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Dieci ragazze
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E-book189 pagine2 ore

Dieci ragazze

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Info su questo ebook

Il romanzo narra la storia di Luca, un trentenne che dopo essere passato attraverso varie vicissitudini sentimentali, reagisce in un modo bizzarro ed inaspettato. lo accompagnano in questa avventura i suoi due migliori amici: Jo, Single con la S maiuscola ed Erik, fidanzato, serio e fedele. il lettore viene catapultato immediatamente nella storia ed in ogni pagina del romanzo si chiederà: "cosa succederà adesso?"
LinguaItaliano
Data di uscita23 dic 2015
ISBN9788893219457
Dieci ragazze

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    Anteprima del libro

    Dieci ragazze - Yari Perrotti

    633/1941.

    Affrontando la realtà (Facing the truth)

    «Pronto Erik».

    «Ehi Luchino, che fai amico mio?», mi rispose Erik con un entusiasmo che subito smorzai con la mia risposta.

    «Erik, vieni a casa?»

    Il mio tono era piatto, la voce tremolante, la frase sembrava essere un mix tra una domanda e un ordine.

    Anche la voce di Erik cambiò immediatamente da brioso a preoccupato.

    «Luca che è successo?»

    «Vieni a casa!»

    La mia voce cambiò ulteriormente, si abbassò ancora; adesso la frase non era più una domanda ma un ordine, e la maniera con cui l'avevo posta faceva supporre che avrei sbottato da un momento all'altro.

    «Ti ho detto vieni! Subito».

    Tono agitato, carico di emozione, pieno. La mia cassa toracica era pronta a esplodere.

    «Ti ho detto vieni subitoooooooooooooooooooo».

    L'urlo fu impressionante, nel ricordarlo mi vengono ancora i brividi: le mie corde vocali furono talmente tanto sollecitate che mi venne quasi da vomitare.

    «Vieni o mi butto dal balcone».

    Con una voce falsamente calma, così come si potrebbe parlare ad un pazzo armato, in preda al panico, in mezzo alla folla, mi disse:

    «Luca non fare niente, arrivo in un secondo. Lo sai che ti voglio un bene dell'anima e ti voglio vivo; mantieni la calma, sto arrivando».

    E riagganciò subito.

    Ci mise solamente qualche minuto ad arrivare.

    Quando entrò a casa, mi vide seduto sulla sedia, ero totalmente assente.

    Il mio corpo era lì ma la mia anima lontana migliaia di chilometri; avevo i gomiti appoggiati al tavolo, gli occhi gonfi che sembravano uscire dalle orbite, lo sguardo perso nel vuoto; senza che piangessi, le lacrime continuavano a scorrere sul mio viso. Stringevo nelle mani uno strano astuccio.

    Qualche mese prima (A few months ago)

    Qualche mese prima conducevo una vita piuttosto regolare, o almeno così sembrava.

    Convivevo con Anita, la mia ragazza.

    Lavoravo come rappresentante di apparecchiature Biomedicali e i miei due migliori amici erano Erik e Giovanni, detto Jo.

    Erik era un ragazzo normale, alto 1 metro e 80, capelli castani, occhi scuri, barista (da quando aveva finito le superiori), fidanzato ormai da 5 anni.

    Jo non era alto, aveva i capelli rasati, occhi verdi di un colore particolare, chiaro, si notavano per forza, ciglia lunghissime, palestrato e Single con la esse maiuscola.

    Per lui la vita di coppia equivaleva alla morte sessuale di un ragazzo, e così prendeva sempre in giro sia me che Erik che, invece, avevamo scelto un' altra strada.

    Giocando a calcio (Playing football)

    Quella sera avevamo organizzato una partita a calcetto con altri amici. In genere non andavamo mai tutti e tre nella stessa squadra, così c'era sempre almeno uno da prendere in giro per aver perso.

    La partita fu molto divertente, giocammo tutti bene... miracolo!

    In realtà io ero il più bravo dei tre; avevo giocato molto a calcio da ragazzo e così, all'età di trentatré anni, mi potevo ancora permettere di fare bella figura.

    Tuttavia quella sera toccò a me perdere perché purtroppo nella mia squadra c'era un compagno veramente scarso, la classica persona che perde palla, dopo che glie l’hai passata, nove volte su dieci.

    Era un nostro amico e si divertiva molto con noi; per questo motivo lo includevamo sempre nella rosa dei giocatori.

    Morale della favola: perdemmo, di poco ma perdemmo.

    E come da copione toccò a me essere deriso e pagare le birre post partita.

    Ci fermavamo sempre al bar del centro sportivo, per stare ancora in compagnia un'altra mezz'oretta, con la scusa che la birra ci avrebbe fatto recuperare i sali minerali.

    «Giada ci porti tre birre per favore, ed anche i tre soliti panini, grazie».

    «Arrivano subito!» rispose pronta Giada.

    Giada era la barista, una ragazza più giovane di noi, aveva circa ventisette anni ed era indubbiamente bella: non molto alta ma slanciata, con queste belle gambe affusolate e muscolose, capelli castani corti con un taglio sbarazzino; quello che colpiva di lei era indubbiamente il fondo schiena: rotondo, tonico e, a dire il vero, non è che lei lo nascondesse molto, anzi.

    Pertanto avevamo un motivo in più per bere anche la seconda birra.

    «Comunque stasera io ho giocato benissimo», esordii io nell'attesa che le birre arrivassero.

    «Si sicuramente», rispose Jo con fare ironico.

    «Hai giocato talmente tanto bene che hai perso».

    «Ho perso perché c'era Nico nella mia squadra. Poverino, per quanto s’impegni è proprio scarso».

    «Spiegati meglio» mi rispose Erik.

    «Quando vinci è merito tuo perché sei forte, hai giocato a calcio, hai fatto quel super goal e quella super azione... quando perdi è colpa degli altri; certo che sei proprio un filosofo».

    «Che significa, oggi avete vinto solo di un goal».

    Fui interrotto dall’arrivo di Giada; con la sua camminata plastica e sicura, si avvicinò a noi con il vassoio in mano:

    «Prego ragazzi, le vostre birre», posandole sul tavolino.

    «Grazie bellezza», rispose Erik con tono dolce.

    «Jo devi ammetterlo, se Nico non si fosse mangiato quei due goal, avremmo sicuramente vinto».

    «Jo, sto parlando con te».

    Lo avevamo perso, il suo collo sembrava quello della ragazzina dell'esorcista; aveva seguito con lo sguardo Giada andare via, o per meglio dire, la parte migliore di Giada andare via, fino a quando la sua colonna vertebrale si era avvitata di 180 gradi, essendo lui alle spalle del bancone.

    «Mai spalle al bancone, amico mio; errore da principiante!»

    Ovviamente Jo non rispose a Erik essendo in uno stato confusionale di preorgasmo.

    «Avete visto che culo», esordì Jo.

    Beh a dirla tutta anche a me non lasciava indifferente quel fondo schiena, ma lui era esagerato: si era quasi lussato la mandibola per quanto aveva spalancato la bocca.

    «Che ci parlo a fare con due come voi. Siete due accoppiati, vi accontentate della stessa vagina da anni, e rimanete indifferenti di fronte a quello che di bello la natura ha creato, cioè il culo di Giada».

    «Che ne sai tu della vita di coppia, se la relazione più lunga che hai avuto in vita tua è stata di due mesi», rispose deciso e anche un po' infastidito Erik.

    «Vedi amico mio, tu non capisci, sei cieco! Si si, tu sei cieco e basta perché non hai visto che, quando Giada si è inclinata in avanti per servirci le birre, il suo fondo schiena si è leggermente scoperto, lasciando intravedere un perizoma nero con dei merletti».

    «Ma è possibile che guardi solo questo? Lo vuoi capire che ci sono cose più importanti nella vita».

    «Più importanti di un perizoma nero coi merletti, che tocca, beato lui, il sedere di Giada? E dimmi tu, professore che sa tutto, cosa può essere più importante di un perizoma nero?»

    In genere Erik si alterava sempre un po' quando si affrontavano questi discorsi con Jo. Era come se viaggiassero su due linee parallele, due mondi diversi, due punti di vista completamente opposti.

    «Ad esempio la famiglia, i figli, l'amore».

    «Si, si, tu te ne esci sempre con queste cazzate, perché vuoi affermare che il tuo stile di vita sia giusto e il mio sbagliato».

    «Ma come fai a dire che la famiglia, i figli sono cazzate e un perizoma nero è importante?»

    «Vedi caro Erik, non è un perizoma qualsiasi, è un perizoma di pizzo nero, con i merletti, posato sul sedere di Giada! Tu non capisci, se avessi la possibilità, glielo strapperei a morsi dopo averci infilato la lingua e giocato abbondantemente. E poi se tu reputi che fare i figli sia importante, falli, che vuoi da me. Basta che poi non mi chiedi soldi per mantenerli; sei tu che mi giudichi non io».

    «Lo sai che sei proprio insolente e impertinente».

    La voce di Erik si era profondamente alterata quando per fortuna, l'arrivo di Giada con i nostri panini, interruppe il loro battibecco.

    «Prego ragazzi, i vostri panini», e mi lanciò un’occhiata con un sorriso leggero, a mezza bocca, senza aprire le labbra.

    «Grazie bellezza», intervenne puntuale Jo.

    «Sei bella e brava».

    Giada rispose con un grazie molto freddo ai complimenti di Jo; chissà quanti ne riceveva ogni giorno da tutta quella massa di ragazzi che continuamente passavano al bar.

    Il volto di Erik cambiò espressione.

    Un ghigno soddisfatto prese il posto dello sguardo rabbioso di qualche istante prima:

    «Credo che Giada non te la darà caro il mio perizoma. Glielo strapperai solo nei tuoi sogni intimi, quando affannato, vicino al water, farai l'amore con Te stesso», scoppiando in una grassa risata che, effettivamente, coinvolse anche me.

    «Gutta cavat lapidem, caro il mio famiglia del Mulino Bianco, la goccia scava la roccia; good things come to those who wait!»

    «Accipicchia! Pensavo fossi un maniaco sessuale non un filosofo», disse Erik a Jo e continuò rivolgendosi a me: «comunque è già la seconda/terza volta che Giada ti guarda con un occhio più luminoso».

    Effettivamente era una cosa che avevo notato anch'io. Risposi: «Giovani, non mi mettete strane idee in testa, sono impegnato, meglio che io non pensi a queste cose».

    «Lo vedi che sei un represso», mi si rivolse Jo «porti le manette ed il cappio al collo. Non preoccuparti: quando mi porterò a letto Giada, ti racconterò come fa l'amore».

    E facendo una risatina da demente, continuò: «ragazzi, uscire con voi è uno spasso, non temo concorrenza; spero che il mondo si riempia di gay e di uomini fedeli così avrò una quantità di donne a disposizione smisurata».

    A questo pensiero i suoi begli occhi verdi brillarono come quelli di un bambino in un negozio di giocattoli.

    Cazzeggiammo ancora qualche minuto al bar e poi li riaccompagnai a casa.

    Dopo una giornata di lavoro e una partita di calcetto ero piuttosto stanco.

    Erano ormai le 22,30 e avevo ancora fame.

    Rientrato a casa, vidi la mia compagna Anita già infilata nel letto, che leggeva un libro.

    «Ciao Anita, tutto ok? Come mai non sei davanti alla TV?»

    «Mi andava di leggere un po’», mi rispose senza togliere lo sguardo dal libro.

    «Com’è andata la giornata?»

    «Bene».

    «Cosa c'è da mangiare?»

    «Un po' di verdura bollita. Se vuoi, puoi cucinarti la fettina».

    «Ok grazie, faccio io, non ti scomodare».

    Dopo aver cucinato, mangiato, perso un po' di tempo su Facebook, andai in camera.

    Anita era spalmata sul letto con gli occhi chiusi; sembrava dormisse, ma non ne ero sicuro; il libro era appoggiato sul comodino.

    Nel dubbio spensi la luce e mi misi sotto le coperte.

    Carlo and Carla

    La mattina seguente, mi alzai e lei già non c'era più.

    Andava al lavoro prima di me, anche se, in genere, la mattina riuscivamo a stare insieme per una decina di minuti, il tempo di un caffè e via.

    Ormai eravamo una coppia di fatto da sette anni e condividevamo l'appartamento da quattro. Quel giorno c'era in programma un’uscita al pub con amici, era venerdì e ci capitava spesso di uscire per stare in loro compagnia.

    Alle 19:00 eravamo già rientrati entrambi, così dopo un po' di chiacchiere su com’era andata la giornata e una doccia uscimmo per andare al pub.

    Non c'è che dire, le donne sono avvantaggiate, un pantalone aderente, un tacchetto e un po' di trucco e diventano meravigliose. Quella sera la mia donna era fantastica!

    Alle 20:30 eravamo tutti seduti al pub: c'era Jo, Erik con Rita, la sua compagna e due suoi amici, Carlo e Carla. Carlo aveva trentadue anni, un ragazzo pienotto con dieci chili di sovrappeso, capelli castani, occhi tendenti al chiaro; Carla era più giovane, ben truccata, magra, aveva uno stile già da signora. A dirla tutta non era una bellezza, per usare un metro di giudizio maschile, era una di quelle ragazze che se incroci, non ti giri a guardare. Era un po' troppo magra per i miei gusti e non esprimeva grande energia.

    Stava lì, come un soprammobile. Cenammo con dei panini, birra, patatine fritte alle quali tentavo di resistere ogni volta che si usciva, con scarsi risultati.

    Politica maccheronica, clima, vacanze e viaggi furono gli argomenti trattati a cena. Carlo e Carla avevano un altro appuntamento, così ci lasciarono subito dopo aver finito il loro panino.

    Appena allontanati dal tavolo, tuonò Jo:

    «Se devo ridurmi come quei due vi prego, sparatemi».

    «Ecco, adesso inizi. Solo per il fatto che quella è una coppia stabile ti

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