Due vite
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Anteprima del libro
Due vite - Rosalba Di Camillo
Twain
1
«A che ora hai l’aereo?».
«Tra un’ora. Sono in auto adesso! Sto andando in aeroporto, ma sono un po’ in ritardo!».
«Va bene! Guida con prudenza, ci vediamo stasera!».
«D’accordo! Non ti… Carol! Carol, ci sei ancora?». Cadde la linea.
Se avessi continuato di quel passo avrei perso sicuramente l’aereo. «Maledetto traffico!».
Ero via solo da pochi giorni, eppure mi erano sembrati eterni. Non avevo proprio voglia di stare ancora a Vienna; già ero partito mal volentieri, figuriamoci passare un altro giorno lontano da lei! La pioggia iniziava a essere meno battente e sperai che anche il traffico si dissolvesse. Finalmente l’uscita dell’autostrada per l’aeroporto era sempre più vicina, ormai stavo per lasciare la coda, mi voltai verso il sedile del passeggero e fissai il regalo che le avevo preso, pregustando il momento in cui glielo avrei donato. Infilai il pacchetto nel borsello e sfilai il biglietto con i documenti per averli già a portata di mano. Ormai mancava poco.
Ero completamente distratto dai miei pensieri quando un rumore stridente di freni mi spaventò! Alzai di scatto la testa.
«No!».
Improvvisamente il buio!
Tutto intorno a me si comprimeva, si restringeva, si contorceva! Mi sentivo chiuso e imprigionato come in una morsa! Era terribile!
Ma cosa stava succedendo?
Le lamiere si accartocciavano su di me con il loro orribile rumore, così acuto e stridente. Non ero più padrone di me stesso! Il mio corpo non apparteneva più alla mia mente che non lo governava. Mi sentivo come sospeso!
Stavo morendo?
Forse no! Perché non provavo nessun dolore? Eppure era forte l’odore del sangue, mi dava la nausea.
Sì! Stavo morendo!
Ma come mai non rivedevo tutta la mia vita, i miei ricordi? Nella mia mente vedevo solo lei, che mi sorrideva e mi chiamava. Avrei voluto andarle incontro ma ero come bloccato, come immobilizzato da un torpore piacevole ma allo stesso tempo terribile! Forse stavo davvero morendo! Il fumo penetrava dalle mie narici, entrava nel mio cervello e oscurava tutto … ogni pensiero, ogni ricordo, ogni attimo della mia vita! E portava via lei, che continuava a chiamarmi, ma io non riuscivo più a sentirla! Non capivo le sue parole! Non la vedevo più!
Mi ero perso nel vuoto… nel nulla!
2
Sei anni prima.
Il corridoio del reparto mi sembrava particolarmente lungo. Nonostante il mio passo fosse sostenuto, non finiva mai! Avevo un gran bisogno di andare via per tornare a casa e liberare un po’ la mente da tutti i pensieri che, nelle ultime settimane, scandivano le mie giornate.
Mi sentii improvvisamente chiamare.
«Robert!».
«Anthony! Sei ancora qui? Credevo avessi finito!».
Ero felice di vedere Anthony, riusciva ad aiutarmi sempre, anche inconsapevolmente.
«Sì, stavo andando via, ma prima ho bisogno di un consulto e poi ti stavo cercando! Ma che fine hai fatto? Sono secoli che non ti fai vedere!».
«Hai ragione Anthony, non ci vediamo da tanto! Sto lavorando tantissimo e sono pensieroso! Sono altrove con la testa!». Dissi passando nervosamente una mano nei capelli.
«E dove con la testa?».
Esitai qualche istante prima di rispondergli. «In Italia!».
Anthony mi guardò sgranando gli occhi. «Non mi dire che il miglior studente in medicina della Stanford University, vuole accettare il gemellaggio e fare il ricercatore a Roma? Ma è da pazzi! Proprio adesso che hai finito la specializzazione? E poi lo sai che il primario ti ha messo gli occhi addosso!».
«Anthony, mi piacciono le sfide e poi a Roma potrei stare un po’ con mio padre. Sono settimane che non lo vedo e l’ultima volta che ci siamo sentiti aveva un tono di voce che non mi convinceva!».
«Capisco! - Abbozzò un lieve sorriso prima di continuare. - Emily, che ne dice?».
«A lei non ho ancora detto niente. E comunque non è certo un problema! Il nostro rapporto è molto libero!».
«Libero!? E questo cosa diavolo vorrebbe dire? Che ti porti a letto tutte le infermiere del reparto e lei non dice niente?».
Anthony, mi conosceva bene e sapeva che ero abbastanza richiesto
e questo spesso mi faceva cedere alle lusinghe delle giovani specializzande!
«Sicuramente sono uno che non crede nell’amore, ma sono pur sempre un bravo ragazzo… sono fedele! Cosa credi?! Però è anche vero che la nostra unione è priva di vincoli, noi non ce ne siano imposti!». In effetti le ero sempre stato fedele, ma il nostro rapporto aveva conosciuto molti periodi di stop, entro i quali mi sentii libero e… disponibile!
«Ah! Sei senza speranza! Con tutto l’affetto che ho per te amico mio, ma in piena onestà lei merita qualcuno che la ami e la sposi! Poi in quanto a te, sono sicuro che un giorno troverai qualcuna che ti farà perdere veramente la testa e quando accadrà riparleremo del significato di rapporto libero
! Roba da matti!».
«Questo non penso che accadrà mai! Non credo nell’amore, nei rapporti duraturi! Lo sai! È solo chimica amico mio! Tutto qui!».
«Invece io scommetto che un giorno accadrà!». Si bloccò di colpo e mi guardò fisso negli occhi con aria di sfida! Sembrava davvero convinto. Lui vedeva il mio modo di fare da autolesionista.
Perché poi? Era vero, non avevo mai avuto legami duraturi, ma questo non mi danneggiava, anzi al contrario, mi proteggeva! In fondo Anthony non poteva capire, era sposato ormai da diversi anni e aveva un concetto dell’amore diverso dal mio.
«Davvero vuoi scommettere con me? E cosa?». Lo stuzzicai. Sapevo che amava molto il gioco d’azzardo e soprattutto era un accanito scommettitore! I suoi occhi verdi iniziarono a brillare per l’eccitazione di giocare con me. Sembrò come scosso da una scarica di adrenalina!
«Certo mio caro che scommetto con te! Se hai il fegato di accettare!». Disse Anthony sempre più euforico.
«D’accordo allora! Scommettiamo!».
«Se vinco io… mi regalerai quella splendida moneta romana che hai a casa! Quella che mi piace tanto!». Aveva sparato alto, la sua passione per le monete antiche lo aveva spinto a osare tanto. Sapeva che ne ero molto affezionato, era un regalo di mia madre per il mio 14° compleanno!
«Vai giù pesante! Va bene accetto la scommessa! - Gli dissi cogliendolo quasi di sorpresa. - Ma se dovessi perdere tu… mi darai la penna stilografica antica con la piuma rossa che hai sulla scrivania!». Non solo accettai la scommessa, ma rilanciai.
«Allora la mia penna potrà dormire sonni tranquilli sulla scrivania!». Entrambi scommettemmo pensando di essere sicuri di vincere! Anthony andò via con uno strano sorrisetto, come se avesse già la mia moneta romana in tasca. Si diresse verso l’ufficio dal primario per il suo consulto, io invece mi infilai negli spogliatoi. Finalmente quel lunghissimo turno era finito. Avevo voglia di andare a casa e soprattutto di parlare con mia madre. Immaginavo già la sua espressione contrariata, era appena tornata negli Stati Uniti dopo mesi di lontananza e dirle che avevo deciso di partire per un anno non l’avrebbe certo entusiasmata.
Mi cambiai molto velocemente, indossai il giubbino di pelle ed entrai nell’ascensore. Appena fuori chiusi gli occhi e respirai profondamente! «Finalmente un po’ di aria fresca!».
«Salve dottore!». Mi disse improvvisamente una giovane e bella infermiera.
«Buonasera…». Oh Dio! Ma come si chiamava!?
Non aggiunsi altro, andai via per paura che si fermasse a parlare… sarebbe stato estremamente imbarazzante dirle che ricordavo perfettamente le sue bellissime gambe, ma che non avevo assolutamente memoria del suo nome! Presi l’auto e andai a casa sforzandomi di ricordare il nome della bella infermiera, ma chissà perché erano altri particolari che mi venivano in mente di lei! Percorsi il tragitto verso casa particolarmente euforico, perché ad attendermi ci sarebbe stata mia madre.
Era una bella serata, il finestrino aperto faceva entrare l’aria fresca che spettinava leggermente i miei capelli. Sì! Ero decisamente di buon umore!
Infilai il vialetto di casa e finalmente vidi tutte le luci della mia abitazione accese! Fu bello, dopo mesi, trovare qualcuno a casa per il rientro! Era deprimente non avere nessuno ad aspettarmi, forse per questo stavo sempre in ospedale… lì era difficile soffrire di solitudine.
Mia madre era seduta sul dondolo nel portico.
«Mamma!». Dissi abbracciandola quasi sollevandola da terra!
«Robert!».
«Quando sei arrivata?».
«Questa mattina all’alba. Volevo farti una sorpresa e portarti il caffè a letto ma tu non c’eri!».
«Sì, ero in ospedale!».
«Già dimenticavo, quella è la tua casa… non questa! Vieni entriamo, ti ho preparato lo sformato di patate che ti piace tanto!».
Entrammo dentro casa. Con il suo arrivo mi sembrò che quelle pareti avessero ripreso colore e calore… sembrava tutto così bello, così diverso, solo perché c’era lei. Per la prima volta dopo tanto tempo cenavo in compagnia.
Parlammo per tutto il tempo. Lei mi raccontò degli scavi in Egitto che coordinava e di come fossero stati entusiasmanti i mesi trascorsi in Africa.
Stavo aspettando il momento giusto per dirle che sarei stato insieme a lei solo per dieci giorni, che avrei lasciato gli Stati Uniti per andare in Italia, ma era tale la sua gioia per il rientro a casa che non ebbi il coraggio di dirle una sola parola. Forse quello non era il momento giusto. Decisi di rimandare al giorno dopo.
«E invece a te, come va?». Mi chiese guardandomi con fare investigativo.
«Bene!». Fui troppo telegrafico e lei se ne accorse. Mi guardò con aria ancora più sospettosa.
«Sai dirmi solo questo? Sono settimane che non ci vediamo e non hai niente da raccontare?».
«Sai com’è… sono sempre in ospedale!».
«Robert… cosa devi dirmi? Cosa mi nascondi?».
«Mamma, ne parliamo domani!».
«Di cosa? Parla per favore!». Aveva assunto l’aria seria e austera di sempre. Ero a disagio quando mi guardava così, mi faceva sentire come uno dei suoi studenti pronto per essere messo sotto il torchio dalla terribile prof. Elisabeth Perry Ford!
«D’ accordo! Vado in Italia!». Dissi tutto d’un fiato.
«Da tuo padre?».
«Si, da lui. Ma non vado solo a trovarlo. Ho accettato l’incarico di ricercatore nel suo ospedale! È un’occasione che non voglio perdere!».
«Ma staresti via per mesi!». Era già preoccupata e peggio ancora, contrariata!
«Mamma un’affermazione così non è da te, visto che torni a casa pochissimi mesi all’anno! - Fui sarcastico e pungente. - È solo per dodici mesi! - Divenne sempre più scura in volto. - Perché sei così contrariata?! Insomma tu sei una donna abituata a viaggiare… potresti venire a trovarmi!».
«Ho solo paura che una volta a Roma, non tornerai più da me!».
«Ma cosa dici? Perché mai non dovrei più tornare negli Stati Uniti?». Temeva che una volta in Italia, avrei fatto come mio padre anni prima.
«Hai preso questa decisione da solo senza neanche parlarmene! Avresti potuto aspettare il mio rientro! Potevamo decidere insieme!». Quelle parole mi intenerirono, ma nello stesso tempo mi amareggiarono. Adesso si interessava alle mie scelte? Arrivava con qualche anno di ritardo. Avevo 29 anni ormai e prendevo le mie decisioni da solo già da un po’! Sorvolai sulla cosa, non volevo certo ferirla o farla sentire in colpa.
«Mamma, sento l’esigenza di fare questa esperienza e ho voglia di andare da papà! Al termine del mio contratto tornerò a casa! Promesso!». D’altronde in Italia, a parte mio padre e qualche caro amico, nessuno mi avrebbe trattenuto.
«È stato lui a convincerti? Vero? Il solito egoista!».
«No! Non è vero, a lui non l’ho ancora detto! E poi ti sembra così strano che abbia voglia di stare un po’ con mio padre?». Avevo colto nel segno. Lei temeva che non sarei più tornato.
«Ma è questa la tua nazione! È questa casa tua! È qui la tua famiglia!».
«Quale casa? Quale famiglia!? Questa casa è sempre vuota! Dov’è la mia famiglia!? Qual è la mia famiglia?! Sono sempre solo! A volte è come se fossi orfano… e forse lo sono!». Mi alzai bruscamente da tavola e andai via senza darle la possibilità di replicare.
Non avrei voluto dirle quelle parole, ma prevalse il mio dolore di figlio, che aveva visto i genitori allontanarsi giorno dopo giorno, che aveva subito il dispiacere del divorzio!
Andai nella mia stanza sbattendo la porta. Mi sentivo terribilmente in colpa per quel litigio! Avevo riservato proprio un bel rientro a mia madre! Ero molto avvilito, non le avevo mai parlato così, per la prima volta ebbi il coraggio di dirle quello che provavo da tempo.
Ma come faceva a non capire?
Le avevo detto la verità … mi sentivo solo e né lei, né mio padre lo avevano mai compreso! Certo, non mi avevano mai fatto mancare il loro affetto, ma forse quello di cui avevo bisogno era solo avere una famiglia, come tutte le altre!
Mi buttai letteralmente sul letto addormentandomi con ancora i vestiti addosso. Quando suonò la sveglia alle 06:00, a fatica riuscii ad alzarmi e a infilarmi sotto la doccia. Non avevo voglia di andare in ospedale quella mattina, mi sentivo stanchissimo.
Scesi in cucina, mia madre non c’era forse stava ancora dormendo. Guardai sul tavolo e vidi che aveva preparato la colazione proprio come faceva quando andavo al liceo. Era sua abitudine la sera, prima di andare a dormire, mettere le tovagliette con una ciotola di biscotti allo zenzero e una tazza di the alla menta, in modo da avere tutto già pronto la mattina seguente. Se ne era ricordata!
Andai in ospedale sperando di poter sistemare tutto al mio rientro con calma. Fu una mattinata lunghissima nonostante le mille cose da fare in reparto. Guardavo continuamente il telefono sperando che chiamasse, invece non lo fece mai! Non aveva capito allora?! O forse era solo delusa e arrabbiata, proprio come lo ero io!
Comunque avrei dovuto affrontarla di nuovo e forse era meglio non farlo per telefono. Il mio turno stava terminando ormai, la rabbia era sbollita ed ero intenzionato ad andare a casa con l’intendo di chiarire e soprattutto scusarmi! Ero arrivato alle porte dell’ascensore quando mi sentii chiamare.
«Ciao Robert! Vai via?». Era Emily. Non ci vedevamo e sentivamo da due giorni. Aveva provato a chiamarmi, ma io non le avevo mai risposto! Non volevo affrontarla per dirle della mia partenza.
«Si ho finito! Vado al primo piano. Tu?».
«Sto andando al sesto!». Disse lei un po’ imbarazzata e con gli occhi lucidi.
Prendemmo l’ascensore insieme. Nonostante le avessi detto che stavo scendendo al primo piano, lei premette il tasto per il sesto. Mi sentii stranamente sulle spine. Desiderai arrivare al sesto piano il più velocemente possibile e poi ritornare giù per le scale se fosse stato necessario. Ma sembrava che qualche imbecille si fosse divertito a prenotare l’ascensore che puntualmente si fermava a ogni piano. Stranamente non vi entrava mai nessuno.
«Ho saputo da Anthony che stai pensando di accettare il posto di ricercatore in Italia!».
«Ah! Te l’ha detto!?». Grazie tante Anthony, sei un vero amico! «Avrei voluto che me lo dicessi tu!». Il suo tono di voce era cambiato.
«Scusami Emily, volevo farlo… ma è stata una settimana terribile e poi noi non ci siamo mai visti!». Mentii spudoratamente. Che falso sono stato!
«Tu però non mi hai mai cercata! È una decisione importante da prendere e lo fai da solo? Sono… sono sicura che hai già deciso di andare!».
«Sì, in effetti la decisione è presa ormai. L’ho già comunicato al primario!».
Silenzio. Ci fu improvvisamente il gelo tra di noi.
Ma quando diavolo ci metteva l’ascensore ad arrivare al sesto piano? Emily aveva ragione, non mi ero comportato bene, ma non avevo voglia di parlare di quell’argomento… bruciava ancora il litigio con mia madre proprio per lo stesso motivo e quello non era davvero il momento giusto per discuterne!
«Non mi chiedi di venire con te?». La sua voce tremò.
«So che non verresti mai! Poi, proprio adesso che sei stata messa a capo degli specializzandi!».
«Si, forse è vero! - Abbassò lo sguardo cercando di mascherare l’evidente delusione che avevano provocato le mie parole. - Però sarebbe stato bello sentirmelo dire!». Disse quasi sotto voce.
«Emily ascolta…».
«No! Ascolta tu Robert! Stiamo insieme, tra alti e bassi, da quasi un anno ormai, senza porci alcun tipo di condizionamento e vincolo! Ci siamo divertiti e abbiamo condiviso molti momenti indimenticabili, soprattutto dal punto di vista professionale. Però dodici mesi sono tanti ed io sono…».
«Ti prego non dire che sei innamorata di me! Non farlo! Sai che non è vero! Ma ti ascolti? Senti quello che dici? I nostri momenti più belli come coppia… sono quelli passati in sala operatoria!? Emily! Sì, è vero, ci siamo divertiti, ma questo credimi non è amore!».
Emily abbassò di nuovo lo sguardo amareggiata.
«Forse hai ragione tu, quando dici che l’amore è una sofisticazione dell’uomo, che è solo chimica… che è un istinto animalesco, niente di più! - Non risposi. Avevo ripetuto così tante volte la mia teoria sull’amore
sperando che lei non si legasse a me e, proprio quando anche lei se ne era convinta, stranamente mi sembrarono tutte cavolate! - Quando partirai?».
«Tra dieci giorni!».
«Bene!». Rispose con un filo di voce, asciugando una lacrima.
«Emily… mi dispiace!».
Le porte dell’ascensore finalmente si aprirono al sesto piano. Lei uscì senza dire una parola, si voltò e ci guardammo per qualche secondo… accennò un sorriso, poi le porte si richiusero e l’ascensore ripartì. La mia storia con lei era definitivamente chiusa!
Mi sentii stranamente sollevato e sereno! Ma provai anche un senso di tristezza, non per la fine di quella storia, ma per Emily! Anthony aveva ragione, doveva trovare una persona in grado di amarla veramente… non uno come me!
Tornai a casa un po’ frastornato. Mia madre non c’era per fortuna, sicuramente avrebbe voluto continuare la nostra discussione, ed io non avevo voglia di parlare! Entrai nella mia stanza e mi sdraiai sul letto, pensai alla mia vita e a quello che stavo facendo. Forse sbagliavo ad andare in Italia. Sapevo che negli ospedali italiani la vita di corsia era ben diversa da quella americana, mio padre me lo ripeteva continuamente. Ma nello stesso tempo per la prima volta nella mia vita avevo l’esigenza di andare via, di scappare. Agli occhi degli altri ero un uomo molto fortunato, di buona famiglia, benestante, con un bel lavoro, che aveva successo con le donne… eppure non ero soddisfatto, non mi sentivo completo! Pensai a Emily e alla freddezza con la quale l’avevo trattata. Ma perché mi comportavo così?
In fondo non credevo neanche io alla mia "teoria sull’amore". Eppure continuavo a comportarmi in maniera distaccata e fredda con le donne, senza stringere mai legami duraturi! Avevo la fama del Don Giovanni e questa cosa, che mi aveva inorgoglito per molto tempo, iniziava a starmi stretta!
Per un attimo provai un senso di rabbia e rancore verso i miei genitori. Mi avevano insegnato e dato tanto, ma involontariamente mi avevano trasferito anche un altro insegnamento… con i loro continui litigi, i mesi di lontananza l’uno dall’altra e infine il divorzio, avevo imparato che le famiglie non restano unite, che l’amore tra un uomo e una donna non è per sempre, che l’amore porta solo sofferenza! Magari la chiave del mio comportamento era tutta lì, non credevo nei rapporti duraturi e nell’amore, perché mi era stato insegnato così. Non sapevo amare perché non sapevo come si faceva ad amare veramente una donna!
Forse stavo sbagliando tutto o forse no! Magari andare in Italia era l’occasione giusta per ricominciare daccapo, per cambiare aria! Di sicuro avrei smesso i panni dell’uomo freddo e incapace d’amare, forse sarei stato finalmente me stesso… chiunque io fossi!
3
Passarono i giorni. Più si avvicinava la data della mia partenza, più aumentava il nervosismo e la tensione tra me e mia madre! Ero profondamente mortificato e mi sentivo terribilmente in colpa, soprattutto per le parole che le avevo detto. Sicuramente le pensavo, ma potevo evitare di dirgliele, non fecero altro che aumentare i suoi sensi di colpa … come madre e come moglie. Forse non avevo gestito la cosa nel modo giusto, ma la decisione era presa ormai. Non ero abituato a tornare sui miei passi, dovevo assolutamente cercare di riappacificarmi o sarei andato via con un peso enorme sul cuore! Non mi rivolgeva la parola da quella maledetta sera e soprattutto faceva in modo di evitarmi, in pratica vivevamo nella stessa casa, ma non ci incontravamo mai ed io ero stanco di quel gelo, non ne potevo più!
L’occasione giusta la ebbi al suo compleanno, tre giorni prima della mia partenza! Sapevo che quella sera sarebbe uscita con la sua cara amica, Greta Peterson. Decisi di sfruttare la cosa a mio vantaggio e chiamai Greta per renderla mia complice. Naturalmente accettò di aiutarmi, peccato solo che fui costretto a sorbirmi anche le sue parole di rimprovero, visto che sapeva tutto del nostro litigio! Un giusto prezzo da pagare tutto sommato!
L’appuntamento che mia madre aveva con lei era alle 19:30 nel ristorante gestito dai figli di Greta al 107° piano della Torre Nord del WTC. Naturalmente al posto di Greta ci sarei stato io; sperai che quella trappola mi avrebbe dato l’occasione di parlarle e soprattutto scusarmi!
Avevo curato tutto nei minimi particolari, utilizzando per la serata tutto ciò che le piaceva maggiormente. Prima di tutto pregai Christian, il figlio maggiore di Greta, di utilizzare delle stoviglie speciali, le porcellane di Limoges, mia madre le adorava! A casa avevamo un rarissimo e preziosissimo servizio da the del 1800 che non usava mai per paura di rovinarlo, non lo faceva toccare a nessuno neanche alla domestica quando faceva le pulizie! Beccai una punizione di un mese quando da ragazzino le ruppi una tazzina giocando a pallone dentro casa! Mi sentii terribilmente in colpa perché sapevo che non avrei mai potuto rimediare acquistandolo di nuovo, visto che avevano un costo a dir poco proibitivo per un ragazzo della mia età! Perciò usare le stoviglie di Limoges era un modo per farmi perdonare per la bravata di allora. Per il resto mi affidai completamente a Christian che conosceva molto bene i gusti di mia madre, visto che spesso andava nel suo ristorante con Greta.
Continuammo a evitarci ancora, fino al giorno del suo compleanno che ormai aspettavo con impazienza. Quella sera arrivai puntualissimo al ristorante indossando il mio completo grigio preferito! Tutto era pronto, Christian aveva superato se stesso, restai sbalordito dall’eleganza e dalla raffinatezza del nostro tavolo, che era impreziosito da un bouquet di tulipani, i suoi fiori preferiti. In effetti la conosceva proprio bene!
Mancava solo lei. Arrivò facendomi aspettare pochissimi minuti (la puntualità era una cosa che ci accomunava!).
«Robert!». Gli occhi le si riempierono di luce!
«Ciao mamma!».
«Ma cosa ci fai qui?! - Si bloccò per un secondo come se avesse già intuito la risposta alla sua domanda. - Greta! Lo sapevo che c’era qualcosa sotto! Non le sa proprio dire le bugie!».
«Dispiaciuta per lo scambio?».
«No! Tesoro mio!». Disse affettuosa.
«Prego, accomodati!». Le scostai la sedia e si accomodò. Andai dall’altra parte per prendere posto e notai che asciugò velocemente gli occhi. Mi sentii morire, ma nello stesso tempo fui contento. La mia improvvisata l’aveva resa felice. Mi sedetti anch’io e la fissai