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Luce e Tenebra
Luce e Tenebra
Luce e Tenebra
E-book654 pagine10 ore

Luce e Tenebra

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Info su questo ebook

In un mondo senza dèi né religioni né magia, la razza umana sembra aver trovato un equilibrio dopo guerre e massacri. Settantadue anni prima dell'inizio della nostra storia, i cinque regni del continente nord occidentale hanno stipulato l'Alleanza e da allora i commerci sono fioriti ed è nata l'Università della Sapienza dove possono essere studiate le scienze, matematica, astronomia, alchimia, medicina, storia, letteratura, musica, arte. L'Ordine dei Guaritori, con le loro Case della Cura, ha approfondito sempre più lo studio del corpo umano e delle sue debolezze, trovando nuove medicine e rimedi per i mali minori.

Ma qualcosa serpeggia nell'oscurità, pronta a spezzare questo equilibrio così faticosamente raggiunto, una forza antica e devastante che ammalia le menti e corrompe i cuori con promesse di eternità e potere infinito.
Il giovane principe di Kamyra, ribelle e testardo, non può neanche lontanamente immaginare dove lo condurrà il suo desiderio di brandire una spada vera. Il suo comportamento puerile lo porterà ad ascoltare una conversazione che potrebbe minare il trono di suo padre e in una notte tempestosa, guidato da un istinto atavico e misterioso, raggiungerà sua madre in mortale pericolo.

Sentimenti contrastanti, legami indissolubili, caratteri dominanti, assassini, menzogne, speranze spingeranno il principe Moram e sua madre ad affrontare un viaggio che cambierà per sempre le loro vite e il loro modo di vedere il mondo e ciò che viene celato da migliaia di anni dietro una coltre di nebbie e leggende, nell'eterno scontro fra Luce e Tenebra.


Luce e Tenebra è un romanzo in un unico libro e potete trovare la mappa grande a colori sulla pagina Facebook: https://www.facebook.com/LuceeTenebra
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2014
ISBN9788868857158
Luce e Tenebra

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    Anteprima del libro

    Luce e Tenebra - Cecilia Cianchi

    tutto."

    Prologo

    La pioggia cadeva incessante. Il cavaliere aveva perduto ogni speranza di ritrovare la Principessa, ma proseguiva affondando nella palude putrescente con la spada nella mano guantata. Improvvisamente avvertì un battito d’ali. Si mise in posizione nonostante l’impiccio del fango. Aveva abbandonato lo scudo e la pioggia gli impediva di vedere bene, ma era intenzionato a non cedere: avrebbe riportato la figlia al suo Re.

    Il battito si avvicinò, costante, una creatura di grandi dimensioni veniva verso di lui. Divaricò le gambe e puntò la spada davanti a sé. Ciò che uscì dalla nebbia fece vacillare per un attimo la sua determinazione. Era un cavallo, un po’ più grande di quelli conosciuti, dal manto nero come la pece, che suo padre usava per sigillare le chiglie delle barche, e due enormi ali piumate che gli permettevano di volare.

    Era un cavallo alato. Atterrò con grazia sul fango davanti a lui. La creatura magica puntò gli occhi scuri in quelli del cavaliere e nitrì.

    Il cavaliere abbassò l’arma: era consapevole che quella meravigliosa creatura non era offensiva e lui non le avrebbe arrecato alcun male. La pioggia rendeva lucente il manto nero, conferendogli un alone davvero magico. Il cavaliere fece qualche passo avanti.

    - Sali, cavaliere - la voce gli rimbombò nella testa.

    - Perché sei qui? - domandò il cavaliere al cavallo alato.

    - È la strega che mi manda, le dovevo un favore ed eccomi qui -

    Il cavaliere inviò un ringraziamento silenzioso alla strega, rinfoderò la spada magica, non se lo fece dire due volte e con un balzo agile nonostante la stanchezza salì in groppa al maestoso cavallo.

    - Alla fine della palude c’è un villaggio di orchi, è lì che viene tenuta la Principessa - l’animale magico comunicò di nuovo mentalmente con il cavaliere. Il cavallo alato sbatté le ali poderose e s’involò.

    Il cavaliere, colto alla sprovvista, perse l’equilibrio, ma si aggrappò saldamente alla lunga criniera. Con l’aiuto di quella creatura avrebbe raggiunto il villaggio degli orchi e salvato la Principessa!

    - Ed è ora di dormire - l’anziano fattore chiuse il libro con un tonfo, si alzò e rimboccò le coperte ai gemellini.

    - Ma no, nonno! Vogliamo sapere come finisce! - esclamò Astir - Il cavaliere troverà gli orchi? -

    - Salverà la Principessa? - chiese Elisea - E nonno, nonno, la sposerà? - la vocina squillante della nipotina fece sorridere il nonno.

    - E il Re gli darà un castello? - incalzò Astir - E il cavallo alato e la strega? -

    - Su, su, domani sera finirò la favola, ora dormite - soffiò sulla candela e il buio scese nella camera. Il contadino si diresse alla porta e fece per uscire.

    - Nonno? - la voce di Astir dal buio lo raggiunse.

    - Sì? -

    - La magia esiste? - chiese il nipote.

    - No, Astir, la magia non esiste - Erkan Duecasse non aveva mai creduto nella magia né aveva mai visto qualcosa che ne potesse giustificare l’esistenza. Lui lavorava la terra, come suo figlio Amarin.

    - E i cavalieri? - era Elisea.

    - Oh sì, Elisea, i Cavalieri sono esistiti, facevano parte di un ordine molto antico -

    - Ci racconterai di loro la prossima volta? - la vocetta della nipotina era impastata dal sonno.

    - Ma certo - rispose e chiuse la porta.

    Capitolo 1

    Il vento soffiava forte creando strane melodie fra le fronde degli alberi della foresta secolare di Tirfle. Centinaia di foglie si rincorrevano formando piccoli vortici e disegni particolari. Gli animali della foresta si erano già rifugiati nelle loro tane preannunciando l’imminente tempesta e solo qualche coniglio si tratteneva ancora fra l’erba alta. Il sole stava tramontando e la sua tenue luce rosa inondava le radure fra gli alberi giganteschi. Grossi nuvoloni carichi di pioggia si stavano ammassando al limitare della foresta. Presto sarebbe piovuto.

    - Aiutatemi! Le gambe non mi sorreggono più! - gridò una voce per sovrastare il possente sibilare del vento.

    - Coraggio, ripariamoci sotto quella grande quercia - disse un’altra voce più ferma e decisa - C’è un’apertura alla base del tronco - L’uomo prese il ragazzo sotto braccio e si avviò verso l’albero. Un tuono rimbombò nell’aria in lontananza e le nuvole nere raggiunsero la foresta coprendola con un’ombra scura.

    - Sedetevi, Moram, ora starete meglio - disse il guerriero, e coprì l’entrata dell’albero con una coperta. Ne estrasse un’altra dal suo zaino e la avvolse intorno al giovane, prese una piccola lanterna e l’accese. La luce rischiarò l’ambiente ristretto e profumato di bosco, molte foglie coprivano il fondo del tronco.

    - Quei lupi erano proprio affamati. Deve essergli piaciuta la mia gamba - constatò Moram guardando con disgusto il sangue che impregnava i suoi calzoni.

    - Distendetevi e slacciate la spada, dobbiamo fasciare la ferita - suggerì l’uomo cominciando a strappare il suo mantello.

    - Non vorrete fasciarmi la gamba con quello, vero Nyrgath? - domandò Moram sconcertato guardando il mantello sporco.

    - Non sono un alchimista né un Guaritore e non ho con me fasce pulite, ma il sangue va fermato a tutti i costi e voi lo sapete quindi non fate il coniglio e rilassatevi, andrà tutto bene - lo rassicurò Nyrgath, ma dubitava fortemente che sarebbe andata così. La ferita era molto profonda e il sangue scaturiva senza posa. Ciò che lo preoccupava di più era il rischio d’infezione.

    - Morirò, lo so, morirò! - esclamò disperato Moram. Fuori il temporale stava cominciando a farsi sentire. Tuoni assordanti spaccavano i timpani e fulmini saettanti fendevano l’aria ferendo gli occhi.

    - Smettetela, Moram, o vi colpirò così forte da farvi addormentare fino a domani mattina! - gridò Nyrgath per farsi sentire nel fragore del tuono.

    - Non lo fareste, vero? Io sono il vostro Principe e non osereste mai alzare la mano su di me! - disse Moram con voce isterica.

    - Non avete che da mettermi alla prova, mio Principe - rispose serafico il guerriero fissando negli occhi il giovane con un sorriso tagliato stampato sul volto. Moram, ora non più tanto convinto, si sdraiò sulle foglie umide mentre Nyrgath gli fasciava le ferite. Fuori infuriava la tempesta e ben presto anche il rumore di una pioggia torrenziale si unì al vento, ai tuoni, allo scricchiolare dei rami, al frusciare delle foglie.

    Nyrgath finì di fasciare la gamba del giovane, appoggiò il mantello per terra, si slacciò la spada e si tolse la cotta di maglia sedendosi a gambe incrociate. Prese lo zaino e tirò fuori del pane e alcune kolp, polpette di carne compatte molto sostanziose usate spesso durante i viaggi o come razioni per i soldati.

    - Mangiate, Principe, o le forze vi abbandoneranno e domani mattina non potrete neanche alzarvi - disse il guerriero porgendogli la cena.

    - Non arriverò a domani mattina - sentenziò il Principe accettando comunque il pane e le kolp. Nyrgath lo fissò con sguardo di rimprovero.

    - Voi non solo arriverete a domani mattina, ma io vi riporterò al castello e farete le scuse a vostro padre! - ordinò Nyrgath con fare perentorio che non ammetteva repliche.

    - Io non farò le scuse a mio padre! - gridò il principe Moram fissando negli occhi il Capitano della Guardia Reale.

    - E invece le farete - promise Nyrgath con una voce così gelida che fece accapponare la pelle del giovane - Il sangue si è già fermato. Almeno per questa notte non morirete, ma c’è sempre domani e dopodomani e tutto il resto della vostra vita. Dovreste proprio smetterla di piagnucolare come un bambino. Quando sarete Re, dovrete sapere quando è il momento di scusarsi e quando restare fermo nelle proprie convinzioni. Un Re arrogante e presuntuoso vesserà il popolo che prima o poi si ribellerà. Volete che finisca così? Volete combattere contro la vostra stessa gente? - domandò con enfasi il guerriero scuotendo le spalle del suo Principe e guardandolo negli occhi.

    - N…No - balbettò Moram colpito dalle parole del Capitano che in pochi secondi aveva riassunto il suo probabile futuro - Io voglio essere un Re giusto, come mio padre, e voglio che la gente mi ami e mi rispetti - aggiunse tutto d’un fiato.

    - E allora dovrete scusarvi e iniziare a comportarvi come un uomo e visto che sarà il lavoro più difficile di tutta la vostra vita vi consiglio di partire con il piede giusto - suggerì Nyrgath. Poggiandosi la spada sulle gambe, prese il mantello e cominciò a pulirla dal sangue dei lupi che aveva ucciso per proteggere il principe Moram. La ruvida stoffa verde sfregava contro il metallo rendendolo lucido mentre fuori la tempesta continuava implacabile.

    Moram si distese e, ascoltando il temporale che si scatenava inesorabile sulle sue terre, rifletté su quanto gli era stato detto e più ci pensava più si rendeva conto che il Capitano aveva ragione e si promise di fare le scuse al padre e di cominciare a pensare come un uomo e non più come un bambino. Inesorabile, la stanchezza prese il sopravvento e il giovane Principe si addormentò sfinito. Seguendo il movimento ripetitivo del mantello sulla lama, il Capitano della Guardia ricordò come era cominciata tutta quella faccenda.

    Quella mattina il Re gli aveva ordinato di riportare a casa il Principe che era fuggito dopo aver saputo che non avrebbe ancora potuto fare pratica con le armi vere anziché di legno. E lui era partito a cavallo, aveva trovato le sue tracce seguendolo nella foresta di Tirfle ad un giorno di cavallo sostenuto dal Castello di Kamyra. Ma Moram era uscito senza provviste né armatura e aveva rubato solo una spada, più per ripicca che per utilità, quindi non sarebbe andato lontano. Infatti lo aveva trovato quasi all’inizio della foresta circondato da un branco di lupi affamati che avevano già ucciso il suo cavallo e che lui stava fronteggiando con la spada. Se non fosse sopraggiunto in tempo lo avrebbero sbranato e il Re e la Regina avrebbero dovuto darsi da fare per procurare al regno un altro erede. Ma fortunatamente aveva il dono di essere sempre nel posto giusto al momento giusto, almeno così credeva e, sceso da cavallo, si era affiancato al Principe con la spada sguainata e aveva falciato tre lupi prima che Moram si rendesse conto del suo arrivo. La battaglia era stata breve e quando i lupi si erano accorti di non potersi sfamare con quegli esseri a due zampe, avevano attaccato il cavallo di Nyrgath dando modo all’uomo e al ragazzo di scappare.

    Ripose lo straccio nello zaino e, con la spada ancora in pugno, uscì dalla cavità protettiva dell’albero. Il vento ululava senza tregua e la pioggia, ormai torrenziale, scendeva bagnando abbondantemente il sottobosco. I lampi frequenti illuminavano a tratti la foresta e si riflettevano sulla lama scintillante della sua spada che sembrava emanare luce propria. La notte, resa ancora più spaventosa dal temporale, copriva come una prigione tutta la foresta e le sue tenebre avviluppavano le fronde come mani esigenti.

    Una saetta illuminò una fitta boscaglia alla sua destra e la mano di Nyrgath si strinse più forte sull’impugnatura della spada puntandola in avanti in posizione d’attacco. Una figura incappucciata lo osservava immobile da dietro i cespugli. Non si muoveva e la pioggia scendeva noncurante fra le pieghe del mantello scuro. La luce improvvisa del lampo sparì come era venuta e il lampo seguente illuminò solo un gruppo di cespugli. La figura era svanita, come nel nulla, e per un attimo Nyrgath dubitò delle sue facoltà credendo di aver sognato ma, avvicinatosi al posto dove sostava la figura, trovò rannicchiato per terra, tremante per il freddo e per la paura, il cucciolo di un lupo nero. Non poteva essere una coincidenza. Rifletté e, incapace di trovare una giustificazione all’accaduto, prese il cucciolo con una mano e si allontanò dalla macchia ritornando dentro l’albero. Posò la spada e, incrociate le gambe, ci stese sopra il suo mantello adagiandoci il cucciolo. Stranamente non guaiva né mordeva anzi, accettò di buon grado quella cuccia improvvisata calda e accogliente e poco dopo si addormentò. Era la prima volta che Nyrgath vedeva un lupo nero. Lo aveva riconosciuto subito perché il loro manto è completamente diverso da quello dei lupi grigi e non assomigliava a nessuna razza di cani da lui conosciuta. Vivevano sui Monti Akthar e sul Torky, non si allontanavano mai dai loro territori di caccia né tanto meno si facevano catturare dagli uomini. Erano animali molto intelligenti e con un forte senso della collettività ed erano capaci di far accorrere tutti i membri adulti del branco per salvare anche un solo individuo, eppure avevano fama di feroci assassini. Tutto questo lo aveva studiato e non aveva mai avuto il piacere, e forse era stato meglio così, di incontrare un branco di lupi neri per soddisfare le sue curiosità. Adesso ne aveva uno in grembo e ancora stentava a crederci, dormiva beatamente e il tenue bagliore della lanterna illuminava il suo lucido manto nero bagnato dalla pioggia. Si domandò chi fosse quella figura che gli era apparsa per un attimo nel bosco lasciandogli un cucciolo di lupo nero che tutti gli uomini cacciano per gloria e per la loro splendida pelliccia. E soprattutto, come aveva fatto a sparire così? Non riuscì a rispondere a nessuna di quelle domande e, stanco della giornata, spense la lanterna e si addormentò con il cucciolo al suo fianco sprofondato fra le pieghe del logoro mantello.

    La mattina si svegliò con tutte le ossa che gli facevano male. Il cucciolo non era più sul mantello e Moram dormiva ancora. Prese la cotta di maglia e la spada e uscì dal tronco dell’albero. La tempesta era finita e il vento ora spostava grandi banchi di nubi nere e bianche che andavano a scaricare il loro fardello verso est. L’erba era bagnata e deboli raggi di sole filtravano tra i rami, interrotti dal passare incessante delle nubi. Si passò una mano fra i capelli corvini e distese le braccia. Il cucciolo correva su e giù inseguendo le ombre delle foglie scosse dal vento che si proiettavano sul prato e tendendogli agguati, accucciandosi al suolo, ma inesorabilmente le ombre gli sfuggivano. Sentendo un’altra presenza il lupacchiotto si fermò, tirò su il muso, guardò Nyrgath un momento, poi riprese la sua attività. Il Capitano della Guardia sorrise e rientrò nella cavità dell’albero per verificare le condizioni di Moram. Il giovane Principe dormiva beatamente, la gamba non sanguinava più ed era tempo di svegliarlo. Tolse la coperta dall’apertura dell’albero e la luce inondò il tronco cavo. Moram non dava segno di risposta così Nyrgath lo scosse forte per le spalle e il giovane finalmente aprì gli occhi.

    - Buongiorno, Principe - salutò il Capitano.

    - B…Buongiorno. È cessato il temporale? - chiese il Principe alzandosi con una smorfia di dolore - Ho tutte le ossa rotte! -

    - Se non aveste fatto questa bravata adesso non saremmo qui. Dobbiamo tornare al castello al più presto o dovrò trovarmi un altro lavoro! - e così dicendo uscì dall’albero prendendo le coperte e lo zaino. Il cucciolo era sempre lì, intento nel suo gioco tanto da non accorgersi della sua presenza. Lo osservò per un po’ e poi si diresse verso il punto in cui la sera prima avevano abbandonato i cavalli in preda dei lupi.

    Moram rimase per un momento seduto sul terreno umido riflettendo sui suoi errori e sempre più deciso a seguire i suggerimenti del Capitano quando il lupacchiotto entrò nell’albero.

    - E tu chi sei? - chiese il Principe. Il lupetto, per tutta risposta, emise un breve guaito, lo annusò con sospetto e ritornò sul prato a rincorrere le ombre. Il giovane uscì all’aperto e il sole e il vento lo colpirono prepotentemente facendogli socchiudere gli occhi. La grande foresta sembrava cantare, godendo dell’acqua ricevuta e del sole tiepido che scaldava la terra. Nyrgath non c’era e l’ululare del vento copriva ogni possibilità di individuare dove fosse. Rientrò nell’albero e prese la spada, causa di tutti i suoi problemi, e si accorse che era ancora sporca di sangue. La strofinò sull’erba bagnata e il sangue rappreso piano piano si sciolse lasciando intravedere il piatto lucente della lama. Il cucciolo gli si avvicinò, curioso di vedere cosa stesse facendo quell’essere su due zampe e, appiattendosi nell’erba, spiava la punta della spada che entrava e usciva dall’erba. A un tratto balzò in avanti e si aggrappò alla punta tentando di morderla, ma il sapore del metallo non gli piacque e si rimise meravigliato sulle quattro zampe osservando lo strano oggetto. Moram contemplò la scena sorridendo.

    - Si taglierà - suggerì una voce profonda alle sue spalle.

    Moram si voltò e si trovò a guardare gli occhi severi del Capitano della Guardia.

    - Da dove viene questo cane? - domandò il Principe.

    - Non è un cane, è un cucciolo di lupo nero. È raro incontrarne uno da queste parti. Lo porteremo con noi, sembra che lo abbiano abbandonato e che la nostra compagnia gli piaccia - proferì ripensando alla notte precedente e all’incontro con la misteriosa figura.

    - Un lupo nero? Non ne avevo mai visto uno prima d’ora, solo qualche immagine sui libri o dai racconti dei cacciatori. Credevo fossero abili assassini e feroci predatori. Come mai avranno abbandonato un cucciolo? - domandò Moram.

    - Non lo so, forse si è perduto nella tempesta - rispose senza tanta convinzione evitando di raccontare della misteriosa figura - I cavalli sono morti quindi dovremo tornare a piedi - e così dicendo si assestò lo zaino in spalla e si incamminò. Moram rinfilò la spada nel fodero e, seguito dal cucciolo barcollante, raggiunse Nyrgath zoppicando.

    Verso la fine della mattinata giunsero al villaggio di Tirfle. Li accolsero con gentilezza riconoscendo i colori della tunica del Capitano che evitò accuratamente di rivelare l’identità del Principe alzando il cappuccio per nascondere i suoi capelli rossi.

    - Cercate di tenere il lupo sotto il mantello - gli sussurrò il Capitano e il Principe fu ben lieto di partecipare a quella messinscena, per qualche motivo il Capitano non voleva che sapessero che lui era il Principe di Kamyra.

    Mangiarono alla taverna della Botte Argentata e una volta terminato uscirono per cercare un cavallo. Nyrgath ne acquistò uno presso la più grande stalla del villaggio borbottando per l’enormità del prezzo che aveva pagato.

    - Mi farò rimborsare da vostro padre - gli disse il Capitano irritato. Fece salire il Principe e lui montò dietro. Il lupo mise fuori la testa dal mantello del giovane. Avrebbero dovuto dare un nome a quel lupo, pensò il guerriero, e spronò il cavallo in direzione del Castello di Kamyra.

    A sera inoltrata avvistarono in lontananza il castello e un brivido gelato percorse la schiena del Principe preannunciando ciò che lo stava aspettando.

    - Avanti, manca poco - ordinò il Capitano ritornato stranamente serio - Qualcuno ci verrà incontro - aggiunse, aspettandosi da un momento all’altro di veder spuntare qualcuno oltre la collina. Il cucciolo ora trotterellava accanto a loro distraendosi continuamente per seguire farfalle, foglie, steli d’erba che si piegavano al vento. Moram lo guardò e invidiò la sua libertà.

    - Potessi anch’io essere come te… - mormorò fra sé. Una figura a cavallo si stagliò sulla cima della collina, muoveva un braccio in segno di saluto. Il cavaliere spinse le cavalcature giù dal colle e li raggiunse in breve tempo fra lo sferragliare dell’armatura e i tonfi sordi degli zoccoli sull’erba morbida.

    - Buonasera, Capitano - tuonò dall’alto del destriero possente.

    - Buonasera, tenente Keshav, ho ripreso il fuggiasco - proferì con nota tragica il capitano Nyrgath.

    - Suo padre lo attende con ansia - aggiunse con la stessa enfasi il Tenente mascherando un sorriso - Prego, montate a cavallo, Altezza - disse indicando due cavalli senza cavaliere di cui teneva le redini.

    - Previdente da parte vostra portare due cavalli di scorta - notò Nyrgath - Dovremo dare più credito a persone come voi -

    - Sempre lieto di servirla, Capitano - rispose formalmente Keshav con un gran sorriso. Si conoscevano da molti anni e questi piccoli scambi di battute rinsaldavano la loro amicizia. Keshav era giovane, portava la barba che si ricongiungeva ai corti capelli castani in due linee sottili che gli sagomavano il volto in cui un naso diritto, due occhi nocciola e una bocca insolente rivelavano il suo carattere pungente e acuto.

    - Quel cavallo non fa parte delle nostre scuderie - notò il Tenente indicando la sua cavalcatura.

    - Ho dovuto acquistarlo a Tirfle dopo che i nostri sono stati uccisi dai lupi. Dovremo indire qualche battuta di caccia per allontanarli dalla foresta - aggiunse facendo scendere Moram dal suo cavallo.

    Keshav annuì guardando verso est.

    - A proposito… Abbiamo un ospite - informò Nyrgath prendendo da terra il cucciolo e mostrandolo al Tenente - È strano che i cavalli non si siano imbizzarriti - disse tenendolo fra le braccia.

    - È vero - constatò il Tenente - Che strano animale, un cucciolo di lupo che non spaventa i cavalli… - aggiunse osservando con interesse l’animale dal pelo d’ebano.

    - Possiamo andare. Vi aspetta una lunga notte, Moram! - esclamò il Capitano montando in sella con il lupo in braccio e lanciando un’occhiata d’intesa al giovane Principe.

    Spronarono i cavalli e si diressero finalmente verso quella che sarebbe stata la notte più imbarazzante e più importante della sua vita.

    Era già calata la notte quando entrarono nella corte centrale del castello, gli zoccoli dei cavalli produssero un sinistro suono metallico che fece rabbrividire Moram. Le tenebre si stavano addensando conferendo un’aria ancor più lugubre alla scena. Scesero da cavallo e alcuni soldati li presero per le briglie, mentre il Capitano, il tenente Keshav e il Principe si dirigevano verso l’entrata principale del castello. Due guardie spalancarono i portoni e i tre percorsero il lungo corridoio che li avrebbe condotti davanti alle doppie porte della sala del trono.

    - Mi aspetta nella sala del trono? - chiese Moram inorridito e incredulo ricordando improvvisamente la festa che era stata indetta per il suo compleanno quella sera. Avere tredici anni ed essere il figlio del Re poteva rivelarsi un vero incubo. Guardò i suoi abiti.

    - Ci sarà tutta la corte! Non doveva farmi questo! - esclamò indignato.

    - Avete fatto tutto da solo, mio Principe - ribadì placidamente il Capitano della Guardia - Dopotutto siete un guerriero ormai e i guerrieri valorosi non temono i giudizi, li accettano qualunque sorte li attenda - sentenziò Nyrgath sorridendo sfacciatamente.

    Il giovane fissò adirato il Capitano per un momento e poi si diresse deciso verso le porte aperte della sala. Al suo passaggio le guardie si inchinarono e, immediatamente dopo, fecero il saluto militare al Capitano. La sala del trono sembrò immensa a Moram come mai l’aveva vista prima. Si fermò all’entrata e si accorse che era piena di gente, cavalieri in alta uniforme e dame dai vestiti scintillanti ridacchiavano rivolgendogli occhiate in tralice. Il tappeto rosso percorreva la sala per tutta la sua lunghezza e Moram iniziò a camminare verso il Re.

    - Vedrete che il ragazzo ce la farà e forse questa brutta figura lo aiuterà a crescere, oppure lo renderà più arrogante - sussurrò il Tenente per non farsi sentire.

    - Spero che si comporti bene, altrimenti potrebbe avere una brutta sorpresa. Suo padre è molto arrabbiato - sospirò il Capitano.

    Quella traversata fu la cosa più difficile che avesse mai fatto. Aveva caldo e, soprattutto, non sapeva che cosa lo aspettava. Tutti ridacchiavano e le luci dei candelabri scintillavano sulle armature lucenti ricordandogli il motivo della sua fuga infantile. Forse adesso, in conseguenza del suo atto, non sarebbe più diventato un guerriero abile e coraggioso. Ripensando alla reazione che aveva avuto due giorni prima verso suo padre, si sentì veramente sciocco e rifletté che neanche lui avrebbe acconsentito ad un bambino, perché era così che si vedeva in quel momento, il permesso di utilizzare delle armi pericolose. Il caldo aumentava e piccole gocce di sudore gli scendevano dai capelli fin nel collo provocandogli un fastidioso prurito, ma mai e poi mai avrebbe alzato una mano ammettendo questa sua ulteriore debolezza. Il tappeto finalmente terminò davanti ai tre scalini di marmo bianco che portavano al trono e anche le riflessioni di Moram subirono una brusca interruzione. Si inchinò lievemente, rialzò lo sguardo e fissò gli occhi in quelli glaciali del padre.

    - Buonasera, padre, come vedete il vostro fedele Capitano della Guardia è riuscito a riportarvi vostro figlio ribelle - disse con umiltà e con una nota di disprezzo per se stesso. Le parole gli erano uscite spontanee e Moram si meravigliò della semplicità dei suoi pensieri e del fatto che il caldo fosse passato. C’erano solo lui e suo padre. Il Re lo fissava intensamente, il silenzio cadde sulla sala in attesa il suo verdetto.

    - Nessuno, prima d’ora, aveva mai osato infrangere un mio ordine! - tuonò improvvisamente facendo sussultare Moram - E chi è stato il primo? - domandò ai presenti, ma nessuno rispose - È stato mio figlio, l’erede al trono! Sarai punito a dovere. Non posso permettere proprio a te di passarla liscia. Così ogni guardia, ogni contadino, ogni stalliere si sentirebbe libero di agire come te sapendo di cavarsela. Qui le leggi valgono per tutti… te compreso! - disse con veemenza.

    - Sì, padre. Riconosco la mia colpevolezza. Solo ora mi sono reso conto che, essendo il Principe, le mie azioni si riflettono su di voi e sul popolo. Purtroppo, la decisione della mia fuga infantile mi è giunta spontanea e non ho potuto controllarla. Accetterò qualunque punizione vogliate darmi senza obiettare - disse Moram con voce ferma e gli occhi bassi. Il discorso che si era preparato non era proprio così, ma l’emozione aveva avuto il sopravvento facendogliene dimenticare una parte. Il Re non si era aspettato una reazione così arrendevole e soprattutto delle scuse così sincere e ponderate. Aveva scommesso con sua moglie che Moram lo avrebbe sfidato ancora. Chissà cosa si erano detti suo figlio e il Capitano durante quella giornata.

    - Ho deciso che la giusta punizione sia quella di farti comprendere appieno i doveri di un Re. Il modo migliore è frequentare il tuo popolo e porti nelle loro stesse condizioni, quelle del rispetto e della fedeltà al proprio Re - sentenziò re Andir con sguardo freddo, la mani rilassate sui braccioli del trono. Nascosto dietro le tende, oltre il trono, il Consigliere Simar sorrise con astuzia. Moram abbassò lo sguardo. Se avesse continuato a guardarlo, avrebbe cominciato a piangere come un bambino e non voleva anche questa ulteriore umiliazione. Il senso di attesa che aleggiava nella sala lo investì in pieno mentre aspettava la punizione.

    - Pulirai le stalle fino a farle brillare, aiuterai Romin e la sua squadra a pulire le fogne, laverai tutte le tende e i tappeti del castello - sentenziò serrando un pugno.

    - Sì, padre - disse Moram senza alzare gli occhi, in totale sottomissione. La gente intorno bisbigliava meravigliata dell’atteggiamento del Principe. Perfino il Capitano della Guardia non si era aspettato una reazione tanto remissiva dal ragazzo ribelle e sulla sua bocca si formò un sorriso lieve.

    - Sta crescendo - constatò. Diede di gomito al Tenente ed uscì dalla sala.

    Anche il Re apprezzò e capì finalmente il comportamento del figlio, ma aggiunse un’altra punizione, forse la peggiore.

    - Luciderai armi e armature nella sala dei trofei. Tutto ciò ovviamente sotto la sovrintendenza dei vari responsabili. Non godrai di nessun vantaggio rispetto agli altri lavoranti. Mangerai ciò che loro mangiano, lavorerai quanto loro lavorano, dormirai dove loro dormono e ubbidirai - finì soddisfatto sedendosi compostamente sul trono e godendo di quell’attimo di silenzio, aspettando la reazione del ragazzo.

    - Sì, padre - rispose mite Moram alzando infine gli occhi e guardando il padre - La mia punizione è meritata - asserì, si inchinò di nuovo ed uscì lentamente dalla sala fra gli sguardi stupiti dei presenti. Il Principe stava diventando Re.

    Capitolo 2

    Il Principe erede al trono non si era mai reso conto di quanto fossero enormi le stalle del palazzo. Markaim, Stalliere Capo, lo trattava come uno sguattero, avendo ricevuto ordini direttamente dal Re. Si conoscevano da sempre, ma adesso non aveva riguardi a considerarlo uno qualunque. Moram era quello che lavorava di più e soprattutto quello che si sporcava di più. Dovevano essere secoli che quella stalla non veniva pulita e le mattonelle avevano perfino cambiato colore! Gli altri ragazzi adesso lo trattavano come un loro pari senza usare titoli né riverenze. All’inizio questo lo infastidì molto, ma lentamente si abituò alla sua nuova condizione e pensò solo a lavorare come mai aveva fatto prima nonostante la ferita ricevuta durante la sua fuga gli causasse ancora fitte dolorose.

    Dalla terrazza il Re e il Capitano della Guardia osservavano il giovane con un sorriso sulle labbra. Il lupo si rotolava sul tappeto al centro dello studio emettendo guaiti di contentezza.

    - Gli servirà - disse il Capitano.

    - Forse ho esagerato - commentò il Re.

    - Non credo - rispose Nyrgath.

    - Spero che cresca in questo periodo e che comprenda l’obbedienza e il rispetto essendo costretto a eseguire degli ordini da contadini, stallieri e lavandaie. Forse dopo potrei anche acconsentire che il Capitano della Guardia in persona lo istruisca nell’uso delle armi e della lotta… - suggerì osservando in tralice Nyrgath, lasciando la frase in sospeso e aspettando una conferma.

    - Quando avrà terminato questo periodo di punizione vedremo se sarà pronto per subire e affrontare umiliazioni ben più grandi - affermò il Capitano con sguardo serio.

    Nel frattempo il cucciolo era salito sulla scrivania e con le zampe spinse giù dal tavolo un grosso libro in bilico che, con un tonfo sordo, cadde sul tappeto. Il Re e il Capitano si voltarono di scatto e il lupetto si accorse di aver fatto qualcosa di sbagliato allora scese sulla sedia e balzò sul tappeto soffice trotterellando fra le gambe del Capitano e stendendosi su un suo piede.

    - È impossibile rimproverarlo - asserì Nyrgath osservando le mosse buffe del cucciolo.

    - Invece dovreste, altrimenti lo vizierete e non vi ubbidirà più - consigliò il Re con fare saggio. Nyrgath si chinò e prese in braccio il lupo, che era cresciuto un po’ durante quelle due settimane, e si diresse verso la porta uscendo.

    Erano passate già tre settimane, ma la stalla non era ancora pulita come il Re la voleva. Passava ogni giorno a controllare i progressi del nuovo sguattero e c’era sempre qualcosa che non andava. Finestre sporche, catene e anelli arrugginiti che spuntavano sempre da qualche parte, intonaci da rifare, erbacce da togliere dalle crepe del muro esterno. Sembrava che il Re si stesse divertendo moltissimo a criticare il lavoro del figlio e Moram arrivò a pensare di scappare da quella trappola che si era creato da solo. Ma si rese conto che facendo così avrebbe solo peggiorato la situazione e soprattutto non avrebbe mai avuto nessuna possibilità di imparare ad usare una spada. Così si tirava su le maniche logore della camicia da lavoro e lavava i vetri, lucidava anelli e catene, rimetteva a posto i muri e toglieva le erbacce dalle crepe.

    - Moram, pulisci le mangiatoie - ordinò Markaim quella mattina e il Principe si sorprese dell’odio che iniziava a provare per lo Stalliere Capo, che, secondo lui, abusava un po’ troppo del potere datogli dal Re, in fin dei conti lui era sempre il Principe erede al trono! Ma si vergognò di quei capricci infantili ed entrò nella stalla per eseguire l’ordine. Due stallieri stavano bisbigliando fra loro e al momento della sua entrata si separano frettolosamente ritornando alle loro mansioni. C’era qualcosa che non andava, pensò Moram, ma fece finta di non averli visti e proseguì verso le mangiatoie. Purtroppo quel lavoro non dava molto tempo per riflettere e dovette rinunciare a pensare, forse domani avrebbe scoperto qualcosa di più.

    Finalmente il lavoro alle stalle terminò e ben presto Moram si rese conto che non fu un bene. Pulire le fogne del castello era la cosa più nauseante, disgustosa e degradante che si potesse fare. Romin si divertiva a caricare Moram di lavoro e sembrava che la sua squadra fosse svanita nel nulla dal momento che lui faceva tutto. La squadra era composta da sette ragazzi, più o meno della sua età, molto magri, che potevano infilarsi nei cunicoli più stretti e pulirli a dovere. I ragazzi lo canzonavano e ridevano alle sue spalle ogni volta che usciva dalle fogne sporco e puzzolente vendicandosi di anni di invidie per quel Principe arrogante e presuntuoso.

    - Ragazzi, guardate! Ha cambiato colore! - gridò Hilas e si profuse in una sonora risata. Infatti la pelle di Moram non era più rosa, ma marrone scuro da quanto era sporca e il tanfo che emanava era davvero insopportabile, però questo non li autorizzava a farsi gioco di lui.

    - Perché ridete? Anche voi siete così ogni giorno! Puzzate e siete sporchi proprio come me! - disse radunando gli attrezzi per riportarli al loro posto.

    - Sì, è vero. Ma questo è il nostro lavoro invece per te è solo una punizione per la tua presunzione! - ribadì con tono di sfida Hilas. Gli altri ragazzi si accorsero che forse il loro amico aveva esagerato e fecero un passo indietro, ma Hilas non voleva cedere a quel Principe spocchioso. I capelli, neri e unti come sempre, gli stavano appiccicati alla faccia dove sbucava un naso adunco e magro e gli occhi lanciavano lampi di sfida.

    - Perché non provi a ripeterlo dopo aver assaggiato questo! - urlò Moram e tirò un pugno in faccia al ragazzo che cadde all’indietro finendo nella polvere. In quel mese o poco più di lavoro i suoi muscoli si erano ingrossati e si stupì della forza che aveva impresso al pugno. Sentì tutto il suo corpo pronto a scattare, agile e snello. Hilas si rialzò e si gettò addosso a Moram, la polvere si sollevò in un nuvolone attirando l’attenzione di passanti e soprattutto di Romin.

    - Ragazzi, smettete! - urlò, ma i due sembravano non sentire. C’era il Principe, come avrebbe dovuto comportarsi? Decise di chiamare il capitano Nyrgath. Corse verso gli alloggi del Capitano e bussò con energia alla porta.

    - Capitano! Capitano! Sono Romin, aprite, presto! - disse continuando a bussare.

    - Romin! Che succede? - domandò Nyrgath notando l’ansia sul volto dell’uomo.

    - Il Principe si sta picchiando con uno della mia squadra! - spiegò - E io non so che fare! Aiutatemi! - supplicò Romin.

    - Va bene, andiamo - disse a bassa voce e scuro in volto. Stava già pensando a diverse punizioni da suggerire al Re quando giunsero nel vicolo dove i ragazzi si stavano ancora azzuffando selvaggiamente e dove si era radunata molta gente. Nyrgath entrò fra i due giovani, prese Moram per un braccio e lo trascinò più in là mentre Romin tratteneva Hilas.

    - Ma che state facendo! - urlò il Capitano in preda ad una rabbia incontrollata e schiaffeggiò con forza il Principe. Moram non si era neanche reso conto che era Nyrgath e aveva continuato a divincolarsi senza neppure aprire gli occhi. Quello schiaffo arrivò come un fulmine e lo scaraventò a terra. Il sangue colò lentamente dalla bocca, caldo e amaro. Moram se lo pulì e si rialzò. Tutti lo guardavano e solo allora si rese conto della sua posizione. Il Capitano era teso, Romin lo guardava di traverso e Hilas aveva gli occhi infuocati, pronto per la lotta.

    - Credevo che aveste fatto dei progressi e vi volevo istruire, ma a quanto vedo non siete ancora pronto - disse ad alta voce in modo che tutti lo sentissero poi si incamminò verso Romin.

    - È meglio andare, non possiamo perdere tempo con dei mocciosi! - esclamò Romin, lasciò andare Hilas e seguì il Capitano. La gente se ne andò ridendo del Principe e della sua sfortuna e i ragazzi si radunarono intorno a loro.

    - Sarà meglio tornare a lavoro, Romin ci punirà talmente tanto che avremo da fare per una settimana - constatò Forzen e si incamminarono verso l’entrata alle fogne.

    - Non è finita qui, mio Principe - disse Hilas fra i denti - Se non ci fosse stato il capitano Nyrgath adesso saresti a piangere dalla Regina! - sogghignò e seguì i compagni. Lo schiaffo e l’insulto insieme furono veramente troppo e Moram decise che avrebbe lavorato fino a spezzarsi le braccia per poter tornare alla sua vita di sempre.

    Corse cercando di non piangere per la frustrazione e la rabbia. Raggiunse le stalle e si rifugiò nel recinto più lontano, che non ospitava alcun cavallo in quel momento. Si sedette sulla paglia e tirò le ginocchia al petto, cingendole fortemente con le braccia. Rimuginò a lungo su quanto accaduto finché un rumore lieve attirò la sua attenzione. Sollevò lo sguardo irato e vide il lupo. Se ne stava immobile e lo fissava quieto. Nonostante fosse un cucciolo si intravedeva già il suo potenziale lato selvaggio.

    La bestia si avvicinò trotterellando, con quell’andatura buffa, e si accucciò accanto a lui. Moram venne confortato immediatamente da quella presenza calda e silenziosa, si lasciò andare e appoggiò la testa sulla pancia dell’animale. Il lupo guaì felice e gli leccò una guancia. Il Principe soffocò il singhiozzo che lo colse per la tenerezza ricevuta e si posizionò meglio per guardare in faccia il cucciolo.

    - Dicono che i lupi neri siano assassini feroci, ma tu sembri diverso - e lo accarezzò. Come avevano già notato, non spaventava neanche i cavalli. La stalla era quieta, infatti, e non c’erano nitriti nervosi.

    - Sei decisamente uno strano lupo - asserì convinto continuando a lisciare il pelo serico - Che ne dici se ti chiamassi Hèroh? Ti piacerebbe? - aggiunse improvvisamente folgorato da quella parola che significava eroe, ma anche lampo, e gli sembrò immediatamente adatto dato che lo avevano trovato durante una notte piena di fulmini.

    Il lupo sollevò il muso e drizzò le orecchie, poi emise un breve ululato di approvazione. Moram lo accarezzò con vigore sancendo quell’evento e si rotolarono nella paglia lottando per gioco.

    Re Andir e la regina Enora sedevano pensierosi sulle comode poltrone dello studio. I coniugi reali amavano stare in quella stanza così piena di saggezza e sapienza. I libri che conteneva, centinaia, emanavano un odore gradevole e antico di pergamena o pelli di animali, di cuoio indurito e stoffe vecchissime, che riempiva la stanza e inebriava. I colori sobri dei mobili e il rosso vivace del fuoco nel caminetto creavano un’atmosfera particolare che rilassava e aiutava a riflettere. Ed era proprio questo che i consorti stavano facendo. Cosa avrebbero dovuto fare con quel loro figlio ribelle? Un Re non può permettere che proprio suo figlio infranga leggi rispettate da tutti altrimenti perderebbe di credibilità. Stavano aspettando Romin e Nyrgath per chiarire la sgradevole situazione creatasi con la rissa fra Moram e Hilas.

    - Forse non avremmo dovuto mandarlo fra la gente, non era ancora pronto per subire affronti così pesanti - suggerì la regina Enora. Una massa di capelli rossi le incorniciava il volto d’alabastro e due occhi verde smeraldo brillavano come gemme nel volto gelido e perfetto.

    - La mia punizione non è stata poi tanto severa. Non posso permettere che fugga dal castello perché ciò che gli dico non concorda coi suoi desideri - spiegò il Re. I lunghi capelli castani poggiavano dolcemente sul mantello rosso e gli occhi d’ebano fissavano le fiamme. La Regina non sembrava molto convinta e stava per ribadire quando qualcuno bussò alla porta.

    - Avanti - disse re Andir.

    La porta si aprì ed entrarono Nyrgath e Romin perfettamente vestiti. C’era anche il lupetto che ora seguiva sempre Nyrgath ovunque andasse. Era cresciuto ancora, ma non era adulto. Romin si inchinò ai sovrani e altrettanto fece il Capitano della Guardia, ma quando quest’ultimo salutò la Regina i suoi occhi restarono fissi in un punto imprecisato oltre la sua figura. Lo sguardo di Enora si posò per un istante sul Capitano e poi ritornò, come per cercare riparo, sul volto placido del Re.

    - Sedetevi e che Romin inizi il suo racconto - proferì il Re. Romin era un po’ imbarazzato: non capitava tutti i giorni di parlare faccia a faccia con il Re, la Regina e il Capitano della Guardia tutti insieme. Comunque spiegò come erano andati i fatti fra i due ragazzi e dell’intervento del Capitano, esitò, ma il Re lo rassicurò, la sua voce riprese fermezza e terminò il racconto. Anche Nyrgath, ai cui piedi si era accucciato il lupo, raccontò dello schiaffo e dell’insulto pubblico fatto a Moram in cui gli aveva negato ancora la possibilità di essere istruito e si scusò in anticipo per il suo comportamento. Ma Andir non sembrava offeso dal comportamento del Capitano e quel suo silenzio durante il monologo di Romin e Nyrgath era enigmatico. La regina Enora guardava il Capitano con occhi di ghiaccio accusandolo silenziosamente della sua audacia e presunzione nell’aver schiaffeggiato il Principe di fronte alla gente del popolo, ma Nyrgath continuava a fissare il suo Re.

    - Credo che Moram debba continuare a lavorare e terminare la sua punizione poi vedremo cosa fare, non credete mia Regina? - disse con tono conciliante Re Andir.

    - Ma certo - rispose infine la Regina dopo aver spostato lo sguardo verso il consorte - Penso sia la soluzione migliore. E poi nostro figlio ha un altro padre, laggiù fra la folla - sentenziò Enora con tono tagliente guardando di traverso il Capitano.

    - Nyrgath ha agito bene - disse con tono pacato re Andir facendo arrossire Enora. Era la prima volta che la contraddiceva in pubblico - Quello schiaffo ci voleva e adesso mi pento di non avergliene dato qualcuno anch’io in passato. Forse siamo stati troppo indulgenti, avremmo dovuto essere più severi con lui - si alzò dalla sedia e si portò davanti al camino. Era molto alto e robusto, ancora si vedeva la muscolatura da combattente quale era stato in passato. Si accarezzò la barba curata che iniziava a mostrare i primi peli bianchi.

    - Il Capitano non aveva il diritto di umiliarlo così! - sbottò la Regina indignata ergendosi sulla schiena.

    - Oh! Sì che ce l’aveva. Se non avesse fatto così avrebbe messo in dubbio la sua autorità di fronte al popolo e la veridicità della punizione! - ribatté il Re osservando la pelle della moglie infiammarsi di colpo.

    - Forse la Regina dovrebbe tentare di vivere un po’ fra la sua gente per capirne leggi e comportamenti - consigliò tagliente Nyrgath - Potrebbe provare a nascondersi fra loro magari insieme a una sua dama di compagnia se non è in grado di sopportare tutto da sola - aggiunse con tono di sfida. La Regina spalancò gli occhi tanto audace era stata l’interruzione del Capitano e la sua oscena proposta. Una Regina fra la gente comune, sporca e senza abiti decenti da mettersi! Inaccettabile! Come osava suggerire una cosa del genere? Enora si alzò in piedi con il fuoco negli occhi, ma re Andir prese parola, anch’egli un po’ meravigliato dell’idea di Nyrgath.

    - Se volete un consiglio da parte di questo povero sovrano - disse Andir con sguardo divertito - Fatele le vostre scuse il più presto possibile prima che si adiri con voi per il resto della sua vita -

    - Chiedo umilmente scusa a Vostra Maestà per la mia audacia. Il mio voleva essere solo uno scherzo - disse subito Nyrgath raccogliendo al volo l’offerta del Re. Fece un profondo inchino e fissò i suoi occhi blu cupo in quelli splendidi della Regina.

    - Uno scherzo di cattivo gusto, Capitano - rispose tagliente Enora - Se adesso volete scusarmi, mi ritirerò nelle mie stanze - aggiunse, incamminandosi decisa verso la porta senza attendere permessi di sorta. Dopo che la porta fu chiusa con un sonoro colpo, i tre uomini nella stanza si rilassarono visibilmente.

    - Nyrgath… - gemette disperato il Re portandosi una mano sugli occhi - Perché mi fate questo? - domandò rassegnato il sovrano.

    - Chiedo scusa a Vostra Maestà - disse Nyrgath fissando il cucciolo ai suoi piedi.

    - Ormai non ha più importanza. Romin, hai il permesso di tornare alle tue incombenze - disse il Re osservando l’uomo magro dai corti capelli castani nascosto nell’ombra.

    - Grazie, Maestà - rispose Romin con un breve inchino - Fra poco la pulizia stagionale delle fogne sarà terminata e il principe Moram avrà finito con me - disse Romin quasi con sollievo. Quel ragazzo era una vera furia e lui non sapeva mai come comportarsi.

    - Sembra che tu non veda l’ora di sbarazzarti di mio figlio, Romin - borbottò il Re. Romin sembrò colto di sorpresa e non sapeva cosa rispondere.

    - Mio Re, dovete capire che il Principe non è quello che normalmente si considera un ragazzo tranquillo, anche se ha molti lati positivi e lo constaterete quando crescerà - era stato Nyrgath a intervenire con sollievo di Romin. Il Re li guardò entrambi e poi scoppiò a ridere.

    Quando Romin uscì dalla stanza re Andir si alzò dalla poltrona accostandosi al grazioso tavolinetto rotondo di noce sul quale erano appoggiati sei bicchieri di cristallo e una bottiglia di ottimo distillato di mele e miele. Versò un po’ del contenuto della bottiglia in due bicchieri e ne porse uno al Capitano.

    - Non vi ho congedato perché c’è una questione urgente di cui vorrei parlarvi. I rapporti di Simar non mi convincono - iniziò il sovrano, come se la discussione precedente non fosse avvenuta - La scorsa settimana sono uscito a cavallo con la scusa di una partita di caccia. Oltre le mura della città ci sono moltissime abitazioni, se così si possono chiamare, malridotte e di legno in cui non farei vivere i miei cani. Appartengono a profughi di guerre o vagabondi e Simar mi aveva assicurato che avrebbe provveduto avendo preventivamente stanziato del denaro. Avevo intenzione di costruire una città fuori dalle mura che accolga chiunque possa mantenersi o voglia entrare a far parte del nostro regno - spiegò il Re portandosi davanti alla finestra che dava sulla pianura oltre le mura sud del castello.

    - Sono convinto che il vostro Consigliere saprà impiegare bene il denaro - disse Nyrgath sorseggiando l’ottimo distillato. Era forte quanto bastava a far salire il caldo al volto.

    - Nyrgath, sono passati sei mesi da quando ho firmato il documento alla tesoreria, ma i lavori non sono ancora cominciati. La scusa dell’uscita per la caccia era solo un pretesto per vedere i progressi del progetto e quando mi sono accorto che era tutto come lo avevo lasciato sei mesi prima… - disse il monarca con fermezza voltandosi e guardandolo negli occhi.

    - Dubitate di Simar? - domandò il Capitano, anche se la risposta era scontata.

    - I soldi sono stati prelevati, ma i lavori mai cominciati - aggiunse re Andir con tono sconsolato. Simar era suo Consigliere da moltissimi anni e saperlo un ladro doveva avergli spezzato il cuore.

    - Con lui ne avete parlato? - chiese Nyrgath posando il bicchiere vuoto sul tavolo rotondo.

    - Non ancora. Volevo prima altre prove - disse, tornando a voltarsi verso la finestra - E le ho trovate - aggiunse con un sospiro, lasciandosi cadere pesantemente sulla poltrona. Il lupo si era sdraiato sul tappeto e dormiva beatamente. In due mesi era cresciuto moltissimo, quasi il doppio rispetto ad un cane normale.

    - Quali? - chiese semplicemente Nyrgath inginocchiandosi per grattare la pancia del lupo.

    - Molti miei documenti sono stati contraffatti e con essi sono state prelevate ingenti somme di denaro. Simar ha un complice… - aggiunse dopo un attimo di esitazione. Tolse da sotto di essa un cofanetto e ne estrasse molti rotoli di pergamena, porgendoli al Capitano.

    - Un complice? - domandò Nyrgath alzando di scatto gli occhi e prendendo le carte. Le osservò attentamente cercando di individuare qualche errore che potesse dichiararle come un falso, ma non ne trovò.

    - È Molis, il Contabile. Le mie quattro spie hanno rivoltato totalmente il castello, ma non sono riuscite a trovare il denaro, sembra sparito. Mi devo fidare di queste spie? Saranno d’accordo con Simar? Inoltre - aggiunse indicando le pergamene - quella non è la mia firma, è quasi identica, ma non è la mia. Vorrei poterli incatenare all’istante… - sussurrò irato.

    - Non credo sia una mossa saggia, Vostra Maestà - lo interruppe il Capitano - I due ladri potrebbero controbattere la vostra accusa dichiarando che qualcuno li sta incastrando. Prima di agire dobbiamo trovare il denaro e qualcosa che leghi loro a questo furto e a queste falsificazioni - disse con fermezza analizzando il problema - Se davvero sono colpevoli non dobbiamo farceli sfuggire - concluse Nyrgath serrando la mascella.

    - Avete ragione - convenne il sovrano riprendendo le pergamene - Metterò di nuovo all’opera le mie spie fino a che non avranno trovato quel denaro - i suoi occhi erano determinati e freddi.

    - A questo punto non credo sia il caso di utilizzare le vostre spie. Forse posso fare qualcosa anch’io - si offrì Nyrgath - Potrei formare una piccola squadra di… - cercò la parola - Investigatori. Pochissime persone fidate, insospettabili, che possano mescolarsi e vivere fra la gente, soprattutto nella zona subito fuori dal castello dove avevate intenzione di iniziare ad edificare, e qui all’interno. Riporterebbero le voci solo ed esclusivamente a voi, senza intermediari - Nyrgath fissò gli occhi in quelli del Re. Erano molto alti entrambi, il Capitano sicuramente più asciutto e in forma del suo Re, che però incuteva timore e mostrava ancora cicatrici e una muscolatura pronunciata anche se non perfettamente allenata. I capelli lunghi fino alle spalle e la barba brizzolata del Re gli conferivano un aspetto più saggio e determinato.

    - Sì, procedete - annuì Andir dopo qualche minuto di riflessione. Nyrgath fece un lieve inchino e, seguito dal lupo gongolante, uscì dalla biblioteca.

    Erano passati solo due giorni dal colloquio col Capitano, eppure Nyrgath aveva già scelto le persone adatte allo spionaggio. Gliele aveva presentate e in quell’occasione avevano anche individuato due nuove mansioni per allontanare Simar e Molis dal castello.

    La mattinata era piacevole. Andir stava passeggiando con Enora sulle mura orientali del castello che il sole baciava piacevolmente.

    - Perché non vi confidate con me? Perché non mi dite cosa sta accadendo? - la Regina vide lo sguardo del marito rabbuiarsi e avvertì la sua riluttanza. Erano giorni che lo vedeva cupo e concentrato. Inoltre quell’irritante Capitano della Guardia non faceva che andare e venire dal castello ed era una cosa mai accaduta. Lui si occupava dell’addestramento delle Guardie Reali e dei soldati delle guarnigioni insieme ai Comandanti, non era necessario che fosse sempre al castello.

    - Tradimento - sussurrò appena Andir stringendo i denti. Enora spalancò gli occhi per lo stupore fermandosi. Posò una mano sul suo braccio e ne avvertì la tensione.

    - Quanto è grave? - chiese la Regina a bassa voce. Suo padre le aveva insegnato come essere una duchessa preparata e devota, e quelle lezioni le avevano permesso di diventare un’ottima Regina.

    - Molto e non sarà facile far uscire i traditori alla luce del sole - Andir si voltò e abbracciò la moglie. Sorrise lievemente baciando i suoi capelli di fuoco conscio di averla messa in pericolo con quelle poche parole, ma non poteva tenerla all’oscuro.

    - Venite, torniamo dentro, devo scrivere delle missive - la prese sotto braccio rientrando nello studio. All’interno la stanza era scura e fresca, davanti al camino dormiva il lupo.

    - Che strana bestia - constatò la Regina - Ho sentito Moram chiamarlo Héroh qualche giorno fa -

    - Héroh? Direi che è perfetto. Mi domando perché sia qui, solitamente è con il Capitano - non poté fare a meno di osservare il sovrano chiudendo le grandi porte finestre che davano

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