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E-book160 pagine1 ora

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Info su questo ebook

Non immaginiamo quanto lunghe possono diventare le nostre radici.

Possiamo vivere ed essere felici ovunque, anche all’altro capo del mondo.

Possiamo amare, ridere, piangere, soffrire, procreare, morire e poi rinascere.

E ovunque il nostro cammino ci porterà, saremo sempre noi, saremo sempre il seme che qualcuno per noi gettò e germogliando si radicò per sempre nella terra d’origine.

Questa è la storia di Lei, la storia di una donna semplice, una donna che da sempre si porta dentro i sogni della bambina che era e che alberga nel suo cuore.

Una donna che tra gioie, incubi, amori crede ancora in un grande miracolo, il miracolo della Vita...
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2017
ISBN9788892647671
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    Anteprima del libro

    Lei - Lia Mendola

    Lei

    Eccola. Era Lei! Ma lei chi?

    La bimba, l'adolescente, la donna? Quella che era stata denudata di tutto e rivestita di nulla? O forse quella che era caduta mille volte e rialzata altrettante da non riconoscere più la sofferenza, la gioia o l'amore?

    Ed era così che iniziava un sabato mattino. Erano le sette e Lei, seduta in cucina, guardava le tende che erano da lavare…

    Viaggiava, scavava nel suo profondo, in quel posto inaccessibile agli altri, quel posto profondo e riflessivo dove non puoi mentire, dove non colmi i vuoti; anzi li colmi per poi ballarci sopra quando tutto è finito.

    In quel posto, come olio nell'acqua, tutto riemerge, tutto torna, e la vera vittoria è essere sinceri, guardarsi in quello specchio senza trucco e vedersi per come si è.

    Ed era sempre lì, in quel posto inaccessibile agli altri, che Lei ritornava sempre.

    I suoi ricordi di bambina?

    Pochi... La nascita di un fratellino... Sulle ginocchia di papà... I colori del mare di Cefalù... Il terrore del suono di una tromba.

    Il suo primo, vero, ricordo nitido, chiaro e trasparente, a otto anni. Che posto era quello? Dove la portava la mamma? Casa di cura ps... ps... Psichiatrica? Cosa voleva dire?

    Era il 1969 e solo anni dopo Lei avrebbe capito che un certo signor Basaglia avrebbe contribuito alla chiusura di quei luoghi che si chiamavano semplicemente MANICOMI ; quei luoghi dove c'era sempre lui, quel signore che scriveva col dito sui muri e poi la guardava e urlava:

    E TU NON CANCELLARE!

    Quel medico, in quel posto spaventoso, assicurava che la bimba avesse dei problemi, che stesse male: BALBETTAVA! Eh sì, B A L B E T TAVA .

    Era strana però quella bimba: saltava tra gli scogli del mare per cacciare i granchi.

    Ma le bimbe questo non lo fanno.

    Guardava la luna e cantava felice. Ma le bimbe questo non lo fanno.

    E poi la strana abitudine di leggere quel libro, di quel vecchio che se ne andava in giro per il mare con una barchetta, trascinandosi dietro un pesce di notevoli dimensioni.

    Ma le bimbe questo non lo fanno.

    Il borbottare della caffettiera la distolse da quel ricordo.

    Si alzò, si versò il caffè nella tazza, si risedette e le venne in mente la dolcezza di suo padre.

    Papà…

    Quando Lei era triste, perché mamma le aveva impedito qualcosa, era sempre lì che andava, da papà. Lui la teneva stretta e col suo fare delizioso le diceva che doveva imparare a dipingere con i colori che aveva, che i colori si mischiano e diventano tantissimi, e insieme facevano arrivare l'arcobaleno di altri colori, come lo chiamavano loro.

    Che tenerezza quel papà, quando l'abbracciava le faceva volar via in un niente le sue paure.

    Sarebbe stato meraviglioso averlo lì in quel momento.

    Adesso invece, quando andava a trovarlo, sprofondava nel dolore quando, rivolto a sua madre, chiedeva: Ma chi è questa signora?

    ...Distolse il pensiero da quel ricordo che tanto l'addolorava. Fissò il caffè nero e bollente nella tazza, quella presa a Parigi.

    Era nero quel caffè, lo fissava e dentro ci vedeva l'universo... Quel papà, ci vedeva, che dolcemente la teneva in braccio e raccontava, narrava... No, non erano fiabe o filastrocche che canti ai bimbi.

    Papà le raccontava di nonna Rosa e nonno Calogero, i suoi genitori.

    Gioiosa e sempre allegra la nonna Rosa. Da piccola ballava sempre, ballava in ogni luogo, dovunque si trovasse. Al mare metteva i piedini nell'acqua e incurante dei sassolini danzava.

    Lei se la ricorda bene.

    Danzava anche da nonna, la prendeva in braccio intonando quel vecchio ritornello siciliano:

    ahi ahi ahi moru moru moru moru ciatu di lu me cori l'amuri miu si tu

    e facendola volteggiare le raccontava di un posto, un posto che sembrava quasi irreale, là nell'entroterra siciliano.

    Vizzini si chiamava quel paesino e le parlava di quelle strade, acchìanati e scìnnuti come diceva nonna, e di quella signora Santuzza che gelosa assai era di Lola ... entrambe innamorate dello stesso uomo.

    Lei chiudeva gli occhi e lo vedeva quel paese, quelle vie piene di scale, quei balconi colmi di piante di basilico e gelsomini, sentiva i profumi e respirava quell'aria, immaginava di vederla la casa di quella donna e vedeva anche lei, Santuzza, che se ne stava dietro le tende, nascosta e stizzita da una gelosia

    rabbiosa, aspettando di sentire lo scalpitio degli zoccoli di un cavallo che annunciava il passaggio di Turiddu mentre si recava da Lola.

    La faceva sognare, la sua nonna, e quante volte nel corso degli anni le era venuto in mente se anche lei, la sua nonna Rosa, avesse un suo luogo segreto, quel posto profondo e saggio dove andare a rifugiarsi senza trucchi né inganni.

    Era così nonna, sognatrice e un po' lunatica.

    Sarà stato per questo che sua madre, rassegnata, spesso le ribadiva:

    "Sei strana come la buonanima di tua nonna Rosa!"

    Il racconto che le faceva papà, quando parlava di nonno Calogero, sembrava quasi un poema triste...

    Nonno era nato a Girgenti, Agrigento, là nella magica valle dei Templi alla fine del 1800.

    Ebbe poca infanzia quel bimbo, diventò grande in fretta e a soli 8 anni era già in una miniera di zolfo, e in quelle miniere, raccontava papà, lavoravano "macari i carusi", i piccoli; in quelle miniere dove i cavalli dopo un po' diventavano ciechi.

    E non solo i cavalli.

    In quella miniera nonno Calogero lavorava dall'alba al tramonto e un giorno di primavera, in un bellissimo tramonto isolano, tra il profumo delle ginestre e tra le bianche nuvole dei mandorli in fiore, quel bimbo in miniera non vide un carrello che arrivava sulle rotaie e ci rimase sotto, perdendo così un braccio.

    Tremila lire gli pagarono quel braccio... Lucarusu nicu era e non produceva molto.

    Quelle tremila lire Calogero non le vide mai perché suo padre le usò per pagare certi debiti e così quel bimbo perse un braccio e macari il lavoro.

    La rattristava questa storia, ma voleva sentirla perché subito

    dopo papà le avrebbe raccontato della storia d'amore di nonno e nonna.

    Rosa aveva quattordici anni quando conobbe Calogero. Fu una storia tormentata perché il papà di nonna, il bisnonno Titta, era contrario a questa unione e si chiedeva come avrebbe fatto un ragazzo menomato a mantenere la sua unica figlia femmina.

    Rosa era innamorata e tanto.

    Quel braccio mancante, per il cuore di nonna, non era mai stato un problema e forse con gli occhi innamorati con cui lo guardava non aveva mai neanche notato la mancanza di quell'arto.

    Era innamorata e sognava nonna, sognava quelle cose che non sono necessarie per sposarsi, ma Rosa le voleva... Voleva i fiori, gli invitati, l'abito bianco e ballava nonna, ballava sognando quel momento.

    Tentarono di convincerlo il bisnonno Titta. Il nonno Calogero gli assicurò che mai nulla sarebbe mancato alla sua amata.

    Ma nulla da fare. E così in una sera di settembre quei due scapparono, mettendo tutti davanti al fatto compiuto, la fuitina. Titta dovette acconsentire a quelle nozze.

    Si sposarono poco tempo dopo, il due di ottobre, giorno del quindicesimo compleanno di nonna.

    Il prete li sposò alle cinque del mattino senza né fiori né abito bianco perché così si usava a quei tempi per un matrimonio riparatore.

    Fu un grande amore il loro, ebbero otto figli maschi e una femmina, Cristina.

    Le piacevano quelle storie e quel papà la faceva sognare e come in quel momento, guardando la sua tazza di caffè, Lei sognava, ricordava, vedeva quasi.

    Vedeva quella bimba un po' più grandina andare a scuola.

    Le piaceva la scuola e le piaceva la maestra Ninetta che le ripeteva sempre che era orgogliosa di lei, ma tornando a casa da quella scuola, con la sua mamma, eccola che era ancora la bambina strana...

    Perché mai avrebbe voluto i codini e le scarpette rosse?

    No! - era la risposta a quel desiderio di bambina ché avrebbe attirato l'attenzione. Bisogna essere semplici e passare inosservate.

    E allora scappava giù per la discesa e ancora più giù, fino ad arrivare al mare; si sedeva e prendeva in mano una manciata di sassi e, come le altre bimbe sfogliano le margherite,Lei, la bambina strana, buttava i sassolini nell'acqua uno ad uno, e ad ogni sasso faceva la stessa domanda:

    Sarò felice?Si!

    Sarò felice?No!

    L'ultimo sassolino era quello decisivo: se era un Si, tornava a casa tranquilla. Se era un No, prendeva altri sassolini e ricominciava da capo.

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