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Alla corte del re
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Alla corte del re
E-book194 pagine2 ore

Alla corte del re

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Info su questo ebook

Quando Meg incontra il baldo sir Richard, a cavallo del suo focoso destriero, è amore a prima vista. Non immagina certo che proprio il bel cavaliere è stato incaricato di portarla alla corte di Enrico III. Lì, in una girandola di impegni mondani, tra balli, feste, tornei cavallereschi e intrighi, la bellissima e innocente fanciulla viene istruita in vista di un matrimonio regale... Il temibile Enrico VIII dovrà tagliare la testa a un'ennesima moglie?
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2021
ISBN9788830534247
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    Anteprima del libro

    Alla corte del re - Olga Daniels

    Copertina. «Alla corte del re» di Daniels Olga

    Immagine di copertina:

    Graziella Reggio Sarno

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    A Royal Engagement

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 1999 Olga Daniels

    Traduzione di Alessandra De Angelis

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2000 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3053-424-7

    Frontespizio. «Alla corte del re» di Daniels Olga

    1

    Inghilterra, 1539

    Era giorno di mercato a Norwich e la città era piena di gente. Vi erano affluiti gli abitanti dei villaggi circostanti e molti di loro avevano portato mercanzia e bestiame. Qualsiasi cosa potesse essere messa in vendita era esposta, appesa od offerta ai passanti in ceste e sacchi. La bella giornata estiva aveva fatto uscire di casa quasi tutti coloro che abitavano all’interno delle alte mura della città e ora la gente riempiva le stradine strette. C’era un gran movimento di persone che andavano a caccia di buoni affari, mangiavano e bevevano, mercanteggiavano o erano semplicemente riunite in capannelli per chiacchierare e spettegolare.

    Meg, anzi, lady Margaret Thurton, per chiamarla con il suo nome completo, si stava facendo largo tra la calca, diretta al convento. Con un cesto di vimini appeso al braccio, camminava con circospezione, sollevando la gonna nel vano tentativo di non infangarne l’orlo. Doveva saltellare tra le pozzanghere, schivando gli escrementi degli animali e quelli, ancora più nauseabondi, gettati dalle finestre delle case che bordavano le strade. Insinuandosi nella ressa, spingendo e sgomitando al pari degli altri, si confuse tra la folla. Era abbigliata, come tutti, con abiti fatti in casa, di tessuto ruvido e grossolano.

    Percorse a passo più svelto Goat Lane e svoltò in Pottergate, rendendosi conto di essere stata in giro per troppo tempo. Si era attardata a casa della povera Betsy Carter, una vecchina malata di artrite che non poteva alzarsi dal pagliericcio su cui giaceva. Meg le aveva fatto bere la pozione medicamentosa che aveva preparato con le sue mani, usando le erbe che crescevano nell’orto del monastero e altre che aveva raccolto tra i cespugli lungo le mura della città.

    La donna aveva mormorato delle benedizioni, accasciandosi sul giaciglio dopo che Meg le aveva sollevato la testa per farla bere. Era così debole che Meg l’aveva lasciata a malincuore. L’anziana Betsy non aveva nessuno che badasse a lei, tranne il marito Davy, che era quasi completamente cieco e anche un po’ tocco.

    Meg le aveva tenuto la mano scarna mentre Betsy, con le lacrime agli occhi, ricordava la prima volta in cui l’aveva vista, insieme alla mamma scomparsa da poco. All’epoca la piccola Meg aveva tre anni. Da poco vedova, lady Elizabeth Thurton era stata costretta a fuggire da casa quando il suo malvagio cognato Edmund, conte di Thurton, si era impadronito di tutte le proprietà del fratello maggiore: il castello di Bixholm, le terre e la sua considerevole ricchezza. La madre di Meg, afflitta per la perdita del marito, non aveva avuto la forza di resistere. Quando aveva tentato di protestare, Edmund aveva minacciato sia lei sia la figlioletta.

    Sapendo che il cognato era un uomo spietato e senza scrupoli, lady Elizabeth si era rifugiata nel monastero situato alla periferia di Norwich. La badessa, una sua lontana parente, l’aveva accolta freddamente ma aveva dato ospitalità a lei e alla bambina, per dimostrarsi caritatevole. Lady Elizabeth e Meg avevano vissuto in due stanze messe loro a disposizione, conducendo un’esistenza frugale e modesta, ma almeno sicura ed esente da pericoli.

    Meg non aveva ricordi che non fossero legati alla vita conventuale. Ora però tutto stava per cambiare e la paura serpeggiava tra i religiosi. Il re Enrico VIII aveva promulgato un editto che imponeva lo scioglimento di tutti gli ordini, compreso il monastero benedettino. Il futuro delle suore e di tutti coloro che vi risiedevano era incerto. Meg non aveva nessuno a cui rivolgersi né un posto in cui andare. L’unica cosa certa era la sua consapevolezza di non essere tagliata per la vita monastica; quanto al resto, l’incognita rappresentata dal suo futuro suscitava in lei un grande timore.

    Quando l’anziana Betsy era scivolata nel sonno, grazie al potere sedativo della pozione per calmarle i dolori, Meg se n’era andata. Le aveva promesso che sarebbe tornata l’indomani, ma non era sicura di ritrovarla viva. La rattristava sempre il pensiero di non poter fare molto per alleviare le sofferenze dei poveri.

    Ora, percorrendo a stento la stradina stretta invasa dalla gente, il suo unico pensiero era quello di ritornare al più presto al monastero.

    «Fate largo!» tuonò una voce imperiosa che sovrastò le grida dei venditori e il chiacchiericcio dei paesani. In sottofondo, quasi a sottolineare l’importanza del comando, si udì uno scalpitio di zoccoli. «Fate passare, gentaglia!»

    Stupita, Meg si voltò per guardare chi tentasse di passare a cavallo in una stradina così stretta e affollata, dove c’era già a malapena spazio per le persone a piedi. Uomini e donne si accostavano contro le case, tenendo stretti a sé i bambini e prendendo in braccio i più piccoli.

    Venne aperto un varco attraverso cui passarono i cavalieri. Erano tre, su splendidi destrieri che sbuffavano dalle narici vibranti, come se fossero abituati a galoppare per gli spazi aperti delle tenute reali e mordessero il freno, costretti ad andare al passo in mezzo a quella confusione.

    D’un tratto Meg notò Davy il cieco, il marito della vecchia Betsy. Stava fermo proprio davanti ai cavalli e girava il viso da un lato all’altro, sconcertato e impaurito, senza capire cosa stesse succedendo né decidere da che parte andare.

    «Sta’ attento, Davy» gridò qualcuno. «Arrivano dei cavalli.»

    Uno dei cavalieri fece saettare la frusta in direzione del vecchio, prendendolo sulla manica della camicia lacera. Davy cercò di girarsi e spostarsi, ma i piedi gli scivolarono nella fanghiglia dello scolo al bordo della strada e lui cadde davanti a un cavallo.

    «Togliti di mezzo, vecchio! Fa’ spazio a sir Richard.»

    Meg si precipitò a soccorrerlo, fissando con risentimento il cavaliere che l’aveva apostrofato. Sedeva ben ritto in sella, con un’espressione di sdegno sul viso altezzoso. Aveva capelli biondi e lisci sotto un berretto di velluto azzurro. Il suo atteggiamento rivelava il suo disprezzo per la gente che lo circondava.

    «Fermatevi!» lo avvisò Meg.

    «Digli di alzarsi in fretta o verrà calpestato dal cavallo» replicò l’uomo con impazienza.

    «Dategli tempo» lo pregò Meg. «Il vecchio Davy non ci vede...»

    «Allora non dovrebbe andarsene in giro per strada» concluse l’uomo di sir Richard.

    Meg si fece avanti e si frappose tra i cavalli e Davy con un’aria di sfida. «Ha diritto quanto chiunque altro di percorrere la strada del re» disse con voce forte e chiara.

    «Lascialo, Gervase» disse in tono freddo e autoritario l’uomo che gli stava dietro.

    Meg guardò oltre il primo cavaliere e incrociò lo sguardo del gentiluomo che stava nel mezzo. Capì subito che, fra i tre, era quello di più alto rango e che probabilmente era lui sir Richard. Il terzo uomo, invece, restava qualche passo indietro. Sarebbe potuto essere attraente, se non fosse stato per la cicatrice che gli attraversava la guancia sinistra, sfigurandolo. Sir Richard, che montava un possente stallone nero, torreggiava su tutti. Aveva i capelli castano scuro con dei riccioli che sfuggivano dai lati del suo cappello piatto di vel luto scarlatto, decorato da una piuma di struzzo. Indossava un elegante farsetto dalle spalle ampie e dal taglio squadrato, che evidenziava il suo collo forte e gli conferiva un’aria virile. Aveva il portamento fiero di un nobile cavaliere e guardava Meg con orgoglio e superiorità.

    Lei sentì che il cuore accelerava i battiti. Non era abituata a essere scrutata da un gentiluomo ed era vagamente turbata, oltre che adirata per la prepotenza dei tre cavalieri. Tuttavia il suo sguardo fu catturato da quello di sir Richard come se lui l’avesse stregata con un incantesimo. C’era qualcosa nel suo viso che incuteva timore e rispetto e Meg non poté fare a meno di ammirare la forza dei suoi lineamenti decisi.

    Tuttavia l’espressione di sir Richard non dimostrava altro che disprezzo e Meg si rese conto di essere abbigliata miseramente, oltre che sporca, scompigliata e in disordine.

    «Se è vostro nonno, dovreste averne maggiore cura e seguirlo più dappresso» le disse sir Richard.

    Aveva parlato lentamente, scegliendo le parole per farle capire la sua disapprovazione o, forse, solo per saggiare la sua reazione. Mentre parlava non aveva smesso di far scorrere lo sguardo su tutta la sua persona. Per quanto inesperta, Meg capì che la fissava come se fosse stato attratto da lei. Come osava essere così impudente?, pensò, indignata. Tuttavia non poteva negare che aveva suscitato in lei sensazioni mai provate prima, che scaturivano dal profondo del suo essere, nel centro della sua femminilità ancora inesplorata.

    «E voi dovreste badare a dove andate» replicò, sollevando la testa in un atteggiamento fiero.

    Anche se in quel momento era vestita come una pezzente ed era povera in canna, Meg era consapevole della propria posizione sociale. Per parte di madre discendeva da uno degli antichi re d’Inghilterra, anche se non ne ricordava esattamente il nome. La coscienza del proprio rango le conferiva la sicurezza necessaria per tenere testa al cavaliere.

    Sir Richard tirò le redini del cavallo e lo fece fermare, mentre tutt’intorno a lui si era già formato un capannello di gente. Le persone la guardavano a occhi spalancati, stupite dalla sua audacia. Tutti i popolani la conoscevano sin da piccola, quando accompagnava la madre nelle sue visite di carità ai poveri del villaggio. Quando la dolce e gentile lady Elizabeth, ormai malata, non era più stata in grado di continuare la sua missione, Meg l’aveva sostituita occupandosi al suo posto dei malati e degli indigenti. Si era sempre sentita sicura tra la gente anche quando usciva sola per portare erbe e pozioni ai malati e pane agli affamati. I paesani l’avrebbero difesa contro chiunque avesse osato molestarla, però ora erano sconcertati nel vederla sfidare l’autorità di un potente nobile.

    Gli occhi azzurri di Meg, solitamente dolci, emettevano lampi d’ira mentre lei, controllando a stento il proprio sdegno, si rivolgeva di nuovo a sir Richard con la sua voce modulata ed educata. «Vi prego di far arretrare il vostro destriero, messere.»

    Incurante della propria incolumità, si pose sotto il muso del cavallo facendo scudo con il proprio corpo al vecchio ancora a terra. Sentì un sussulto di stupore percorrere gli astanti, che la fissavano trattenendo il fiato. Guardò sir Richard, impavida e rigida, restando assolutamente immobile. Non era mai stata tanto impaurita in vita sua. Il tempo sembrò fermarsi mentre tutti aspettavano la reazione di sir Richard, anticipando già, con un fremito di timore, il suo scoppio d’ira. Poi, inaspettatamente, lui sollevò l’elegante copricapo di velluto in un gesto elaborato, che sarebbe sembrato galante se non fosse stato accompagnato da un sorriso sardonico che gli sollevò un angolo delle labbra ben disegnate. Infine, con gran sollievo di Meg, tirò le redini, ritraendosi di un paio di passi.

    Lei mise subito una mano sotto il braccio del cieco. «Stai bene, Davy?» gli chiese, premurosa.

    «Milady!» esclamò lui, riconoscendo la voce di Meg. «Aiutatemi, ve ne prego.»

    «Sta’ tranquillo, va tutto bene» lo rassicurò lei con calma. «Cerca di alzarti. Non permetterò che ti facciano del male.»

    Un giovanotto avanzò e prese l’altro braccio del vecchio. I passanti non avevano voluto intromettersi, ma ora diversi volenterosi accorsero per aiutare Davy a rimettersi in piedi e accostarsi al bordo della strada. Era rimasta solo Meg a sbarrare il passo ai cavalieri. Gli animali scalpitavano e nitrivano, irrequieti. Lei s’impose di non mostrarsi impaurita, tuttavia sperava in cuor suo che i cavalieri riuscissero a tenere a bada i loro impazienti destrieri.

    «Qual è il vostro nome, fanciulla?» le chiese sir Richard quando lei osò sollevare di nuovo lo sguardo sul suo viso.

    «Che importanza ha per voi, messere?» ribatté lei freddamente.

    Con aria distaccata, riprese il paniere che aveva posato sul selciato prima di accorrere in soccorso di Davy. Lanciò un’ultima occhiata in direzione del vecchio per assicurarsi che stesse bene poi, soddisfatta, si voltò e si avviò a testa alta. Per qualche passo marciò ben dritta davanti ai cavalieri, sentendo il rumore degli zoccoli dietro di sé. Benché fosse nervosa, non accelerò fino a quando non raggiunse un vicolo con una scalinata ripida. Vi s’inoltrò correndo e scese i gradini tra la gente che si scostava per farla passare. Aveva preso la direzione opposta a quella del convento, per cui avrebbe impiegato più tempo per raggiungerlo. Era già stata fuori troppo a lungo, però non aveva voluto restare sulla stessa strada dei cavalieri per non far vedere loro che il coraggio ostentato non era stato che una finta dimostrazione di sicurezza.

    Quando infine rallentò e si fermò, appoggiandosi a un muro per riposarsi, tremava e aveva il fiato corto. Prima di allora non aveva mai avuto un contatto così ravvicinato con dei gentiluomini. Era stato questo a turbarla, ancor più dell’incidente in sé. Fino a quel giorno aveva parlato con pochissimi uomini che non fossero sacerdoti o contadini. Tutti si erano sempre rivolti a lei con maniere servili, sapendo che era parente della potente badessa. Non aveva mai incontrato un uomo che sostenesse il suo sguardo con una simile espressione di sfida. Sir Richard l’aveva fissata come se avesse voluto penetrarle l’anima e carpirle i pensieri più intimi e segreti, quelli che non aveva il coraggio di ammettere neppure in confessione. Il solo ricordo di quegli occhi insidiosi la fece arrossire. Mentre si avviava verso il monastero, si disse che soprattutto era contenta di non dover rivedere mai più quel sir Richard...

    Quando arrivò a destinazione, Meg entrò attraverso una porticina laterale che conduceva direttamente al chiostro. Una volta all’interno, si fermò per un istante, assaporando la fresca e calma quiete del luogo. Lì si sentiva a casa; era l’unica dimora di cui avesse memoria, dopotutto.

    La sua infanzia non era stata infelice, giacché Meg era stata allevata dalle cure amorevoli della sua dolce e sfortunata madre, persona dalla salute cagionevole e dotata di grande intelligenza, più istruita della maggior parte delle donne. Lady Elizabeth aveva trasmesso perciò tutte le sue conoscenze alla figlia, insegnandole a leggere e scrivere, oltre

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