Nel Cuore della Guerra: Testimonianza di un reduce delle guerre del Congo
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Anteprima del libro
Nel Cuore della Guerra - Chris Kalenge
volto.»
PROLOGO
Ho deciso di scrivere questo libro, diciannove anni dopo gli eventi che ci hanno costretto a lasciare la città di Bukavu, nell’ottobre del 1996, per diversi motivi. Mi ero sempre rifiutato di condividere questa testimonianza perché mi ricordava un periodo difficile della mia vita.
Dopo essere stato obbligato dai ribelli tutsi congolesi a lasciare la città di Bukavu nel 1996, ho vissuto per due anni a Kinshasa, dove ho concluso la scuola superiore nel 1998. Nello stesso anno mi sono ritrovato ad affrontare una nuova guerra, nota al mondo come la «Battaglia di Kinshasa».
Nel 1999, dopo aver concluso la scuola superiore, ho vinto una borsa di studio per l’Algeria, dove ho vissuto per dieci anni, prima di partire per l’Italia per intraprendere dei nuovi studi nel campo della cooperazione allo sviluppo. Sono ritornato in Congo per la prima volta nel 2013, dopo quattordici anni di assenza. Ritornare in Congo dopo gli eventi vissuti nel 1996 e nel 1998 ha suscitato in me emozioni contrastanti. È stata di sicuro una grande opportunità per riconciliarmi con il mio passato e con me stesso. D’altra parte è stata anche un’occasione per pensare alla storia del mio paese e trovare la forza per condividere ciò che ho visto e vissuto.
Anche la notizia dell’esecuzione della giornalista francese Ghislaine Dupont, avvenuta il 2 novembre 2013 in Mali, ha contribuito a questo processo. Le circostanze della sua morte e di quella del suo collega Claude Verlon mi hanno particolarmente colpito: nessuno dei sopravvissuti alla prima guerra della Repubblica Democratica del Congo (RDC) del 1996 potrà mai dimenticare la sua voce trasmessa dalla stazione Radio France Internationale (RFI) e come le sue parole fossero state utili a tutti noi. Con questo libro vorrei rendere omaggio al lavoro che Ghislaine Dupont ha svolto in Africa e, in particolare, nella RDC.
Nel momento in cui scrivo questo libro il mio pensiero va a tutti i rifugiati e sfollati sparsi per il mondo e, in particolare, alle vittime dei diversi conflitti armati che hanno colpito il mio paese. La mia speranza è che io possa, raccontando la mia storia, contribuire a sostenere gli sforzi per la presa di coscienza delle conseguenze della guerra sia sull’uomo che sull’ambiente.
Figura 1— Itinerario 1: ottobre - dicembre 1996
Figura 2— Itinerario 2: agosto 1998
1. COME TUTTO EBBE INIZIO
Siamo arrivati a Bukavu nel 1989 da Kinshasa, la capitale della RDC (ex Zaire); a quel tempo, mio padre lavorava come insegnante per il Peace Corps, un’agenzia governativa americana indipendente, la cui missione è di promuovere la pace e l’amicizia in tutto il mondo attraverso il contributo dei volontari americani a dei progetti di sviluppo sociale ed economico. Ho completato gli ultimi due anni della mia istruzione elementare presso la scuola Ibanda di Bukavu, prima di entrare nella scuola superiore Alfajiri, una delle più prestigiose in Africa centrale, gestita dai Gesuiti. I miei studi nella scuola superiore Alfajiri furono purtroppo interrotti nel 1996, dopo l’invasione della città di Bukavu da parte delle forze ribelli.
Fino al 1994, Bukavu, capoluogo della provincia del Sud Kivu, era una città tranquilla, nota come la Svizzera dell’Africa
per via dell’aria fresca proveniente dal lago Kivu e del terreno montuoso in cui si trova. Quando la città di Kinshasa e altre città del paese furono soggette ad atti di sciacallaggio nel 1991 e nel 1993, durante la dittatura di Mobutu, tentativi simili ebbero luogo anche a Bukavu, ma furono rapidamente repressi dalle autorità militari al fine di mantenere la pace in città. Tuttavia la presenza di monumenti e luoghi pubblici che portano i nomi di ex leader militari, come «Place Colonel Mulamba[1]» ci ricorda che Bukavu non è sempre stata un luogo di pace. Nel 1964 la città è stata teatro di una battaglia tra un gruppo di ribelli chiamati «mullelistes» e le forze armate congolesi. La battaglia si concluse con la vittoria dell’esercito regolare, guidato dal colonnello Mulamba. Un altro nome spesso citato in relazione ai conflitti armati che la città di Bukavu aveva vissuto è quello di Jean Schramme, un mercenario belga che aveva partecipato al fianco dei ribelli del Katanga a un fallito colpo di stato contro l’ex presidente Mobutu nel 1967. Dopo il fallimento della sua ribellione Schramme si era ritirato nella città di Kisangani e poi a Bukavu, dove fu di nuovo sconfitto e costretto a fuggire in Ruanda.
Quando frequentavo la scuola superiore Alfajiri avevo nella mia classe amici originari del Ruanda, sia hutu che tutsi. Un giorno il nostro insegnante di religione organizzò un ritiro nella città di Cyangugu, in Ruanda, a cui fummo tutti invitati a partecipare. Il giorno della partenza, quando arrivammo al confine tra Zaire e Ruanda, i funzionari dell’immigrazione del mio paese impedirono a uno dei nostri amici tutsi ruandesi di attraversare il confine, con il pretesto che era un rifugiato. A quel tempo il Ruanda era governato da un presidente hutu, Juvenal Habyarimana. Fu proprio in quel momento che cominciai a prendere coscienza della differenza tra i due gruppi etnici.
La situazione a Bukavu iniziò a cambiare il 6 aprile 1994, quando l’aereo che trasportava i presidenti del Ruanda Juvenal Habyarimana e del Burundi Cyprien Ntaryamira fu abbattuto. I due presidenti stavano tornando da Dar es Salaam, in Tanzania, dove si erano tenuti i negoziati che avrebbero dovuto consentire il ritorno pacifico degli esiliati tutsi in Ruanda. La morte di questi due presidenti hutu causò una grave crisi politica e umanitaria in Ruanda. La situazione politica era critica anche in Burundi, dove un secondo presidente hutu fu ucciso dopo che il predecessore era stato ucciso circa un anno prima.
Il Ruanda che conoscevamo prima del 1994 era un paese tranquillo ed economicamente stabile, almeno rispetto allo Zaire. Gli Zairesi lo visitavano spesso per vari motivi. Il movimento di persone e merci tra Burundi, Ruanda e Zaire era facilitato dagli accordi firmati fra i tre paesi nel quadro della Comunità Economica dei Paesi dei Grandi Laghi (CEPGL). Grazie a questi accordi tutti gli abitanti di Bukavu potevano viaggiare facilmente in Ruanda, a eccezione dei rifugiati tutsi ruandesi. I tutsi stavano aspettando l’esito dei negoziati che si stavano tenendo in Tanzania per conoscere le condizioni del loro ritorno in Ruanda.
Dopo l’assassinio del presidente Habyarimana, gli estremisti hutu iniziarono a uccidere i tutsi che ancora vivevano in Ruanda. Fu l’inizio del genocidio ruandese. Pochi giorni dopo i media annunciarono che le truppe ribelli del Fronte Patriottico Ruandese (FPR) avevano deciso di lanciare un’offensiva militare nel paese per proteggere i tutsi. Di fronte al rapido progresso dell’FPR circa due milioni di hutu decisero di rifugiarsi a Goma e nella mia città, Bukavu.
Il 22 giugno 1994, dato che la situazione umanitaria e di sicurezza nella regione stava diventando caotica, il governo francese iniziò, in collaborazione con le Nazioni Unite, «l’Operazione Turchese». Questa operazione, che comportava un dispiegamento dei soldati francesi in alcune città del Ruanda, in particolare nelle città vicine a Bukavu e Goma, come Gisenyi e Cyangugu, aveva lo scopo di fermare i massacri e di proteggere le popolazioni minacciate di sterminio. Nei giorni successivi al lancio dell’Operazione Turchese, alcuni soldati francesi, pesantemente armati e ben attrezzati, furono dispiegati a Bukavu. Li vedevamo mentre partivano da Bukavu o tornavano da Cyangugu, a bordo dei loro veicoli militari.
A causa di tutti questi eventi che stavano accadendo in Ruanda, la mia bella e tranquilla città, situata al confine, cominciò a cambiare. Gli spazi verdi e alcune scuole furono invasi dai profughi hutu. Alcune organizzazioni non governative locali cominciarono a sollevare preoccupazioni per la mancanza di sicurezza, la diffusione della prostituzione e di conseguenza del virus HIV e di altre malattie. Il costo della vita aumentò considerevolmente. Questa situazione fu aggravata dall’arrivo di numerose organizzazioni internazionali che pagavano degli stipendi elevati ai propri dipendenti in dollari USA: l’arrivo di una grande quantità di questa moneta forte causò un’impennata dei prezzi di alcuni prodotti. Il traffico diventò caotico e pericoloso a causa dell’arrivo di persone che guidavano senza patente e che avevano comprato delle automobili a prezzi stracciati dai