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La musica delle ombre
La musica delle ombre
La musica delle ombre
E-book281 pagine3 ore

La musica delle ombre

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Info su questo ebook

Il cavaliere sedeva con la schiena appoggiata contro il tronco di una vecchia sequoia solitaria nel bel mezzo del niente. Era un pomeriggio di vento e pioggia tipico del regno di Calieth. Nubi, grigie si addensavano dal nordest, cupe come i pensieri del cavaliere. Gli occhi azzurri screziati di rosso scrutavano colline lontane. " Le alture dimenticate" La musica delle ombre fa parte del secondo capitolo del volume "Il reame senza corona"
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2017
ISBN9788867826179
La musica delle ombre

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    La musica delle ombre - Mattia Frigerio

    Mattia Frigerio

    La musica delle ombre

    Mattia Frigerio

    La musica delle ombre

    © Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio d’Adda-Mi

    www.gdsedizioni.it

    Ogni riferimento descritto in questo romanzo a cose, luoghi, persone è da ritenersi del tutto casuale.

    Copertina e mappe interne di Valentina Berger

    Disponibile anche in cartaceo

    A Lagissa avvolta dalle onde...

    Ali di corvo si sollevano dal Reame senza Corona.

    Dalle fucine nascono spade affilate, armi temprate nel ferro e nell’odio. Gabriel Vondraft stringe i pugni, balza in sella al proprio stallone e guida la marcia su Calieth. È nero il cuore che gli pulsa nell’ampio torace.

    Soffia un vento di morte. Fischiano le orecchie, lacrimano gli occhi, le labbra si screpolano.

    Le armate del Reame senza Corona rispondono a gran voce al soffiare dei corni di guerra. Un mese è trascorso dal ratto di lady Amira. Un mese di rabbia a stento trattenuta, di furia compressa, pronta ad esplodere contro gli eserciti di Calieth.

    Attorno ai fratelli Vondraft si sono unite le casate regnanti di Ferronero, Roccaspada e Verdequiete. Patti sono stati stipulati, la Lega di Ferro è sorta: una nuova allenza pronta a rivendicare l’offesa subita dai Vondraft. Da Torretempo la contessina Alyce Taerin non ci sta, non si fida delle trame di Maximilian e fa di tutto per contrastare la campagna contro Calieth.

    La guerra è pronta ad imperversare su ogni fronte.

    Mattel Shadows ha visto Lagissa sparire fra le fauci abissali. Anche lui brama vendetta, ma un incontro inaspettato lo porterà a cercare lord Mark Edinburgh, apparentemente scomparso.

    Oltre il Mare Esteso, Flynn e Valiran viaggiano nelle misteriose terre di Lamas verso i Boschi del Fato.

    Troveranno quello che cercano?

    Nel frattempo la Nebbia si muove....

    Prologo

    Vesprosferzato

    L’assassino abbandonò i vicoli oscuri della periferia di Vesprosferzato imboccando la strada principale. Superò l’Arena e la Piazza del Forte sino a raggiungere il quartiere nobile della Vecchia Sapiente. L’aria si faceva sempre più fredda.

    L’assassino indossava una cappa scura con cappuccio, un farsetto pieno di tasche, imbottito e rilegato da leggere placche metalliche; una grossa cintura di pelle nera gli stringeva la vita mentre gli stivali speronati risuonavano per le strade nel suo incidere deciso. Apparentemente sembrava non portare armi, ma Lamnar era un uomo imprevedibile: fra le maniche del farsetto nascondeva due stiletti affilati come rasoi e nelle innumerevoli tasche trovavano spazio lame di ogni sorta.

    L’assassino guardò la Magione Vondraft con aria di sfida. La mezzanotte era passata da un pezzo e per le strade non aveva incontrato nessuno.

    Tempi di guerra…

    Aveva lasciato Vesprosferzato poco prima della conclusione del Torneo della Lama ed ora vi ritornava su richiesta del signore della città, Maximilian Vondraft. Inizialmente non avrebbe voluto accettare l’invito: l’ultimo incarico a Vesprosferzato lo aveva fatto incontrare con un suo vecchio amico e l’assassino era stato praticamente colto sul fatto. La sua prima intenzione era stata quella di tenersi alla larga da quella cittadina sporca e pericolosa, ma il conte Vondraft gli aveva proposto un compenso così vergognoso da rendere impossibile un qualsiasi rifiuto.

    Gli affari sono affari...

    Camminò sull’asfalto acciottolato che conduceva alla villa del conte, un edificio di dimensioni a dir poco colossali. I Vondraft erano ricchissimi, potenti e molto pericolosi. La loro macabra reputazione veniva bisbigliata in qualsiasi taverna o locanda da quattro soldi. I viaggiatori vociferavano che il conte fosse un demonio dotato di poteri oscuri.

    «Lo Stregone, così lo chiamano giovanotto! Faresti meglio a tenerti alla larga da quella città!»

    Reinard si pulì la bocca dalla schiuma di birra con la manica della giacca, manica così zozza e polverosa da far rivoltare lo stomaco a Lamnar. Reinard utilizzava quel povero pezzo di stoffa anche per soffiarsi il naso, asciugarsi la bocca e probabilmente, in mancanza di materia prima, anche per pulirsi il deretano.

    Lamnar trattenne una smorfia di ribrezzo, ma il vecchio Reinard parve non accorgersene. Continuava a bere sommessamente, ruttando di tanto in tanto. Dopo qualche attimo di silenzio, Lamnar tornò all’attacco. Nel suo mestiere bisognava essere pronti a tutto e il titolo affibbiato al conte Vondraft non era dei migliori. Lamnar temeva stregoni, maghi e qualsiasi individuo dotato di capacità innaturali. Sebbene fosse uno spadaccino straordinario, non amava affrontare personaggi mistici. Una volta aveva combattuto contro uno stregone di Samril e sulla schiena portava ancora i segni di quella dolorosa sconfitta.

    «Dimmi di più Reinard, sono un forestiero venuto da lontano: perché lo chiamano Stregone

    La locanda era una bettola da quattro soldi, situata a trenta miglia dalla città di Vesprosferzato. I forestieri e i viaggiatori che attraversavano il Reame senza Corona parevano apprezzare molto quella squallida taverna che era talmente brutta da non avere un nome particolare: la gente la chiamava semplicemente La Bettola e così era. Il bancone era costantemente polveroso e le ragnatele fioccavano dagli angoli del soffitto. Ragni grossi e pelosi sbucavano da ogni buco e, di tanto in tanto, si potevano scorgere dei ratti puzzolenti attraversare il pavimento bucherellato. Le proprietarie erano tre sorelle, le quali avevano ereditato alla morte del padre l’intera proprietà. Le malelingue mormoravano che le tre ragazze erano ninfomani assassine senza scrupoli. Il padre era morto improvvisamente nel sonno, destando molti sospetti fra le comunità locali dei villaggi vicini. Le tre ereditiere si erano immediatamente impegnate a scacciare via le brutte voci, concedendo buona birra, carne arrostita e le loro grazie alla festa di apertura. Dopo quel baccanale, a nessuno importava molto della fine del vecchio oste: tutti parlavano solo di quanto fosse buona la birra, tenera la carne e morbida la pelle.

    Reinard lasciò scivolare gli occhi acquosi senza ciglia sulla superficie del bancone. La sorella più giovane, Filly la Svelta, gli strizzò l’occhio con fare impertinente mentre ripuliva un boccale di legno. Aveva un seno prorompente e una scollatura che sembrava dire: Guardateci.

    «Non trovi che questo posto sia magnifico? Le guardie non vengono mai quassù. Ci sono troppi ladri e malviventi. La Bettola è il paradiso per chiunque se ne vuole stare lontano dai guai.»

    «Dai guai con la legge vecchio mio. L’assenza di guardie fomenta altri guai. Guarda quei due ragazzotti al

    Bancone: se le stanno dando di santa ragione da dieci minuti e nessuno dice niente.»

    Reinard si voltò a osservare la rissa con una smorfia divertita. Un giovanotto dalle spalle robuste stringeva fra le mani callose il collo di un povero mercante ubriaco. Il giovanotto, decisamente alticcio, stringeva e sputava insulti dando al mercante del baro e del truffatore. Ci pensò Selyse la Tosta, la sorella di mezzo a farla finita. Non era particolarmente bella, ma aveva quel modo di fare spiccio che facilitava ogni tipo di approccio.

    Stringendo un manganello di legno battuto, Selyse colpì con violenza la testa dura del giovane contadino ubriaco. Questi piroettò due volte su se stesso, cadendo bocconi sul pavimento bucherellato. Selyse fece un cenno a due uomini seduti a un tavolo in fondo. Imprecando ingiuriosamente, li insultò come cani, chiamandoli villani e perdigiorno, nonché ubriaconi, scansafatiche, puttanieri e senza coglioni. I due uomini, presumibilmente gli addetti alla sicurezza del posto, sbuffarono, ma si alzarono dalle loro postazioni. Indossavano armature leggere dalla giubba color grigio topo e alla cintola portavano dei randellacci poco rassicuranti. Con fare pigro agguantarono il contadino svenuto trascinandolo fuori dal locale.

    «Vedi? Tutto si è risolto. Gli uomini di Dick Nasoschiacciato hanno fatto il loro dovere.»

    La Bettola era sotto la protezione di uno dei più pericolosi briganti della contrada di Vesposferzato. Dick aveva la nomea di assassino e razziatore, violento e incontrollabile. Lamnar non aveva alcuna intenzione di soffermarsi su Dick Nasoschiacciato, voleva lasciare quel posto il prima possibile ottenendo le informazioni necessarie. Si chinò verso Reinard minacciosamente parlando con voce asciutta.

    «Perché lo chiamano lo Stregone?»

    Reinard rabbrividì.

    «Non nominarlo più giovanotto. Non nominarlo più per carità divina!» balbettò il vecchio contadino con il mento ispido tremante dalla paura.

    «Ti dirò solo questo: il conte è una persona malvagia! Si mormora che rapisca le ragazze della periferia e che nelle fogne giaccia il suo laboratorio degli orrori: il conte si diverte a fare solo gli dèi sanno cosa! La gente non ne parla, ma bisbiglia di continuo. Quella città è il male assoluto. Non andarci nemmeno se devi! Mi hai capito?»

    Lamnar raggiunse i cancelli della Magione Vondraft. A sorvegliare l’ingresso stavano cinque guardiani corazzati armati di alabarde. Sedevano attorno a un braciere, parlottando fra loro e riscaldandosi le mani: tutti e cinque erano molto alti e le pesanti armature li facevano sembrare dei veri e proprio colossi. Portavano degli elmi leggeri sprovvisti di visiera chiusi sul mento e inciso sullo spalliere scintillava il sinistro serpente alato dei Vondraft.

    «Altolà forestiero!» lo minacciarono non appena la luce delle fiamme illuminò l’assassino. Uno dei soldati strinse con forza l’alabarda con entrambe le mani, puntando l’arma sul petto di Lamnar.

    «Un altro passo e ti infilzò come uno spiedo!»

    L’assassino indietreggiò alzando le mani in segno di resa.

    «Vengo in pace. Sono stato invitato dal vostro signore. Ho una lettera nella tasca della mia cappa che potrà confermarvi tutto. Ora la estrarrò, cercate di non infilzarmi, vorrei rivedere le luci dell’alba.»

    «Niente gesti bruschi o improvvisi! Muoviti lentamente, coraggio!»

    Anche le altre guardie si erano avvicinate stringendo saldamente le aste delle loro alabarde. Lamnar fece quanto ordinato. Con molta calma abbassò la mano destra, presa la lettera e la estrasse dalla tasca.

    «Ecco la lettera. Leggetela, è tutto vero: sono stato invitato dal conte.»

    La guardia che lo minacciava con la punta dell’alabarda non intendeva cambiare posizione.

    «Coraggio Horst prendi quella dannata lettera!» ordinò con un ruggito. La guardia di nome Horst prese la lettera e si prese pure la briga di dare un brusco spintone all’assassino. Lamnar sopportò senza protestare: sarebbe stato inutile.

    Horst aprì la lettera e lesse. Poi annuì al soldato in posizione di attacco.

    «È tutto in ordine. Lascialo passare.»

    Finalmente la punta dell’alabarda lasciò il petto di Lamnar. L’assassino sorrise a denti stretti da dietro il suo cappuccio. La guardia lo squadrò dall’alto in basso.

    «Vai pure, ma sappi che ti tengo d’occhio. Non mi piace chi gira per le strade celando il proprio volto. Solo gli assassini, i ladri e i marchiati si mascherano fra le tenebre.»

    Lamnar non rispose, attese che la grossa guardia si facesse da parte e proseguì.

    Ma vaffanculo... solo gli assassini, i ladri e i marchiati... patetico ometto...

    Attraversò i giardini illuminati da bracieri ardenti raggiungendo la facciata turrita della magione. Delle due torri, quella di destra era decisamente la più alta mentre quella di sinistra era sgradevolmente bassa e tozza. Lamnar pensò che l’architetto fosse ubriaco ai tempi del progetto.

    Oppure il lavoro è passato di mano in mano. Questi artisti sono inaffidabili.... iniziano un’opera e dopo essersi intascati il compenso spariscono dietro a bottiglie, gonnelle e droghe...

    All’ingresso del portone una guardia dal viso sfregiato lo aspettava; i suoi occhi inespressivi scrutavano con vago interesse il nuovo arrivato. Tra le mani stringeva una torcia tenuta all’altezza del petto.

    Sembra un becchino...

    «Buonasera assassino, il mio padrone Vondraft ti attende nel suo studio.»

    «Come sa del mio arrivo? Nessuno mi ha visto entrare in città.»

    Lo sfregiato non rispose. Si voltò e entrò nella magione.

    «Andiamo.»

    Simpatico...

    Lamnar seguì l’uomo lungo dei corridoi debolmente illuminati dalla luce dei bracieri a muro. La dimora era silenziosa, sembrava disabitata. Il vento faceva sbattere le persiane alle finestre e di tanto in tanto si sentivano dei sordi scricchiolii provenire dal piano superiore. Si fermarono dinnanzi a una grande scalinata.

    Lo sfregiato gli fece cenno di salire le scale.

    «Io mi fermo qui, tu continua. Una volta in cima incontrerai un altro guardiano che ti condurrà dal nostro padrone.»

    Lamnar annuì sospettoso.

    Padrone...

    Era la seconda volta che nominava il conte Vondraft in quel modo. La faccenda iniziava a puzzare e l’odore si faceva sempre più acre.

    Ma ormai sono in ballo, danziamo...

    Se si fosse tirato indietro, il guardiano al piano di sotto non lo avrebbe di certo accompagnato alla porta. Perlomeno non con cortesia.

    All’ultimo gradino un gigante dalla pelle scura e gli occhi profondi lo salutò. Sulla schiena portava un fodero di pelle contenente uno spadone dalle dimensioni esagerate.

    Per gli dèi! Chi è costui?!

    «Prego assassino. Sono Volkan, il mio padrone vuole parlarti.»

    Padrone! Ancora padrone?!

    Lamnar se la stava facendo nei pantaloni. Dopotutto, qualche pelo sullo stomaco ce lo aveva pure lui. Lui, che senza tanti problemi aveva avvelenato capitan Ferro. Lui, che aveva scannato nel sonno sir Jonas Bard senza il benché minimo pudore. Lui, che per mero denaro dispensava morte e disperazione in tutto l’Einwell.

    Bisogna pur vivere di qualcosa, altrimenti si fa la fame!

    Volkan lo accompagnò nello studio del conte.

    Maximilian Vondraft sedeva sprofondato in una bella poltrona imbottita che a Lamnar parve comodissima. Tra le mani, il conte reggeva un calice di vino semivuoto mentre con aria assorta ammirava il crepitare del legno nel camino, dal quale fiammelle sottili come spire danzavano sinuose. La grande finestra aveva le tende sollevate e Lamnar poté ammirare l’intera città di Vesprosferzato in tutta la sua estensione. C’era odore di incenso e zolfo.

    Puzza di morte...

    Il conte dopo una lunga attesa finalmente volse la sua attenzione sull’assassino. Avvolto nel suo pesante mantello nero, Maximilian sembrava malato: il viso pallido, gli occhi cerchiati di nero e i capelli tirati indietro lo invecchiavano di almeno dieci anni. Dopo qualche istante di mutismo, il conte tornò a fissare il caminetto giocherellando con il calice. Lamnar si stava innervosendo, ma finalmente Maximilian si decise a parlare. La sua voce piegata da una decisione ruvida e aspra latrò:

    «Ascoltami bene, ho un incarico per te. Verrai lautamente ricompensato se mi porterai la testa di lord Mark Edinburgh qui sulla mia scrivania.»

    Capitolo I

    L’antica sequoia

    Il cavaliere sedeva con la schiena appoggiata contro il tronco di una vecchia sequoia solitaria nel bel mezzo del niente. Era un pomeriggio di vento e pioggia, tipico del regno di Calieth: nubi grigie si addensavano da nordest, cupe come i pensieri del cavaliere mentre i suoi occhi azzurri, screziati di vivido rosso, scrutavano colline lontane.

    Le Alture Dimenticate....

    Il cavaliere indossava una pesante corazza metallica laccata di rosso, a spuntoni sulle spalle e sugli avambracci. La superficie della corazza era finemente decorata da piccole gemme nere, le quali messe insieme formavano l’icona di un dragone.

    L’uomo portava i lunghi capelli sciolti, bianchi come quelli di un vecchio. Tuttavia il suo volto aguzzo era giovanile tanto quanto quello di un trentenne. Un grande elmo crestato gli giaceva accanto e poco distante da lui un cavallo bardato brucava ciuffi d’erba con pigrizia.

    L’uomo chiuse gli occhi.

    Da quanto tempo non provavo una sensazione come questa? Libertà estrema.

    Inspirò profondamente la fredda aria di pioggia.

    Libertà estrema. Dalnein è alle mie spalle. Il caos, puro caos. Una città controllata a stento, pronta a cadere. Non appena il re sarà morto, il trono passerà a suo figlio Guillame e sarà la rovina. È già una rovina! La ragazza del Reame senza Corona… la moglie del lord di Vesprosferzato… non dovevano accettarla! Dovevano metterla sulla prima carrozza disponibile e rispedirla al mittente e già che c’erano dovevano spedirci pure Guillame!

    Il ratto di lady Amira Vondraft aveva suscitato scalpore in tutto il regno di Calieth. Il principe Guillame si era presentato a sua padre con la lady di Vesprosferzato e il caos si era insediato in casa Laroche.

    Caos puro...

    Il Consiglio aveva provato a far ragionare l’anziano sovrano: Loic Cézanne, Vanille de-la-Serre, Sir Tancrède Boulay, Anton Sadli, rispettivamente il capospia, la maga di corte, il generale supremo e il gran tesoriere, avevano supplicato il sovrano di inviare immediatamente una lettera di scuse ai signori di Vesprosferzato e di riportare la lady fedifraga al suo legittimo marito, oltre a dare tanti calci nel culo a quell’idiota di Guillame.

    All’inizio re Alliaume sembrava assolutamente convinto ad ascoltare i saggi consigli dei suoi più stretti collaboratori, salvo poi cambiare completamente idea. Guillame sembrava veramente innamorato di Amira e Alliaume non voleva far soffrire il suo unico pargolo. Così la lady era rimasta a Dalnein, nelle ricche e squisite stanze della Reggia.

    Alliaume preferisce far soffrire tutta Calieth piuttosto che fare un torto all’unico responsabile di questo macello...

    Il cavaliere era da sempre il favorito del re: aveva cavalcato con lui innumerevoli volte, affrontando molte battaglie e salvandogli la vita in più di un’occasione. Alliaume, quando era ancora in grado di cavalcare, era stato un guerriero temerario e feroce.

    Senza cervello...

    Se non ci fossero state le lame del cavaliere a proteggerlo, il principe Guillame non sarebbe nemmeno esistito.

    Guillame: un insulto a questo regno! Un insulto alla cavalleria e al codice dei guerrieri di Calieth!

    Al cavaliere il giovane principe non era mai andato a genio.

    Arrogante e presuntuoso! Inoltre è un totale incompetente a brandire la spada!

    Si truccava più di una puttana di alto borgo e indossava solo armature a tutto sbalzi, ingioiellate dalla vita al colletto. Al fianco era solito portare foderi squisitamente arricchiti da rubini e smeraldi, contenenti spade cerimoniali: bellissime, ma pesanti e dalla lama smussata. Il re aveva ordinato al cavaliere di ammettere suo figlio fra i ranghi delle temutissime schiere dei Draconiani.

    Le mie schiere. Il mio orgoglio.

    Il cavaliere con estrema chiarezza si era aspramente rifiutato.

    «Guillame non sarà mai un Draconiano, mettitelo in testa Alliaume!».

    «Come osi rivolgerti così a me! Sono il tuo re. Cerca di ricordarlo!»

    «Mi perdoni sua altissima signoria.» lo sbeffeggiò con noncuranza.

    «Stai tirando la corda Lazare! La nostra amicizia non ti salverà dallo strapparti la lingua. Mio figlio molto presto sarà il tuo re: vedi di rispettarlo e di servirlo al meglio, proprio come hai fatto con me.»

    «Alliaume, io ti voglio bene. Sei un amico, un fratello. Sappi questo: tenere qui la ragazza di Vesprosferzato è limpida follia! Scatenerai una guerra senza frontiere! I signori Vondraft sguinzaglieranno tutte le schiere del Reame senza Corona. Roccaspada, Verdequiete, Torretempo, Ferronero e Stelecremisi! Le nostre spie ci informano che gli eserciti si stanno raccogliendo attorno al vessillo dei Vondraft. Intendono marciare su Calieth. Intendono invaderci!»

    Lazare Blanchard tratteneva a stento la rabbia. Era stato convocato di prima mattina e credeva che il re volesse la sua opinione riguardo al ratto di lady Amira. Invece Alliaume aveva ritirato fuori la vecchia richiesta di accogliere Guillame fra i Draconiani. Il cavaliere stringeva con forza i pugni guantati.

    È proprio vero, invecchiando ci si rimbambisce. Per gli dèi, che brutta fine che hai fatto Alliaume...

    Il re scosse il capo deluso come un bambino. Era molto anziano e la testa piccola era completamente calva. Gli occhietti infossati erano quasi spenti e la sua lunga barba, un tempo curata e folta, sembrava una scopa spelacchiata. Alliaume stava morendo.

    Si sta lasciando morire.

    «Sono deluso Lazare. Credevo tu volessi rendermi felice. Non siamo forse fratelli?» borbottò il vecchio sovrano indispettito.

    «Alliaume, lascia che ti parli a cuore aperto. La tua malattia non è una scusante: con il tuo non agire, stai mettendo a ferro e fuoco Calieth stessa. Gli eserciti del Reame senza Corona oltrepasseranno Roccaspada e arriveranno ben presto alle Antiche Torri della Macchia.

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