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Edmund Campion: Una vita per la fede
Edmund Campion: Una vita per la fede
Edmund Campion: Una vita per la fede
E-book176 pagine2 ore

Edmund Campion: Una vita per la fede

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Info su questo ebook

Il volume raccoglie gli episodi salienti della vita e dell’opera di Edmund Campion, martire gesuita inglese del XVI secolo, che deve essere letta come un’ordinaria storia di eroismo e santità.

L’obiettivo dell’autore, rievocando l’esistenza di Campion, è quello di riproporre nel XXI secolo un emblematico modello di vita e di morte.

Oggi siamo più vicini a Campion di quanto si possa immaginare. Abbiamo visto negli ultimi tempi la Chiesa cattolica tornare a nascondersi, sotto il peso delle persecuzioni, in diversi paesi, soprattutto nei territori islamici, sia in Asia che in Africa.

Dai rotocalchi di tutto il mondo ci giungono continue notizie di altri santi, dispersi o internati nei campi di prigionia, oppressi da atrocità e vessazioni più crudeli di tutto ciò che accadde nell'Inghilterra dei Tudor.

L’immagine del sacerdote incarcerato, torturato e trucidato, pertanto, ci accompagna anche oggi ed il volto di Campion, un uomo dal cuore puro, ed il suo esempio di vita risplendono di luce fino a noi attraverso i secoli, guadagnando l’eternità già su questa terra, nel ricordo e nell’emulazione dei giusti.
LinguaItaliano
EditoreEracle
Data di uscita3 feb 2016
ISBN9788867431342
Edmund Campion: Una vita per la fede

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    Anteprima del libro

    Edmund Campion - Ciro Tammaro

    Bibliografia

    Edmund Campion

    UNA VITA PER LA FEDE

    Al nostro Assistente Spirituale,  

    Padre Carlo Manunza S.J.,

    luce sul sentiero,

    con stima ed affetto

    «Le menti mediocri condannano abitualmente

    tutto ciò che oltrepassa la loro capacità»

    (François de La Rochefoucauld, Massime e Riflessioni morali)

    Nota dell’autore

    Nell’autunno del 2013 mi è capitato di avere tra le mani, per caso, la biografia di San Edmondo (Edmund) Campion, gesuita, scritta da Evelyn Waugh. 

    Attraversavo uno dei miei momenti, piuttosto ricorrenti, di depressione e sconforto.

    Insieme alla biografia di Sant’Ignazio di Loyola del P. Cándido de Dalmases s.j., che ho letteralmente divorato nello stesso periodo, ritengo che tale opera rappresenti uno dei migliori libri che ho letto negli ultimi dieci anni.

    Mi ha profondamente colpito, già di per sé, il lodevole proposito di un uomo che offre la propria vita per un ideale in cui crede fermamente.

    Ma, soprattutto, mi ha affascinato la storia di un sacerdote che si dona totalmente, in anima e corpo, senza tergiversare e fino alle estreme conseguenze, per amore di Cristo e del prossimo, spinto da una fede viva e appagante.

    Ciò costituisce un’autentica rarità – quasi un assurdo – nell’epoca attuale, in cui materialismo e consumismo imperano indisturbati, in cui il culto dell’ego, della bellezza, della forza e della sopraffazione dell’altro per il proprio interesse personale rappresentano, secondo l’opinione comune e il linguaggio dominante, pressoché gli unici parametri di riferimento per orientare, in questo mondo, l’esistenza umana, grazie anche alla sapiente manipolazione dei mass media, troppo spesso asserviti alle logiche del mercato.

    Nel gennaio del 2014 prendevo, dunque, contatti con i Padri Gesuiti della Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, desideroso di trovare una direzione spirituale che potesse trasmettermi la centesima parte di quella fede viva e appagante che aveva guidato l’esistenza di Campion.

    Inoltre, con alcuni amici e colleghi accomunati dall’idea di creare un gruppo di spiritualità gesuita nella mia città (Caserta), davo vita ad una CVX – Comunità di Vita Cristiana – di laici ignaziani, la cui esistenza e attività decidevo di dedicare al martire inglese, chiamandola «CVX Caserta San Edmondo Campion».

    Un aiuto prezioso ho ricevuto dai Padri Pierluigi De Lucia, Gabriele Gionti, Vincenzo Sibilio, Francesco Citarda e dal nostro assistente spirituale Padre Carlo Manunza, ai quali va la mia gratitudine, poichè hanno seguito fin dall’inizio il gruppo CVX di Caserta, fornendo consigli e suggerimenti senza i quali questo libro non sarebbe stato mai scritto.

    Tutto ciò che ho fatto, in verità, è stato semplicemente raccogliere gli episodi salienti della vita di Campion e riferirli in una narrazione unica, che deve essere letta come un’ordinaria storia di eroismo e santità.

    Il mio termine di riferimento costante è stata la biografia di Waugh in lingua inglese, sulla cui struttura viene ricalcato questo lavoro, circa il quale, d’altra parte, non ho avuto alcuna pretesa di originalità, ma esclusivamente di orientare il nostro gruppo CVX di Caserta a guisa di simbolico riferimento di spiritualità e azione.

    Il mio unico obiettivo, rievocando l’esistenza di Campion, era quello di riproporre nel XXI secolo un emblematico modello di vita e di morte.

    Oggi siamo più vicini a Campion di quanto si possa immaginare. Abbiamo visto negli ultimi tempi la Chiesa cattolica tornare a nascondersi, sotto il peso delle persecuzioni, in diversi paesi, soprattutto nei territori islamici, sia in Asia che in Africa.

    Dai rotocalchi di tutto il mondo ci giungono continue notizie di altri santi, dispersi o internati nei campi di prigionia, oppressi da atrocità e vessazioni più crudeli di tutto ciò che accadde nell'Inghilterra dei Tudor.

    L’immagine del sacerdote incarcerato, torturato e trucidato, pertanto, ci accompagna anche oggi ed il volto di Campion, un uomo dal cuore puro, ed il suo esempio di vita risplendono di luce fino a noi attraverso i secoli, guadagnando l’eternità già su questa terra, nel ricordo e nell’emulazione dei giusti.

    Frascati, Villa Sora, 30 aprile 2015

    Ciro Tammaro

    Cenni biografici

    Edmondo Campion visse nel triste periodo della Riforma Anglicana, sotto il regno della scismatica Regina Elisabetta I; nacque a Londra il 25 gennaio 1540 da agiati genitori, inizialmente cattolici e poi passati al protestantesimo. 

    Educato con questi indirizzi, frequentò prestigiose scuole di Londra; inoltre la sua evidente perspicacia negli studi si evidenziò con alcuni discorsi da lui preparati e tenuti in occasione di importanti avvenimenti del tempo, come l’ingresso a Londra della Regina Maria Tudor nel 1553, che gli aprì le porte del Collegio universitario di Oxford. I compagni di studio, per le sue qualità, si raccolsero intorno a lui sotto il nome di campionisti.

    Dovette adattarsi alla situazione religiosa per cui, già nel 1564, prestò il giuramento anticattolico riconoscendo la supremazia religiosa della Regina; dovendo in quello stesso anno dedicarsi agli studi di filosofia aristotelica, di teologia e dei Santi Padri, scoprì che l’anglicanesimo non era altro che una deformazione dell’antica fede che aveva resa grande l’Inghilterra.

    Si sentì profondamente a disagio quando il Vescovo anglicano di Gloucester, avendolo conosciuto, desiderò che diventasse suo successore e quindi lo ordinò diacono. Quella ordinazione turbò profondamente Edmondo, procurandogli cocenti rimorsi, cosicché egli abbandonò il servizio religioso protestante, gli studi e le altre cariche e il 1° agosto 1569 lasciò Oxford per Dublino, nell’Irlanda cattolica, dove professò apertamente il cattolicesimo.

    Sentendosi ricercato da parte dei fedeli della Regina, si rifugiò a Douai in Francia, per entrare in seminario e completare gli studi teologici. Riconciliato con la Chiesa fu ordinato suddiacono, poi entrò nella Compagnia di Gesù nel 1573, dove fu accettato e

    destinato alla provincia austriaca dell’Ordine.

    Insegnò nel Collegio di Praga, fu ordinato sacerdote nel 1578 e si dedicò valentemente alla predicazione; in questo periodo scrisse varie opere letterarie di religione. Nel 1580 venne destinato alla Missione inglese con sua grande gioia e dopo essere stato ricevuto in udienza dal Papa insieme ad un compagno, Roberto Persons. Il 18 aprile dello stesso anno lui ed altri sacerdoti si avviarono verso questa nuova meta di apostolato.

    Saputo che in Inghilterra erano già informati del loro arrivo, poterono sbarcare solo con stratagemmi e travestimenti. Il 26 giugno Campion si rifugiò a Londra presso amici. Un suo discorso pronunciato il giorno della festa di S. Pietro ebbe una grande eco nel regno e la stessa Regina Elisabetta, irritata, diede ordine di arrestare l’autore che si teneva nascosto a casa di fedeli cattolici.

    Pertanto, egli dovette necessariamente lasciare Londra e intraprendere il suo ministero in forma itinerante, spostandosi da un paese all’altro per le varie contee del regno. Rilasciò una dichiarazione in cui spiegava la spiritualità della sua missione, chiedendo di poter avere confronti con i lords, con i professori universitari e con persone esperte di diritto civile ed ecclesiastico. Inoltre manifestò espressamente l’intento dei gesuiti di voler tentare tutto il possibile per ivi riportare la fede cattolica, rigorosamente proibita dal governo inglese, anche a costo della loro vita.

    Questa dichiarazione divenne pubblica e se da un lato confortò i cattolici, dall’altro provocò la reazione degli scismatici e le prigioni si riempirono di persone fedeli a Roma.

    Ma Campion fece di più: il 29 giugno 1581 sui banchi della chiesa di S. Maria ad Oxford si trovarono quattrocento copie di un opuscolo da lui fatto stampare di nascosto, in cui dopo aver esposto le contraddizioni dell’anglicanesimo, egli invitava la Regina a ritornare nella Chiesa.

    Il 16 luglio, tradito da un tale George Eliot, fu catturato dopo aver celebrato la Messa nella casa della signora Yate; tre giorni dopo fu condotto alla Torre di Londra, legato all’incontrario su un cavallo, con la scritta sulla testa Campion il gesuita sedizioso, fu processato, riconosciuto colpevole di essere entrato in Inghilterra di nascosto con finalità sovversive, e quindi condannato a morte.

    Inutili furono tutti i tentativi di fargli riconoscere la supremazia monarchica in ambito religioso, nonostante le torture a cui fu sottoposto, le lusinghiere offerte della Regina, ed il fatto che la folla che partecipava al processo venisse colpita favorevolmente dalle sue argomentazioni.

    Salì il patibolo dell’impiccagione il 1° dicembre 1581 e, già con il cappio al collo, esternò il suo rispetto verso la Regina e l’autorità reale, affermando ancora una volta, davanti ad una grande folla, di morire nella vera fede, cattolica e romana.

    1. La formazione: un talento straordinario

    Alla metà di marzo del 1603 la regina Elisabetta pareva in procinto di rendere l’anima a Dio. Gli esperti di medicina che gravitavano intorno alla sua corte non riuscirono a stabilire quale malattia avesse. Era afflitta da una febbricola, ed era costantemente assetata, irrequieta e depressa; si rifiutava di assumere qualsiasi farmaco, di nutrirsi e di andare a letto.  

    Sedeva sul pavimento sostenuta da cuscini, insonne e silenziosa, gli occhi costantemente aperti, fissi al suolo, indifferente all'andirivieni dei suoi consiglieri e degli addetti alla sua persona. Nulla aveva fatto per il riconoscimento del suo successore, nessun provvedimento era stato preso da lei per disporre dei suoi beni personali e del vasto, eterogeneo, accumulare di tutta una vita, durante la quale ogni giorno erano venuti a lei doni da tutte le parti del mondo.

    Ripostigli ed armadi rigurgitavano di gioielli, monete, cimeli e monili vari; duemila vesti lussuose si ammassavano nel guardaroba.

    C'era sempre gente nella piccola sala, in attesa che la Regina parlasse, ma ella sospirava, prendeva un sorso, e restava in silenzio. Aveva intorno al collo un pezzo d'oro grande quanto una moneta, coperto di caratteri incisi, che le era stato lasciato da un'indovina morta nel Galles all'età di centoventi anni. Sir John Stanhope le aveva assicurato che finché avesse portato quel talismano non sarebbe morta.

    Non c'era ancora bisogno di medici o avvocati, di statisti o di sacerdoti. Il Lord Ammiraglio Howard era uno dei visitatori più assidui. Inginocchiato accanto a lei, la implorò con le lagrime agli occhi di prendere un po' di cibo. Fu portata una scodella di brodo, e l'Ammiraglio la persuase a sorbire una o due cucchiaiate dalle sue mani. Ma quando la incitò ad andare a letto ella rifiutò rabbiosamente e scoppiò in una descrizione violenta e confusa dei suoi incubi: «Se foste abituato a vedere nel vostro letto le cose che io vedo quando sono nel mio», gli disse, «non cerchereste di persuadermi ad andarci». Ma le forze le mancarono per sostenere la sua ira e quando Cecil ed i legali l'ebbero lasciata, scosse pietosamente il capo, dicendo: «Milord, sono legata con una catena di ferro intorno al collo».

    L'Ammiraglio la richiamava al suo abituale coraggio, ma ella rispose, con desolazione: «Sono legata, sono legata; e le cose sono cambiate per me!». Il Consiglio inviò a lei l'Arcivescovo di Canterbury. Egli venne con parecchi altri ecclesiastici, uomini eloquenti ed austeri che avevano fatto una gran carriera nella sua chiesa, per offrirle i conforti della religione; ma la loro comparsa la rese furiosa. Li maltrattò e li cacciò via, gridando di non essere un'atea, ma di sapere fin troppo bene che essi non erano che dei mediocri pretucoli. Le donne intorno a lei cercavano di attribuire una causa alla sua malinconia: supponevano fosse dovuta alle esecuzioni capitali di Essex e di Maria di Scozia, alla grazia di Tyrone.

    La Regina stessa confidò a Lady Serope che, prima che la Corte si spostasse da Whitehall, aveva avuto un’orribile visione del «suo stesso corpo, eccessivamente scarno e spaventoso, in una luce di fuoco». Aveva anche richiesto uno «specchio sincero» che non vedeva più da vent'anni, ma quando le fu portato, proruppe in imprecazioni contro tutti gli adulatori che tanto l'avevano lodata.

    Per tutta la vita era stata circondata da complotti: complotti per coinvolgerla nella ribellione di Wyatt e complotti contro la sua vita per assassinarla con palle di fuoco e per avvelenare il pomo della sua sella. Molti di questi complotti furono abbastanza reali, alcuni furono fomentati da agents provocateurs, altri inventati da falsari ed informatori inesistenti tranne che nei cervelli di Walsingham e di Cecil.

    Ora, nella sua ultima malattia, essi riprendevano forma, ed assassini erano appostati per lei nell'ombra e dietro i tendaggi. Alla fine l'Arcivescovo tornò da lei, ed un moto della mano fu interpretato dalle dame che l'assistevano come un assenso a tale presenza. Elisabetta giacque così per circa due settimane, finché, scivolando nell'incoscienza, fu portata a letto, dove morì senza dir parola.

    In queste circostanze ebbe fine la dinastia dei Tudor, che in tre generazioni aveva cambiato l'aspetto dell'Inghilterra. Lasciava una nuova aristocrazia, una nuova religione, un nuovo sistema di governo. L'Inghilterra era sicura, indipendente, ricca. Il corso della sua storia le si stendeva chiaramente dinanzi: nazionalismo, industrializzazione e imperialismo.

    La vita della Regina era stata una vita di tumultuoso dramma, e finiva oramai nel silenzio.

    Per trattare il tema del presente studio, dobbiamo tuttavia tornare a molti anni prima - nel 1564 - quando Elisabetta si era recata a Cambridge, dove l'intera Università si era adoperata a divertirla. Alcuni dei membri più entusiasti l'avevano perfino seguita nella prima parte del suo viaggio di ritorno, ed avevano tentato di riuscirle graditi - con poco successo, come poi risultò - rappresentando una penosa parodia della Messa, in cui uno di loro, vestito da cane, salterellava per il palcoscenico con un'Ostia fra le labbra.

    Benché fosse tempo di vacanze, l'intera Università restò praticamente in sede per la sua venuta. La Corte si trovava al Palazzo di Woodstock, a breve distanza, ed alla fine di agosto, in un pomeriggio di pioggia pesante, Leicester, che era adesso Cancelliere dell'Università, Sir William Cecil ed alcuni compagni cavalcarono innanzi per prendere gli ultimi accordi. Due giorni dopo - sabato 31 - la Regina li seguì, accompagnata dalla maggior parte della sua Corte e dall'Ambasciatore di Spagna.

    Leicester venne ad incontrarla a Wolvercote, al limite dei recinti universitari; erano con lui il Vice Cancelliere ed i Capi delle Case, nelle loro cappe accademiche. Fu un pomeriggio formidabile. Dal momento in cui il gaio e

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