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Più forte della paura: Con il contributo di Luca Attanasio ucciso in Congo il 22 febbraio 2021
Più forte della paura: Con il contributo di Luca Attanasio ucciso in Congo il 22 febbraio 2021
Più forte della paura: Con il contributo di Luca Attanasio ucciso in Congo il 22 febbraio 2021
E-book127 pagine1 ora

Più forte della paura: Con il contributo di Luca Attanasio ucciso in Congo il 22 febbraio 2021

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Info su questo ebook

La Repubblica democratica del Congo e la regione dei Grandi Laghi, i bambini di strada e i minori impiegati nei conflitti, l’impegno dell’ambasciatore Luca Attanasio, di cui Antonella Napoli era amica, ucciso in un agguato il 22 febbraio del 2021 nella regione congolese del Nord Kivu, sono il cuore di questo libro a cavallo tra il saggio e il romanzo.Un’opera nel ricordo di un servitore dello Stato, impegnato nella difesa dei più deboli, che ha dato la vita in nome dei suoi ideali.
LinguaItaliano
Data di uscita7 feb 2022
ISBN9791259990440
Più forte della paura: Con il contributo di Luca Attanasio ucciso in Congo il 22 febbraio 2021

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    Anteprima del libro

    Più forte della paura - Antonella Napoli

    colophon

    Più forte della paura

    Antonella Napoli

    9791259990440

    www.edizioniallaround.it

    redazione@edizioniallaround.it

    Prefazione

    di Zakia Seddiki Attanasio

    Caro Luca,

    sei stato capace di ben rappresentare il corpo diplomatico italiano, l’umanità che si trova in ogni persona, svolgendo fino in fondo il tuo lavoro, con il cuore e grande serietà.

    Sei stato un esempio, come tutte le persone che danno speranza. Ogni giorno.

    Ti sei sempre interessato a livello personale e istituzionale dei bambini e delle bambine vittime di sopraffazioni e violazioni dei loro diritti.

    Bambini che pagano le conseguenze di conflitti, violenza e assenza di giustizia, come i protagonisti di questo libro a cui tenevi tanto.

    Sei vivo in tanti che combattono ogni giorno per dare un futuro migliore a queste vittime innocenti che non sanno cosa vuol dire essere un bambino.

    Grazie per il sostegno che hai dato a tanti di loro, che hai dato a me e a Mama Sofia. Sono di origini africane e insieme abbiamo fatto squadra a livello diplomatico in Africa.

    Ho dato vita a Mama Sofia e me ne sono presa cura come fosse un bambino nato in Congo dove tu, mio marito, e padre delle nostre bimbe, non sei più tornato a casa.

    Ma il mio impegno non è mai venuto meno e continua.

    Non si può interrompere la violenza con altra violenza.

    C’è chi crede nella pace e può combattere e insegnare a vivere in pace.

    Il bene vince sempre sul male. Io lo vivo sulla mia pelle. Mama Sofia è sempre operativa, al fianco di tanti bambini e donne a cui abbiamo dato speranza.

    È mia responsabilità continuare, perché loro non hanno ucciso Luca, Vittorio e Mustapha e tanti altri.

    L’Africa che conosco è felicita e allo stesso momento tristezza.

    Le risorse del Congo, gli interessi intorno a esse, producono la povertà di cui i bambini sono le prime vittime.

    Dobbiamo sentire nostri i bambini del mondo in difficoltà, senza genitori, e proteggerli.

    Anche le autorità, i politici, devono essere genitori.

    La prima soluzione per l’Africa e gli africani è la pace tra africani.

    Basta parlare di tribù, di sud e di nord, basta creare differenze.

    Basta loro e noi. Bisogna impegnarsi affinché ci sia un solo NOI.

    Imparare a essere uguali.

    Se mettiamo insieme bambini piccoli di colori diversi e religioni diverse, loro possono, sanno, essere felici.

    Siamo noi adulti che dobbiamo capire che la differenza ci rende più ricchi.

    Con il rispetto e con l’amore si può dare una mano a chi ne ha bisogno.

    Siamo tutti esseri umani e non dobbiamo permettere a nulla e a nessuno di toglierci la nostra umanità.

    Il potere è prima di tutto responsabilità, implica per chi lo esercita essere un esempio per gli altri.

    Bisogna investire sui bambini, che sono il futuro.

    Ognuno di noi deve impegnarsi per dar loro il diritto a studiare, alla salute, all’amore.

    Oggi, con questo libro, ribadiamo basta violenza, lanciamo un appello a impegnarci tutti per la giustizia e la pace.

    Nel mio piccolo non mi fermerò.

    Mi impegno personalmente a portare ovunque un messaggio di pace e a combattere il male con il bene.

    Vorrei lasciare un futuro bello ai bambini del mondo, a cominciare dalle mie tre bimbe che stanno crescendo nella memoria del padre che ha svolto il suo lavoro, fino in fondo, con serietà e amore.

    Luca Attanasio è un esempio della diplomazia seria, affidabile e concreta.

    Non si risolvono i problemi da casa. Ci vuole impegno nei luoghi, prima di ogni cosa bisogna toccare con mano questi problemi, viverli, e soprattutto è necessaria tanta comunicazione per arrivare alle popolazioni.

    Luca lo ha fatto con tutto il suo impegno perché ci credeva e io continuerò a ridisegnare il mondo come lo abbiamo sognato insieme: in pace e senza violenza.

    Grazie ad Antonella Napoli per il suo coraggio e il suo impegno quotidiano a condividere la sua esperienza e a illuminare le realtà difficili nel mondo, spesso oscurate, dimenticate.

    Salvare il mondo dalla violenza e responsabilità di ciascuno di noi, come rispettare e amare il prossimo.

    Introduzione

    La questione dei bambini soldato, tema di questo romanzo con un’appendice saggistica realizzata grazie al contributo dell’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, Luca Attanasio, ucciso in un agguato il 22 febbraio del 2021 nella regione congolese del Nord Kivu, è una drammatica realtà senza fine.

    Conoscevo bene Luca, condividevamo la passione per l’Africa e l’impegno a tenere alta l’attenzione sui temi dei diritti, soprattutto dei più fragili: i bambini, appunto.

    Tra i tanti suoi ricordi che ho di lui mi piace condividere con voi il racconto di un pomeriggio di metà agosto.

    Avevo chiamato Luca per dirgli che sarei presto partita per il Sudan e che pensavo di fermarmi in Congo per acquisire le ultime informazioni per il libro che mi stava aiutando a scrivere.

    Mi rispose che forse quando sarei tornata a Kinshasa mi avrebbe ricevuta non più come consigliere di legazione e capo missione, ma come ambasciatore.

    Lo canzonai dicendogli che avrebbe dovuto smettere di andare in giro a trovare i suoi amici missionari e fare più cene e aperitivi.

    Lui rise e mi raccontò che proprio qualche giorno prima era stato in visita in un centro multifunzionale e di accoglienza per bambine di strada ed ex bambini soldato a Kinshasa.

    L’incontro si era svolto in modo informale e con lui c’erano anche Zakia e la piccola Sofia.

    A un certo punto Sofia, mentre gli ospiti del centro intonavano una canzone in suo onore, lo aveva avvinghiato alle gambe per essere presa in braccio.

    Luca mi ha raccontato di come in quel momento, guardando la sua bambina mentre davanti a lui scorrevano i visi di tante vittime di abbandono e di abusi, sentisse il bisogno di fare qualcosa di più per quei piccoli sfortunati, perché nascere in una famiglia in grado di prendersi cura dei propri bambini, in un paese che tutela i loro diritti, è solo una casualità.

    «Chi è più fortunato, Anto, chi nasce nella parte felice del mondo, ha il dovere di fare qualcosa per gli altri», mi aveva detto con voce rotta dall’emozione.

    Quando lo avevo chiamato, qualche mese dopo l’inizio del suo mandato di ambasciatore, mi aveva raccontato che tra le prime azioni ufficiali con Zakia c’era stato il contatto con i centri di accoglienza dei bambini di strada, gli ospedali missionari e ogni tipo di attività che avesse a cuore l’attenzione per i dimenticati.

    Luca mi diceva sempre «Io come diplomatico, tu come giornalista, abbiamo il dovere di prestare attenzione a quello che la gente vive. Dare voce a chi è dimenticato, agli ultimi».

    Sapeva bene di trovare in me una sponda, una persona sensibile al dolore di quelle popolazioni relegate nel cono d’ombra dell’informazione, soprattutto dei bambini di strada, i bambini violati e utilizzati anche per crimini orrendi nei conflitti.

    Ed eccoci qua a raccontarlo.

    * * *

    Durante il processo di indottrinamento, che vede minori inermi spettatori di esecuzioni, decapitazioni e distruzione di cadaveri, i bambini soldato sono prima obbligati a guardare poi, quando ritenuti pronti e assuefatti all’orrore, armati e costretti a mettere in pratica ciò che hanno appreso.

    Pronti a uccidere.

    L’ascesa dello Stato islamico in Iraq e in Siria, degli jihadisti nella regione africana del Sahel e la ripresa del conflitto in Afghanistan, hanno riportato d’attualità il fenomeno che in questi ultimi anni è apparso in espansione, in Medio Oriente come in Africa.

    L’Isis e altre organizzazioni terroristiche e milizie paramilitari, non solo hanno reclutato minori, anche sotto i dieci anni, per utilizzarli negli scontri con le forze armate che cercano di arrestarne l’avanzata, ma li hanno addestrati a essere dei kamikaze.

    In più occasioni nella sua cruenta propaganda il Califfato, dalla sua fondazione nel 2006 alla caduta nel marzo del 2019, ha diffuso in rete video in cui vantava il martirio di giovani vite più di quanto non fosse mai avvenuto prima.

    L’autoproclamatosi Stato Islamico ha istituito grandi campi di addestramento per i piccoli finiti sotto il suo

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