la Luce del Paradiso
Di Carlo Grilli
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Lucia, la Temeraria, adesso al comando dei Santi Difensori, all’interno di quelle sacre mura, percepisce che l’arcaica sede ora non è più occultata e sicura e per questo motivo chiama a raccolta i tre Grandi Guerrieri Protettori, decidendo di anticipare le mosse del nemico, che in un’isola sulla costa dalmata cela una micidiale flotta; lì, Rabdul, Lo Scorpione, il nuovo e sinistro egemone del Male, sta preparando la sua armata per aggredire il litorale Piceno e poi muovere contro la confraternita.
Una demoniaca donna, strega e vampira, di nome Zora, lasciando il suo recondito covo velato nella laguna veneta, si unisce al truce condottiero che, per omaggiarla di rosso pasto, ha fatto rapire dai suoi sgherri una fanciulla.
Arsenio, l’ex Cavaliere Templare, il lupo mannaro, riceve l’ordine di partire anzitempo per recare soccorso alla ragazza: coadiuvato dal giovane Filiberto e dal vecchio e ardito Degardo, diventa la punta di lancia dell’imminente attacco che i guerrieri dell’Angelo stanno accingendosi a compiere; per fare ciò, Lucia chiede anche aiuto all’antico popolo amico che, da sempre, segretamente vive nelle acque dell’oceano.
Lo scontro tra le forze del Bene e quelle del Male sarà inevitabile, ma non sarà la sola battaglia che verrà combattuta: una più grande e insidiosa, senza spade né armi, dovrà essere vissuta e pugnata nel cuore di Arsenio; mentre, nel pieno della disputa, quando la lotta infuria, una misteriosa figura, cinica e celata, guidata mentalmente da una magnifica creatura, si muove lesta e con il suo agire porta scompiglio, morte e rovina nelle file dei malvagi.
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Anteprima del libro
la Luce del Paradiso - Carlo Grilli
Carlo Grilli
la Luce del Paradiso
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Indice dei contenuti
Introduzione
Prologo
La Narratrice
Un’oscura presenza
Lucia il Capo guerriero
La stirpe della Sirena
Il fiume Musone
Il prode Degardo
La mitica isola
Isidoro il Mugnaio
Guardio di Spada
Rabdul lo Scorpione e Zora la Strega
Gli antichi alleati
Il primo e unico amore
All’inseguimento del nemico
L’isola di Meleda
Una ragazza misteriosa
Un prezioso dono del cielo
Gli occhi di una strega
L’Armata degli Abissi
Meste anime prave
Pugnare è il mio mestiere
Il veleno dello Scorpione
Il morso della vita
Chi sei tu?
La maledetta bandiera nera
Cruenta ma vittoriosa battaglia
Un breve ma felice momento
Un ardito e astuto piano
In rotta per la laguna di Venezia
L’isola dei morti
Sospiri di tenebra
Impavidi cuori
Un bacio di morte
Io ti perdono
Non farlo più
Il Paradiso
Il pianto del lupo
Medusa
Riassunto finale
Anno Domini 2032 – La luce del Paradiso
Ringraziamenti
Dedicato a mia madre
Introduzione
Dopo Il Drago e le Cinque Stelle e Le pietre di Nazaret, ecco il terzo ed ultimo libro della trilogia dell’autore Carlo Grilli.
Il volume, che dovrebbe portare a termine le avventure dei Santi Difensori, i protagonisti che hanno dato il titolo all’intera trilogia, riconduce la vicenda in ambienti più familiari rispetto al secondo, tra cui il paese stesso di Sirolo, luogo in cui aveva avuto principio la trama; non mancano comunque ambientazioni nuove, tra cui l’isola croata di Meleda e la città di Venezia.
I personaggi sono quelli del libro precedente, ma anche in quest’ultimo capitolo troviamo nuovi ed importanti ingressi nella scena, capaci di portare freschezza e originalità ad uno schema già collaudato.
La narrazione degli eventi scorre piacevolmente ed è in grado, a tratti, di produrre suspense ed attesa, novità che differenziano questo terzo libro dagli altri che lo hanno preceduto.
Le vicende che ruotano attorno ai protagonisti sembrano giungere dunque alla fine, ma la presenza di nuovi personaggi e delle storie che portano con sé aprono una possibile porta verso nuove avventure: che Grilli sia già in procinto di ideare un nuovo capitolo?
Francesca Pirani
Prologo
Dormi e riposa, oh invincibile e intrepido guerriero.
Tu, che un tempo mi eri ostile, ma che ora sei mia fidata spada, dormi il sonno del giusto.
Tu, che non temi più la luce del sole e attendi su questa nave l'aurora e i suoi bagliori, riposa e nel tuo sonno sogna, ma in questo sogno destati! Perché per te, in esso, io reco una lieta novella: un dono, un celeste dono.
Un erede a te sarà concesso: un essere di luce, un discendente alato, che i popoli del mondo con i suoi poteri guiderà.
Dall’acqua e dalla terra la bambina sorgerà e in essa il Sacro sangue scorrerà.
Te e la tua angelica sposa, Padre e Madre ella chiamerà e per mezzo del tuo amorevole morso, le rughe del tempo non conoscerà.
Tre anni, ogni cinquecento, crescerà, fino al giorno in cui la tua lunga e terrena vita cesserà e il tuo spirito, felice, verso la luce viaggerà… e quando la Fanciulla delle Stelle genitori più non avrà, dall’ultimo immortale protetta e difesa sarà.
Sii felice Principe del Drago, impavido e retto guerriero… dormi e riposa, la nuova alba presto verrà.
La Narratrice
Soffia, soffia… sbuffa, sbuffa… vento che va, vento che viene.
Soffia e sibila, ulula e volteggia: da dove nasce e prende vigore? E dove va? Qual è il suo scopo? Io non so dirvi, anche per me è un mistero: forse è il respiro di Dio, o forse è solo uno dei tanti modi in cui l’Onnipotente accarezza e bacia le sue molteplici creature.
Con violento turbine o zefiro garbato, il vento sfiora e avvolge il mondo: gira e rigira e sui suoi giri poi ritorna.
Che sia una leggera brezza di levante o che spiri spavaldo da ponente, a me piace muovermi con esso, così come mi è lieto volare sulle ali del maestrale, che quando incontra il mare spumeggia l’onda e là, fra le sue pieghe, cullata e dondolata, gioisco nell’ascoltarne il canto.
Mi alletta sentir sulle mie gote anche il grecale, come il libeccio o l’umido scirocco che a volte si confonde con il caldo ostro; mentre, nelle fredde notti d’inverno, mi è ameno assai il viaggiare nella turbolente tramontana, che con le sue gelide e sferzanti raffiche, sibilando, dona la neve e ammanta le montagne.
In tutti questi aliti a volte, accarezzata, con gaudio mi nascondo… ma se c’è una cosa che più di ogni altra, immensamente io amo fare, è camminare nella nebbia, specialmente quando è fitta e densa, perché fra le sue braccia io mi perdo e mi sovvengono antichi ricordi e la sparuta nostalgica memoria delle mie origini.
Dal nulla sono stata creata, ancor prima che gli ammassi luminosi diventassero stelle e nel nulla ho atteso dormiente.
Lì, avvolta da nuvole di luce, ovattata e cullata in quelle dense nebulose, ho preso subito coscienza del mio mandato; il Grande Architetto, l’Onnipotente, mi ha dato un nome: Nebula.
Poi è iniziato il tutto.
Ho visto nascere le stelle e insieme a queste il giallo astro, dopodiché è sbocciato il mondo e in esso, infine, è apparsa la vita: così è cominciato il mio amaro e triste compito.
Giorno dopo giorno, infinite e infinite volte, ho osservato il sorgere del sole: esso nella cheta aurora dapprima timidamente albeggia, poi prende vigore conquistando l’azzurra volta e con i suoi raggi, caldi e dorati, irradia il globo, ma alla fine, inesorabilmente, tingendo il cielo di vermiglie cromie, tramonta, declina e muore per rinascere e nel suo digradare va, si affretta verso il luogo da dove risorgerà… così, come la vita.
Una generazione va, una generazione viene, ma l’uomo, ahimè, resta sempre lo stesso, ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà: non c'è mai pace sotto il cielo.
Il vento soffia e va fuggendo via; ma poi il vento ritorna: esso, come il fiume e il mare, è in continuo movimento, a volte impetuoso, altre volte quieto e carezzevole, così è l’animo umano: sempre, anche quando cerca la pace, in moto, in tormentato travaglio… e nessuno potrebbe spiegarne il perché.
Ho visto tutte le infinite cose e le molteplici azioni che gli esseri umani fanno, buone e malvagie che siano, ed ecco, ora sono giunta a una conclusione: vanità, tutto è vanità, è come un inseguire il vento.
Ho deciso allora di esaminare l’animo umano e ho capito che anche questo è un rincorrere il vento.
Io, dal canto mio, non provo emozioni e nella mia assoluta e raminga solitudine, ho potuto osservare lo scorrere del tempo e con esso, purtroppo, tutte le nefandezze delle umane genti: perché sono sempre stata qui, presente e silenziosa, velata ai vostri occhi, furtiva e misteriosa, ma mai cattiva o ingiusta, né sadica o maligna, di certo, ahimè, reale e a volte fredda e spaventosa… e sempre ci sarò.
Chi sono io già vi è noto, ma per coloro che ignari o sciocchi ancora non sanno, mi presento: io sono per tutti la triste e inevitabile fine del viaggio, l’ultimo fatale approdo, la sola e unica malinconica meta; sono la Nera Signora, l’Angelo della Morte, ma se preferite, potete chiamarmi Nebula, questo è il mio vero nome, l’essere appellata così mi è ameno e a voi, miei eletti, già sapete che lo concedo.
Mi spiace, ma non vi è permesso liberavi di me; sì, io so d’arrecarvi sgomento e che il mio nome v’infonde terrore, ma ho un amaro compito da svolgere; così vanno le cose e sempre così andranno, ma non temete, paura non abbiate ora, perché io non sono qui per voi.
I pezzi sulla mia scacchiera ormai da lungi sono stati mossi, questo è il tempo di porre fine alla partita, di dare scacco matto, di far sì che i conti tornino; è arrivato il momento di tirare le somme, perché ognuno sa che i giorni e gli anni scorrono veloci e la terrena esistenza, ahimè, prima o poi, mestamente, deve giungere al termine; quindi, poiché tutto è come un alito di vento, prepararsi bisogna al trapasso, ma con letizia, perché esso è la porta d’accesso a una nuova vita, alla luce e all’infinita gioia.
Spetta ancora a me narrarvi come siamo arrivati a questo punto, mio è l’incarico, ma ciò non mi è gravoso: con piacere io vi novellerò.
Dopo il ritorno dei giovani guerrieri alle loro terre, ognuno era andato, negli anni successivi, per la sua strada, molti cuori si erano uniti e l’amore aveva trionfato.
Vlad e Sofia, nel loro castello ai piedi delle Alpi Transilvane, vivevano felici; Massimo e Leandro si erano congiunti con le figlie di Altazir il bizantino e si erano trasferiti nelle terre dell’Epiro, mentre Lucia e Arturo ora erano entrambi nell’Eremo di Santo Spirito: la prima era stata insignita del grado di Capo Guerriero, prendendo il comando, insieme al Gran Consiglio, dell’arcaica confraternita, mentre Arturo, nominato Consigliere, era diventato il suo braccio destro come primo stratega; Matteo il Mentale, dopo la morte del suo mentore, l’anziano Pietro, aveva preso il suo posto e si era unito nel Sacro vincolo del matrimonio con Lucia.
Il vecchio Massimiliano Degli Angeli, ormai avanti negli anni, era ritornato a casa e con la moglie Eleonora viveva sereno nella sua dimora ai margini del castello di Sirolo; Odone, da buon nocchiero, su richiesta dell’antico Ordine aveva ripreso a navigare e con la sua veloce barca solcava il mare per recare segreti messaggi; Ermete, con sua moglie Alice, governava il feudo dei Conti Cortesi, mentre Arsenio, l’ex Cavaliere Templare, il monaco, il lupo mannaro, aveva ripreso il suo compito, che era quello di proteggere la Santa Reliquia che, nel Sancta Sanctorum, sotto la cripta della Badia di San Pietro situata in vetta al Monte Conero, era celata e custodita.
Lontano dalle adriatiche sponde, laggiù in Terra Santa, nonostante i maligni fossero stati sconfitti, essi non si erano dati per vinti e in gran segreto si stavano riorganizzando: il loro nuovo capo aveva chiamato a raccolta dalle antiche terre i restanti malvagi e unendo tutte le sinistre forze, avrebbe dato battaglia: stava infatti preparando una flotta per solcare i mari, con lo scopo di aggredire i difensori del Bene nella loro terra.
Ma andiamo per gradi: questa nuova storia che sto per raccontarvi ebbe inizio ancora una volta nelle bianche italiche montagne, in una gelida mattina d’inverno.
Un pallido e timido sole si accingeva a spuntare e la nuova alba, con la sua tenue luce, irradiava le immacolate cime degli Appennini in quel freddo mattino di febbraio, era l’anno del Signore 1205…
Un’oscura presenza
Il forte e sibilante vento, che durante la notte aveva soffiato imperterrito, ora si era placato e quel composto e maestoso silenzio, in quell’impervio e candido luogo, comunicava che la nivea bufera era terminata.
Un falco pellegrino, seguito dalla sua compagna, volava alto, disegnando ampi cerchi in quel cielo ove le dense e grigie nuvole, che durante la notte avevano scaricato neve in abbondanza, ora si stavano diradando.
In quel silente e fiabesco paesaggio, cheto e ovattato, contornato e coronato dalle seghettate e bianche vette, dove il silenzio da sempre regnava incontrastato, la pallida e fredda luce, dei primi barlumi di un timido sole invernale ancora celato al creato, comunicava che la novella alba era alle porte.
La quiete, in quella solenne e calma solitudine intorno all’Eremo di Santo Spirito, fra le montagne della Maiella, imperava, come sempre, incontrastata.
In quel bianco sito, balenato a tratti dai bagliori rosati della nuova aurora, la quotidiana vita, lentamente, si risvegliava all’interno del grigio e solitario monastero che, incastonato nella montagna, come un segreto scrigno, celava e proteggeva l’arcaica sede dei Santi Difensori.
Lì, fra quelle Sante e inaccessibili mura, uno dei dodici monaci guardiani, che aveva vegliato tutta la notte, aggrappato alla lunga fune della piccola campana, era pronto per dare il buongiorno ai suoi fratelli: tirò forte la corda e il bronzeo strumento, percosso dal batacchio, annunciò che era ora di destarsi.
Fuori dall’Eremo la luce dell’aurora prendeva vigore e con le sue tenui cromie balenava sulle alte vette innevate; l’aria era tersa e l’echeggiare di quella campana rompeva il silenzio, riempendo il vallone sottostante con la sua monotona e risonante nota.
Nell’ammantato bosco sotto il convento, ove la neve durante tutta la notte era caduta copiosa, coprendo totalmente i bassi cespugli e parte del sentiero che dalla Chiesa, digradando e zigzagando portava alla valle, una sinistra e oscura figura, avvolta in un pesante mantello nero, nascosta dietro le fronde imbiancate dei bassi arbusti che si amalgamavano con i grandi abeti ai margini della fitta selva, osservava, con circospezione, il monastero aggrappato alla roccia della montagna e con malevolo ghigno sorrideva compiaciuta; quell’oscuro individuo ora ne era più che certo: finalmente li aveva scovati.
Il suo compito era in parte terminato; adesso non doveva fare altro che lasciare le vette appenniniche e riprendere la strada in direzione del Mare Adriatico per giungere sino alla foce del fiume, dove tra le alte canne del fitto canneto, abilmente nascosta e da sinistri sgherri difesa, era ormeggiata la piccola nave con la sua vela nera, che in gran segreto lo stava aspettando: lì, in quell’insenatura, i suoi compari da giorni attendevano con ansia il suo ritorno, onde poter riprendere il mare e comunicare al loro capo il buon esito della missione; quindi, dopo aver dato un ultimo sguardo al monastero, con passo furtivo si addentrò nella boscaglia, raggiunse il suo cavallo, che aveva sostato e legato al tronco di un albero, sciolse le briglie e con agile balzo salì in groppa al destriero, si spinse ancora di più nella selva e in quella cupa penombra la sua nera e losca figura, come nebbia al vento, scomparve dalla vista.
Il sole prendeva vigore e il cielo, ancora maculato di nuvole bianche, si tingeva del suo antico e ceruleo colore, quando Matteo, ormai sveglio e con le mani appoggiate al parapetto che dall’Eremo si affacciava sul vallone sottostante, osservava, ammaliato, quel paesaggio incantato: da quell’altezza il suo sguardo spaziava libero e si sospingeva lontano, ammirando il bianco e agreste panorama, quando all’improvviso i suoi occhi scrutarono in lontananza, fra i primi alberi del bosco, una tetra presenza a cavallo muoversi nella bianca foresta.
Chi era mai quell’individuo che per un attimo aveva intravisto nella fitta selva in un’ora così presta e inappropriata? Chi o cosa cercava quell’uomo nella boscaglia? La cosa non gli piaceva: già da giorni arrivavano voci che si erano viste persone sospette aggirarsi nei vicini borghi ai piedi delle valli adiacenti al convento e adesso quel misterioso e nero individuo non lo rassicurava affatto; così, velocemente, si diresse verso la fine del lungo corridoio per rientrare nel monastero e una volta sorpassato l’angusto portone d’accesso, incontrò il guerriero di guardia al quale diede ordine di avvisare subito Filiberto e Vittorio e di far preparare due destrieri per loro, dopodiché si avviò verso i dormitori per comunicare a sua moglie ciò che aveva appena visto… un inquieto pensiero gli attanagliava la mente: quel nero cavaliere doveva essere stato inviato dal nemico, forse egli era un esploratore e questo significava che le Sette del Male si stavano riorganizzando e che qualcosa di sinistro e malvagio si stava meditando: forse quella spia era la prova che un’oscura presenza era pronta ad attaccarli.
Lucia il Capo guerriero
Tenui e violacei colori tingevano il cielo, che terso e sgombro di nuvole, nel tiepido tramonto di una tarda primavera, stava annunciando, con i suoi fievoli toni, l’imminente arrivo della sera.
Quegli sparuti e morenti bagliori di luce che rischiaravano ancora la pietrosa spiaggia dei Sassi Neri, in quel mite crepuscolo di fine maggio, sembravano quasi presagire che il tempo era scaduto, che la meta era vicina.
Lucia la Temeraria, ormai vecchia e stanca, seduta sopra un masso a pochi metri dalla riva, nella serena solitudine della sua anima, percepiva che la tanto amata vita ora stava per lasciarla.
La guerriera dell’Angelo, con lo sguardo rivolto verso il mare, ammirava quella quieta e maestosa distesa di acque e l’ampio orizzonte che il sole, ormai morente, dipingeva con tinte sottili e delicate, e in quel magnifico spettacolo, ascoltando il leggero brontolio dell’onda che con moto simmetrico accarezzava la spiaggia, essa rasserenava il suo cuore; stette lì, per un po’, immobile, a contemplare quello spettacolo che la natura le offriva; dopodiché, chinando il capo, indirizzò lo sguardo verso il libro, che chiuso e raccolto nelle sue mani, appoggiava al suo petto: con lento e graziato movimento aprì il volume e iniziò a leggere.
La lieve luce del sole calante stava affievolendo e i suoi occhi, appesantiti e stanchi, facevano fatica: l’angelico sangue che scorreva nelle sue vene e che per tanti anni l’aveva protetta e irradiata di fulvo vigore, aveva ormai perso la sua antica forza e tutto ora era diventato più difficile, più arduo.
Con rassegnazione, dopo aver letto un breve brano, rinunciò, richiuse il vecchio libro, ove l’Antico Testamento era stato abilmente trascritto e chiudendo gli occhi ripeté dentro di sé alcune di quelle parole appena lette: " una generazione va, una generazione viene, ma la terra resta sempre la stessa"… con quella frase, appagata e serena, si lasciò andare, il pesante volume le scivolò dalla mano destra ed essa, con calma voce, parlò:
«Sei qui Nebula? Credo sia giunto il tempo di unirmi ai miei amati avi… aspetto e desidero che tu mi colga».
La risposta della Nera Signora, tanto temuta ma da lungo tempo ormai attesa e con pace mestamente bramata, non tardò a giungere:
«Sì, sono qua», le sussurrò con voce suadente la Morte, che subito le apparve maestosa e inquietante, con il pallido e seducente volto ove brillavano occhi color smeraldo, mentre i capelli lunghi e neri e i corvini veli, sottili e oscuri, ondeggiavano lievi, mossi dalla brezza fresca che proveniente dal mare portava con sé profumo di salsedine.
Nebula, l’Angelo della Morte, sorrise e con quel sorriso si avvicinò, aprì le sue grandi e tenebrose ali e mentre la contornava con tenero abbraccio, come una madre cinge la sua creatura, l’avvolse e con rassicurante dire, amorevolmente, parlò:
«La tua opera è conclusa, sii felice perché presto rivedrai i tuoi cari e tutti gli antichi tuoi avi».
Lucia sentì un gran frastuono dentro la sua testa e in quel mentre vide davanti a sé le immagini della storia di tutta la sua vita.
L’ex Capo Guerriero dei Santi Difensori, come in un libro aperto, rivisse tutte le sue avventure, le sagge decisioni, le battaglie, le vittorie e anche, purtroppo, le tristi e amare sconfitte, ma non ebbe rimpianti, perché nel suo cuore sapeva di aver sempre agito per il bene assoluto della confraternita e di esserne stata, insieme al Gran Consiglio, sua grande condottiera.
Ora la Sacra Stirpe e la Santa Lama erano al sicuro e sua era stata la scelta di spostare la segreta sede dal sottosuolo dell’Eremo di Santo Spirito ai sotterranei della Basilica che stava per essere costruita per ospitare quella che era stata la dimora della Vergine Maria.
Cadde a terra là, dove il mare incontrava la spiaggia e mentre la sua chioma argentata fluttuava leggera sospinta dall’onda che accarezzava la battigia, lei, dall’alto, vide il suo vecchio e stanco corpo privo di vita giacere inerme cullato dall’acqua, mentre davanti a sé, nell’azzurro Adriatico, una moltitudine di giovani sirene e tritoni armati di lance e spade, spingendo con le loro pinne, emergevano dall’acqua mostrandosi a lei; quegli esseri, disposti ai suoi lati, fermi e silenziosi, simili a schiere di legione, con aria marziale, come se volessero darle l’ultimo saluto, omaggiandola come si sovviene a un condottiero, attendevano che il suo lucente spirito s’incamminasse verso il mare e lì, fra quelle due colonne di mitiche creature, si formava un vortice luminoso: un tunnel, che al suo interno risplendeva di calda e rassicurante luce e là, alla fine di quella luminosa galleria, vide con immensa gioia suo padre Ermete e sua madre Alice, mentre dietro di loro, balenante di folgorante luce, l’Angelo Siriele splendeva radioso… e quel bagliore, entrando dalla feritoia della sua cella nel solitario Eremo di Santo Spirito, gli balenò sul volto ed essa si svegliò, destandosi dal suo sonno e da quello strano e grottesco sogno.
La giovane guerriera sentì i rintocchi della campana, allungò la mano destra per cercare le larghe spalle di suo marito ma non le trovò: Matteo si era già alzato e non era più nella stanza, allora si stropicciò gli occhi, si alzò dal giaciglio e si lavò il viso con l’acqua, che la sera prima di coricarsi aveva versato nella bacinella, poi prese il piccolo specchio e lì, osservando se stessa, pensò allo strano sogno in cui si era vista vecchia e morente e nel quale, ancora una volta, le era apparso l’Angelo della Morte… forse vi era un nuovo messaggio per lei da Nebula, forse la Nera Signora voleva di nuovo metterla sulla giusta strada; e mentre stava riflettendo su quel sogno appena fatto, Matteo entrò nella stanza guardandola con espressione seria e preoccupata e alla domanda di lei: «Ti vedo turbato, che cosa c’è, cos’è accaduto?», lui le raccontò tutto ciò che aveva appena visto e pensato.
Entrambi conclusero che sicuramente doveva trattarsi di una spia e che, probabilmente, quell’individuo era la prova che il nemico immaginava dove la confraternita si celasse; così, dopo un breve attimo di riflessione, Lucia, guardando negli occhi del suo amato,