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Piccole storie
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E-book164 pagine2 ore

Piccole storie

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Info su questo ebook

Una raccolta di piccole storie, come dice il titolo del libro, che si svolgono fra il reale e il fantastico il cui finale evolve sempre verso una risoluzione positiva del tema trattato. Per divertirsi, fantasticare e riflettere.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2015
ISBN9788867510191
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    Anteprima del libro

    Piccole storie - Lucia Rossolini

    A chi ha voglia di ascoltare

    PREFAZIONE

    Piccole storie, cioè ventinove racconti nei quali emerge un caleidoscopio di personaggi diversissimi: artisti, angeli, gemelli siamesi, ragazze orfane di madre, piloti, collezionisti di francobolli, suore, persone a volte speciali e a volte comuni, spesso con traumi dolorosi che trascinano nel loro percorso esistenziale. Percorrono le strade dell’anima, complicate e dolorose. Ma di frequente questo dolore si scioglie, quando avviene qualcosa che li fa cambiare, una epifania, che sviluppa un nuovo processo di vita, un mutamento interiore necessario a riconciliarsi col mondo.

    Il lettore avrà ogni volta la sorpresa di capire come avvengono questi cambiamenti, tutti unici, speciali, per ciascun personaggio. Che viene dipinto con cura ed amore in ciascuno scritto, con tratti energici, ma al contempo delicati.

    Una particolare caratteristica delle vicende narrate è che spesso sono ambientate in mondi fantastici, paralleli o distanti da quello reale, con il quale, però, interagiscono in modo importante, eliminando tante barriere.

    L’autrice racconta in modo chiaro e scorrevole le sue storie, creando un’atmosfera ora fantastica - adattissima, peraltro, ai lettori più giovani - ora ricca di luce e di riflessioni esistenziali.

    E da questa esperienza si scoprono nuove occasioni per ripensare alla vita ed al suo significato.

    Adele Libero

    Il vestito era semplice, un po’ troppo, ma bisognava accontentarsi e le stava comunque bene. Poi c’era il velo fermato, sui capelli lunghi e scuri, da grandi margherite bianche.

    Veniva da Parigi ed era lungo come quello delle principesse. E’ vero che non era nuovo ed era già stato indossato da un’altra sposa, però lo aveva desiderato tanto che averlo avuto in regalo, insieme ai guanti e alle scarpe pareva una grande fortuna. Le scarpe le erano un po’ scomode ma tanto dopo qualche ora le avrebbe tolte e quei lunghi guanti scendevano un po’ formando tante piegoline. C’era poi da tenere fra le mani il bouquet (una nebbiolina di fiori bianchi come quella che spesso si addensava nella sua mente) e l’acconciatura delle margherite scivolava sui capelli lucidi e fini. Chissà perché nessuno se ne accorgeva? Se si vedesse qualcuno me lo direbbe pensava ma poiché non è così anch’io non ci farò caso. Occorre sorridere per il fotografo, sì, ma non dovrei forse sorridere allo sposo e ai parenti felici? Non si dovrebbe lasciare sola la sposa con il fotografo…" e qui la nebbiolina dei fiori bianchi del bouquet diventava più fitta. Intanto il dito del fotografo premeva sul bottone dello scatto e premeva, mentre tutto rimaneva immobile, in bianco e nero.

    La donna un po’ appesantita dagli anni ma anche ammorbidita e consunta negli angoli dall’esperienza della vita sistemava con cura il portaritratti sul cassettone osservando, con tenerezza e con vaga malinconia alla quale non permetteva di trasformarsi in uggia dolorosa, la sua immagine nel vestito da sposa. Lo faceva con cura e gentilezza perchè così aveva imparato a fare e già non ricordava più che quel giorno la sposa era sola e tutto era in bianco e nero. Ora una musica fortemente ritmata batteva nel suo cuore e scandiva il ritmo delle sue giornate affaccendate.

    C’era molto da fare, molti volti e voci intorno a lei, molte verità, e tutto aveva un sapore un po’ forte. C’era da parlare, muoversi, scrivere e fare tante cose importanti, non c’era tempo da perdere. Oh, certo questa era la Vita!

    Sorrideva la vecchia signora infossata nella sua poltrona ricordando quei giorni di scoperte vibranti e dell’ingenua illusione di aver compreso, posseduto, la Vita. Rivide il raggio di sole che sempre la mattina, se non era nuvoloso, inondava la sua camera e la scrivania operosa colma di carte e di telefono. Sorrise con dolcezza senza malinconia nè ugge dolorose. Sorrise al cielo, a una nuvola bianca bordata di rosa e oro, al passerotto sul ramo del’albero vicino alla finestra e pensò alla Vita. Non sapeva se l’aveva capita, vissuta ma sapeva che ora poteva respirarla. Ora poteva percepirne il suono e il colore che era nelle forme intorno a lei e che cominciò ad uscirne sfrangiandosi. Era un’armonia e non era più solo colore ma anche suono dolce. Danzava, l’accarezzava, formava cerchi concentrici intorno a lei e la invita a seguirlo nel movimento. E lei rispondeva, accennava un passo di danza mentre percepiva carezze lievi e delicate sul volto e nel cuore. Non c’erano davvero più ricordi, nè dolori, nè gioie, non c’erano più le forme conosciute.

    Ora ogni goccia di colore era la sua vita, ogni sprazzo di luce la rifletteva. Non c’era più nè giorno, nè notte, nè nomi da ricordare o da incarnare. Il grande mantello dell’oscurità si rivelava luminoso e finalmente vide. Vide se stessa come non avrebbe mai immaginato di essere anche se lo aveva qualche volta sognato. Adesso lei diventava il suo sogno ed era ovunque: nel raggio del sole, in un’immagine sbiadita, nelle piume del passerotto. E allora comprese che finalmente poteva arrendersi alla Vita e riposare.

    La trovarono così nella sua poltrona, abbandonata. Qualcuno, anzi molti, piansero un po’ e dissero molte parole, celebrarono la sua presenza nella loro vita con fiori, pensieri, preghiere e un po’ di noia. Tutto ben presto fu compiuto. Nascevano nuovi fiori nei giardini, ma nessuno la riconosceva.

    Un bambino colse una margherita e rise; una goccia di luce iridescente gli si posò sul naso e lui vide una sposa che rideva, una donna che aveva molto da fare e una vecchia signora imparare a danzare.

    Il matto era tornato. Eccolo là al solito incrocio con la sua piccola, misera valigia di cartone rettangolare, di quelle che usavano un tempo. Chissà che cosa poteva mai contenere? I vestiti dimessi, il sorriso sdentato, un nasone a patata e i lunghi capelli grigi spioventi e un po’ appiccicati ai lati della testa era là al suo posto come tutte le primavere.

    Non si sapeva da dove venisse nè dove andasse quando spariva durante l’inverno. Quando c’era chiedeva l’elemosina a chi passava con la macchina ma se non riceveva niente non si lamentava. Faceva un energico no con la testa come a voler sottolineare quel rifiuto, come se volesse rendere se stesso e l’altro più consapevoli dell’accaduto. Subito dopo batteva con un colpo secco le mani e faceva un cenno come dire bene, questo no, avanti un altro, circolare!. Non aveva però mai quell’aria di triste rassegnazione che hanno spesso le persone che, per loro personali ed oscure vicende, si trovano a vivere sulla strada.

    I suoi occhi, per chi li guardava, si mostravano nel contempo divertiti e saggi e contrastavano parecchio con tutto l’aspetto generale. Ma allora dov’era in lui la follia? Chi era veramente?

    Il suo problema era agganciare gli sguardi. Se voleva portare a compimento la sua missione doveva agganciare lo sguardo delle persone che a ogni ora del giorno passavano da quel semaforo inteccheriti come automi, grigi negli occhi e nei pensieri.

    Anche questa volta aveva scelto di manifestarsi sulla Terra nella solita veste di ogni anno. Quell’aspetto serviva a farsi riconoscere da chi già lo conosceva e che, quest’anno forse avrebbe voluto, incuriosito di rivederlo, guardarlo negli occhi.

    La valigetta non conteneva che pensieri felici ed era molto leggera: per questo doveva essere tenuta legata dallo spago sennò la serratura sarebbe saltata subito e i pensieri sarebbero andati dispersi nel vento che, fra l’altro, ne era molto ghiotto.

    Per questo viaggio non aveva ritrovato nel magazzino degli Angeli il vecchio motorino blu e aveva ripiegato su una Graziella bianca un po’ sverniciata che gli dava però un’aria simpatica.

    E così era tornato. Aveva ripreso il suo posto dal quale coscienziosamente faceva il suo dovere.

    Colpiva al cuore quando chiedeva la monetina ma i grigi automi avevano imparato a non alzare lo sguardo di fronte a quel tipo di richiesta e così tanti passavano a diritto.

    Alcuni di quelli che avevano ancora uno spiraglio aperto nel cuore avevano un sobbalzo al battere delle sue mani e se ce la facevano ad alzare gli occhi era fatta.

    Qualcosa si apriva improvvisamente. Come un grande spazio, un grande respiro. Si vedevano allora strani fenomeni. C’era chi lasciava la macchina in mezzo alla strada e se ne andava, senza neppure chiudere lo sportello, a sfogliare le margheritine nel prato vicino. Chi si avvicinava alle vecchiette che in una lunga fila stanca trascinavano la borsa della spesa sul marciapiede facendo il pagliaccio per farle ridere. Chi prendeva per mano un bambino e si metteva a correre con lui. Qualcun’altro pregava ad alta voce perchè era la prima volta che vedeva il Sole.

    E così via.

    L’Angelo naturalmente era molto felice quando succedeva questo ma piangeva di nascosto perle argentate quando non riusciva a risvegliare la gente del popolo dei Dormienti. E non era bene piangere perchè quelle lacrime gli andavano sotto ai piedi e pestandole gli facevano male.

    Fra il popolo dei Dormienti c’era, in particolare, una donna che ogni mattina passava per prendere l’autobus che la portava al lavoro; grigia, appesantita, con la prima sigaretta accesa tra le labbra, ogni giorno sempre uguale. Ma ogni tanto aveva scorto nei suoi occhi un brillio che era tipico della Speranza, una qualità caduta in disuso insieme ad altre fra il popolo dei Dormienti; inoltre il colore rosa del fiore del melo riusciva a riflettersi ancora nei suoi occhi. Così l’Angelo quella mattina tentò con lei un approccio chiedendole una sigaretta. La donna, annoiata, fu tentata di tirare diritto.Tanto -si disse- a che serve poi un gesto gentile?.

    Una lieve esitazione la perdette e si trovò a porgere il pacchetto delle sigarette a quel vecchio un po’ folle.

    In un attimo il suo sguardo si incollò ai suoi occhi. Un brivido le passò lungo la spina dorsale e mille bollicine colorate ed effervescenti rotolarono dalle sue orbite dentro ogni spazio del suo corpo. Le facevano un massaggio morbido, un piacevole solletico che cominciò a scuoterla tutta. Dentro vibrava e rideva sommessamente. Prima cominciò lo stomaco, poi l’intestino, si unirono a loro i polmoni e, infine, la risata più fragorosa la fece il cuore. E rideva e mentre rideva si vedevano uscire tanti e tanti sassolini neri. Erano i cattivi pensieri, i dispiaceri, le delusioni, i lunghi giorni di pioggia, le buie e fredde notti d’inverno, le dense e scollate serate estive, i denti ballerini che quando avevano ballato troppo si stancavano e cadevano lasciando vuoti spazi disperati.

    Per non essere sommersa da quella valanga di sassolini neri con un balzo fu sul vecchio melo fiorito. Di lassù faceva il verso agli uccelli mentre i petali sfiorivano dolcemente su di lei. A quel punto spiegò grandi ali iridescenti e il suo volo fu così ampio da portarla sulla Luna.

    Oh - si diceva - ora non appartengo più ai Dormienti finalmente appartengo a me stessa!. Una dolce e intima soddisfazione le riscaldò il cuore che, immediatamente, si adagiò in una morbida e grande distesa di pace.

    Nella Grande Luce c’è così tanta Pace, Saggezza, Armonia. Il Colore si rigenera da sè in sfumature d’ogni brillantezza, si riversa in rivoli, fiumi e cascate mescolandosi all’argento e all’oro. Mille forme in una, mille sfaccettature in una forma e canne d’organo che soffiano il loro lamento. Incanalano gli aneliti dei cuori smarriti e li riportano tutti lì nella Grande Luce. C’è una Strada grande che tutte le altre unifica e le compone verso la Fonte. Su quella strada migliaia e migliaia di formichine, come viene fatto a volte di pensare quando si pensa agli esseri umani, su quella strada camminano. Si incontrano e si scontrano. Scoppiano a volte tafferugli e baci mentre bolle rosa e argento vagano su e giù. Ci sono anche cupe macchie d’odio che ne percorrono subdolamente i bordi pronte a scoppiare sotto i piedi del primo venuto. Ma per lo più sono le nuvole grigie della disperazione che si impigliano nei fili dorati intersecati nello spazio senza fine.

    Sui piani dell’esistenza si formano bolle di realtà dove gli esseri umani pensano di vivere la loro vita. Oh, se

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