Il silenzio della belladonna
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Anteprima del libro
Il silenzio della belladonna - Marta Aponte Alsina
Il silenzio della belladonna
di
Marta Aponte Alsina
a cura di
Marta Graziani
con la revisione di
Francesca Monno
illustrazione originale in copertina di
Simona Breccia
***
Dragomanni
Il silenzio della belladonna
di
di Marta Aponte Alsina
a cura di
Marta Graziani
Revisione di
Francesca Monno
Illustrazione di copertina
Simona Breccia (opera originale)
Rosanna Stefanelli (elaborazione grafica)
Fotografie
Capitoli 1, 2, 4, 9 e 11 (prima) © Marta Aponte Alsina
Capitoli 3, 5 e 7 © Frank Vélez Quiñones
Capitolo 8: Primero pasarás sobre mi cadáver (1893), olio di Ramón Casas. © Colección Museu Nacional d’Art de Catalunya (Barcelona). Fotografi: Calveras/Mérida/Sagristà
Capitolo 11 (ultima): Nen pompeià (1879), olio di Arcadi Mas y Fondevila. © Colección Museu Nacional d’Art de Catalunya (Barcelona). Fotografi: Calveras/Mérida/Sagristà
Prima edizione: marzo 2016
ISBN: 9788892560802
Titolo originale: Sobre mi cadáver
Prima edizione dell’originale: La Secta de los Perros, Puerto Rico, 2012
Per l’opera originale: Copyright © Marta Aponte Alsina
Per la traduzione e l’edizione italiana: Copyright © Marta Graziani
Per l’illustrazione originale in copertina: Copyright © Simona Breccia
Edizione a cura dei Dragomanni (http://www.dragomanni.it)
Logo dei Dragomanni di Claudio Fiorini – Makelab
Realizzazione e-book di Valentina Volpi
Introduzione *
Marta Aponte Alsina
Questo romanzo viaggia nella tua lingua. Porta con sé paesaggi di un paese nel sud di Portorico e delle montagne che lo circondano. Porta anche i misteri di una famiglia rispettabile. L’intervento di uno strano detective svela l’origine dell’enigma.
Si pensa ai Caraibi per le spiagge, aperte dall’epoca precolombiana, assediate dai pirati, sfruttate da investitori e sognate da turisti nostalgici in cerca di sole. Tuttavia, le isole caraibiche presentano zone montagnose dove, in passato, ricche famiglie innalzavano le proprie case di villeggiatura e poveri contadini edificavano le loro fragili abitazioni. In quelle oscure dimore di campagna, con vista sul mare distante, il sole non rischiara ogni angolo.
A te la storia di una di queste case, e di una famiglia. Siccome «tutte le famiglie si assomigliano, a parte quelle infelici», come dice Tolstoj, la trama è servita: sull’ombroso paesaggio di quelle cime si innalza una casa di campagna – «l’architettura invertita di una casa» – che ha visto infaticabili possidenti di un tempo trasformarsi in dilettanti, collezionisti di cavalli, privilegi, vizi, e lasciarsi dietro una leggenda nera sussurrata da ogni angolo.
La casa della narrativa ha un milione di finestre, come dice Henry James. E ognuna rappresenta lo sguardo di un’autrice, di un autore. Allo stesso modo, dietro la finestra, nei suoi spazi più intimi, la casa è espressione di un universo abitato da universi ancora più piccoli: oggetti utili, oggetti inutili, opere d’arte, libri, cadaveri, persone, animali di specie diverse.
La casa del Silenzio della belladonna nasconde un segreto. Per il detective, svelare quel segreto equivale a esplorare un continente. Le dimensioni della casa non importano, e neppure la piccolezza dell’isola su cui l’hanno costruita. L’isola è un paese piccolo, ma pieno di cose che si offrono allo sguardo con vertiginosa profusione.
Per la sua atmosfera, questo romanzo è affine al genere gotico tropicale; in particolare al gotico caraibico, con sfumature che provengono dall’esperienza di quelle isole che sono state controllate e allo stesso tempo emarginate dalla Storia. Il silenzio della belladonna è il mio particolare omaggio ai classici della suspense, di cinema e letteratura, dediti alle patologie segrete di una famiglia bene
.
-1-
Mi avvicinai a grandi passi lungo il marciapiede spaccato senza che se ne accorgesse. Tirai su la chiusura, aprii il cancelletto di ferro e scesi qualche scalino con passo pesante. La corazza mentale che lo protegge cedette di colpo. Con l’aria di chi ha visto il diavolo, Gabriel lasciò cadere il giornale.
«Te ne stai a leggere necrologi alla tua età, giovanotto?» gli dissi. Cercai di ignorare il calcio della Glock.
«Willy? Quanto tempo. Ti presenti così, senza avvisare. Perché non mi hai chiamato?»
«L’ho fatto, ma il telefono...»
«Giusto – sorriso, denti bianchi – Mi sono dimenticato di pagare.»
Il giardino di Gabriel Marte è un fazzoletto di cemento, tranne che per un residuo di sabbia soffocata dalle radici di una pianta: un Albero di fuoco non troppo alto e dalla chioma esuberante. Fra ritocchi e dislivelli qualcuno ha sistemato ad arte fra quelle radici un tavolo rotondo e un paio di sedie. Gabriel ne pulì una battendoci sopra la mano e mi invitò a sedermi. Accettai la birra, avevo voglia di bere. Alle undici del mattino la polvere ricopriva le pareti della casetta, ma risplendevano le piastrelle del balcone, file di rombi in tre toni di grigio. Quando Gabriel tornò con quattro lattine ghiacciate notai che era dimagrito. Portava degli occhiali da poco, da vecchietto depresso, che stridevano con i muscoli delle braccia, le gambe lunghe e le mani grandi. Le ciabatte di gomma lasciavano scoperte dita dritte e senza imperfezioni. La pistola non gli gonfiava più la tasca.
«Come detective sei più bravo di me, doc. Come mi hai trovato senza telefono?»
«Ho chiesto in giro. Casetta graziosa.»
Mi pentii immediatamente di quelle parole. Lui non batté ciglio.
«Era di Lisa. La sua eredità, quello che mi rimane di lei. Minuscola, ma per me è anche troppo. Non ho animali. Lucertole e ragni, quelli sì. E topi. Lo zio di Lisa li ammazzava con un fucile a piombini.»
La voce calma, si grattava la testa e guardava