Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

In viaggio con Albert - Storia semiseria di un uomo, una donna...
In viaggio con Albert - Storia semiseria di un uomo, una donna...
In viaggio con Albert - Storia semiseria di un uomo, una donna...
E-book417 pagine5 ore

In viaggio con Albert - Storia semiseria di un uomo, una donna...

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Elsie Lavender e Homer Hickam (padre dell'autore) vivevano in una minuscola cittadina mineraria del West Virginia e frequentavano lo stesso liceo. Quando Homer chiese a Elsie di sposarlo, appena una settimana dopo il diploma, lei per tutta risposta se ne andò a Orlando, dove fece scintille con un attore e ballerino di nome Buddy Ebsen (sì, proprio quel Buddy Ebsen). Poi Buddy si trasferì a New York in cerca di fortuna e insieme a lui sfumò anche il sogno d'amore di Elsie, che alla fine si ritrovò di nuovo in quella minuscola cittadina mineraria, sposata con Homer.

Il ruolo di moglie di un minatore però le andava stretto, e a ricordarle ogni santo giorno l'idilliaco periodo trascorso a Orlando c'era un regalo di nozze molto particolare: un alligatore che si chiamava Albert e che viveva nell'unico bagno di casa. Un giorno Albert spaventò a morte Homer azzannandogli i pantaloni, e lui, esasperato, diede alla moglie un ultimatum: "O me o l'alligatore!". E dopo averci riflettuto per bene, Elsie si rese conto che c'era un'unica cosa da fare: riportare Albert a casa sua, in Florida.

Raccontato con poetica semplicità, lo straordinario viaggio di Homer ed Elsie attraverso gli Stati Uniti devastati dalla Grande Depressione, tra avventure esilaranti, incontri memorabili e momenti drammatici, è un commovente tributo alla straordinaria e meravigliosa emozione che chiamiamo amore.

"Un romanzo unico. Folle e imprevedibile come Storia di un centenario che saltò dalla finestra e scomparve."
- Goodreads Reviews

"Un romanzo poetico e visionario, tra Big Fish e Forrest Gump."
- Amazon Reviews
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2016
ISBN9788858950647
In viaggio con Albert - Storia semiseria di un uomo, una donna...

Correlato a In viaggio con Albert - Storia semiseria di un uomo, una donna...

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su In viaggio con Albert - Storia semiseria di un uomo, una donna...

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    In viaggio con Albert - Storia semiseria di un uomo, una donna... - Homer Hickam

    giovane)

    PARTE PRIMA

    Come ebbe inizio il viaggio

    Elsie e Homer decidono di portare Albert a casa – Il gallo si unisce al gruppo – Homer intuisce di essersi cacciato in un guaio – Elsie balla da sola – Homer e Albert rapinano una banca

    1

    Quando Elsie uscì in giardino per capire perché suo marito la stava chiamando a gran voce, vide Albert sdraiato sulla schiena in mezzo al prato, con le zampe spalancate e la testa rovesciata all'indietro. Era sicura che gli fosse successo qualcosa di tremendo, ma quando l'alligatore alzò la testa e sorrise capì che era tutto a posto. Provò un senso di sollievo quasi palpabile e inebriante. In fondo, voleva bene ad Albert più che a ogni altra cosa. Si piegò sulle ginocchia e gli grattò la pancia, mentre lui dimenava le zampe per la gioia e sorrideva deliziato.

    Albert aveva poco più di due anni ed era lungo quasi un metro e mezzo, una misura considerevole per la sua età, stando a un libro sugli alligatori che Elsie aveva letto. Ostentava una spessa pelle di squame d'un raffinato verde oliva, con delle strisce gialle sui fianchi che il libro diceva sarebbero presto scomparse. Sul dorso correvano delle creste che finivano nella coda, mentre la pancia era morbida e chiara. Aveva due occhi espressivi colore dell'oro che di notte brillavano d'un rosso incandescente. Ma aveva anche un muso di rara bellezza, con le narici perfettamente posizionate sulla punta per consentirgli di respirare quando stava fermo nell'acqua. E di rara bellezza erano pure le mascelle, che si incastravano dolcemente l'una nell'altra, con due file di denti bianchissimi. Elsie diceva che era forse il più bell'alligatore mai apparso sulla faccia della terra.

    Ovviamente Albert era anche piuttosto sveglio: a volte seguiva Elsie per casa come un cagnolino e, appena lei si sedeva, le strisciava in grembo per farsi accarezzare. Una bella fortuna, considerando che Elsie non poteva più tenere in casa un cane o un gatto perché ad Albert piaceva aggredirli stando in agguato sotto il letto o nella vasca di cemento che il nonno aveva costruito apposta per lui. Albert non aveva mai divorato un cane o un gatto ma ci era andato vicino, tanto che entrambe queste specie avevano dichiarato la casa e il giardino degli Hickam una zona off limits per i successivi cent'anni.

    Dopo aver sorriso al suo bambino, come lo chiamava affettuosamente, Elsie notò suo marito, che aveva smesso di gridare e la stava guardando con un'aria all'apparenza un po' stizzita. Non poté fare a meno di notare che era pure vestito in modo strano, ciò che la indusse a chiedere: «Homer, dove hai messo i pantaloni?».

    Homer non le rispose in merito, e disse invece: «O io o quell'alligatore» ripetendo le stesse parole subito dopo, più lentamente e a bassa voce: «O... io... o... quell'alligatore».

    Elsie sospirò. «Cos'è successo?»

    «Ero seduto sul gabinetto a fare i miei bisogni quando il tuo alligatore è spuntato fuori dalla vasca e mi ha strappato i pantaloni. Se io non me li fossi tolti al volo e non fossi scappato fuori, mi avrebbe sicuramente sbranato.»

    «Scommetto che se Albert avesse voluto ucciderti, l'avrebbe fatto già da tempo. Allora, cosa vuoi che faccia?»

    «Scegli. O me o lui. Tutto qui.»

    Ecco, il momento fatidico era arrivato. Da quanto, si chiese, era nell'aria? Eppure non aveva risposte da offrire, se non quella che diede. «Ci penserò.»

    Homer non credeva alle sue orecchie. «Ci penserai? Devi decidere fra me e l'alligatore?»

    «Sì, Homer, proprio così» disse Elsie. Poi ribaltò Albert e gli fece cenno di seguirla. «Vieni, bambino mio. La mamma ha pronto un bel pollo per te in cucina.»

    Incredulo e sbigottito, Homer li guardò rientrare in casa. Appostato dietro la staccionata, Jack Rose, un vicino e collega minatore, si avvicinò e tossì educatamente: «Ti prenderai un raffreddore, figlio mio» disse. «Forse dovresti metterti un paio di pantaloni.»

    Più che rosso, il volto di Homer si fece viola. «Hai sentito?»

    «Come tutti qui intorno, credo.»

    Homer capì che rischiava di diventare lo zimbello del quartiere. Ai minatori piaceva sparlare un po' della gente e Homer in mutande, inseguito nel suo giardino dall'alligatore di Elsie, era un'occasione da non perdere. «Aiutami, Jack» lo implorò. «Non dire niente a nessuno di ciò che hai visto.»

    «Okay» rispose Jack in tono amichevole. «Ma non posso garantire per mia moglie» e fece un cenno verso la finestra dove Mrs. Rose stava a guardare con un ghigno sulle labbra. Homer capì di essere condannato e chinò la testa.

    Quella sera, a cena, si bloccò con un pezzo di pane a mezz'aria. «Allora, ci hai pensato? Io o Albert?»

    Elsie non lo guardò. «Non ancora.»

    Homer era profondamente infelice. «Finirà che in miniera mi prenderanno tutti in giro per essere stato inseguito in giardino senza i pantaloni.»

    Elsie continuava a non guardarlo. Fissava i suoi fagioli come se le stessero mandando un messaggio. «Ho trovato una soluzione» disse. «Lascia la miniera. Molla quello sporco buco e andiamocene a vivere in un posto pulito.»

    «Ma io sono un minatore, Elsie. È il mio lavoro.»

    A questo punto lei finalmente lo guardò. «Ma non il mio.»

    Per tutta la notte Elsie dormì dando la schiena a Homer e al mattino, dopo avergli preparato la colazione e avergli messo in mano il cestino del pranzo, non gli diede neanche un bacio, né gli augurò di tornare a casa sano e salvo. Quel giorno Homer ebbe la certezza di essere l'unico minatore di Coalwood che andava a lavorare senza avere ricevuto una buona parola di commiato da sua moglie, e non fu una cosa facile da sopportare. Per di più, un minatore di nome Collier Johns si fece beffe di lui descrivendolo in mutande mentre scappava per tutto il giardino. Credendo di fare lo spiritoso, Johns gli chiese perfino: «Ma è stato proprio l'alligatore di Elsie a farti perdere la testa e le brache per la paura?». Al che seguì una fragorosa risata generale, con gli altri minatori del suo turno che si davano delle manate sulle ginocchia. Homer avrebbe dovuto rispondere con una battuta, o una frecciatina salace, come tutti si sarebbero aspettati. Invece rimase zitto, sgonfiando così la presa in giro e facendola cadere nel vuoto. Tutti sospettarono che Homer si fosse ammalato, magari anche in modo grave. E infatti, più tardi, si accese un'intensa discussione all'ingresso dello spaccio aziendale. Tutti conclusero che la malattia di Homer era sua moglie, una ragazza piuttosto singolare che, per quanto graziosa, era quel tipo di donna che può rovinare un uomo chiedendogli più di quanto lui possa dare.

    Due giorni dopo Elsie uscì in giardino, dove Homer stava seduto su una vecchia sedia arrugginita che aveva scovato nel deposito dei rottami della compagnia. Gli si parò davanti e, dopo aver fatto un respiro profondo, dichiarò: «Ho deciso di lasciar andare Albert».

    Sollevato, Homer rispose: «Fantastico. Grazie. Portiamolo al torrente, lì si troverà bene. Ci sono un sacco di pesciolini da mangiare, per non dire dei cani o dei gatti che ogni tanto vanno a bere».

    Elsie strinse le labbra, un'espressione che Homer conosceva bene: significava che non era affatto contenta. «Morirebbe di freddo nel torrente, in inverno» disse lei. «Deve tornare a casa sua in Florida, a Orlando.»

    Una proposta davvero sconcertante. «A Orlando? Santo Dio, donna! È a più di mille chilometri da qui!»

    Elsie sollevò il mento in segno di sfida. «Non m'interessa se sono più di mille chilometri.»

    «E se mi rifiuto?»

    Elsie fece un altro respiro profondo. «Lo porterò io, da sola.»

    Homer sentì il terreno crollargli sotto i piedi. «E come pensi di farcela?»

    «Non lo so, ma troverò il modo.»

    Sconfitto, Homer chiese: «Bisogna proprio portarlo fino a Orlando? Non possiamo lasciarlo nel North o nel South Carolina? Mi dicono che fa comunque caldo da quelle parti».

    «Fino a Orlando» rispose Elsie. «E quando saremo là, dovremo trovare il posto migliore.»

    «Come faremo a sapere qual è il posto migliore?»

    «Ce lo dirà Albert.»

    «Albert è un rettile. Non sa niente.»

    «Be', lui almeno ha un motivo per non sapere niente.»

    «Stai insinuando che io non so niente?»

    «Sto dicendo che nessuno di noi sa niente. Sto dicendo che tutto ciò che noi crediamo vero non lo è affatto. Se io avessi detto un milione di cose, e tu avessi risposto dicendo un milione e una cosa, nessuna delle parole da noi pronunciate si avvicinerebbe nemmeno lontanamente alla verità.»

    «Tutto questo non ha senso.»

    «È la risposta più onesta che posso darti.»

    Elsie rientrò in casa e Homer rimase a rimuginare seduto sulla sua sedia arrugginita. Per una delle prime volte in vita sua ebbe paura. La settimana precedente il soffitto della miniera era crollato facendo un rumore che era sembrato uno sparo di fucile e un'enorme lastra di roccia lo aveva mancato per un pelo, ma lui non aveva fatto una piega. Non ne aveva parlato con Elsie, ma sapeva che lei ne era al corrente. Sembrava che sapesse tutto quello che lui cercava di nasconderle. Al contrario, Homer dovette riconoscere di sapere pochissimo della donna che aveva sposato e che ora gli aveva messo addosso una paura del diavolo con la minaccia di andarsene in Florida, con o senza di lui.

    Capì che gli restava solo una cosa da fare. Avrebbe chiesto consiglio a un grand'uomo, l'unico che conoscesse, l'incomparabile William Capitano Laird, un eroe della Grande Guerra, laureato in ingegneria alla Stanford University, signore e padrone di Coalwood.

    E così, anche se ancora non lo sapeva, ebbe inizio il viaggio.

    2

    Finito il turno in miniera, Homer fece una doccia nei bagni della compagnia, indossò degli abiti puliti e degli stivali, poi chiese all'impiegato di parlare con il Capitano. L'impiegato gli indicò la porta con un cenno e il Capitano gridò: «Avanti!» quando Homer bussò. Tenendo il cappello in mano, Homer si avvicinò alla scrivania del Capitano. Quell'omone con due orecchie da elefante sollevò lo sguardo e corrugò la fronte. «Cosa diavolo succede, figliolo?»

    «È per via di mia moglie, Capitano.»

    «Elsie? Cos'ha fatto di male?»

    «Vuole che porti lei e l'alligatore a Orlando.»

    Il Capitano si appoggiò allo schienale e fissò Homer. «Ha qualcosa a che vedere con il fatto che tu corri per il giardino in mutande?»

    «Sì, signore, proprio così.»

    Il Capitano piegò la testa all'indietro. «Okay, figliolo, sono sempre pronto ad ascoltare una bella storia, e questa ha tutta l'aria di essere ottima.»

    Presa la sedia che gli venne offerta, Homer raccontò al Capitano che Albert lo aveva inseguito fuori casa, e gli riferì ciò che lui aveva detto e ciò che sua moglie aveva risposto. Il Capitano ascoltò attentamente, con una faccia che da perplessa si fece incuriosita e interessata. Quando Homer terminò il suo racconto, il Capitano disse: «Sai cosa penso di tutto questo, Homer? Che si tratta del fato, o di qualcosa di molto simile».

    Homer aveva sentito parlare del fato ma non sapeva bene cosa fosse e lo ammise sinceramente. Il Capitano si sporse in avanti con la sua mole incombente che sembrava voler soffocare tutti i dubbi di Homer. «Nella nostra vita si presentano dei momenti in cui siamo chiamati a compiere delle cose che non hanno senso, ma che danno senso a tutto quello che c'è nell'universo. Hai capito il senso?»

    «No, signore.»

    «Naturalmente. Ma questo è il fato. Una cosa che ci sbatte in strane direzioni e che ci insegna non solo che cos'è la vita, ma anche qual è il suo scopo. Questo viaggio può essere l'occasione che ti viene offerta per capire entrambe le cose.»

    «Intende dire che devo partire?»

    «Proprio così. Pertanto ti concedo ufficialmente le due settimane di vacanze annuali che ti spettano e ti concedo di prelevare cento dollari dalle casse della compagnia per finanziare il viaggio.»

    «Ma sono un sacco di soldi! Non riuscirò mai a restituirli!»

    «Ci riuscirai. Sei quel genere di persona che trova sempre il modo di ripagare un debito. Ma ora parliamo di Elsie. Le hai fatto presente che è la persona più importante nella tua vita?»

    «Temo di no, Capitano» rispose Homer con cuore sincero. «Anche se lo è di sicuro.» Si grattò la testa. «Il punto è che io non sono sicuro di essere la persona più importante nella sua vita.»

    «Ecco, vedi? Forse questo è un altro motivo per cui ti è stata offerta l'occasione di compiere questo viaggio: così potrete capire che genere di coppia siete chiamati a essere. Quando partite?»

    «Non so. Fino a questo momento non ero nemmeno sicuro di andare.»

    «Partirete domattina. Una cosa rinviata è una cosa non fatta.» Il Capitano s'incupì. «Non fare errori. Mi mancherai. Ci sono quegli stupidi nella Tre Est, con tutto quell'ottimo carbone, e sono sicuro che riprenderanno le loro cattive abitudini in tua assenza.» Scrollò le spalle. «Ma mi arrangerò. Un giovane ardito che si avventura nei climi tropicali! Come vorrei essere al tuo posto.»

    «Voglio dirglielo sinceramente, Capitano» rispose Homer. «Ho l'impressione che questo viaggio sarà una delle peggiori esperienze della mia vita.»

    «È molto probabile» concordò il Capitano, «e forse questo è un motivo in più per farlo. Ciò detto, fra due settimane voglio rivedere il tuo volto intelligente e radioso al Tre Est.»

    Homer si alzò in piedi, ringraziò il Capitano che lo ricambiò con un saluto d'addio e uscì nell'aria polverosa, senza nemmeno notare gli uomini del turno serale che gli passavano davanti diretti all'ascensore. Procedendo in successione come gli aveva insegnato a fare il Capitano, prese alcune rapide decisioni. Raggiungere la Florida dal West Virginia con una moglie e un alligatore era un'impresa non facilissima. Come prima cosa decise di evitare il treno o il pullman. Su nessuno di questi mezzi avrebbero ammesso un alligatore come passeggero. No, per arrivare in Florida avrebbero dovuto usare la macchina. Per fortuna lui ne possedeva una in buono stato, una Buick decappottabile a quattro porte del 1925 che aveva acquistato di recente dal Capitano.

    La seconda decisione che prese lo condusse allo spaccio della compagnia, dove comprò a credito una grande vasca da bagno. Poi andò allo sportello delle paghe e si fece dare cento dollari in due banconote da cinquanta. Mentre camminava verso casa con la vasca sulle spalle, catturò l'attenzione di svariate signore sedute comodamente nelle loro verande. I rispettivi mariti erano minatori del turno serale e così avevano un po' di tempo a loro disposizione per starsene a guardare la gente che passava in strada. Molte gli rivolsero la parola, e una di esse, da poco arrivata in città, gli chiese di entrare a bere un tè freddo. Homer si toccava il ciuffo di capelli sulla fronte in segno di rispetto e tirava dritto. Era un bell'uomo, Homer Hadley Hickam, con il suo metro e ottanta di altezza e i suoi capelli neri tenuti lustri e lisci con la brillantina Wildroot. Aveva le spalle larghe e i muscoli di un minatore, un sorriso obliquo e due occhi azzurri che molte donne trovavano affascinanti. Ma a lui non interessavano più le donne da quando aveva conosciuto e sposato Elsie Lavender.

    Homer sistemò la vasca sul sedile posteriore della Buick, che stava parcheggiata davanti a casa, poi entrò per valutare con sua moglie la decisione che aveva preso. Data un'occhiata in soggiorno senza trovarla, scoprì Elsie – il cui nome completo da sposata era Elsie Gardner Lavender Hickam – in bagno, seduta sul pavimento di linoleum. Stava appoggiata alla vasca e teneva in braccio il suo alligatore, che la guardava con adorazione. Piangeva.

    A parte i film tristi e le cipolle, per quanto Homer ricordasse, Elsie aveva pianto seriamente solo due volte in vita sua: la prima quando aveva acconsentito a sposarlo e la seconda quando aveva aperto la scatola con dentro Albert e aveva letto il biglietto d'auguri che le aveva scritto un tizio conosciuto in Florida di nome Buddy Ebsen. In entrambi i casi Homer non aveva ben capito il motivo di quelle lacrime. Non sapendo cosa dire in questa terza occasione, ovviamente se ne uscì con la cosa sbagliata: «Sei non stai attenta, quell'animale ti staccherà un braccio con un morso».

    Elsie alzò gli occhi e nel vederla così a Homer si strinse il cuore. I suoi begli occhi castani e luminosi erano gonfi e arrossati, mentre gli zigomi – lei diceva fossero un'eredità del sangue Cherokee che le scorreva nelle vene – erano umidi di lacrime. «Non farà mai una cosa simile, perché mi ama. A volte penso che sia l'unico al mondo a volermi bene.»

    Ricordando le raccomandazioni del Capitano, Homer disse: «Sei la persona più importante nella mia vita».

    «No, non lo sono» ribatté lei seccamente. «Neanche un po'. Prima c'è il Capitano e poi la miniera.»

    «La miniera non è una persona.»

    «Nel tuo caso è come se lo fosse.»

    Homer non voleva discutere, ben sapendo che non ne sarebbe mai uscito vincitore. Invece disse la cosa che l'avrebbe resa felice, o al contrario che avrebbe fatto saltare tutto. «Domattina partiamo per la Florida» annunciò.

    Elsie si tolse un'umida ciocca di capelli dalla guancia. «Stai scherzando.»

    «Il Capitano mi ha concesso di andare purché sia di ritorno entro due settimane. Ho comprato una vasca zincata al magazzino della compagnia per metterci Albert. L'ho già sistemata sul sedile posteriore della Buick. E mi sono fatto anche dare cento dollari.» Infilò una mano in tasca e le mostrò le due banconote da cinquanta.

    Il volto stupito di Elsie gli svelò tutto quel che voleva sapere. Adesso lei gli credeva. Dopotutto, uno non si faceva dare due banconote da cinquanta dollari dalla compagnia se non aveva intenzione di usarle seriamente. «Se sei ancora dell'idea di andare, credo che dovresti preparare la valigia» disse.

    Elsie osservò suo marito, poi si alzò e rimise Albert nella vasca. «D'accordo. Vado.» E gli passò davanti diretta in camera da letto.

    Quando sentì aprire l'armadio e udì il rumore degli attaccapanni, Homer provò un brivido di panico. Guardò Albert, che sembrava prendergli le misure. «È tutta colpa tua» gli disse. «Maledetto Buddy Ebsen.»

    3

    Ogni mattina, quando apriva gli occhi al risveglio, Elsie era sempre sorpresa di riscoprirsi moglie di un minatore. In fondo, proprio per evitarlo, era salita su un pullman diretto a Orlando appena una settimana dopo aver preso il diploma di maturità. Appena scesa dal pullman, aveva capito di aver fatto la cosa giusta. Le sembrò infatti di essere arrivata nel paese delle meraviglie, un posto bellissimo e pieno di sole. Suo zio Aubrey era venuto a prenderla alla stazione, poi l'aveva fatta accomodare sul sedile posteriore della sua Cadillac come se fosse una regina e l'aveva portata a casa sua – una casa così bella che Elsie non ricordava di averne mai vista una simile, anche se sul davanti campeggiava il cartello IN VENDITA. Lo zio le spiegò che aveva perso un sacco di soldi a causa della Depressione, ma era sicuro che, se Herbert Hoover avesse continuato a governare, sarebbe tornato presto a nuotare nell'oro.

    Elsie trovò un lavoro come cameriera in un ristorante e si iscrisse alla scuola per segretarie, iniziando a conoscere giovani molto più interessanti di quelli che aveva incontrato fino a quel momento. Gliene piaceva uno in particolare, un tipo alto e allampanato di nome Christian Buddy Ebsen, i cui genitori erano proprietari di una scuola di ballo nel centro di Orlando. Fin dal primo momento Buddy mostrò un certo interesse nei suoi confronti. Diversamente dagli altri, che la prendevano in giro per il suo tipico accento del West Virginia, Buddy era sempre gentile ed educato con lei, l'ascoltava attentamente e la faceva divertire. Le fece anche conoscere i suoi genitori e le insegnò i balli più recenti.

    Ma Elsie aveva imparato che le cose belle non durano a lungo e infatti, com'era da aspettarsi, Buddy partì con sua sorella per trasferirsi a New York e tentare la fortuna come attore e ballerino di professione. Passarono alcuni mesi durante i quali ricevette appena una lettera da lui, e così Elsie dovette rassegnarsi all'idea che Buddy non sarebbe tornato tanto presto. A quel punto si sentì sola e le venne una grande nostalgia di casa, tanto che, ottenuto il diploma di segretaria, salì su un pullman e tornò in West Virginia. Non per restarci, come disse a zio Aubrey, solo per una visita, che però durò tre anni e si concluse, in modo piuttosto incomprensibile, quando decise di sposare Homer Hickam, un suo vecchio compagno di scuola al liceo di Gary che ora faceva il minatore.

    La mattina successiva al giorno in cui Albert aveva inseguito Homer in giardino, Elsie salutò suo marito che andava al lavoro e si ritirò in bagno per coccolare il suo alligatore, che viveva praticamente nella vasca. Albert era stato un regalo a sorpresa di Buddy, arrivato una settimana dopo il matrimonio in una scatola da scarpe bucherellata e legata con dello spago. Sotto un grazioso cucciolo di alligatore non più lungo di quindici centimetri c'era un biglietto. Spero che tu possa essere sempre felice. Ti mando un ricordo della Florida. Con amore, Buddy.

    Quante volte Elsie aveva dissezionato quel messaggio! Si chiedeva sempre se Buddy sperava che lei fosse felice perché, senza di lui, pensava che non lo sarebbe stata? E perché mandarle un ricordo della Florida che sarebbe vissuto molti anni se aveva voluto che Elsie si dimenticasse di lui? E da ultimo, ma non meno importante, c'era quella parola in fondo, nel suo corsivo svolazzante: Amore.

    Fece qualche carezza ad Albert ma aveva la testa altrove. Pensava all'altro uomo della sua vita, quello che nel frattempo era diventato suo marito. La prima volta che aveva visto Homer, lei giocava in difesa nella squadra di pallacanestro femminile del liceo. Si trovavano nel palazzetto dello sport di Gary, dove dovevano affrontare le ragazze del liceo di Welch, il capoluogo della contea. In un momento di calma della partita, Elsie alzò gli occhi sull'ultima fila delle gradinate e scorse un ragazzo dal volto affilato che la guardava in un modo che la turbò. Un passaggio di una sua compagna le rimbalzò di fianco e dovette fare quasi un tuffo per prenderlo. Poi, senza nemmeno pensarci, fregandosene delle regole, con un palleggio si fece passare la palla fra le gambe, roteò su se stessa, cacciò un gomito nel fianco dell'avversaria e la dribblò, andando a canestro. In tutto questo aveva infranto ogni regolamento del basket femminile. L'arbitro fischiò, mentre l'allenatore del Welch fu sul punto di svenire per l'audacia di quella ragazza che aveva toccato un'avversaria cercando di non perdere il pallone. Elsie fece finta di niente, ignorando l'isteria generale. Cercava con gli occhi il ragazzo per il quale si era messa in mostra e rimase molto delusa nel vedere che se n'era andato.

    Il giorno dopo l'aspettava di fianco all'armadietto. «Mi chiamo Homer Hickam» disse. «Vuoi venire con me al ballo, venerdì prossimo?»

    Fu in quel momento che Elsie notò i suoi occhi. I più azzurri che avesse mai visto, con dentro una specie di fuoco freddo. Prima ancora di rendersene conto gli aveva già risposto di sì, e così avrebbe dovuto dire al capitano della squadra di football che aveva cambiato idea.

    Con sua grande indignazione, venerdì Homer non si fece vivo. Elsie andò al ballo da sola e fu costretta a danzare con un'altra ragazza priva di compagno, guardando per tutto il tempo il capitano della squadra di football che ballava con la capa delle cheerleader. Si sentiva umiliata. Nei due mesi successivi, Elsie vide Homer nei corridoi della scuola e durante un paio di lezioni, ma lo ignorò. Lui pure la ignorò, e fu questa la cosa più dura da sopportare. Poi, tre giorni prima della cerimonia di consegna dei diplomi, Homer la fermò nell'atrio della scuola. «Vuoi sposarmi?» le chiese.

    Elsie si irrigidì, stringendo i libri al petto. «Cosa ti fa pensare che io abbia voglia di sposarti, Homer Hickam? Non sei nemmeno venuto al ballo, dopo avermi invitato!»

    «Ho avuto da lavorare. Papà si era rotto un piede in miniera e così è toccato a me andare a scaricare il carbone e tirare avanti la famiglia.»

    «Perché non me l'hai detto?»

    «Ho pensato che in qualche modo l'avresti saputo.»

    Elsie scosse la testa sorpresa da tanta ottusità, poi girò sui tacchi e si allontanò. «Ci sposeremo» le gridò. «È scritto.» Ma Elsie non si voltò, continuando a camminare a testa alta. Non c'era niente di scritto nella sua mente, a parte il fatto che sarebbe scappata da quel posto alla prima occasione, cosa che peraltro aveva già fatto. Per più di un anno aveva vissuto la vita che aveva sempre sognato. Si era accompagnata a un tipo fighissimo, aveva respirato aria pulita e fatto un bagno di sole. Poi era andato tutto storto e si era ritrovata in West Virginia. E prima che potesse andarsene di nuovo, suo fratello Robert le aveva detto che il sovrintendente della miniera di Coalwood desiderava incontrarla nel suo ufficio.

    «Perché vuole vedermi?»

    «Perché sì. Non dovresti dubitare di un grand'uomo come il Capitano Laird.»

    Robert accompagnò Elsie negli uffici della compagnia e la introdusse dal sovrintendente, che con un semplice cenno gli fece segno di lasciarli soli. «Prego, accomodati» le disse educatamente il Capitano.

    Elsie si sedette davanti alla grande scrivania di quercia e all'imponente figura del grand'uomo che le stava di fronte. Non disse niente perché non sapeva cosa dire. Il Capitano le sorrise. «Ti ho chiesto di venire qui oggi per parlare di un giovane che lavora per me. È un individuo intraprendente, destinato a salire al vertice della sua professione. Credo che tu lo conosca bene. Si chiama Homer Hickam.»

    Elsie non si stupì più di tanto. Sapeva, perché gliel'aveva detto Robert, che Homer lavorava per il Capitano. «Sì, lo conosco» rispose.

    Il Capitano non smise di sorridere. «Sei una personcina graziosa e attraente, e mi è ben chiaro perché Homer ti desideri tanto, ma temo che tu gli abbia spezzato il cuore. E questo l'ha reso poco efficiente sul lavoro. Non potresti fare un favore a lui, a me e alla compagnia mineraria, accettando di sposarlo? È una richiesta molto semplice. Bisogna pure che ti sposi.»

    «Signore...» attaccò Elsie.

    «Per favore, chiamami Capitano.»

    «Va bene. Allora, Capitano, a me Homer piace, dico davvero, ma c'è un ragazzo in Florida... Cioè, al momento sta inseguendo la fama e la fortuna a New York, ma credo che mi voglia e che prima o poi tornerà.»

    Il Capitano si appoggiò allo schienale della poltrona con aria meditabonda e disse: «Un uomo che se l'è svignata a New York invece di sposarti dev'essere un autentico poco di buono! Al punto che, ne sono convinto, preferisce starsene in quel posto a godersela. Sono stato diverse volte a New York. Ci sono tante donne in quella città, Elsie, donne che non ti figuri nemmeno. Bionde platinate, non so se mi spiego.» A Elsie tremarono le labbra e le si inumidirono gli occhi. Vedendola in quello stato il Capitano le chiese gentilmente: «Sai perché alla fine ho sposato mia moglie?».

    Con voce strozzata Elsie rispose che non lo sapeva, e così il Capitano le raccontò come aveva fatto la corte alla donna che adesso era la deliziosa Mrs. Laird e come, dopo che l'aveva invitata a uscire con lui una dozzina di volte, lei gli aveva detto che l'avrebbe sposato solo se aveva in tasca un pezzo di tabacco Brown Mule da masticare e... meraviglia delle meraviglie, ce l'aveva!

    «Si chiama fato, Elsie. Quello che a lei fece dire ciò che disse e che a me fece avere in tasca ciò che avevo. Capisci?» A quel punto si alzò e andò a sedersi di fianco a lei, dandole un buffetto sul ginocchio. «Lascia che sia il fato a guidarti, perché in esso si esprime la volontà dell'universo.»

    Elsie cercò di capire cosa potesse essere questo fato ma non riuscì a spiegarselo. Aveva sempre creduto che fosse Dio a far succedere le cose. Non le era mai passato per la mente che potesse esserci qualcos'altro nell'aria capace di fare lo stesso.

    «Ascolta, figliola» continuò il Capitano. «Perché non accetti almeno di andare a Welch con Homer sabato sera? Magari potreste divertirvi un po'. Non sarebbe poi così male, non ti pare?»

    «Credo proprio di no» convenne Elsie.

    «Molto bene. Vi troverete davanti al Pocahontas sabato sera alle sette. Pensi di farcela?»

    «Sì, signore. Uno dei miei fratelli mi accompagnerà là in macchina.»

    E così fu deciso. Suo fratello Charlie la portò a Welch con il suo trabiccolo e la fece scendere davanti al cinema. Homer arrivò puntuale ed entrarono, senza scambiarsi molte parole, per vedere il film in programma – la storia di Tarzan, l'uomo scimmia, come lei ben ricordava. Non si tennero la mano. Dopodiché aspettarono fuori dal supermercato Murphy's che Charlie venisse a riprenderla. Fu lì che, senza preamboli, Homer le chiese nuovamente di sposarlo.

    «No» rispose Elsie.

    «Per favore» insistette Homer. «Il Capitano mi ha garantito che ci darà una casa e che mi promuoverà caposquadra. Sarebbe bello.»

    Da quando aveva parlato con il Capitano, Elsie si era sentita piuttosto depressa pensando a Buddy, e aveva lasciato correre

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1