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Guida alla Romagna di Secondo Casadei
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E-book126 pagine1 ora

Guida alla Romagna di Secondo Casadei

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Info su questo ebook

In principio era Zaclen. Col suo poderoso violino inventò la musica popolare romagnola. Poi venne Secondo Casadei. Musicista, compositore, capo-orchestra, impresario portò a compimento l'opera di Zaclen. Stabilì una tradizione. E la diffuse in Italia e nel mondo. Romagna mia, la sua canzone più famosa, rappresenta il perfetto connubio tra un uomo e la sua terra. La Romagna appunto. Un “pianeta” un po' vero e un po' inventato dai suoi abitanti. Consacrato all religione dell'ospitalità e della politica.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2014
ISBN9788874722419
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    Anteprima del libro

    Guida alla Romagna di Secondo Casadei - Gianfranco Miro Gori

    Ghirardelli

    Da rimpiangere c’è poco, però…

    Per fortuna siamo diversi. Anzi, in passato lo eravamo molto di più: una volta c’era il popolo, ed ogni regione italiana era contraddistinta e caratterizzata da modi di vivere peculiari, che facevano leva soprattutto sul patrimonio umano di quella classe che potremmo chiamare – se non fossimo pieni di imbarazzo politico – proletariato. Oggi grazie al cielo (e al lavoro degli uomini) abbiamo tutti un piede nel benessere, viviamo certamente meglio. C’è poco da rimpiangere. I tempi della miseria e del lavoro duro, e manuale, li abbiamo lasciati provvidenzialmente alle spalle. Eppure, a volte – non dite di no – ci soffermiamo a ricordare e a rivivere con un certo struggimento le espressioni più calde della vita popolare di un tempo. Può bastare veder riapparire in televisione la mimica di Totò, o entrare in un bar di periferia mentre un gruppetto di avventori surriscaldati commenta in dialetto la tradizionale partitella a carte… È come se avvertissimo una vampata di affetto e nostalgia, e fossimo avvolti improvvisamente da un calore rilassante: è un mondo che aveva degli aspetti coinvolgenti. C’era una vita più spontanea e sincera, che sgorgava come acqua limpida da quelle esistenze intrecciate fra loro molto di più di quanto capiti alle persone oggi.

    Era bello il popolo di Romagna, come quello napoletano o toscano (tanto per citare quelli più illustri). Attenzione, però, non tutto è finito. Anche se stiamo cambiando, trasformandoci rapidamente in qualcosa che nessuno sa bene come definire, rimane tra di noi la ricchezza umana di quel mondo più schietto e più cordiale. Basta saperlo vedere o andarlo a cercare. In fondo è proprio questo l’obiettivo della presente guida.

    Vorrei, però, chiarire subito quel problema di fondo, che un po’ ci angustia: se io dico o scrivo popolo di Romagna, voi – siate sinceri – pensate subito al personaggio Mussolini, alla sua demagogia, alla sua retorica, ma soprattutto alle sue origini romagnole. A voler essere onesti bisogna ammettere che anche lui è figlio di questa terra, in tutti i sensi. Ne ha assimilato, però, lasciatemelo dire, più i vizi che le virtù. La strada che lui ha tracciato e sulla quale ha condotto, con la forza, il popolo italiano si è rivelata massimamente nefasta. In Romagna, il popolo aveva intravisto un’altra via, un’altra soluzione, per risolvere i propri problemi.

    E nel corso dello scorso secolo, durante quel ’900 pieno di vicende drammatiche, riuscì a trovare una propria via d’uscita, superando le dure condizioni di vita alle quali era sempre stato soggetto. Non ci fu bisogno di rivoluzioni; il popolo romagnolo aveva dentro di sé quelle capacità necessarie ad approdare ad una vita migliore. Estroverso e cordiale, laborioso e coraggioso, si buttò a capofitto nella mischia delle attività economiche; e, senza capitali, sfruttò il vento favorevole: costruì dal nulla piccoli alberghi, chioschi e trattorie, cooperative e officine dalle dimensioni ridotte, negozi e locali da ballo… Senza paura del mondo, i romagnoli andarono incontro agli altri con il sorriso sulle labbra. Fu un successo a tutti i livelli, e in pochi anni la Romagna debellò la miseria. E c’è un personaggio, tra quelli famosi in questa regione, che interpreta alla perfezione questo cammino verso l’emancipazione. Non si tratta né di Giovanni Pascoli, né di Federico Fellini, né di altri illustri romagnoli, che di strada ne hanno fatta tanta ma che non affondano le proprie origine nel proletariato, povero e campagnolo, della Romagna d’un tempo. Quest’uomo è Secondo Casadei, nato a Sant’Angelo di Gatteo, figlio di un sarto di campagna, che di casa colonica in casa colonica, andava a cucire vestiti per le famiglie contadine; un ragazzino con l’argento vivo addosso, che si ribellò a modo suo a quella vita senza respiro e senza scuola; incominciò con tanto entusiasmo a suonare, con tanta tenacia a frequentare lezioni di musica, ad allietare le serate nelle più sperdute balere; a soli 22 anni, nel 1928, riuscirà a costituire la sua prima orchestrina. Inizia, così, la sua irresistibile ascesa, come compositore di famose canzoni, anche in dialetto, e come imprenditore musicale. Costruisce per sé, e per tanti altri, una fortuna economica e un lavoro gratificante. Ha interpretato, meglio di chiunque altro, la voglia di vivere e di ballare dei romagnoli. Ma, soprattutto, ha scritto la colonna sonora di un’epopea popolare, vittoriosa, che lo vedeva protagonista a fianco degli altri romagnoli come lui, spalla a spalla. E insieme ce l’hanno fatta.

    1927. Quartetto Casadei. Agli albori del turismo nella piccola località di Gatteo Mare. La musica popolare romagnola conquista uno spazio nei luoghi della vacanza. Come aveva fatto a suo tempo Zaclèn aprendo il capannone Brighi a Bellaria, Secondo Casadei porta la sua musica, oltre che nei tradizionali luoghi dell’interno, le aie e i cosiddetti cambaréun (alla lettera cameroni), anche sulla riviera.

    A loro vorrei dedicare questa guida, scritta da Miro Gori, un romagnolo d’oggi, un esperto della nostra storia; tra l’altro favorito dalle sue origini; ci tiene, Miro, a ricordare che è nato a San Mauro Pascoli e che la sua casa aveva due porte: una dava sulla piazza del paese e l’altra, nel retro, sulla campagna del Rio Salto, mezzadri, poderi, pioppi…

    Buona lettura!

    Giovannino Montanari

    Montanari Tour - Rimini

    Il lungo viaggio di una casetta

    A proposito di Romagna mia

    È il 1954. E in Italia, qua e là, cominciano a manifestarsi i segnali del boom economico imminente. La televisione inizia a trasmettere programmi regolari: quei programmi che cambieranno, in pochi anni, lo stile di vita degli italiani. Nelle strade imperversano ormai gli scooter. Nelle case compaiono i primi elettrodomestici. Di lì a poco la FIAT lancerà la 600; e lo Stato il piano di costruzione delle autostrade che trasformerà il paesaggio nazionale. Nell’Italia del nord una rivoluzione è prossima: il passaggio, in breve tempo, dall’agricoltura all’industria.

    Secondo Casadei, figlio del popolo e genuino cantore della Romagna contadina e preindustriale, ha quarantotto anni. Interprete sommo, per tutti gli anni trenta, della musica romagnola, non riscuote più il successo di una volta. Adesso, forse, teme di non riuscire a dare risposte musicali adeguate ai tempi che cambiano. Intravede, forse, il viale del tramonto come recita il titolo di quel famoso film che aveva inaugurato il decennio. Ma la resurrezione è proprio là dove lui non s’aspetta.

    È in un giorno, non precisato, di quel 1954 che Secondo Casadei va a casa di suo cognato Emilio per fargli ascoltare un pezzo. E subito dopo un altro. Aveva l’abitudine di consultare gli amici, prima di decidere cosa incidere o eseguire. Emilio, senza esitare, gli dice che preferisce il secondo. Lui gli dà ragione. Sceglie il brano che al cognato pareva più bello. Si trattava di Romagna mia.

    Più di una volta, in seguito, Secondo Casadei ripeté ai suoi orchestrali che era stato suo cognato a sostenere che era migliore questa canzone. A lui piaceva di più quell’altra.

    Così, a detta del cognato di Casadei, marito di sua sorella Angela o più affettuosamente Angelina, nacque quella famosa e fortunata canzone. Canzone? una parola modesta che non ne restituisce appieno il valore musicale e sociale.

    Diversa. Più dettagliata, narrativa e suggestiva, la versione del nipote Raoul. Confermata dalla figlia Riccarda. «Fu una canzone – racconta Raoul – che scrisse interamente lui, melodia e parole, senza collaboratori. Doveva entrare in sala d’incisione per fare un disco. Ma invece dei tradizionali dodici brani richiesti, ne aveva portato un altro di scorta, che aveva lì da qualche anno e si chiamava Casetta mia; lo aveva dedicato alla sua casa di Gatteo Mare. Un brano che teneva in panchina perché non ci credeva molto. Guarda i casi della vita! Quella volta va a ammalarsi un elemento dell’orchestra che doveva sostenere l’assolo in un brano da incidere, e allora mio zio dovette tirar fuori Casetta mia. Il maestro Dino Olivieri – quello di Tornerai – che era un dirigente della casa discografica, La voce del padrone di Milano, gli dice: ‘Casadei, perché Casetta mia? Lei è un romagnolo purosangue, la chiami Romagna mia’. Mio zio rimase folgorato: cambiò lì per lì qualche parola, in sala d’incisione, e nacque il pezzo».

    Pezzo. Canzone. Inno. Potrà sembrare pomposo e vagamente – neanche tanto – retorico: la retorica, si sa, è una componente non secondaria del (presunto) carattere romagnolo. Eppure sono in molti, qui e altrove, a considerarlo tale.

    Nell’ottocento – secondo la testimonianza di un autorevole letterato, Alfredo Panzini, romagnolo d’elezione se non di nascita – i romagnoli, quelli ch’erano capaci di leggere (e non erano tanti), avevano un libro prediletto: I miserabili di Victor Hugo. Che toccava i loro cuori. Li riempiva di passione. Nel novecento,

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