Thomas Sankara: Le idee non si possono uccidere
Di Carlo Batà
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Anteprima del libro
Thomas Sankara - Carlo Batà
Carlo Batà
Thomas Sankara
Le idee non si possono uccidere
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Indice
Crediti
Nota introduttiva dell'autore
Prefazione
Introduzione
1. Il concentrato di tutte le disgrazie dei popoli
2. Dall'Alto Volta al Burkina Faso
3. Il Paese degli uomini integri
I quartieri informali di Ouagadougou e la politica urbana di Sankara - Valerio Bini
4. Scuola, sanità e ambiente
5. La donna
6. L'Africa
7. Debito estero, disarmo e nuovo ordine economico internazionale
8. Il mondo negli anni Ottanta
Nicaragua: l’eredità di una rivoluzione spezzata - Manuela Canavesi
9. Epilogo
Il fratello uccise il fratello. Così l’amico più fedele ha liquidato Sankara
- Mohamed Challouf
Bibliografia
Crediti
Thomas Sankara. Le idee non si possono uccidere
Copertina: Antonio Batà
Foto di copertina: Pietro Gigli (Thomas Sankara, agosto 1987)
Edizione digitale del libro L'Africa di Thomas Sankara. Le idee non si possono uccidere. Edizioni Achab, Verona 2003.
È consentita la riproduzione, parziale o totale, di quest'opera e la sua diffusione per via telematica a uso personale dei lettori, purché non a scopo commerciale, citando la fonte.
Nota introduttiva dell'autore
In ricordo di Raffaele Masto e Silvestro Montanaro
Questo libro, nella sua versione cartacea con il titolo L'Africa di Thomas Sankara – Le idee non si possono uccidere, è uscito nel 2003 per i tipi di Edizioni Achab, grazie a Paolo Rossignoli che allora credette fortemente in questo lavoro. L'anno precedente si era reso disponibile a pubblicare la rielaborazione della mia tesi di laurea, dando alle stampe il volume José Martí. Il maestro delle due Americhe. I miei primi ringraziamenti vanno a lui, che ha dato l'ennesima dimostrazione di altruismo, di generosità e, nei miei confronti, di amicizia.
Ringrazio poi Modou Gueye, che nei mesi successivi alla pubblicazione del libro mi ha accompagnato in giro per l'Italia a presentarlo, a parlarne, a fare conoscere questa straordinaria figura che ci aveva tanto affascinato e che è tuttora un esempio e un modello per noi.
La mia gratitudine va anche ad Aliou Diop e a tutte le ragazze e i ragazzi dell'associazione socio-culturale Sunugal per gli sforzi profusi nell'organizzazione dei Sankara Day, giunti nel 2020 alla decima edizione.
Ringrazio anche Patrizia Donadello per il suo encomiabile sforzo nel diffondere tutto quanto riguarda Thomas Sankara, sui social network e nei numerosi incontri organizzati in questi anni, con i preziosi interventi di Silvestro Montanaro e Raffaele Masto, che quest'anno ci hanno lasciato.
Il mio pensiero va sempre ad Alex Zanotelli e Marinella Correggia che si premurarono di scrivere con tanta passione e cura la prefazione e l'introduzione per un (allora) giovane autore a loro – ma non solo – sconosciuto.
Il testo è stato rivisto e corretto, e ho aggiornato il capitolo 9 sulla base di quello che si è venuto a sapere negli ultimi anni, anche se tanti aspetti restano ancora oscuri e le versioni fornite da testimoni e studiosi sono tra loro contraddittorie. Il racconto si è fermato comunque al 1987. Per fare ciò ho attinto alla ricca documentazione presente sul sito thomassankara.net.
Qualcosa ho deciso di tagliarlo, per focalizzare l'attenzione sulla figura di Thomas Sankara e per consentire a tutti un'agevole lettura, che mi auguro sia uno spunto per cercare altre informazioni, notizie su quest'esperienza, su questo tentativo di lottare contro i soprusi e l'ingiustizia. Resta quindi solo sulla versione cartacea per esempio il percorso drammaturgo proposto da Metella Pegoraro.
I proventi della vendita di questo ebook saranno interamente devoluti al C.I.Q. - Centro Internazionale di Quartiere, strumento di dialogo, incontro e scambio interculturale e intergenerazionale che propone attività ed eventi per incentivare la partecipazione attiva di cittadini e associazioni, invitati a non essere soltanto fruitori di servizi e cultura ma anche promotori (ciqmilano.it).
Buona lettura, Carlo Batà
Prefazione
Ricordiamo Sankara! - Alex Zanotelli
Il continente africano, in particolare l’Africa subsahariana, sta vivendo una tragedia immensa. È per me oggi il continente martire, il continente crocefisso. È il continente dimenticato, lasciato da parte, brutalmente lasciato morire. Eppure, guardando più in profondità le cose, bisognerebbe parlare di tradimento di quest’Africa, di nuova colonizzazione dell’Africa, perché è quello che sta avvenendo. Il viaggio di George W. Bush in Africa nel luglio del 2003 è un’altra dimostrazione di quanto l’Africa sia sempre più colonizzata. Già con Bill Clinton era stato stipulato l’AGOA, un trattato commerciale tra gli Stati Uniti e i Paesi africani. AGOA significa Africa Growth Opportunity Act, atto per l’opportunità della crescita in Africa. Quando gli Stati Uniti parlano di opportunità di crescita, non è certo quella dell’Africa, quanto la loro. Dicendo questo, non mi sento assolutamente anti-americano, anzi.
Lo scopo fondamentale dell’AGOA è di tradurre in piccole dosi il trattato del Multilateral Agreement on Investment, che l'Europa ha rifiutato. L’AGOA prevede la liberalizzazione dei mercati, l’abbattimento delle tariffe, la possibilità per le multinazionali di comprare terra e sottosuolo – tutto è in vendita in Africa – ma in particolare la cosa gravissima è che l’Africa diventa la nuova frontiera, un grande mercato sul quale le multinazionali butteranno i loro prodotti, dato che i nostri mercati sono saturi. Tutto questo con la benedizione delle élite e delle borghesie africane, che hanno radicalmente tradito le masse popolari in Africa. Basterebbe leggere il libro Anthills of the Savannah di Chinua Achebe, uno dei più grandi scrittori nigeriani, che fa un duro attacco contro il tradimento delle borghesie africane. A questo bisogna sommare il tradimento dei leader africani. Dall’indipendenza in poi, è stato un tradimento a non finire. Con poche eccezioni.
Tra queste vi è certamente la figura notevolissima di Julius Nyerere, che ha tentato una propria via, quella della Tanzania, che guardava al bene di tutti. Un’esperienza che purtroppo è andata male, sia per problemi interni – burocratizzazione e corruzione – sia per gli ostacoli esterni posti dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale che non potevano accettare un esperimento del genere. Nyerere è stato di una grandezza incredibile, uno dei pochi che si è ritirato dalla vita politica, uno dei pochi che è rimasto povero. Ed è ritornato a vivere da poveruomo, come tutti. Insieme con un altro leader, Nelson Mandela, che dopo ventisette anni di galera è diventato presidente del suo Paese. E lo ha fatto davvero alla grande, come una figura carismatica di cui l’Africa aveva bisogno.
Ho riflettuto a lungo su chi poteva essere un modello di presidente in Africa e, insieme a Nyerere e a Mandela, non posso che pensare a Sankara. Sankara è un grande: per la lucidità con cui ha assunto la sofferenza della sua gente e ha tentato di dare delle risposte. Penso che Sankara è stato prima di tutto un esempio di quello che significa essere presidente in Africa, in un contesto di sofferenza inaudita. Ha vissuto in maniera semplice, vicino alla gente. La grandezza di Sankara è di aver assunto la sofferenza dei burkinabè, che sono un popolo fiero, ma anche un popolo che soffre.
Parlando del suo Paese dice: Pochi dati bastano a descrivere l’ex Alto Volta, un Paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono contadini, un tasso di mortalità infantile del 180 per mille, un tasso di analfabetismo del 98%. […] Un’aspettativa di vita media di soli quarant’anni, un medico ogni 50.000 abitanti, un tasso di frequenza scolastica del 16%
. Sankara, però, non parla solo a nome della sua terra: Parlo in nome dei milioni di esseri umani che vivono nei ghetti perché hanno la pelle nera, considerati come animali
.
E chi come me ha vissuto per dodici anni a Korococho, una più delle terribili baraccopoli di Nairobi, può assicurare che questa gente è considerata davvero alla stregua degli animali; anzi gli animali sono trattati meglio. Sankara parla in nome delle donne del mondo intero, che soffrono sotto un sistema maschilista che le sfrutta
, parla in nome di quanti hanno perso il lavoro in questo sistema che è strutturalmente ingiusto
, parla in nome delle madri che vedono i loro bambini morire di malaria o di diarrea
, parla in nome dei bambini, di quel figlio di poveri che ha fame e guarda furtivo l’abbondanza accumulata nel magazzino del ricco
. Sankara assume nella propria vita la sofferenza della sua gente, del popolo burkinabè e quella di oltre un miliardo di esseri umani, comprendendo che il mondo è diviso, come dice lui, tra sfruttati e sfruttatori
.
E questo ricorda l’analisi chiara di un nostro conterraneo, don Milani, quando scrivendo ai cappellani militari diceva: Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che nel vostro senso io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, e in privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri
. Sankara si sarebbe ritrovato in questa posizione di don Milani. Sankara era molto chiaro quando parlava di sfruttatori e sfruttati: L’imperialismo è un sistema di sfruttamento che non si presenta solo nella forma brutale di coloro che vengono con dei cannoni a occupare un territorio, ma più spesso si manifesta in forme più sottili, un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto. Noi stiamo combattendo il sistema che consente a un pugno di uomini sulla terra di dirigere tutta l’umanità
.
Sankara era ben cosciente di questo sistema, che oggi chiamiamo globalizzazione, che permette a pochi di controllare quasi tutto. A spese di molti morti di fame. Sankara, parlando delle multinazionali, con lucidità dice: Dovunque nel mondo la gente si dice scontenta perché il proprio governo non ha creato un terzo, un quarto o un venticinquesimo canale televisivo. Abbiamo veramente bisogno di fumare questo o quel tipo di sigarette? Ci hanno convinto che se fumi le loro sigarette diventerai l’uomo più potente della terra, in grado di sedurre tutte le donne che tu voglia. Così abbiamo fumato le loro sigarette e ci siamo ammalati
. Per Sankara è chiaro che la sorte riservata dall’imperialismo ai Paesi poveri è la perpetua mendacità come modello di sviluppo
.
Ma non è soltanto sfruttamento economico: l’impero usa i mass media e le televisioni per abbindolarci tutti. Sankara sosteneva che per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. […] Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità
. E questo significa mettere in discussione non solo un sistema mondiale, ma anche un sistema interno che utilizzando le élite borghesi sfrutta, schiaccia, uccide. Diceva Sankara: È inammissibile che ci siano uomini politici proprietari di ville, che affittano a caro prezzo agli ambasciatori stranieri, quando a quindici chilometri da Ouagadougou la gente non ha i mezzi per comprare nemmeno una confezione di nivachina per curare la malaria
. E con quel suo fare, con quel suo parlare a volte così tagliente: Non possiamo essere la classe dirigente ricca di un Paese povero
. Altrettanto è stato spietato con l’esercito cui apparteneva: L’esercito non può vivere nell’opulenza, mentre sussiste la cronica miseria delle masse
. Ed è la lucidità di analisi di Sankara che impressiona. E non è soltanto lucidità, perché è facile essere lucidi, ma è anche la capacità di assumerne sino in fondo le conseguenze.
Sankara arriva alla conclusione sugli aiuti umanitari cui arrivò Nigrizia, la rivista dei missionari comboniani, che negli stessi anni si scontrò con il governo italiano proprio sul problema della cooperazione e degli aiuti. Sankara diceva, senza peli sulla lingua: La politica degli aiuti è servita fino a oggi solo ad asservirci, a distruggere la nostra economia. L’origine di tutti i mali del Paese è politica. E la nostra risposta non può essere che politica
. E aggiungeva che sarebbero stati accettati solo gli aiuti che aiutano a fare a meno degli aiuti, non quelli che servono alle imprese del nord del mondo e a esperti pagati in un mese cifre che basterebbero ognuna a costruire una scuola
. Parole sacrosante. Parole che hanno portato Nigrizia alla metà degli anni Ottanta allo scontro frontale con il ministro degli Esteri italiano Giulio Andreotti. Sankara e Nigrizia si sono trovati sulle stesse posizioni, senza essersi influenzati l’un l’altra, ma arrivando per vie diverse alla stessa conclusione. Questo è vero non solo per gli Stati, ma anche per gli organismi internazionali: Lo stipendio annuale di un funzionario della FAO è sufficiente a costruire otto scuole. Se potessimo avere noi tutto quel denaro lo utilizzeremmo diversamente…
.
Ecco il problema ed ecco la soluzione: la capacità di scegliere la propria strada, l’autosufficienza alimentare. Su questo Sankara vuole smuovere il proprio Paese: Consumiamo burkinabè. […] Visto che chiediamo al nostro popolo di contare sulle proprie forze, bisogna che gli consentiamo di valorizzare e di apprezzare quello che produce con il sudore della fronte
. Un Paese che si regge sulle proprie forze, un Paese povero, ma autosufficiente. È questa la scelta economica, una scelta politica prima di tutto, che Sankara chiede al suo popolo per uscire dalla spirale dell’imperialismo mondiale che utilizza poi le classi dirigenti africane per reprimere il loro stesso popolo. Autosufficienza alimentare: il Paese si rimette in piedi, sente che può farcela, ma per fare questo è importante decolonizzare la mente.
Sankara ha pienamente ragione quando dice che una delle cose più tragiche che è rimasta negli africani è proprio avere una mente colonizzata. Ngugi wa Thiong’o, il grande scrittore keniano, in Decolonising the Mind individua la grande tragedia dell’Africa: il nutrire ormai una voglia occidentale. Dobbiamo decolonizzare la mente dell’Africa, sostiene Ngugi wa Thiong’o, e lo ripete con forza Sankara, per andare, come diceva Nyerere, verso un modello africano di sviluppo di civiltà
, in sintonia con la cultura, che rispetti le radici di questo continente che io amo chiamare polmone antropologico
del mondo. Sankara ha dato l’esempio in prima persona, decolonizzando la propria mente, cercando di convincere la gente attorno a sé a fare altrettanto, ma anche tutta la comunità internazionale: Abbiamo deciso di non ricevere più nel palazzo presidenziale gli ambasciatori degli altri Paesi. I diplomatici vengono a farsi accreditare nei paesini più sperduti, sotto un albero, in mezzo alla gente. Li facciamo viaggiare sulle nostre strade sterrate e polverose, poi diciamo loro: «Signori ambasciatori, Vostre Eccellenze, avete visto il Burkina Faso come è realmente. Questa è la gente con cui dovete confrontarvi, non quella che lavora in uffici confortevoli»
. Ed è quello che lui in prima persona fa: va in giro guidando lui stesso la sua utilitaria, in bici, oppure a piedi, senza scorta.
In questo spirito ha colto benissimo, insieme con Nyerere, il vile gioco che viene fatto con il debito, un gioco che strozza i Paesi del sud del mondo, in particolare dell’Africa. Bisogna rifiutarsi di pagare questo debito per una semplice ragione: "Uno degli ostacoli allo sviluppo è il debito estero. Il Burkina Faso è consapevole che questa trappola infernale le è stata proposta, anzi imposta. […] Il debito estero è un circolo vizioso, da cui è impossibile uscire da soli. Nyerere, che ho ascoltato di persona a Nairobi nel 1988, diceva che
è immorale per i Paesi poveri pagare il debito, perché non sono i governi che lo pagano, sono i poveri che lo pagano morendo". Sankara, qualche anno prima, aveva dichiarato: Il debito non può essere rimborsato, prima di tutto perché se noi non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno, ne siamo sicuri; invece se paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi
.
È con questa lucidità che Sankara affrontava i problemi di allora, che rimangono irrisolti nell’Africa di oggi. Se l’Africa vuole uscirne, deve dare priorità allo sviluppo endogeno; è una responsabilità politica perché i Paesi poveri possano portare avanti una politica economica che serva ai poveri, non al grande mercato, perché almeno i poveri d’Africa, la gente d’Africa abbia il sufficiente per vivere. Per fare questo, bisogna decolonizzare la mente e costruire l’uomo nuovo, un africano nuovo: ecco il cuore del pensiero di Sankara.
Una cosa, però, mi sembra mancante. Nel suo pensiero, abbastanza improntato su certi aspetti del marxismo – anche se lui non era un marxista come lo intendiamo noi, era un pragmatico – non c’è mai una critica radicale al problema della violenza. Penso che avrebbe potuto attingere di più da Gandhi e da Martin Luther King, perché un popolo si può rimettere in piedi con dignità, anche rifiutando la logica della violenza. Questa è la grande forza della non violenza attiva che ci hanno insegnato Gandhi e Martin Luther King e con questa si può vincere. Aggiungendo al pensiero di Sankara il rifiuto radicale della violenza e del pensiero militare di cui lui era erede, penso