Cassiodoro primo umanista
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Testi di: Marco Beck, Agnese Bellieni, Giovanni Bonanno, Massimo Cardamone, Antonio Carile, Milena Carrara, Ester Cuzzocrea, Alfredo Focà, Alessandro Ghisalberti, Elio Guerriero, Laura Mapelli, Giorgio Montecchi, Roberto Osculati, Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Patrizia Stoppacci.
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Cassiodoro primo umanista - Alessandro Ghisalberti
CASSIODORO CITTADINO EUROPEO
Prefetto del Pretorio a Ravenna, ambasciatore a Costantinopoli, senatore a Roma e amico dei Papi. Fu politico lungimirante, scrittore, biblista e fondatore di monasteri a Squillace.
Il rapporto di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (ca. 485-583) con l’Impero romano di Oriente è intimamente legato alla memoria e all’orgoglio familiare che troviamo espressi, a nome di re Teoderico, nell’epistola rivolta al Senato di Roma nel 507 (Variae I, 4), con cui lo si informa del conferimento del titolo di patricius al padre del nostro e del suo conseguente ingresso in Senato a pieno titolo. L’identità di Cassiodoro si definisce nell’orizzonte dell’Impero romano, che unico sopravvive a Costantinopoli Nuova Roma. La storia della famiglia si incentra sui tre Cassiodoro (bisnonno, nonno e padre), di cui non sono riportati i nomi per esteso, e sul trisavolo Eliodoro, antenati del nostro:
Ascendenza antica, stirpe illustre, magistrati famosi, militari egregi, di salute fisica forte e di taglia possente. Il padre del nostro Cassiodoro [nonno] esercitò, ed encomiabilmente, sotto l’Impero di Valentiniano, l’ufficio di tribunus e di notarius, honores concessi allora a persone segnalate, addette ai segreti imperiali e assolutamente irreprensibili. Secondo l’usanza di scegliere collaboratori del medesimo livello, egli, a beneficio dell’Impero, fu associato al patricius Ezio, il famoso generale, al seguito del quale, per il suo consiglio e la sua saggezza, ebbe modo di rendere grandi servizi. E così fu che, assieme a Carpilione figlio del generale, fu destinato proficuamente a far parte dell’ambasceria inviata al terribilissimo Attila. Davanti a quell’uomo, che tutto l’Impero guardava con senso di terrore, il nostro si presentò senza paura, sostenuto dalla forza della buona causa, incurante di quel ceffo carico di furore e di minacce. Non ebbe esitazioni a rimbeccare uno per uno i cavilli di quell’uomo, il quale invasato da una forma di raptus si credeva il padrone del mondo. All’inizio si trovò di fronte a un essere furibondo, ma finì col lasciarlo ammansito, riuscendo a smontare il castello delle insinuazioni con tanta abilità da convincere il barbaro che non sarebbe stato suo interesse rifiutare la pace con un Impero così ricco. L’atteggiamento di Cassiodoro ridiede tanto coraggio ai compagni di delegazione da muovere gli Unni al convincimento che non doveva essere imbelle un impero dotato di simili ambasciatori. In conclusione si strappò una pace prima insperata. Successo tanto più gradito quanto più sembrava lontano…
Anche l’avo dei Cassiodoro [il bisnonno del nostro] si era reso famoso di una corona di gloria. Tanto per fare onore al suo casato, rese sicura la Sicilia e il Bruzio dalle incursioni dei Vandali, con sistema di difesa armata da meritare una posizione di privilegio in quelle due province, da lui protette da un nemico rovinoso e improvviso… Essi, i Cassiodoro, hanno avuto origine in Oriente. Il loro capostipite, di nome Eliodoro [trisavolo], esercitò con generale soddisfazione, a quanto ci consta, la prefettura per nove anni. Nota nei due settori dell’Impero, la sua stirpe ha fatto parte dell’uno e dell’altro Senato, come a iraggiare luce da una doppia fonte… Così grande era la ricchezza del suo patrimonio da superare persino la famiglia regnante per le mandrie di cavalli, ma non suscitava invidie a motivo della generosità. Così si spiega perché il nostro Cassiodoro [padre di Cassiodoro Senatore] è il migliore fornitore dell’esercito dei Goti. È una tradizione di famiglia, che egli intende custodire con larghezza di vedute¹.
La mitologia familiare sul ruolo di Cassiodoro nonno circa l’ambasceria ad Attila e il suo risultato si stempera nella più credibile notizia della fornitura di cavalli a titolo gratuito (che altro significa larghezza di vedute?) all’esercito dei Goti da parte di Cassiodoro padre. Il rapporto di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore con l’Impero d’Oriente si colloca nel contesto dei reali rapporti fra aristocrazia senatoria romana e dominatori gotici. L’accentuazione della politica religiosa antiariana a Costantinopoli² con l’editto antiariano di Giustino I (524) aveva creato un clima favorevole in Italia allo scontro fra i Goti³ da un lato, minacciati nel loro possesso fondiario dalla politica di espropri che il governo romano-orientale avrebbe potuto mettere in opera contro possessori eretici, e il ceto senatorio romano dall’altro, che la conquista ostrogota aveva penalizzato del terzo della proprietà immobiliare, senza contare le confische arbitrarie, che pure non erano mancate, e l’esproprio del territorio delle città, ridotte al circuito del pomerium, il che significava l’esproprio del controllo fiscale delle campagne a vantaggio degli insediamenti e dei funzionari militari gotici. A questi stati di fatto contrari agli interessi dell’aristocrazia senatoria, si aggiungeva anche la duplice giurisdizione dei comites gotici militari, su Goti e su processi fra Goti e Romani da una parte e giudici ordinari per i Romani dall’altra⁴, procedura che apriva la strada agli abusi clientelari prevedibili da parte dell’aristocrazia ostrogota.
L’aspirazione alla coesistenza fra i vari gruppi etnici e soprattutto alla collaborazione politica fra élite di vincitori e soggetti latini è certo un programma di re Teoderico, fra l’altro ambiguamente indirizzato in Italia dall’imperatore romano-orientale Zenone, in realtà il barbaro Tarasicodissa, proveniente da una regione dell’Anatolia, l’Isauria, che gli imperatori romani avevano cercato di contenere con un limes, cioè un confine fortificato: barbari interni all’Impero ma sempre barbari⁵. Le asserzioni dell’interessato Cassiodoro⁶, esponente di spicco di una aristocrazia imperiale decisa alla collaborazione, invitano alla convivenza pacifica fra Romani e Goti⁷; queste direttive mi sembrano tuttavia rivelare una qualche atmosfera di ostilità nella coesistenza: voi Goti siate uniti ai Romani tanto nei possessi fondiari quanto nell’amore, voi Romani dovete sforzarvi molto di avere simpatia per i Goti.
Certo i meriti della pace imposta dai Goti non venivano disconosciuti: la prosperità della città cui la disponibilità del ceto dirigente richiamava i negotiantes dalle diverse province, la ritrovata sicurezza per cui non era neppur necessario chiudere le porte delle città – amplificazione retorica a carattere topico –, il costo accettabile del grano sexaginta modios tritici in solidum (sessanta moggi di grano per un soldo d’oro), il ripristino dell’acquedotto, la legge valevole indifferentemente per le due comunità⁸, sono elementi in parte confermati nella cura del restauro delle antiche città, in parte forse luoghi retorici⁹. Sappiamo infatti che di fronte al fisco i Goti sono in realtà renitenti e d’altra parte la cessione della tertia pars a carico dei possessori latini rendeva certo Latini e Goti in possessionibus vicini, ma probabilmente non predisponeva alla caritas. L’attribuzione dello jus hospitalitatis, cioè il terzo dei beni immobili dei possessores ai Goti per consentire loro di insediarsi, ha lasciato nelle Variae numerosi echi di usurpazioni¹⁰, riferibili al caso che un barbaro senza diritto prese possesso di un fondo romano, o addirittura al caso estremo del goto Tanca, che nel 527, oltre a spogliare del praedium e del peculium i possessori latini, li aveva ridotti nella condizione di schiavi.
Nei primi anni del regno gotico (507-508) sono testimoniate violenze degli hospites, cioè dei destinatari legittimi delle tertiae, e violenze dei saiones, cioè i funzionari goti preposti alla gestione di problemi amministrativi, ivi comprese le questioni patrimoniali contro i padroni latini, casi che dopo il 523 si moltiplicano. Lo stesso Teodato in Tuscia si era distinto nell’incameramento arbitrario di proprietà latine¹¹.
Nel primo capitolo delle Variae la lettera di Teoderico all’imperatore Anastasio¹² ha un significato centrale nella messa a fuoco della sua visione politica del rapporto fra regno ostrogoto e Impero, ma soprattutto consente di visualizzare la nostalgica contemplazione dell’Impero romano di Oriente come unico impero, orizzonte ideale di Cassiodoro:
Voi [Anastasio] siete il più bel ornamento di tutti i regni; voi siete la difesa salutare dell’intero mondo, a cui tutti gli altri governanti guardano giustamente con adorazione, poiché essi sanno che in voi c’è qualcosa che è dissimile da tutti gli altri: noi sopra tutti, che per divino aiuto imparammo nella vostra repubblica l’arte di governare i Romani con equità. La nostra regalità è una imitazione della vostra, modellata sui vostri buon intendimenti; una copia dell’unico Impero; e in quanto noi seguiamo voi, noi eccelliamo sulle altre nazioni… Noi pensiamo che voi non vorrete tollerare che qualsiasi motivo di discordia perduri fra le due repubbliche, che sono dichiarate di aver sempre costituito un unico corpo sotto i loro antichi princìpi e che non dovrebbero essere unite da un semplice sentimento di amore, ma dovrebbero attivamente aiutarsi una con l’altra con tutti i loro poteri. Che ci sia sempre una unica volontà, un unico scopo nell’Impero romano¹³.
Cassiodoro stende il paradigma del rapporto tra Goti e Romani, tra legittimità del regno e superiore legittimità dell’Impero d’Oriente di cui il regno è storicamente una parte: Teoderico per sua bocca esalta la Augusta pax, la veneranda Romanae urbis affectio distesamente esplicata nel ventesimo titolo della stessa raccolta, in cui si giustifica anche il ruolo dell’aristocrazia collaborazionista: «Non si deve ritenere che i Romani reggano e governino i popoli contro la legge. Se infatti si valuta il motivo di ogni carica pubblica (honor), sono stati scelti per il loro vantaggio (utilitas dei popoli) coloro che meritarono di ricevere cariche pubbliche colme di prestigio».
Cassiodoro nel 533 diviene praefectus praetorio, riuscendo a superare gli orrori della guerra greco-gotica, a ritirarsi a Costantinopoli Nuova Roma e poi nel suo Bruttium a Vivario nel 555, cioè tre anni dopo la sconfitta e morte di Totila a Gualdo Tadino e due anni dopo la morte di Teia al monte Lattario e conseguente scomparsa del regno ostrogoto. Segno che la sua opera politica di legittimazione del regno ostrogoto nell’orizzonte dell’Impero romano non aveva destato sospetti a Costantinopoli.
Il cosmopolitismo della regia civitas di Ravenna, al di là dell’esaltazione retorica della civilitas¹⁴ come programma di tolleranza reciproca fra Goti e Romani, e rispetto e salvaguardia della memoria storica romana nei suoi monumenti architettonici¹⁵, era contrassegnato da sospetti e tensioni fra le componenti del ceto dirigente, gli alti dignitari dell’aristocrazia militare ostrogota e i grandi proprietari fondiari romani dalle orgogliose tradizioni senatorie. Le Variae mostrano un Teoderico ansioso di realizzare una coesistenza armonica tra i due popoli, Goti e Romani; ma in realtà si intendeva mantenere la separazione di carattere nazionale fra i due popoli, perché la vitalità della nuova società cui il regno aveva dato vita consisteva nella sopravvivenza delle qualità diverse delle due componenti etnico-politiche. Tra Goti e Romani sussiste una netta divisione di compiti: mentre i Goti impugnano le armi a difesa del territorio e del nuovo ordine del regno, i Romani sono destinati a compiti amministrativi fondati sul diritto romano, che non avrebbe potuto essere imposto ai Goti senza distruggerne l’identità etnica.
L’insofferenza dei grandi signori romani per un soggiorno ravennate che eccedesse la durata delle funzioni onorifiche di carattere amministrativo man mano delegate durante il regno di Teoderico era già stata una spia significativa del clima di scontro culturale attorno alla corte di Teoderico, al di là delle affermazioni ireniche di Cassiodoro¹⁶, che vanno probabilmente colte nel senso che la dinastia ostrogota mira a favorire una coesistenza pacifica fra la maggioranza dei conquistati e la minoranza militare dominante degli Ostrogoti.
Il processo ulteriore di assimilazione in senso romano promosso dalla regina Amalasunta e dal cugino Teodato portò a una ribellione dell’aristocrazia militare, che si impadronì in primo luogo dell’erede Atalarico (526-534); e la sua prematura scomparsa portò all’eliminazione successiva di Amalasunta (535) e del cugino, marito e re Teodato (536), cultore di filosofia neoplatonica come un aristocratico romano e mirante a un latifondo esteso quanto possibile in Tuscia, piuttosto che alla sopravvivenza del regno ostrogoto. In Italia si manifestava in tutta la sua potenzialità distruttiva il conflitto culturale fra aristocrazia militare gotica, forte della propria posizione sociale, delle proprie tradizioni e della propria memoria storica, di contro agli eredi della dinastia, decisi a mimetizzarsi nella cultura tardoantica dei grandi proprietari fondiari romani.
La molteplicità etnica e le peculiarità culturali e linguistiche erano da sempre caratteristica della vita militare e civile dell’Impero di Oriente. Se le lingue veicolari dell’Impero erano il greco e il latino, nessun impedimento ostacolava i provinciali alloglotti, se capaci e fortunati, di ascendere socialmente nelle gerarchie militari e civili dell’Impero, al prezzo dell’adozione delle lingue dominanti.
Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, statista ed erudito, prefetto d’Italia dal 533 al 537 sotto i successori di re Teoderico, suscitò sospetti e idiosincrasie per il suo comportamento: da questore nel 507, Cassiodoro stende un panegirico di Eutarico, presumibile erede di re Teoderico, proprio nel 519, quando avviene la rottura fra il re e i cristiani ortodossi cattolici; è capo d’altra parte degli uffici palatini, magister officiorum nel 523 quando Boezio viene incarcerato e nel 524 assassinato, nonché nel 525 quando viene giustiziato Simmaco: personaggi della sua classe sociale, della sua educazione e della sua professione di fede, quando non legati a lui da vincoli di parentela. Egli, anzi, nel 533 diviene praefectus praetorio, riuscendo a superare gli orrori della guerra greco-gotica, non sappiamo a prezzo di quali ambiguità – sospetti e idiosincrasie evidenziati da Mommsen e da vari storici posteriori, fino al nostro Giardina¹⁷.
Attorno al 550 Cassiodoro soggiornò a Costantinopoli, per ragioni che non conosciamo, ma che possiamo supporre legate alle vicende della guerra greco-gotica. La sua militanza nel regno ostrogoto non suscitò sospetti o recriminazioni a Costantinopoli, altrimenti sarebbe stato condannato all’esilio in regioni lontane dopo aver subìto la confisca del patrimonio. Tornò in Italia dopo la riconquista giustinianea, ritirandosi a vivere nel suo monastero di Vivarium fino alla morte in tarda età, oltre i novantatré anni, età in cui dichiara di aver scritto il De orthographia. La fondazione di un monastero di famiglia e a conduzione familiare era tipica manifestazione dell’evergetismo dell’aristocrazia romano-orientale.
Come funzionario, Cassiodoro ebbe un ruolo politico fondamentale nel favorire la romanizzazione degli Ostrogoti, quanto meno nello strato dominante: ruolo amministrativo e ruolo culturale. Egli si mostrò scrittore e organizzatore di alto profilo ideale. Le Institutiones¹⁸ sono un modello di fusione di sapienza teologica e sapienza secolare; un commentario sui Salmi, sull’esempio di sant’Agostino, propone il ruolo dell’interpretazione allegorica, mentre il De anima (composto nel 540, l’anno in cui Belisario prende per la prima volta Ravenna e saccheggia il tesoro reale, portato a Costantinopoli e consegnato a Giustiniano) approfondisce la spiritualità dell’anima e presenta analisi psicologiche che influirono anche su Dante¹⁹.
Va altresì tenuto presente il progetto di Cassiodoro risalente al tempo del papa Agapito (535-536) di aprire a Roma una scuola teologica di alto livello e una fornitissima biblioteca che voleva generosamente sponsorizzare.
Cassiodoro è soprattutto famoso per i 12 libri delle sue Variae (pubblicate nel 537, raccolta degli atti ufficiali del regno ostrogoto destinata all’uso della cancelleria di re Vitige), in cui raccolse la sua attività di redattore dei documenti regi a modello retorico per i funzionari a venire, ma al tempo stesso erigendo un monumento a testimonianza della società del suo tempo. Compose anche una Cronica universale da Adamo al 519 e un trattato sull’ortografia. La sua De origine actibusque Getarum, composta fra il 526 e il 533, a suo dire per impulso di re Teoderico, è andata perduta e ci è giunta in versione abbreviata nei Getica di Jordanes²⁰. Non sappiamo se sia da datare anteriormente alla caduta del regno ostrogoto nel 555 la composizione dell’Ordo generis Cassiodororum, cioè la storia esaltante la famiglia: il padre di Cassiodoro era stato un alto funzionario di Teoderico, e sulla sua scia il nostro era stato consigliere e ispiratore di Atalarico, Amalasunta, Teodato e Vitige. La collaborazione con i re ostrogoti era concepita in vista della romanizzazione del loro popolo, ma l’orizzonte ideale di Cassiodoro restava l’unico Impero romano, che conosceva nell’Oriente bizantino una realtà in piena fioritura, grazie al governo giustinianeo in grado di assicurare all’Impero il dominio dell’Italia fino al secolo VIII e il dominio dell’Italia meridionale fino al XII secolo, quando i Normanni nel 1138 conquistarono il ducato di Napoli.
I prestiti forniti dal ceto mercantile a Giustiniano e rimborsati da Giustino II e Sofia in una spettacolare cerimonia all’Ippodromo di Costantinopoli nel 565 dimostrarono il buon esito dell’operazione, che al termine delle guerre di Giustiniano (527-531 guerra contro la Persia, 533-534 guerra contro il regno vandalico in Africa, 535-554 guerra contro gli Ostrogoti in Italia) vedeva le casse del tesoro piene d’oro, da spendere per ottenere il consenso all’innalzamento al trono del meno capace dei nipoti di Giustiniano, Giustino, spalleggiato e poi supplito durante la sua malattia mentale da una consorte spregiudicata, abile e decisa come Sofia, non a caso ufficialmente nipote di Teodora.
I Cassiodoro sono caratterizzati dalla finalità di salvaguardare l’ideale unità dell’Impero romano anche sotto il dominio di re conquistatori, e di salvaguardare la conservazione delle tradizioni familiari. Questo sembra il movente della collaborazione con gli Ostrogoti da parte di aristocratici romani come i Cassiodoro, sostenuti moralmente dall’esempio del perdurare dell’Impero romano in Oriente, mentre la guerra greco-gotica poteva aver fatto rinascere la speranza in Cassiodoro Senatore della riunificazione dell’Impero, sia pure al prezzo della decadenza economica dell’Italia del VI secolo.
Antonio Carile
¹A. Caruso, Flavio Magno Aurelio Cassiodoro. Per il buon governo della società, Vivereln, Roma 2001, pp. 18-22.
²Ciò avveniva secondo il principio costantiniano del controllo della vita ecclesiastica come principis munus, giusta la lettera di Costantino al vicarius Africae Celsus (315-316): pro instituto meo ipsiusque principis munere, cioè una funzione del principe che Ulpiano definisce norma di diritto pubblico.
³Secondo la narrazione di Procopio (Bella, V, 1), la morte di Teoderico avviene nel pieno dello scontro con l’aristocrazia romana e come conseguenza dell’eliminazione di Simmaco: (Procopio di Cesarea, Le guerre persiana, vandalica, gotica, a cura di M. Craveri, Einaudi, Torino 1977, p. 346) cfr. A. Carile, Esegesi delle fonti sulla morte di Teoderico, Universitas Domus Mathae, 11, XII, Ravenna 2010, Congresso Teoderico, il tramonto e la morte. L’analisi delle fonti e l’indagine medica
in stampa nella Miscellanea Burgarella.
⁴G. Vismara, Il diritto nel regno dei Goti, in Teoderico il Grande e i Goti d’Italia: atti del XII Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Milano, 2-6 novembre 1992, vol. I, pp. 284-285, 290-291.
⁵A. Carile, Some Remarks on Ecclesiastical and Military Administration of Byzantine Pisidia, in Atti del V Simposio di Tarso su san Paolo Apostolo, a cura di L. Padovese, Turchia: la Chiesa e la sua storia, XII, Roma 1998, pp. 357-366.
⁶Cfr. A. Giardina, Cassiodoro politico, L’Erma di Bretschneider, Roma 2006, pp. 22-25. Si veda il cap. alle pp. 15-22, Servitore di troppi padroni.
⁷«Romani vobis, sicut possessionibus vicini, ita sint et caritate coniuncti, vos autem Romani, magno studio Gothos diligere debetis» (Cassiodoro, Variae, VII, 3).
⁸«Gothis Romanisque apud nos ius est comune» (Cassiodoro, Variae, VIII, 3).
⁹Ma si veda il punto di vista di Vismara qui alla nota 4. Vengono comunque attribuite a merito di Teoderico l’attenzione ai monumenti della città romana (cfr. Giardina, Cassiodoro politico, cit., p. 45) e la sua politica edilizia (cfr. L. Pani Ermini, Forma urbis e renovatio murorum in età teodericiana, in Teoderico e i Goti tra Oriente e Occidente, Atti del Congresso internazionale, Ravenna 28 settembre-2 ottobre 1992, a cura di A. Carile, Ravenna 1995, pp. 171-225).
¹⁰«Si Romanum praedium praesumptor barbarus occupavit» (Cassiodoro, Variae, I, 18). Per il caso Tanca, cfr. ivi, VIII, 28.
¹¹Procopio, Bellum gothicum, I, 1, 3.
¹²Cassiodoro, Variae, I, 1, 2-5.
¹³La traduzione è di Caruso, Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, cit., pp. 15-17.
¹⁴M. Reydellet, Théoderic et la civilitas, in Teoderico e i Goti tra Oriente e Occidente, cit., pp. 285-296.
¹⁵A. Pergoli Campanelli, Cassiodoro. Alle origini dell’idea di restauro, Jaca Book, Milano 2013, pp. 27-81, dedica un’ampia rassegna ai passi delle Variae riconducibili alla conservazione e al restauro degli edifici antichi ed estende questa preoccupazione all’opera di emendazione filologica dei testi antichi (ivi, pp. 83-95).
¹⁶Cassiodoro, Variae, II, 16.
¹⁷A. Carile, Etnie e culture a Ravenna dal Tardoantico all’Alto Medioevo, in «Studi Romagnoli», 62 (2011), pp. 131-150.
¹⁸Cassiodoro, Le Istituzioni. Basi per una rinascita di civiltà, presentazione e traduzione di A. Caruso, Vivereln, Roma 2003; Cassiodoro, Le Istituzioni, a cura di M. Donnini, Roma 2001.