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L’ultimo eroe del Klaidmark
L’ultimo eroe del Klaidmark
L’ultimo eroe del Klaidmark
E-book357 pagine4 ore

L’ultimo eroe del Klaidmark

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Info su questo ebook

Il mago di corte Parish, il soldato Rindall e la principessa Caisha sono amici d’infanzia, legati da un vincolo inscindibile di fraterna amicizia, e vivono felicemente la loro esistenza, condividendo i propri sogni e le proprie speranze. Tuttavia, un infelice giorno un ostacolo imprevisto si abbatte sul loro cammino: un Entar, una delle creature più antiche e potenti dell’intero Klaidmark, li avvisa infatti che l’oscuro signore del male Ulgholoth, già sconfitto in passato dai valorosi eroi del Paese, è pronto a tornare. Il destino del mondo è nelle mani di chi saprà trovare l’unica pietra in grado di riportare in vita Ulgholoth e distruggerla. Toccherà a Parish e Rindall sostenere il re Bantir nella sua lotta contro il male e, nell’impresa, anche la loro amicizia e il rispetto reciproco verranno messi a dura prova. Un romanzo emozionante e coinvolgente, una storia di affetti ed eroismo nella migliore tradizione della letteratura fantasy.

LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2014
ISBN9788867823512
L’ultimo eroe del Klaidmark

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    Anteprima del libro

    L’ultimo eroe del Klaidmark - Alberto De stefano

    Alberto De Stefano

    L’ultimo eroe del Klaidmark

    GDS

    Alberto De Stefano

    L’ultimo eroe del Klaidmark

    Editrice GDS

    Via G.Matteotti 23

    20069 Vaprio d'Adda- Mi

    www.bookstoregds.com

    www.gdsedizioni.it

    www.editoriunitigds.it

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Cover copertina di Francesco Cucca

    CAPITOLO I

    Il silenzio regnava sovrano sopra ogni cosa. Un soffice manto di nebbia ricopriva tutta la radura fuori le mura di Asgarod. Alle prime luci dell’alba risposero i canti degli uccelli e una pacata brezza penetrava nella città.

    Alla fontana al centro del cortile un cane si abbeverava, mentre, poco a poco, falegnami, fabbri e piccoli mercanti aprivano le botteghe iniziando una nuova giornata di lavoro.

    Col sorgere del sole la città brulicava di persone affaccendate in ogni sorta di mestiere. I ragazzini giocavano e ascoltavano le storie e le ballate cantate dai menestrelli.

    A dominare il tutto, il maestoso castello di Asgarod.

    Dall’enorme strada principale si diramavano centinaia di vie secondarie, colme di un vociare assordante e un continuo viavai di persone, indaffarate a trasportare merci da un capo all’altro della città.

    Nelle stalle della legione, gli scudieri strigliavano i cavalli e li rifocillavano, per poi portarli a correre liberi nei verdi prati di Asgarod, situati alle spalle del castello.

    Parish Claimore, un uomo alto e longilineo, dal viso pallido e allungato, passeggiava sotto i bastioni, dirigendosi verso la strada principale. Gli occhi, di un azzurro intenso, scrutavano la via. Di tanto in tanto, un lieve scatto della testa spostava la folta e bionda chioma dietro le spalle.

    Giunto di fronte a una piccola abitazione, affiancata al casermone della cavalleria, bussò alla porta. Dall’interno si sentì l’invito a entrare. Varcando la soglia, Parish si trovò in una modesta sala da pranzo. Sulla sinistra vide la stanza da letto, il giaciglio ancora in disordine.

    Seduto al tavolo, al centro della stanza principale, un uomo altrettanto giovane faceva colazione con pane e latte. Il padrone di casa porse una sedia al visitatore che accettò di buon grado ringraziando e accomodandosi.

    L’uomo dal viso espressivo puntò i profondi occhi neri in quelli del visitatore. Sul braccio sinistro una vecchia cicatrice, lunga almeno una decina di centimetri, deturpava un po’ le sue fattezze quasi perfette.

    «Buongiorno Rindall. Vedo con piacere che ti sei svegliato presto questa mattina».

    «Bella giornata, vero?» sorrise il padrone di casa.

    «Giusta per una corsa a cavallo, ti pare?».

    «Hai ragione. Potremmo andare nella radura con Caisha. Penso che sarebbe felice di cavalcare oggi. È da molto tempo che lo propone».

    Parish rimase entusiasta al consenso di Rindall.

    «Perfetto. Vado ad avvisarla. Credo proprio che sarà contenta della nostra decisione».

    Congedandosi dall’amico, si diresse verso il castello.

    A palazzo, la famiglia reale aveva appena terminato la colazione all’interno della maestosa sala da pranzo. Adornata con magnifici arazzi e trofei di caccia, era l’invidia di tutto il Klaidmark. Quattro scudi con l’emblema della casa reale, una fenice che sorge dalle fiamme di un fuoco purpureo, ornavano i muri della stanza, affiancati da una coppia di spade con la lama rivolta verso il basso.

    Un grande tavolo d’ebano si profilava al centro della sala, imbandito di varie pietanze. Sedie di quercia, impeccabilmente intagliate e ornate da cuscini di seta cremisi, contornavano il banchetto.

    Re Bantir, alto e robusto, col volto segnato dal tempo, sedeva a capotavola. Aveva mani nodose e forti, occhi azzurri e vivaci, come quelli di un fanciullo, incorniciati da capelli lunghi e argentati. Discuteva col figlio, Germond, a proposito dell’ultima battuta di caccia, passione a cui il giovane principe spesso si dedicava e grazie alla quale affinava la propria tecnica di esploratore.

    Mentre parlavano, i grigi occhi del giovane s’illuminavano, mettendo in risalto la chioma corvina.

    Alla destra di Bantir sedeva Tesla, la regina, il volto radioso che non lasciava trasparire segno di vecchiaia. I suoi occhi rilucevano come smeraldi, anche se i setosi capelli avevano perso da tempo lo splendore dell’oro.

    Al suo fianco, Caisha, sorella di Germond, una bellezza rara, dal viso giovane e solare. Pareva la copia esatta della madre, solamente più giovane.

    D’un tratto si sentì bussare alla porta della stanza e il re invitò a entrare. Sulla soglia apparve un curioso ometto, basso e gracile, dalla folta barba nera che rendeva austero il suo viso.

    Annunciò l’ingresso del comandante della cavalleria e mago di corte, Parish Claimore. Ognuno rimase al proprio posto, mentre il giovane entrò nella stanza, inginocchiandosi in segno di rispetto. Bantir si alzò in piedi e, dirigendosi verso il mago, ordinò di alzarsi.

    «In piedi ragazzo! Vedo con piacere che ti sei finalmente preso un po’ di riposo. Bene, sono felice di vederti qui. Dimmi, cosa ti porta da me, figliolo?».

    Alzandosi, Parish salutò il re.

    «Rindall e io ci chiedevamo se la principessa Caisha ci avrebbe onorato della sua presenza nel cavalcare con noi».

    «Ah! Chiedetelo a lei dunque!» sorrise.

    Non fece in tempo a terminare la frase che la principessa, balzò in piedi, correndo verso il mago.

    «Dammi qualche minuto per prepararmi».

    Entrambi si congedarono dal re. Il ragazzo con un profondo inchino, la fanciulla scoccando al padre un affettuoso bacio sulla guancia.

    Caisha corse verso le proprie stanze, mentre Parish uscì dal castello ad aspettarla, ordinando a una guardia di sellare e portare il cavallo della principessa.

    Terminato di fare colazione, Rindall uscì dall’abitazione portando con sé la spada, alla quale era molto affezionato, poiché era appartenuta al padre.

    Decise di dirigersi verso la stalla a prendere i cavalli per sé e Parish. Mentre camminava vide Mar, il figlio del fabbro, che si avvicinò.

    «Ciao Rindall» disse allegramente. «Dove stai andando?».

    Il soldato sorrise bonariamente.

    «Ciao Mar. Vado a prendere i cavalli per me e Parish».

    Il ragazzino lo guardò furtivamente.

    «Ci vado io se mi fai guardare la spada per qualche secondo» propose. «Così ti risparmi la strada per le stalle!».

    Il soldato scoppiò in una fragorosa risata.

    «Va bene, mi hai convinto, ecco!» sfoderò la spada con attenzione e la conficcò nel terreno. La lama, lunga e affilata, presentava una serie di rune incise sul piatto, simili a una damascatura. Un’arma di splendida fattura, l’elsa magnificamente intagliata con l’effige raffigurante un drago d’oro scolpita sul pomolo.

    Dopo che il ragazzo l’ebbe osservata bene, Rindall la prese e la fece roteare in aria per qualche secondo, con facilità e naturalezza, mostrandone la perfetta bilanciatura.

    «Hai visto? È un’arma stupefacente, non credi?» disse, riponendo la lama nel fodero.

    Mar rimase stupefatto e corse a recuperare i cavalli dei due capitani. Tornò dopo pochi minuti con due splendidi destrieri, un magnifico stallone nero come la notte e uno scattante pezzato bianco e grigio. Entrambi mostravano una folta criniera e una possente muscolatura. I migliori esemplari di tutta la legione. Un dono fatto da re Bantir ai migliori soldati dell’esercito.

    Vedendo arrivare il giovanotto, Rindall si diresse verso di lui e, porgendogli una moneta d’oro, lo congedò:

    «Ottimo lavoro Mar. Ora va a divertirti con gli altri ragazzi».

    Montando in sella al proprio destriero nero, prese le briglie dell’altro e si diresse, galoppando, verso il castello.

    La guardia tornò quasi subito, portandosi appresso il cavallo della principessa, un puledro dal candido manto. Decisamente adatto a una ragazza così bella come Caisha, pensò Parish. In quel momento sopraggiunse Rindall, col cavallo dell’amico. I due si salutarono nuovamente.

    «Bene! Il mio Gyhiub è ancora in forma. Grazie per averlo portato, Rindall».

    «È il minimo che potessi fare!» non fece in tempo a terminare la frase che vide spuntare lo splendido viso della principessa. A entrambi i cavalieri s’illuminarono gli occhi nel vedere la fanciulla muoversi con tanta grazia.

    Sia Parish che Rindall ne erano innamorati.

    La ragazza sorrise e salutò il giovane sul destriero nero.

    «Eccoti, finalmente, Rindall. Non vedevo l’ora di fare questa cavalcata». Fece una pausa mentre il soldato sorrise, semplicemente, in segno di saluto. «Bene, andiamo fuori da queste mura opprimenti. Di corsa!» concluse la fanciulla spronando il cavallo e dirigendosi nella radura all’esterno del castello.

    Il vento batteva loro sulla faccia durante la corsa. L’immensa valle si estendeva maestosa sotto gli occhi sprizzanti di gioia dei tre giovani.

    Cavalcavano uno al fianco dell’altro, cercando di arrivare il più velocemente possibile all’albero sotto al quale giocavano da bambini. Dopo qualche minuto lo videro. Una splendida quercia che si ergeva imponente in mezzo alla radura. Nessuno di loro la ricordava così grande e bella. Giunti sotto le sue fronde scesero da cavallo e Caisha tese una mano verso il tronco per accarezzarne la corteccia, ritraendola subito impaurita. Osservando la scena, i due soldati si misero di fronte alla ragazza. Rindall sfoderò la spada con prontezza, mentre Parish, che non portava altre armi, si accinse a brandire il pugnale.

    Osservarono l’albero per qualche istante. Non accadde nulla. Proprio mentre Rindall stava per inguainare l’arma, i tre udirono una voce profonda e rimasero allerta.

    «Posate le armi, miei giovani amici. Rilassatevi, non vi farò alcun male».

    Quando ebbe finito di dire queste parole, l’albero si mosse verso di loro, rivelando un volto duro, vecchio e segnato dal tempo. Parish rinfoderò il pugnale e si avvicinò alla pianta.

    «Tu sei un Entar, non è così?» il volto esterrefatto.

    «Sì, mio caro Parish. Sono lì in mezzo alla radura dall’inizio dei tempi. Per questo vi conosco bene».

    I tre rimasero a bocca aperta. Avevano appena scoperto che la quercia attorno alla quale giocavano da piccoli era una delle creature più antiche e stupefacenti delle Terre di Priston e dell’intero Klaidmark. Un essere maestoso, che incuteva timore ma che, allo stesso tempo, infondeva sicurezza a chi gli stava vicino.

    Rindall rimise la spada nel fodero, non avevano nulla da temere. Rassicurò Caisha e prese la parola:

    «Perché ti riveli a noi solo ora? Ci hai spaventati a morte. Potevi almeno fare in modo di evitare questo tipo di presentazione!».

    L’Entar rispose seriamente:

    «Mi presento a voi solo ora perché solo adesso avete bisogno di me e dei miei consigli».

    I ragazzi non capivano di cosa stesse parlando ma Parish ne voleva sapere di più.

    «Intanto potresti cominciare a dirci il tuo nome. Perché mai avremmo bisogno del tuo aiuto?».

    Sedendosi a terra, l’albero parlante emise un sonoro scricchiolio di rami.

    «Ohhh! È da molto tempo che non provo il piacere di sedermi comodamente sull’erba» sospirò. «La storia che vi racconterò dev’essere ascoltata con attenzione. Perché sarete voi a riportarla al re».

    I ragazzi annuirono con un cenno del capo, quasi simultaneamente, indi si sedettero a loro volta, ascoltando in rispettoso silenzio.

    CAPITOLO II

    Il cielo, sgombro di nubi, faceva da sfondo al silenzio che pervadeva la radura. Persino l’aria sembrava non esistere più in quel posto.

    In lontananza il maestoso castello di Asgarod vigilava su tutto il paesaggio illuminato da un sole che mitigava la temperatura della giornata.

    L’Entar iniziò a parlare:

    «Prima di tutto vi dirò il mio nome. Sono Mamloghck, uno degli ultimi della mia razza rimasti in queste terre. Circa quarant’anni fa, come di certo saprete, vi fu una terribile guerra, che coinvolse umani ed Elfi Oscuri di Calomar. Comandati da un potente signore, chiamato Ulgholoth, i Calomariani furono avversari temibili, ma la battaglia si risolse in favore degli Uomini, grazie a un potente talismano». Mamloghck prese fiato e ricominciò: «Questo è ciò che sapete fin dalla vostra nascita. Ciò di cui vi parlerò ora, invece, non v’è mai stato raccontato da nessuno. Gli Elfi Oscuri sono da sempre un popolo malvagio e ambizioso. Si divertono ad assalire le carovane che passano per il loro territorio, trucidando donne e bambini. Purtroppo, come ogni Elfo, anche la loro razza possiede la magia. Un’arte molto potente che è sempre stata utilizzata nel modo sbagliato. Un giorno, il sovrano di questo popolo infame rubò tutta la magia ai propri sudditi. Al fine di creare un essere spaventoso, con poteri fuori dal comune, creò Ulgholoth, cercando di assoggettarlo al proprio volere. In seguito all’evocazione di tale essere, il popolo degli Elfi Oscuri si lanciò alla conquista delle terre di Priston. Assoggettarono, inizialmente, tutta la zona sottostante il lago Matuhur. Presto anche gli Gnomi si unirono a loro, lasciando i Boschi di Clairndon per impugnare le armi».

    Si fermò per qualche secondo per avere la conferma che i giovani lo stessero ascoltando con attenzione. Soddisfatto, l’Entar proseguì: «Ulgholoth, che guidava l’esercito, mandò gli Gnomi a combattere i Nani, mentre lui, alla guida degli Elfi Oscuri, si diresse verso la Foresta d’Oro, per sbaragliare gli Elfi del Sole. Suo malgrado, le forze d’invasione erano troppo esigue per sfondare le difese degli antagonisti. In questo frangente fu provvidenziale l’intervento dei Draghi, guidati dalla Legione di Asgarod. Nonostante ciò, Ulgholoth riuscì a scappare con i seguaci sopravvissuti, dirigendosi in aiuto degli Gnomi. Questa volta, l’unione di forze tra Uomini, Draghi, Elfi del Sole e Nani non fu sufficiente per arrestare l’enorme ondata di nemici. Col passare del tempo la guerra si fece sempre più difficile e cruenta. Rimanevano pochi baluardi, ormai, e una sola speranza si ergeva nei cuori degli impavidi che ancora resistevano agli assalti degli Gnomi di Ulgholoth. Un giovane guerriero, con una manciata di uomini, si diresse alla ricerca della Pietra della Vita, custodita sul picco più alto delle Montagne Diamantate, nel punto in cui neppure i Draghi osano addentrarsi. Dopo molte difficoltà, il giovane riuscì a impadronirsi del talismano che avrebbe dovuto imprigionare per sempre il signore delle tenebre. Nella battaglia finale la Pietra della Vita venne usata dal suo cercatore. L’essenza di Ulgholoth venne esiliata dalla magia del gioiello, che venne custodito dal popolo degli Elfi del Sole. Negli ultimi mesi, però, non ne si ha più avuto notizia. Si presume che i seguaci del signore del male, tramite una magia, siano riusciti a trovare la Pietra e che presto tenteranno di liberare quella spaventosa creatura. La cosa che mi preoccupa di più è che solo un mago potente come l’antico sovrano degli Elfi Oscuri è in grado di riportare sul mondo terreno Ulgholoth. Ciò non può e non deve accadere, perché sarebbe la fine per tutte le terre di Priston».

    Rindall domandò incuriosito:

    «Ci sarà pure un modo per ritrovare questa Pietra e fermare questo mago?».

    L’Entar guardò il cavaliere con interesse, quasi volesse leggere tutti i suoi pensieri.

    «Certo che esiste una maniera per farlo. Tu, giovane Rindall, e tu, Parish, dovrete viaggiare verso le Montagne Diamantate alla ricerca dei Draghi. Troverete in loro dei potenti alleati contro gli Elfi Oscuri, che stanno organizzando una nuova invasione. Dovrete mandare messaggeri a Nani ed Elfi del Sole, per fare in modo che si preparino a una feroce battaglia. Ma non è tutto. Uno solo di voi due potrà prendere la Pietra della Vita e distruggerla. Dovrete sconfiggere anche il mago che tenterà di evocare il signore del male. Per farlo avrete bisogno di un talismano custodito dai Draghi».

    «Ma in questo modo non saremo noi a liberare l’Oscuro? Non faremmo altro che il gioco degli Elfi Oscuri» fu il dilemma di Parish.

    «In effetti credo di aver tralasciato una piccola parte della storia. Vi basti sapere che, se distruggerete la Pietra della Vita, anche Ulgholoth verrà annientato. Nel momento stesso in cui venne sopraffatto dal potere del talismano, l’essenza stessa del signore oscuro si è legata ad esso» spiegò l’Entar. «Di conseguenza sarà necessario eliminare la pietra per disfarsi della minaccia».

    «Perché allora non sono andati gli Elfi del Sole a cercare questo talismano per distruggere la Pietra della Vita?» s’intromise Caisha.

    L’Entar sorrise.

    «Solo a una persona è concesso di usare l’artefatto che distruggerà la Pietra della Vita».

    Caisha prese coraggio:

    «Chi è il prescelto?».

    «Sarà Rindall il custode del talismano, come suo padre lo fu per la Pietra della Vita!». Notando lo stupore dipinto sui volti dei ragazzi, il saggio aggiunse: «Durante il vostro viaggio, troverete le risposte a tutte le domande che vi state ponendo. Interrogativi ai quali non mi è dato rispondere».

    I tre giovani si guardarono esterrefatti. Neppure Rindall sapeva che suo padre, un grande guerriero dell’esercito reale, avesse custodito e usato con successo la preziosa Pietra. Il ragazzo, però, non sembrava molto entusiasta dell’incarico che gli veniva affidato. Allo stesso tempo desiderava fare qualcosa che fosse degno delle gesta del padre, morto ormai da dieci anni. Inaspettatamente Rindall domandò a Mamloghck:

    «Come facciamo a sapere che non stai mentendo? Come possiamo credere a tutte le tue storie? Mio padre mi avrebbe parlato di tutto ciò. Non mi avrebbe tenuto all’oscuro di una cosa simile».

    C’era molta diffidenza nella sua voce. L’Entar, però, rimase imperturbabile.

    «Non puoi saperlo. Devi fidarti di me. Se preferisci non credermi, sono sicuro che rimpiangerai di non avermi ascoltato quando avresti potuto farlo. Allora sarà troppo tardi per tutte le Terre di Priston». Poi, con voce calma e decisa, si rivolse a tutti e tre: «Lascio a voi la decisione di credere o meno alle mie parole. Ora è tempo, per voi, di tornare al castello, si sta facendo buio. Se deciderete di credermi, riferite subito ciò che vi ho raccontato al re. Così potrete organizzare la difesa con gli altri popoli». Un chiassoso scricchiolio di rami accompagnò l’Entar mentre si rialzava. «Addio miei giovani e sospettosi amici. Non mi troverete più qui se ritornerete, perché devo spostarmi verso le foreste, per stare coi miei amici alberi» dopo aver pronunciato tali parole si voltò e cominciò ad incamminarsi verso le foreste Failfling.

    I tre rimasero a guardarlo per un po’ mentre si allontanava. Stavano ancora pensando alle sue parole. Rindall era scosso per ciò che aveva appreso su suo padre, non sapeva ancora se credere o no all’Entar.

    Si rimisero in sella, senza dire una parola, avviandosi verso le porte della città. A un tratto Parish ruppe il silenzio che si ergeva tra loro:

    «Io credo che abbia detto la verità, e penso sia bene informare subito il re dell’accaduto».

    Caisha rispose con un cenno del capo.

    «Sono d’accordo. E tu, Rindall?».

    Il giovane la guardò serio.

    «Non so se fidarmi o meno. Tuo padre deve, però, essere informato subito. Bisognerà essere cauti. Se l’Entar avesse ragione, potrebbero nascondersi pericoli ovunque e rischieremmo di non essere creduti. Mi raccomando, non una parola con nessuno di ciò che abbiamo visto e sentito oggi. Riferiremo solo al re ciò di cui siamo a conoscenza». Mentre pronunciava queste parole, giunsero alle porte della città. Una volta entrati, si diressero verso il castello di Asgarod.

    Giunti alle porte della casa reale, lasciarono i cavalli agli scudieri. Con leggero timore i tre giovani entrarono e, seguendo la principessa, che si muoveva decisa per corridoi e saloni, si trovarono nello studio di re Bantir. Caisha fece cenno a Parish e Rindall di attendere il suo ritorno col padre.

    Dopo pochi istanti ecco apparire i due. L’uomo mostrava segni di evidente preoccupazione sulla faccia corrucciata.

    I due giovani s’inginocchiarono appena videro il sovrano e al suo comando si misero a sedere. Bantir li fissava.

    «Allora ragazzi, cosa succede? Sembra, a quanto dice mia figlia, che dobbiate confidarmi informazioni di vitale importanza. Ditemi, dunque».

    Rindall e Parish iniziarono a descrivere l’accaduto, alternandosi nel racconto. Descrissero il loro imprevedibile incontro con l’Entar e la storia da lui narrata. Raccontarono ogni cosa nei minimi dettagli. Rindall cominciò a descrivere la parte riguardante la storia del padre e il re lo interruppe:

    «Lo sapevo. Promisi, in segreto, a tuo padre che non ti avrei mai detto nulla su ciò che aveva fatto in quella battaglia. Ora conosci la verità. Non ho mai compreso il motivo di quel silenzio nei tuoi confronti. Credo che temesse di farti vivere nell’ombra delle sue gesta. Prosegui, descrivimi il resto».

    Parish proseguì parlando dell’incarico che Magmloghck aveva affidato a Rindall e concluse:

    «Credo che debba convocare l’alto consiglio per decidere sul da farsi, maestà».

    Il re sembrava perplesso.

    «Non capisco perché l’Entar sia partito verso le foreste invece che restare per aiutarci nella ricerca della Pietra della Vita. Penso che, se queste informazioni sono vere, abbiamo il dovere d’informare gli altri popoli delle Terre di Priston. Dovremo allearci con loro per la difesa della nostra libertà. Convocherò il consiglio. Desidero che partecipiate alla discussione come testimoni e come comandanti della Legione. In qualche modo dobbiamo decidere come agire».

    Rindall e Parish annuirono e, assieme a Caisha, si avviarono nella sala del consiglio. La stanza circolare era enorme, adornata con arazzi d’ogni tipo. Un grande tappeto rosso dava colore alla sala, contornata di sedie di mogano.

    Dopo circa un’ora tutti i membri del consiglio si presentarono, compresi il re, la regina e il principe.

    I tre giovani vennero subito avvicinati dal sovrano, che li incoraggiò a porsi al centro della stanza e raccontare nuovamente l’accaduto. Iniziarono descrivendo l’Entar e tutto ciò che aveva loro narrato, includendo l’incarico di Rindall.

    Un membro del consiglio si alzò, si chiamava Elgast Jirm, capo dei cacciatori e battitori di Asgarod. Parlò in tono polemico:

    «Non vorrete credere a questi vaneggiamenti. Il signore del male e il mago sono stati distrutti quarant’anni fa, nella guerra contro gli Elfi Oscuri. Quello che ci stanno raccontando è frutto della fantasia dell’Entar che li avrà sicuramente stregati!».

    Rindall si adirò profondamente:

    «Come ti permetti d’insultare così me e i miei amici? Non siamo dei visionari! Dobbiamo fare qualcosa per fermare questa terribile minaccia che grava su noi e su tutti i popoli di queste terre!».

    Il re, comprendendo che la discussione rischiava di degenerare in una rissa, prese la parola per calmare gli animi:

    «Credo che non sia prudente prendere alla leggera queste rivelazioni. Suppongo, invece, che abbiano ragione e credo sia necessario informare tutti i popoli minacciati. Inoltre fu proprio un Entar a indicarci il pericolo quarant’anni fa!». Dopo una breve pausa riprese il discorso: «È però necessaria una spedizione che si diriga da Elfi del Sole e Nani. Mentre un’altra dovrebbe recarsi dai Draghi, verso le montagne. Un viaggio assai più pericoloso».

    Elgast riprese la parola:

    «Io non sono disposto a rischiare la vita di alcune persone a causa delle mire eroiche di due giovani comandanti della Legione. O alle chiacchiere di un vecchio albero rinsecchito. Sempre che sia vero che lo abbiano visto!».

    Nella stanza si sollevò un mormorio. Un altro uomo si alzò. Milo Vult, rappresentante degli anziani della città. Nonostante la veneranda età, dimostrava ancora molta forza e tenacia.

    «Concordo con Elgast Jirm. È una pazzia rischiare così le vite di alcuni soldati per delle supposizioni totalmente infondate. Io sono contrario».

    A questo punto si alzò il principe Germond.

    «Non vedo perché mia sorella e i miei amici debbano mentire su questo delicato argomento! Sono giovani, è vero, come lo sono io. Eppure Rindall e Parish hanno un’esperienza superiore alla tua, Elgast. Sono sicuro che non metterebbero mai in pericolo la vita di nessuno, se non fosse strettamente necessario. Perché dubitate della loro parola? Pensate se doveste essere voi in torto. Se seguissimo il vostro consiglio e lasciassimo stare le cose come stanno. Non ci sarebbe più un futuro per noi e per i nostri figli. Pensate bene prima di decidere».

    Altre voci si sollevarono contro l’opinione di Germond. Questa volta intervenne Haret Ewind, maestro d’armi della fanteria dell’esercito:

    «Abbiamo il dovere di difendere il nostro popolo e non sarò io il codardo che si tirerà indietro in questa spedizione!».

    Il principe si sollevò ancora per difendere Caisha e i due comandanti della Legione:

    «Loro stanno cercando di farci capire che siamo in grave pericolo e che faranno di tutto per salvarci da esso».

    Le voci contro l’opinione del principe furono molte. A questo punto Rindall prese la parola, adirato più che mai, e la sua voce assunse un tono solenne:

    «Non vi sto chiedendo di seguirmi. Vi sto mettendo in guardia da un pericolo più grande di quello che pensiate! Sta a voi decidere se aiutare gli altri popoli e prepararvi alla difesa. Io partirò, con o senza il vostro aiuto!».

    Questa volta nessuno osò controbattere al giovane. Fu il re solo, a intervenire:

    «Credo sia giunto il momento di decidere il da farsi» fece un passo avanti. «Credo ai tre ragazzi e appoggio la loro missione!».

    Al suo fianco si misero subito la regina, Haret e Germond. Mancavano solo pochi membri del consiglio. Altri due seguirono la decisione del sovrano. Elgast si alzò e, con profondo rammarico, si unì alla decisione. Persino Milo Vult preferì non mettersi

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