricordo meglio fu però il modo in cui teneva le labbra leggermente socchiuse quando si voltò. E, qualunque ne fosse il motivo, mi misi a fissarla come uno sciocco. Da parte sua, non essendosi accorta prima che ci fosse qualcuno così vicino a lei, mi guardò un po’ più a lungo e forse con maggior stupore di quanto non sarebbe stato richiesto da una perfetta educazione. Allora, da vero provinciale, pensai che forse stesse osservando i miei abiti nuovi e a quel pensiero arrossii fino alla radice dei capelli; alla vista di quel rossore bisogna pensare che ella traesse delle conclusioni, poiché fece procedere più addentro nel vicolo, in un luogo da dove non potevo più udirli, i suoi servi che ripresero subito la loro discussione.

Avevo spesso ammirato le ragazze prima d’allora, ma mai così all’improvviso e con tanta intensità. In genere ero portato più a tirarmi indietro che a farmi avanti, temendo molto la derisione del genere femminile. Voi penserete che anche in questa occasione avrei avuto le migliori ragioni per seguire la mia solita linea di condotta, dato che avevo incontrato quella giovane per strada, apparentemente intenta a seguire un prigioniero e accompagnata da due Highlanders cenciosi e mal messi. In questo caso però v’era un elemento nuovo; era evidente che la fanciulla pensava io avessi voluto spiare i suoi segreti e questo, ora che ero vestito a nuovo e al culmine della mia recente fortuna, non potevo assolutamente tollerarlo. Il mendicante a cavallo non poteva sopportare di venire giudicato così male, o, almeno, non da quella giovane donna.

Di conseguenza la seguii e levatomi, come meglio potei, il cappello nuovo:

«Signora», dissi, «ritengo che sia giusto da parte mia farle sapere che non conosco il gaelico. È pur vero che stavo ascoltando, ma questo solo perché ho degli amici nelle Highlands e il suono di quel linguaggio mi è familiare; per quanto riguarda però i suoi affari, se lei avesse parlato greco, forse ne avrei capito di più».

Ella fece un piccolo inchino, contegnoso: «Niente di male», rispose con un accento grazioso molto simile a quello inglese, ma più piacevole, «un gatto può ben guardare un re».

«Non volevo offenderla», replicai; «non conosco le usanze cittadine; prima di oggi non avevo mai messo piede in Edimburgo. Mi consideri un ragazzo di campagna, ciò che del resto sono; preferisco dirglielo prima che lo scopra da sé».

«Veramente è piuttosto insolito che degli estranei si parlino così su un marciapiede», ella disse. «Ma se lei è nato in campagna, la cosa è diversa. Io sono altrettanto di campagna quanto lei; sono delle Highlands, come vede, e mi considero assai lontana da casa».

«Non è ancora una settimana che ho passato il confine», dissi, «meno di una settimana fa mi trovavo sui monti di Balquidder».

«Balquidder!», ella esclamò. «Lei viene da Balquidder? Questo nome mi fa fremere tutta di gioia. Non sarà rimasto là a lungo senza conoscere qualcuno dei nostri amici o parenti?»

«Abitavo presso un uomo assai onesto e gentile, chiamato Duncan Dhu Maclaren», risposi.

«Ebbene, conosco Duncan, e lei lo definisce nel modo giusto. Se poi lui è un’onesta persona, sua moglie non è da meno».

«Sì», dissi, «sono della brava gente e anche il posto è assai bello».

«In quale parte del vasto mondo ve ne è un altro simile?», ella esclamò. «Adoro il profumo di quel luogo e perfino le radici che vi crescono».

Mi sentii completamente conquistato dall’entusiasmo di quella fanciulla. «Desidererei averle portato un ciuffo di quell’erica», feci, «e sebbene prima abbia fatto male a rivolgerle la parola, ora, visto che abbiamo delle conoscenze in comune, la prego di non dimenticarmi. Il mio nome è David Balfour. Questa è una giornata fortunata per me poiché sono entrato in possesso di una proprietà fondiaria e sono appena scampato a un pericolo mortale. Desidererei che lei si ricordasse il mio nome per amore di Balquidder e io mi ricorderò il suo grazie a questo giorno fortunato».

«Il mio nome non si deve pronunciare», rispose lei con una certa dose di alterigia. «Per più di cent’anni non è stato pronunziato da lingua d’uomo se non in segreto. Sono senza nome come le fate. Catriona Drummond è il nome che uso».

Ora finalmente sapevo con chi avevo a che fare. In tutta la vasta Scozia un nome solo era proscritto ed era quello dei Macgregor. Eppure, invece di sfuggire quella conoscenza poco raccomandabile, mi ci abbandonai ancora di più.

«Sono stato in compagnia di una persona che si trovava nelle sue medesime condizioni», dissi, «e penso che sia uno dei suoi amici. Lo chiamavano Robin Olg».

«Davvero?», gridò. «Ha conosciuto Rob?»

«Ho passato una nottata con lui», risposi.

«Già, è un uccello notturno», fece lei.

«Avevamo una cornamusa», proseguii, «così può immaginare come il tempo passasse rapidamente».

«Lei non dovrebbe essere un nemico allora», disse. «Quell’uomo che ha visto prima circondato dalle giubbe rosse, è il fratello di Rob ed è lui che io chiamo padre».

«Davvero?», esclamai. «Lei è figlia di Giacomo Mole?»

«La sola figlia che ha», fece: «la figlia di un prigioniero; e io l’ho dimenticato, sia pure per un’ora sola, per parlare con degli estranei!».

A questo punto uno dei servi si rivolse a lei con quel poco inglese che sapeva, per domandarle che cosa lei, intendendo così parlare di se stesso, doveva fare circa il tabacco. Quest’uomo, che dovevo poi conoscere meglio a mie spese, era piccolo, aveva le gambe storte e una grossa testa di capelli rossi.

«Niente da fare per oggi, Neil», ella rispose. «Come farai a trovare il tabacco senza soldi? Imparerai un’altra volta a stare più attento, ma credo che Giacomo More non sarà molto soddisfatto di Neil, figlio di Tom».

«Signorina Drummond», dissi, «le ho già detto che questo è un giorno fortunato per me. Ho un fattorino di banca con me e si ricordi che ho goduto dell’ospitalità della sua patria a Baquidder».

«Ma non fu uno della mia famiglia a offrirgliela», ella replicò.

«E va bene», feci, «ma sono debitore a suo zio almeno di qualche canzone al suono della cornamusa. Oltre a ciò mi sono offerto a lei come amico e lei è stata tanto sbadata da non allontanarmi al momento giusto».

«Se si trattasse di una somma ingente, ciò potrebbe farle onore», fece lei; «ma le dirò di che cosa si tratta. Giacomo More giace incatenato in prigione; da un po’ di tempo però lo portano ogni giorno qui dal procuratore…».

«Dal procuratore?», gridai. «Questa è…?»

«Questa è la casa del procuratore generale Grant di Prestongrange», fece lei. «Qui portano di tanto in tanto mio padre, per quale ragione non riesco proprio a capire; ma sembra che un barlume di speranza cominci a spuntare per lui. Durante questo periodo però non mi permettono di vederlo e nemmeno di scrivergli; così lo aspettiamo lungo la King’s Street per coglierlo mentre passa e ora gli diamo del tabacco, ora qualche cosa d’altro. Ed ecco che questo sciagurato Neil, figlio di Duncan, ha perso i quattro pence che servivano a comprare il tabacco; Giacomo More dovrà così farne a meno e penserà che sua figlia l’abbia dimenticato».

Presi dalla tasca una moneta da sei pence e la diedi a Neil ordinandogli di andare a fare quella commissione. Poi mi rivolsi a lei dicendo: «Quei soldi vennero con me da Balquidder».

«Ah!», esclamò, «lei è amico dei Gregara!».

«Non voglio ingannarla oltre», feci. «So ben poco dei Gregara e ancor meno di Giacomo More e delle sue gesta, ma da quando mi trovo in questo vicolo mi sembra di conoscere qualcosa anche di lei e se lei dirà semplicemente un amico della signorina Catriona non si sbaglierà».

«Una cosa non può stare senza l’altra», replicò la ragazza.

«E va bene, proverò», dissi.

«Ma che cosa penserà di me che tendo la mano al primo venuto?»

«Penso solo che lei è una brava figliola».

«Devo assolutamente restituirle quei soldi», ella fece. «Dove abita?»

«A dir la verità non mi sono ancora stabilito in nessun luogo», dissi, «poiché non sono ancora tre ore che mi trovo in città; ma se mi vuol dare il suo indirizzo mi permetterò di venire io stesso a chiederle i miei sei pence».

«Mi devo veramente fidare?», domandò lei.

«Non dubiti».

«Giacomo More non lo tollererebbe, altrimenti», disse. «Io abito oltre il villaggio di Dean, sulla riva nord del fiume, dalla signorina Drummond-Ogilvy di Allardyce che è mia intima amica e che sarà felice di ringraziarla».

«Allora mi vedrà appena me lo permetteranno i miei affari», dissi, e, poiché il pensiero di Alan mi tornava alla mente, mi affrettai a congedarmi.

Non potevo fare a meno di pensare, anche durante il colloquio, che eravamo stati troppo franchi per una conoscenza tanto recente e che una fanciulla veramente a modo avrebbe dovuto mostrarsi più riservata. Fu il fattorino di banca, credo, a distogliermi da quel corso di pensieri così poco galante.

«Credevo che lei avesse un po’ più di buonsenso», egli cominciò a dire sporgendo le labbra. «Probabilmente non andrà molto lontano di questo passo. I pazzi e i denari non vanno d’accordo. Lei è un conquistatore e per di più vizioso! Chiacchierare così con una donna da nulla!»

«Se si permette di parlare così della giovane signora…», cominciai.

«Signora!», esclamò. «Dio ce ne salvi e liberi! Quale signora? Quella una signora? La città ne è piena. Si vede subito che non conosce bene Edimburgo!»

Una collera improvvisa mi prese.

«Su», dissi, «mi conduca dove le ho detto e tenga a freno la lingua!».

Mi obbedì, ma non del tutto, perché, sebbene non si rivolgesse più a me direttamente, si mise a cantare mentre camminava, con una voce terribilmente stonata e con sfacciata allusione:

Mentre Mally passava per via

Il cappuccio le volò via,

Lei si guardò per veder come stava

E ciascun uomo la corteggiava.

Da est e da ovest veniva la gente,

Corteggiar Mally non costa niente.

II.

L’AVVOCATO DELLE HIGHLANDS

Carlo Stewart, l’avvocato, abitava in cima alla scala più lunga che mai muratore avesse costruito: quindici rampe, non meno, tanto che quando giunsi alla sua porta e un impiegato mi aprì dicendomi che il suo principale era in casa, trovai a mala pena il fiato per spedir via il mio fattorino.

«E vattene a est e a ovest!», esclamai; presi la borsa di denaro dalle sue mani e seguii l’impiegato nell’interno. La prima stanza era un ufficio con una sedia per il giovane di studio e un tavolo cosparso di fogli. Da qui si passò nella seconda camera dove si trovava un ometto dall’aria sveglia, intento a studiare un documento da cui sollevò appena gli occhi al mio apparire; in realtà egli tenne il dito sul foglio come se pensasse di rimandarmi indietro e di ripiombare subito nei suoi studi. La cosa non mi garbò affatto e ciò che mi piacque ancor meno fu il pensiero che l’impiegato si trovasse proprio nel luogo migliore per poter udire quanto avremmo detto. Gli domandai se fosse il signor Carlo Stewart, l’avvocato.

«In persona», rispose; «e se posso rivolgerle la stessa domanda, lei chi sarebbe?».

«Non ha mai sentito nominare né il mio nome né la mia persona», feci, «ma le porto un pegno da parte di un amico che lei conosce benissimo», continuai abbassando la voce, «ma che forse lei non ha molta voglia di sentir nominare in questo momento. L’affare che debbo proporle è di natura piuttosto confidenziale. In breve, desidererei che fossimo completamente soli».

Egli si alzò senza aprir bocca, lasciò cadere il foglio con aria seccata, spedì fuori l’impiegato per una commissione, e chiuse la porta di casa alle sue spalle.

«E ora, signore», disse tornando, «esponga il suo pensiero senza timore, sebbene, prima che cominci, debba dirle che lei non mi ispira molta fiducia. Lei è uno Stewart o è uno Stewart che la manda. È un buon nome e tale che non può essere preso alla leggera dal figlio di mio padre, senonché io rabbrividisco al solo sentirlo nominare».

«Io mi chiamo Balfour», dissi, «David Balfour di Shaws. Quanto a colui che mi manda, lascerò parlare il suo pegno». E gli mostrai il bottone d’argento.

«Lo rimetta in tasca per carità!», esclamò l’avvocato. «Non occorre far nomi. Riconosco il suo bottone. Ma che razza di ostinato! Che il diavolo se lo porti! E ora dove si trova?»

Gli dissi che non sapevo dove Alan si trovasse ma che aveva un nascondiglio sicuro, o per lo meno credevo che lo avesse, sulla riva settentrionale, dove pensavo sarebbe rimasto fin quando non gli avessimo trovato una nave, e aggiunsi dove e quando aveva stabilito gli si potesse parlare.

«Ho sempre pensato che sarei finito appeso a una fune per colpa di questa mia famiglia», esclamò l’avvocato, «e, accidenti, penso che ora sia giunto il momento. Procurargli una nave, dice lui. Ma chi pagherà? Quell’uomo è pazzo!»

«Di questo me ne occupo io, signor Stewart», dissi. «Qui c’è una borsa di denaro e se ne occorrerà dell’altro se ne può avere ancora dal luogo donde è venuto questo».

«Non occorre domandarle quali siano le sue idee politiche», osservò Stewart.

«Non occorre», risposi sorridendo, «perché sono Whig quanto è possibile esserlo».

«Si fermi, si fermi un momento», esclamò l’avvocato. «Che significa tutto ciò? Lei è un Whig? Allora come mai si trova qui col bottone di Alan? E che razza di strana faccenda è questa nella quale la trovo immischiato, signor Whig? Qui abbiamo un ribelle privato di ogni diritto e accusato d’omicidio, con duecento sterline di taglia sulla testa e lei mi chiede di immischiarmi in questo affare dicendomi poi di essere un Whig! Non mi ricordo di aver mai visto dei Whigs simili prima, e sì che ne ho conosciuti parecchi».

«Se si tratta di un ribelle che ha perso ogni diritto, questo è tanto più doloroso», dissi, «in quanto egli è mio amico, e posso solo rimpiangere che non sia stato meglio guidato. Quanto all’essere accusato d’omicidio, lo è per sua disgrazia, ma lo è ingiustamente».

«Questo lo dice lei», fece Stewart.

«Oltre a lei altri me lo sentiranno dire fra non molto. Alan Breck è innocente e lo è pure Giacomo».

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