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Lo Straordinario Volo delle Oche Indiane
Lo Straordinario Volo delle Oche Indiane
Lo Straordinario Volo delle Oche Indiane
E-book147 pagine1 ora

Lo Straordinario Volo delle Oche Indiane

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Info su questo ebook

Un romanzo autobiografico sull’amore
LinguaItaliano
EditoreEracle
Data di uscita11 dic 2018
ISBN9788867433063
Lo Straordinario Volo delle Oche Indiane

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    Anteprima del libro

    Lo Straordinario Volo delle Oche Indiane - Ciro Tammaro

    campana

    PREFAZIONE

    Le oche indiane sono uccelli, originari dell’Asia centrale, che riescono a volare più in alto di qualsiasi altro volatile. Sono state avvistate addirittura ad un’altezza record di seimila metri sulla catena dell’Himalaya. Ciò è dovuto ad una sostanza presente nel loro sangue, che consente un’ossigenazione particolare, necessaria per lunghi voli ad alte quote. Le oche indiane viaggiano in gruppo, spesso a coppie.

    Chi ha la fortuna di amare è così: vola alto, è capace di viaggi ed imprese straordinari, fuori della norma, oltre ogni limite. Riesce a contemplare tutto il creato e ad avvicinarsi più di ogni altro essere umano a Dio.

    Ma è anche condannato alla solitudine, all’incomprensione e alla sofferenza, perché l’amore è per pochi, così come le alte quote.

    Lo straordinario volo delle oche indiane non è un romanzo d’amore, ma è un romanzo sull’amore. Si svolge tra Viterbo e Roma e narra del giovane Italo, professore di teologia presso l’Università Pontificia, che si innamora perdutamente della collega Francesca, pur essendo entrambi, tuttavia, già sposati con figli.

    Essi per amore decidono di lasciare i rispettivi coniugi, e questo gesto comporta una serie di gravi conseguenze nella loro vita, dovute alla mentalità chiusa ed ipocrita degli ambienti e delle persone che li circondano, tra cui la perdita del lavoro, l’umiliazione, nonché l’abbandono morale e materiale da parte dei familiari di origine e degli amici.

    Ma, nonostante i segni della sofferenza e dopo innumerevoli difficoltà, alla fine l’amore tra Italo e Francesca trionfa, perché è più forte di ogni altra cosa.

    L’amore vince sempre.

    I

    Italo Moretti aveva vissuto un’infanzia tranquilla, come tanti altri bambini della sua età. Era nato a Viterbo nel 1968, l’anno della contestazione studentesca, ed aveva frequentato le scuole elementari in una struttura gestita da un istituto di suore.

    La madre, Veronica, insegnante di latino e greco nei licei, era una donna precisa e austera. Aveva perso improvvisamente sua mamma all’età di dodici anni, e suo papà si era risposato appena un anno dopo. La matrigna – una donna rozza e insensibile – aveva impiegato poco tempo per mettere in riga Veronica e le sue due sorelle più piccole, imponendo loro una dura disciplina attraverso metodi educativi particolarmente rigidi. Questa serie di eventi traumatici aveva segnato tutta l’esistenza della donna, lasciandole nell’animo i segni di una sofferenza profonda che si concretizzava in una bassa autostima e in una rilevante incapacità affettiva.

    Italo ricordava di avere frequentato la scuola sempre con il grembiule pulito e stirato, ma mai di avere ricevuto un bacio quando la madre lo accompagnava fuori la porta della sua aula.

    Veronica era innamorata della cultura classica e l’unica forma di comunicazione che era stata in grado di instaurare con il figlio consisteva nel trasmettergli frammenti delle sue vaste conoscenze umanistiche, attraverso le favole e i miti dell’antica Grecia e del mondo latino, il cui profumo Italo aveva respirato sin dalla tenera età, nei racconti che la madre gli narrava all’ora dei pasti.

    Il padre di Italo, Aldo, un ufficiale dell’esercito, era un uomo severo e distaccato. Interamente dedito al lavoro, era quasi sempre assente da casa. Questa sua estraneità, se non indifferenza, rispetto alla vita familiare veniva controbilanciata da momenti di vero dispotismo, durante i quali egli, ricordandosi improvvisamente di avere una moglie e dei figli, con fare irridente e sprezzante chiedeva conto della loro vita pretendendo di dettare legge.

    Tali momenti, per fortuna assai sporadici, nella vita del ragazzo andavano ad inserirsi in un rapporto generale pressoché inesistente con il padre. Nonostante questo vuoto, Italo riuscì ad ereditare da quell’individuo così distante la passione per il disegno e la pittura, verso cui mostrava una spiccata inclinazione nel tentativo di emulare il genitore in qualcosa che potesse finalmente ricevere l’approvazione ed il plauso di lui. Tale inclinazione era stata coltivata col restare ad osservare a lungo il padre mentre dipingeva, dopo avere ricevuto il permesso di seguirlo nel suo studio quando quegli, nel tempo libero, ivi si rintanava a dipingere.

    Italo aveva inoltre ricevuto da entrambi i genitori, molto praticanti – grazie pure all’influenza di uno zio paterno, religioso carmelitano – una profonda educazione cattolica, sebbene piuttosto formale e pure un tantino bigotta. Tuttavia non si sentiva affatto gratificato da questa immagine di fede religiosa priva di ogni gioia, perché essa ruotava unicamente intorno a concetti mesti come il peccato, la pena, la sofferenza e la condanna. Ma ben presto il ragazzo, quando al liceo si avvicinò allo studio della filosofia, si fece la propria idea di Dio e del mondo ed abbandonò quella visione così angusta e ristretta.

    I suoi primi anni di vita Italo li aveva trascorsi con la famiglia in un appartamento preso in fitto nel centro di Viterbo, unici suoi passatempi il triciclo e, successivamente, il disegno. All’epoca i genitori stavano costruendo una villetta in un paese ad alcuni chilometri dalla città, dove si trasferirono quando il bimbo aveva quasi sette anni.

    Dato che dovevano risparmiare per potere terminare i lavori nella nuova casa, la vita di Italo e degli altri due fratelli Marco e Rita fu improntata ad uno stile estremamente sobrio e spartano: mai il cinema, mai il ristorante, mai viaggi per l’Italia o all’estero. Da adulto Italo ricordò di avere assistito ad uno spettacolo al circo una sola volta nella sua vita, accompagnato dalla madre, e di avere visitato un parco giochi parimenti una sola volta, in compagnia degli zii e dei cugini.

    Considerato che egli era il secondo dei tre figli, a lui passavano necessariamente gli abiti dismessi dal primogenito Marco. I giocattoli erano previsti solo il giorno dell’Epifania, accanto alla calza con i dolciumi e il carbone dolce. Sulla tavola dei Moretti i cibi più frequenti erano il latte e le uova, più a buon mercato, la carne dei polli e dei conigli allevati dal padre di Italo, che nel frattempo si era pensionato dal lavoro, e la frutta coltivata nel giardino di casa. Il tutto condito da scrupolosa oculatezza e da attenta parsimonia.

    Italo aveva vissuto l’adolescenza tra i giochi all’aperto con i fratelli, con i cugini e con il cane lupo Edgar, e le corse in bicicletta per i campi. Aveva frequentato il liceo classico con buon profitto e con una particolare predilezione per le materie letterarie, divenendo un bel giovanotto dai capelli castani e dagli occhi a mandorla grigio-verde incorniciati da vistosi occhiali di tartaruga, con un carattere timido, riservato e piuttosto impacciato.

    A scuola erano maturate per lui le prime amicizie e divampate le passioni giovanili. E, quale inevitabile corollario di queste, era comparso in bocca un sapore nuovo, mai sperimentato in precedenza, quello delle delusioni e delle amarezze.

    Italo aveva coltivato un paio di relazioni sentimentali piuttosto lunghe, serie e tormentate, coerentemente con la sua abitudine a complicarsi malamente la vita, ma non si era trattato di amore. Nella prima, con una ragazza più grande ed esperta di lui, dagli occhi e i capelli brunissimi, durata circa un anno, Italo si era sforzato di dare tutto se stesso in preda ad un forte coinvolgimento affettivo, ma era andato incontro ad una grossa delusione perché Carla (così si chiamava la ragazza) lo aveva lasciato agli inizi di un tiepido mese di maggio, attratta da un altro uomo più maturo e ben posizionato.

    La seconda storia, con una certa Cinzia, era stata costruita da Italo essenzialmente sull’attrazione sessuale. Scottato dall’esperienza precedente che gli aveva procurato molta sofferenza, egli si era imposto di vivere questo nuovo rapporto nella maniera più lucida e razionale possibile, rifiutando a priori di legarsi, mentre contemporaneamente Cinzia si era innamorata perdutamente di lui. Dopo circa quattro anni di alti e bassi, in cui il rapporto era stato troncato e riallacciato più volte, Italo aveva deciso di mettervi fine quando la ragazza gli aveva confidato che temeva di essere rimasta incinta, manifestandogli l’opportunità di presentarlo ai propri genitori. Per fortuna, dimostrandosi ben presto infondato il pericolo paventato, il giovane si era affrettato a chiudere il rapporto, perché consapevole di non amare Cinzia.

    Affascinato dallo studio delle Sacre Scritture, tuttavia desideroso di leggerle, interpretarle e viverle alla luce del solo infinito amore di Cristo per l’uomo, aveva in seguito deciso di studiare teologia a Roma, presso l’Università Pontificia, e con congruo anticipo rispetto ai termini del corso di studi, si era laureato con il massimo dei voti discutendo una tesi su Sant’Alberto Magno.

    Alla giovanissima età di ventisette anni, aveva ottenuto la cattedra di teologia morale presso la Pontificia Università Lateranense accreditandosi come un docente molto preparato e con una carriera luminosa che gli si apriva dinanzi.

    Italo avrebbe portato per sempre con sé quella spiccata timidezza, quello scarso spirito di iniziativa e quella paura di vivere che gli erano stati trasmessi in famiglia, mascherati dall’apparenza di un carattere mite e riflessivo e sopiti da un forzato autocontrollo. Tali aspetti caratteriali divennero tratti essenziali della sua personalità, che egli sarebbe riuscito a combattere e vincere solo con improvvise decisioni d’impulso.

    «Sai, riesco a vincere la paura di tuffarmi da un’alta scogliera nell’abbraccio del mare solo chiudendo gli occhi, turandomi il naso e saltando», aveva detto una volta, con una battuta, ad un suo compagno di Università, un sacerdote libanese. In realtà più che una frase ironica egli aveva formulato un intimo convincimento, molto più serio di quanto fosse apparso dall’esterno.

    E, di lì a qualche anno, il destino gli avrebbe fornito una limpida occasione per applicare tale principio nella spietata e implacabile arena della vita.

    II

    Verso la metà di un piovoso mese di ottobre dell’anno millenovecentonovantasette, Italo aveva conosciuto Delia, di sei anni più giovane.

    Il primo incontro era avvenuto ad una festa organizzata in casa di amici, alla quale egli era stato invitato da un collega, docente nella stessa Università. Sentendosi spaesato perché non conosceva quasi nessuno dei presenti, Italo si era sistemato in disparte, nei pressi dell’uscita sul terrazzo, in un punto che gli consentisse di tenere d’occhio tutta la sala beneficiando allo stesso tempo di una facile via di fuga. Era stato da

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