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Gocce di vino su fogli bianchi
Gocce di vino su fogli bianchi
Gocce di vino su fogli bianchi
E-book203 pagine2 ore

Gocce di vino su fogli bianchi

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Info su questo ebook

Intrigante e caustica miscellanea in cui trentanove storie, dipanate in testi narrativi e poetici talvolta apparentemente diversissimi tra loro per tematica e genere, si combinano per raccontare un viaggio attraverso la quotidianità.
Le avventure del giovane scrittore Alessio Pisani si incrociano con quelle di improvvisati suicidi, buontemponi, aspiranti poeti e musicisti mancati. Un universo di persone e personaggi che si muovono sul filo della disillusione, dell’amarezza, dell’amore, incapaci di adattarsi alle regole che la convivenza sociale impone o imporrebbe, distratti dai propri demoni, abbarbicati a una bottiglia.
Come gocce di vino su fogli bianchi le loro vicende possono essere lette indifferentemente come un’epifania o come la volontà di vivisezionare emozioni e aspettative: una sorta di test di Rorschach senza errori e senza inganni.
Andrea Calugi si conferma fine indagatore dell’animo umano.
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2020
ISBN9788832927009
Gocce di vino su fogli bianchi

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    Anteprima del libro

    Gocce di vino su fogli bianchi - Andrea Calugi

    2002

    Introduzione

    Ci hanno inculcato l’ingordigia cronica come un chip nascosto nel cervello; ci hanno abituato a esigere, desiderare sempre più, a non goderci la vita in quanto sempre bramosi di qualcosa altrove che non abbiamo; a mangiare l’uovo in culo alla gallina o forse ancora prima; ci fanno vedere le scene migliori dei film prima ancora di andare al cinema e alla fine restiamo delusi perché il meglio l’avevamo già visto nel trailer (e quindi desiderare altro e/o desiderarne altro); ci vendono cellulari che sono già vecchi non appena usciamo dal negozio.

    Ci hanno bruciato le tappe prima ancora di raggiungerle, i desideri prima di esaudirli, le emozioni prima di provarle e forse anche le idee prima di averle.

    Io non voglio anticiparvi niente. Quindi godetevi questo libro per quello che è, perché un senso potrebbe non avercelo. O forse sì. Chissà.

    Andrea Calugi

    Il suicidio è una cosa seria

    Come ogni altra mattina, anche quella non era cominciata bene. Il caffè era finito, la birra era finita. Niente colazione. Giulio aveva trentacinque anni e non aveva ancora trovato un nuovo lavoro. Si domandava cosa cazzo ci facesse al mondo, dal momento che non usciva più con gli amici e non aveva niente per cui lottare. Era incazzato come le altre mattine soltanto che, a differenza delle altre, non aveva la solita voglia di reagire. Sì, quella mattina aveva voglia di piangersi addosso anche lui. Decise di farsi una fetta biscottata con un po’ di marmellata. Gli cadde per terra. Ovviamente dalla parte della marmellata. Urlò qualche bestemmia e lanciò alcuni accidenti a Murphy e a tutti i suoi maledetti paradossi. Andò in bagno e si guardò allo specchio. Anche i capelli non gli volevano stare come lui avrebbe voluto. Decise di tagliarli. Prese il rasoio elettrico e iniziò a far cadere per terra un ciuffo dietro l’altro. Quando ebbe finito si guardò nuovamente. Faceva schifo con i capelli rasati. Si maledisse nuovamente. Non era proprio giornata.

    Decise che era giunto il momento. C’aveva già pensato milioni di volte. Voleva farla finita. Sarebbe andato al ponte, quello fuori città, scelto già da molti altri prima di lui per un simile gesto estremo. Aveva deciso di suicidarsi. D’altronde è normale, ogni persona sana di mente almeno una volta nella vita ha pensato al suicidio. Giulio ci pensava spesso.

    Mise tutto in ordine; non gli andava di far trovare casino nella propria casa quando sarebbero entrati in quelle stanze dopo la sua morte. Ci teneva alla precisione e alla pulizia. Tutti vizi presi da sua madre.

    Al primo bar, prese un paio di birre e s’incamminò verso la sua ultima meta. Decise di andare a piedi, per avere più tempo per riflettere e per poterci ripensare, anche se ne era molto convinto.

    Quando arrivò al ponte si era già scolato una birra. Ne restava un’altra. Decise che quell’ultima birra sarebbe stata il suo ultimo desiderio. Finita quella, si sarebbe buttato. Nessuna birra bevuta in vita sua era mai durata tanto. Ma il dilatarsi del tempo, il prolungare quell’attesa, non gli pesava, non era così angoscioso come aveva immaginato in passato. Anzi, sapendo che da lì a poco l’avrebbe fatta finita, ogni suono e ogni respiro infondevano in lui una grande calma. Non era mai stato così lucido in vita sua. Era un po’ come licenziarsi dal lavoro, quando arrivi una mattina al tuo posto e non ne puoi più di niente, del lavoro, dei colleghi, dello stress, delle urla, dello stipendio che è sufficiente solo per sopravvivere e sei veramente determinato a fare quel passo; ecco lui si stava semplicemente licenziando dalla vita perché non ne poteva più, ne aveva piene le palle di quel nulla, di quelle delusioni e di tutte quelle cose che lui non aveva richiesto, vita compresa.

    Il ponte, trovandosi fuori città, era poco trafficato. Motivo per cui molti lo sceglievano per un tale gesto. Scavalcò il parapetto e scese sulla piccola piazzola di cemento. Si mise a sedere sul bordo, con le gambe nel vuoto. Appoggiò la birra sulla piattaforma e guardò in fondo al cielo. Era una bella giornata d’aprile. Contrastava troppo con il suo stato d’animo, così la convinzione di buttarsi si fortificò ancora di più in lui.

    Salve.

    Si girò di scattò. Vide una ragazza molto giovane. Anche lei aveva scavalcato il parapetto e a piccoli passi si stava avvicinando al bordo della piattaforma vicina a quella di Giulio. Erano distanti circa cinque metri l’uno dall’altro.

    Ciao, rispose Giulio. Cosa ci fai lì? Che domanda stupida pensò subito.

    Sono qui per il tuo stesso motivo, credo…

    Non gli venne niente di meglio da dire di: Già… come ti chiami?

    Giulia, rispose.

    Che coincidenza, io mi chiamo Giulio.

    Deve essere la nostra giornata allora. Accennarono entrambi un piccolo sorriso.

    Vuoi un sorso? chiese Giulio agitando la bottiglia di birra.

    No grazie, rispose lei.

    Hai lasciato scritto un biglietto per qualcuno prima di venire qui?

    Sì, l’ho lasciato sul tavolo della cucina, ben visibile. E tu?

    No, io no. C’ho pensato solo adesso. In ogni caso non avevo niente di particolare da dire a nessuno. Cosa ti ha portata qui? chiese ancora Giulio.

    Un classico: un amore finito male. Anzi, l’ennesimo. Ho sofferto già troppe volte. Ho deciso di farla finita, non riesco più a sopportare il dolore e la delusione. Non so se ti è mai capitato…

    Direi di no.

    E tu come mai hai deciso di farla finita?

    Così. Di preciso non lo so. Diciamo che oggi ho meno voglia di vivere e sono più convinto di altri giorni. Tutto qui.

    Nessun problema di soldi o di famiglia o di salute?

    Non sopporto più nessuno, non ho un lavoro e ho quasi finito i miei risparmi. Ma niente di particolare o di tragico.

    Sembri un tipo noioso. Tanto non ti offendi, vero?

    Può darsi lo sia.

    Non hai paura di farlo? chiese Giulia.

    Pensavo peggio.

    "Che vuol dire pensavo peggio?"

    Me lo immaginavo diverso. M’immaginavo più teso. Forse vuol dire che è proprio quello che voglio, che è il momento giusto per farlo.

    Beato te. Io un po’ di paura ce l’ho.

    Credo sia normale.

    Ma tu non ne hai!

    Forse non sono normale. Forse è la birra che mi aiuta. Bisogna essere molto decisi. Secondo me non ti butterai. Sei una di quelle che fanno tanto rumore per niente. Senza offesa, eh…

    "Non è facile fare quell’ultimo passo," disse Giulia marcando bene le parole.

    Se ci pensi bene è un passo come tutti gli altri. Siamo noi che lo rendiamo pesante o speciale.

    Le pause e i loro silenzi tra un discorso e l’altro erano profondi, interminabili. Insostenibili. A Giulia dava fastidio quella sicurezza palesata del compagno di sventura, di destino. A Giulio dava fastidio lei, punto. Se l’era immaginato diverso quel momento; più tranquillo, solitario, privato, personale. Non avrebbe mai pensato di trovarci qualcun altro.

    Allora non ti butti? domandò Giulia.

    Finisco la birra e lo faccio. È il mio ultimo desiderio.

    Io non ho avuto ultimi desideri.

    Beh, hai scritto il biglietto. È stato quello il tuo ultimo desiderio. Io, invece, mi sono ricordato di portare le birre.

    Mi pare di capire che ti piace alzare il gomito.

    Ognuno ha i suoi punti deboli: c’è chi il suo punto debole è un’altra persona e chi come per me è l’alcol.

    Non sarai per caso un pazzo alcolizzato?

    Può darsi.

    Ma non sai dire altro?

    Non ho molte certezze.

    Chi va per primo?

    Io non ho fretta, rispose Giulio, me la prendo comoda. In ogni caso per cavalleria, ti dovrei far passare avanti.

    Fecero entrambi una piccola risata. Si vedeva benissimo la differenza tra i due stati d’animo: lei agitata, convinta sul principio del gesto ma non pienamente decisa nel farlo; lui tranquillo, indifferente all’atto di buttarsi. A tutto.

    Si girò verso Giulia. Anche da quella distanza riusciva a vedere il luccichio chiaro e accecante delle sue lacrime scendere sul viso. Ogni tanto tirava su con il naso, cercando di non farsi sentire. È incredibile, c’è più dolore in una vita di quanta acqua possano raccogliere tutti gli oceani, deve avere un bel casino dentro quella lì, pensò Giulio. Anche lei si girò un paio di volte a osservarlo. Le faceva rabbia quella sicurezza, quell’aria da superiore, da esperto. Come se uno potesse essere esperto di suicidi andati a buon fine.

    Senza dire niente, con la rabbia in faccia di chi è convinta, Giulia si alzò e disse: Addio!

    Giulio non rispose. Si limitò a guardarla, a osservare ogni suo gesto.

    Fece un paio di passi indietro e si fermò. Sembrava che qualcosa la trattenesse.

    Lo vedi, non sei capace di farlo. Torna a casa, è meglio. Morto un amore se ne fa un altro.

    Giulia allora si girò e guardò Giulio con un ghigno spaventoso. Sembrava avesse deciso di non buttarsi per andare a prendere a cazzotti il proprio compagno di suicidio.

    Fece tre passi veloci e aprì le braccia come per decollare. Ma purtroppo non ci riuscì.

    Si buttò. La vide sparire. Non la seguì con lo sguardo. Non urlò. Il tuffo, per colpa di quel silenzio, sembrò interminabile, infinito. Pensò che potesse aver preso il volo. Sentì un tonfo secco. Capì che era atterrata. Si affacciò e vide una piccola macchia nera immobile contornata da un grande alone rosso. Gli aveva sempre fatto un brutto effetto la visione del sangue.

    Aveva appena finito la sua ultima birra. Guardò nuovamente in basso.

    Aveva voglia di un’altra birra. Si era ripromesso più volte di smettere di bere tutte quelle birre perché lo avrebbero ucciso un giorno.

    Finalmente si decise, fece un bel respiro e lasciò delicatamente che la bottiglia vuota scivolasse tra le sue mani. Cadde laggiù in basso, vicino al corpo di Giulia. Decise che per quel giorno, da quel ponte, non avrebbe gettato altro. Aveva ancora sete. Per una volta, la birra, gli aveva salvato la vita.

    Si girò, scavalcò nuovamente il parapetto e si pulì i vestiti battendosi con le mani. Sì, aveva decisamente bisogno di una birra.

    Prima di allontanarsi, si fermò un attimo a ricordare un’ultima volta Giulia.

    Beh, in fondo le sta bene, sono contento. Mi ha dato pure del noioso.

    Sprechi

    Alessio Pisani era uno scrittore non molto famoso, ma con quelle quattro righe che scriveva ogni anno (così descriveva il proprio lavoro), riusciva a vivere e a mantenere molti dei suoi vizi. Era un venerdì sera e Sara, la sua compagna, aveva deciso per entrambi cosa fare. A dire la verità capitava spesso che fosse lei a scegliere. Aveva deciso che avrebbero assistito a una conferenza e a una lettura pubblica dell’ultima opera di Giovanni Amore. Non era il venerdì ideale per Alessio. Conosceva l’individuo in questione e non lo apprezzava minimamente.

    Con quel cognome da frocio poi, commentava continuamente.

    Avrebbe voluto portare la sua donna a cena fuori, bere una bottiglia di buon vino, andare in qualche locale, ubriacandosi con lei e di lei, per poi ritornare in camera e concludere degnamente la serata con l’amore sfrenato e animale sotto le lenzuola.

    Sei proprio sicura di voler andare? chiese Alessio, ancora fiducioso di poter evitare quella tortura.

    Sì. Vedrai, ti piacerà.

    Alessio odiava gli altri, specialmente quando questi cercavano di interpretare i suoi gusti o si sostituivano a lui nelle scelte che lo riguardavano o cercavano di convincerlo che si sbagliava sulle proprie opinioni. E poi lo conosceva già quello stupido di un mezzo poeta; ma sapeva che proprio per quella sua innata e smisurata stupidità, era amato e osannato dalle donne.

    Non credo mi piacerà.

    Ricordi? Abbiamo deciso che proponiamo una cosa per uno da fare. Io ho deciso di andare alla conferenza, tu decidi cosa faremo dopo.

    Lo sai che odio questi compromessi. Sono ricatti.

    Sara sorrise, interpretando quella frase come una battuta. Non lo era, ma ogni volta che la vedeva sorridere, Alessio le perdonava tutto. O quasi.

    Sei pronto?

    Per certe cose non lo sono mai.

    Sara sorrise di nuovo.

    Il viaggio in macchina era durato poco. Alessio avrebbe voluto durasse in eterno. Capita quando la destinazione è scomoda.

    All’ingresso della biblioteca, c’era la locandina con la faccia di Giovanni Amore. In basso c’era una scritta: Domande Notturne. Era il titolo della sua ultima opera.

    Com’è serio e ipnotico, affermò Sara.

    A me sembra una faccia di merda come tante altre.

    Non cominciare a brontolare. Sai qual è il suo soprannome?

    No.

    Il Mago della sintesi, per il suo modo di scrivere.

    "Secondo me era più appropriato Pipino il breve ."

    Sempre il solito idiota superficiale.

    Probabilmente ce l’ha piccolo per davvero.

    Sai pensare soltanto a quelle cose e basta.

    E a te. Ma adesso vado al bar a prendere una birra.

    Ma sta per iniziare!

    Sarò velocissimo.

    Non fare il cretino come l’ultima volta che te ne sei andato e mi hai lasciata da sola.

    Confesso che la tentazione è grande. Gli sferrò un pugno nello stomaco. Decise che sarebbe tornato.

    Alessio si girò intorno e vide sul lato opposto della piazza un piccolo bar. Sara rimase ad aspettarlo all’ingresso della biblioteca. Entrò e ordinò due Tennent’s. A Sara aveva detto una birra, ma sapeva che una non sarebbe bastata per sopportare quella serata. Si fece aprire entrambe le bottiglie; una la infilò nella tasca interna della giacca e l’altra in mano. Uscì dal bar e si diresse verso Sara.

    Non riuscivi proprio a farne a meno?

    No per dio! Sono l’unico sano a questo reading; come faccio a sopportarvi tutti altrimenti?

    Sara gli rifilò una gomitata sul fianco (mettendo a rischio l’incolumità della bottiglia di birra nascosta nel taschino), scosse la testa in segno di rassegnazione ed entrarono. All’ingresso c’era la possibilità di acquistare l’ultima opera di Giovanni Amore. Lo vorrà comprare certamente, pensò Alessio. Senza dire niente, Sara si avvicinò veloce e furtiva al banchetto e comprò il libro. Si girò e lo guardò entusiasta. Alessio si avvicinò a lei e le prese di mano il volume. Fece il gesto come per buttarlo nel cestino.

    Smettila di fare lo stupido! gridò Sara.

    Alcune donne si girarono e guardarono malamente Alessio.

    Quindici euro per questo schifo?

    Quindici euro di poesie.

    Quindici euro di carta da culo.

    Gli diede un pizzicotto sul fianco e lo trascinò nella stanza accanto.

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