La canzone romana
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Si sa, le canzoni sono da sempre lo specchio di un luogo e di un tempo: rappresentano i sentimenti più profondi delle città in cui sono nate e raccontano segreti e contraddizioni dei periodi in cui si sono diffuse. E naturalmente Roma e il suo patrimonio musicale tradizionale non fanno eccezione. Elena Bonelli, “La Voce di Roma”, che ha dedicato la vita a far conoscere la canzone romana al mondo, ci conduce lungo un itinerario fatto di artisti e canzoni, raccontandoci la grande storia di Roma Capitale da un punto di vista inedito e coinvolgente. Da brani straordinari, come Le streghe, Tanto pe’ cantà e Valzer della Toppa, a figure artistiche di rilievo assoluto, come Ettore Petrolini, Anna Magnani e Pier Paolo Pasolini, fino ad Achille Lauro e i nuovi volti della musica romana contemporanea, questo libro è un’inestimabile raccolta di tesori, che saprà fare la felicità di tutti gli appassionati.
150 anni di musica romana, alla scoperta degli artisti e delle canzoni più importanti della capitale
Tra gli argomenti trattati:
1891: l’anno di nascita della canzone romana
Le canzoni romane del XX secolo
Le streghe di Calzelli e Ilari (1891)
Tanto pe’ cantà di Petrolini e Simeoni (1932)
Quanto sei bella Roma di Bizio e Bonagura (1934)
Roma in musica nel secondo dopoguerra
Arrivederci roma di Rascel, Garinei, Giovannini (1954)
Il valzer della toppa di Umiliani e Pasolini (1960)
La società dei magnaccioni di compositore e autore ignoto (1962)
Roma nun fa’ la stupida stasera di Trovajoli, Garinei, Giovannini (1962)
L’epoca dei cantautori
Roma capoccia di Venditti (1963)
Porta portese di Baglioni e Coggio (1972)
Via Margutta di Barbarossa (1986)
Nuova scuola romana
Il cielo su Roma dei Colle der fomento (1999)
Per le strade di Roma di De Gregori (2006)
Poesia per Roma di Ultimo (2019)
La bella donna di Nava e Bonelli (2008)
Elena Bonelli
Conosciuta anche come “La Voce di Roma”, è un’artista di caratura internazionale che, con il suo progetto “Roma nel mondo”, ha portato la tradizione canora romana nei più importanti teatri: dal Carnegie Hall di New York al Lincoln Theatre di Miami, dal Teatro dell’Opera di Roma ai teatri dell’opera del mondo. Per il suo straordinario successo, è stata più volte chiamata a rappresentare l’Italia in manifestazioni internazionali.
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Anteprima del libro
La canzone romana - Elena Bonelli
780
Prima edizione ebook: ottobre 2021
© 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-6034-0
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica a cura di Punto a Capo, Roma
Elena Bonelli
La canzone romana
La storia insolita e straordinaria
della tradizione musicale di Roma
Da Balzani a Baglioni,
da Venditti a Ultimo
marchio-front.tifNewton Compton editori
Stendhal
Indice
Prefazione
PRIMA PARTE. LA NASCITA DELLA CANZONE ROMANA
La canzone popolare a Roma
1891: l’anno di nascita della canzone romana
SECONDA PARTE. 150 ANNI DI CANZONI ROMANE
Le canzoni romane del xx secolo
Le streghe (1891). Musica di Alipio Calzelli, testo di Nino Ilari
Affaccete Nunziata (1893). Musica di Antonio Guida, testo di Nino Ilari
Occhietti bbelli (1894). Musica di Luigi Angelo Luzzi, testo di Ugo Persichetti
Nina si voi dormite (1901). Musica di Amerigo Marino, testo di Romolo Leonardi
L’eco der core (1926). Musica di Romolo Balzani, testo di Oberdan Petrini
Barcarolo romano (1926). Musica di Romolo Balzani, testo di Pio Pizzicaria
’Na gita a li Castelli (1926). Musica e testo di Franco Silvestri
Tanto pe’ cantà (1932). musica di Ettore Petrolini, testo di Alberto Simeoni
Quanto sei bella Roma (Canta se la voi cantà) (1934). Musica di Cesare Andrea Bixio e Ferrante De Torres, testo di Enzo Bonagura
Chitarra romana (1935). Musica di Eldo Di Lazzaro, testo di Bruno Cherubini
Com’è bello fa’ l’amore quanno è sera (1935). Musica di Ennio Neri e Gino Simi, testo di Luciano Luigi Martelli ed Ennio Neri
Roma in musica nel secondo dopoguerra
Vecchia Roma (1947). Musica di Mario Ruccione, testo di Luciano Luigi Martelli
Roma forestiera (1947). Musica di Luigi Granozio, testo di Armando Libianchi
Arrivederci Roma (1954). Musica di Renato Rascel, testo di Pietro Garinei e Sandro Giovannini
Sinnò me moro (1959). Musica di Carlo Rustichelli, testo di Pietro Germi e Alfredo Giannetti
Le mantellate (1959). Musica di Fiorenzo Carpi, testo di Giorgio Strehler
Il valzer della toppa (1960). Musica di Piero Umiliani, testo di Pier Paolo Pasolini
La società dei magnaccioni (1962). Musica e testo di autore ignoto
Ciumachella de Trastevere (1962). Musica di Armando Trovajoli, testo di Pietro Garinei e Sandro Giovannini
Roma nun fa’ la stupida stasera (1962). Musica di Armando Trovajoli, testo di Pietro Garinei e Sandro Giovannini
L’epoca dei cantautori
Sora Rosa (1963). Musica e testo di Antonello Venditti
Roma capoccia (1963). Musica e testo di Antonello Venditti
Lella (1970). Musica e testo di Edoardo De Angelis e Stelio Gicca Palli
Semo gente de borgata (1972). Musica di Marco Piacente, testo di Franco Califano
Porta Portese (1972). Musica e testo di Claudio Baglioni e Antonio Coggio
Nun je da’ retta Roma (1973). Musica di Armando Trovajoli, testo di Luigi Magni
Fijo mio (1973). Musica di Amedeo Minghi, testo di Franco Califano
E va’ e va’ (1981). Musica di Claudio Mattone, testo di Franco Migliacci
Roma spogliata (1981). Musica e testo di Luca Barbarossa
Giulio Cesare (1986). Musica e testo di Antonello Venditti
Colosseo (1986). Musica di Roberto Conrado e Renato Zero, testo di Renato Zero
Via Margutta (1986). Musica e testo di Luca Barbarossa
La nevicata del ’56 (1990). Musica di Luigi Lopez, testo di Franco Califano e Carla Vistarini
Ho fatto un sogno (1997). Musica di Ennio Morricone, testo di Sergio Bardotti e Antonello Venditti
Nuova scuola romana
Il cielo su Roma (1999). Musica e testo dei Colle der Fomento
Per le strade di Roma (2006). Musica e testo di Francesco De Gregori
Me so’ mbriacato (2009). Musica e testo di Mannarino
Roma (2010). Musica di Danilo Madonia e Renato Zero, testo di Renato Zero
Il lago che combatte (2014). Musica de Il Muro del Canto, testo de Il Muro del Canto e degli Assalti Frontali
Passame er sale (2018). Musica e testo di Luca Barbarossa
Roma è de tutti (2018). Musica e testo di Luca Barbarossa
Poesia per Roma (2019). Musica e testo di Ultimo
TERZA PARTE. ROMA, IO TI RACCONTO E CANTO
Roma, io ti racconto e ti canto
La vita è vita (2006). Musica di Pippo Caruso, testo di Sergio Bardotti ed Elena Bonelli
La bella donna (2008). Musica di Mariella Nava, testo di Elena Bonelli
Fiori d’inverno (2018). Musica dei Lontano Da Qui, testo di Elena Bonelli
In conclusione
Prefazione
Perché è nato questo libro? Non mi considero né una scrittrice, né tanto meno una storica, ma amo le canzoni romane da tutta la vita e potete credermi quando vi dico che lavoro tutti i giorni per fare sì che vengano ascoltate dal maggior numero possibile di persone. E poi amo la mia città con tutta me stessa, così come amo la sua storia e i suoi protagonisti.
Si sa, le canzoni sono da sempre lo specchio di un luogo e di un tempo: rappresentano i sentimenti più profondi delle città in cui sono nate, raccontano segreti e contraddizioni dei periodi in cui si sono diffuse. Questo libro è un viaggio musicale nei centocinquant’anni di storia di Roma Capitale, le canzoni tradizionali rivelano i tratti di società ed epoche diverse. Dal punto di vista storico, il 1871 è l’anno che ha cambiato per sempre le sorti politiche e sociali degli italiani: Roma diventava capitale del nostro Paese, confermando di essere il fulcro artistico culturale di tutta la nazione. Soltanto vent’anni dopo, all’interno dell’area di San Giovanni in Laterano e nell’ambito di una grande festa popolare con un passato centenario, nasceva il primo festival dedicato alla canzone romana. Un genere musicale che, lo scopriremo insieme, ha attraversato la storia di Roma e dell’Italia.
Ecco, scrivere un libro dedicato alle canzoni romane più amate di sempre significa innanzitutto volare dentro tante epoche diverse. Significa incontrare centinaia di artisti e di personaggi semplicemente eccezionali, ma, soprattutto, significa attraversare tutti i cambiamenti vissuti dalla capitale, e, per certi versi, dal paese intero, nel corso degli ultimi centocinquant’anni.
D’altronde non è certo un caso se la canzone romana è nata quasi nello stesso momento in cui Roma diventava capitale d’Italia. Da un certo punto di vista, è come se il destino della Città Eterna sia andato di pari passo con quello della sua arte.
Spero che leggere le storie che si nascondono dietro le canzoni vi permetterà di compiere una specie di viaggio nel tempo: spero che le mamme, i papà e i nonni ricorderanno momenti preziosi del loro passato; che i più giovani scopriranno un mondo sconosciuto, fatto di usi, costumi e addirittura parole che, purtroppo, oggi rischiano di venire dimenticate. Insomma, spero con tutto il cuore che la musica di Roma riuscirà ancora una volta ad avvicinare le generazioni: a riunire in un grande abbraccio tutti coloro che si sentono, comprensibilmente, innamorati della nostra meravigliosa città.
Perché, diciamocelo, vivere a Roma è una grande fortuna. Io sono nata praticamente all’ombra del Cupolone, a pochi passi da San Pietro: luoghi iconici, che per secoli hanno rappresentato quasi il centro del mondo. Certo, la bellezza di Roma non è soltanto nei suoi monumenti più rappresentativi: si nasconde anche nelle vie meno battute, nei palazzi periferici, nelle piazze… E poi nei tanti punti panoramici distribuiti sui nostri famosi sette colli, che ti permettono di vedere sia il mare che la montagna, facendoti sentire il Dio dell’universo. Roma è semplicemente magica, così com’è magica la sua gente ed è magico addirittura il suo clima, con quel ponentino che, quasi tutti i giorni, a una certa ora scopre il cielo, regalandoci dei tramonti indimenticabili.
In questo senso Roma è davvero una regina: una donna meravigliosa, attraente, piena di storia e di tesori che non vedono l’ora di essere scoperti. Una città che meriterebbe molto più amore e che spesso viene vituperata in maniera eccessiva. Poi, a onor del vero, a volte Roma ci mette del suo e le critiche se le merita eccome: da questo punto di vista è, ancora una volta, una donna splendida, che però ogni tanto va in giro con le calze strappate, il tacco delle scarpe che dondola e la borsetta logorata. A volte è trasandata, ma poi, se te la trovi davanti e la guardi con attenzione, non puoi fare a meno di dirle: «Quanto sei bella!».
Ecco, si potrebbe dire che Roma, la sua bellezza e le sue canzoni sono la mia mission da ormai quasi vent’anni. È infatti dal 2002 che porto la canzone romana sui più importanti palchi internazionali grazie a Roma Nel Mondo: una produzione che ho voluto io stessa per donare nuovo lustro alla nostra tradizione musicale e che si è legata a professionisti enormi quali Carlo Lizzani, Sergio Bardotti e il maestro Pippo Caruso. Nel corso della mia carriera ho cantato i capolavori della capitale in Giappone, in Turchia, negli Stati Uniti, in Georgia, in Angola e in tantissimi altri paesi. Sono orgogliosa di avere fatto risuonare per la prima volta le canzoni di Roma fuori dai suoi confini, portandola in teatri e location di assoluto prestigio come la Carnegie Hall di New York, il Cankarjev Dom di Lubiana o il nostro splendido Auditorium Parco della Musica. Inoltre devo dire che proprio grazie a queste esperienze ho scoperto con grande piacere che la nostra musica viene davvero apprezzata e applaudita in tutto il mondo: insomma, ho scoperto che la canzone romana può avere lo stesso identico successo che caratterizza quella napoletana. Tutto sta nel riuscire a valorizzarla e raccontarla con la giusta passione.
Per il resto la voglia di raccontare Roma è sempre andata e andrà sempre di pari passo con la voglia di dare un contributo reale, in modo che la canzone romana arrivi anche a chi non ne sa nulla e che le nostre tradizioni continuino a crescere nel futuro. Il progetto Dallo Stornello al Rap è figlio proprio della volontà di costruire una casa in cui fare crescere i migliori artisti romani di domani. Dallo Stornello al Rap è un talent dedicato a musicisti under trentacinque che ha lanciato la carriera di tantissimi giovani, finiti addirittura sul palco di Sanremo: da Cranio Randagio ai Lontano Da Qui, da Mirkoeilcane a Emilio Stella.
Dallo Stornello al Rap è però anche un libro (mi capiterà di parlarvene nel corso delle prossime pagine!), un documentario e un ciclo di tavole rotonde, lezioni e incontri che è partito dalle Università di Roma per poi viaggiare in lungo e in largo: dall’Università Internazionale luiss Guido Carli all’ispa, la fia e la fau in Florida. Anche in questo caso, posso dire di avere avuto il privilegio di raccontare la storia della mia città e quella della mia musica a migliaia di giovani di tutto il mondo e non vi nascondo che vederli appassionarsi alle tradizioni capitoline è una delle più grandi soddisfazioni professionali mai provate in vita mia.
Come ho detto, nascere e vivere in una città bella e ricca come Roma è una fortuna. E allora ho pensato che con questo libro mi piacerebbe restituire un po’ della grande fortuna che ho avuto fin qui, provando a mettere nero su bianco alcune delle storie che hanno reso la Città Eterna e le sue canzoni così grandi. Abbraccio chiunque vorrà dedicare tempo ed emozioni a questo libro. Vi ringrazio fin da subito, per avere scelto di viaggiare insieme a me, perché, lo sapete bene, un libro senza pubblico è un’opera incompiuta. Quindi grazie ancora e buona lettura, amici miei.
elena
p.s.
In questo libro si parla di canzoni romane e non di stornelli. Questa premessa verrà spiegata in maniera più dettagliata nel corso dei capitoli, ma è importante iniziare a parlarne sin da subito. La confusione tra canzone romana e stornello è tipica della capitale e spesso mi ha riguardato in prima persona: sapeste quante volte, ad esempio, si è detto di me che canto gli stornelli! Niente di più sbagliato e provo a spiegarvi rapidamente perché. Lo stornello ha origini antichissime e nasce come modo musicale di dialogare. Lo stornello, sia romano che italiano, per secoli è stato una via di mezzo tra una forma d’arte e una forma di comunicazione: è servito per divulgare notizie più o meno importanti (dalle ultime novità politiche ai gossip di quartiere), ma anche per attaccare o prendere in giro qualcuno, con modalità non troppo diverse da quelle del rap e delle battles di oggi. Insomma, lo stornello è un genere ricco di storia e che, tra l’altro, ha tutta una serie di caratteristiche sia musicali che testuali.
Sottolineare la differenza tra stornello e canzone romana non significa dunque creare una classifica in cui qualcuno sta più in alto e qualcun altro sta più in basso: si tratta semplicemente di forme d’arte diverse. Se volete scoprire qualcosa di più sullo stornello, vi consiglio il mio libro Dallo Stornello al Rap, che si sofferma su questo genere musicale a partire dal Medioevo. In questo testo invece, lo ripeto, ci occuperemo di canzoni romane: una forma d’arte autonoma, che ha i suoi antenati e che ha addirittura una sua precisa data di nascita. Vi svelo tutto nelle prossime pagine!
PRIMA PARTE. LA NASCITA DELLA CANZONE ROMANA
La canzone popolare a Roma
La canzone romana è il risultato di secoli, anzi, millenni di musica popolare legata al nostro territorio. Infatti è sin dai tempi della Roma imperiale che la musica e soprattutto la canzone hanno un ruolo sociale importantissimo. Insomma, il popolo romano canta da sempre: lo faceva per esprimere le proprie emozioni, certo, ma lo faceva anche per comunicare e per commentare la realtà circostante (a volte addirittura in tempo reale!). È il caso dei primi fescennini, una via di mezzo tra poemetti e canti popolari, che possono venire considerati i primi antenati locali dello stornello, oltre che della successiva drammaturgia latina. I fescennini devono il proprio nome a una cittadina posizionata al confine tra il Lazio e l’Etruria di nome Fescennium e sono attestati a partire dal ii secolo a.C. Versi tutt’altro che eleganti, dedicati agli argomenti più disparati.
I Romani potevano intonare un fescennino tanto durante il raccolto, quanto nel bel mezzo di un banchetto di nozze. Dobbiamo immaginare un canto irridente ai limiti del diffamatorio, con quella solita, spiccata ironia/autoironia che contraddistingue ancora oggi il popolo della Capitale. Un fescennino poteva passare in rassegna i diversi difetti di uno specifico destinatario, così come poteva essere dedicato a una coppia di novelli sposi. In questo caso, il canto sarebbe stato una vera e propria esplosione di allusioni sessuali più o meno spinte: versi salaci e letteralmente pieni di doppi sensi.
L’aspetto più interessante dei fescennini è però quello che riguarda una modalità espressiva specifica, che viene definita di botta e risposta: due cittadini si sfidavano a suon di rime e di insulti, mettendo in scena qualcosa di molto simile agli stornelli successivi e, perché no, alle battles in freestyle che vedono coinvolte le ultime generazioni di ragazzi di Roma.
Il lungo viaggio della musica popolare a Roma prosegue anche dopo la caduta dell’Impero romano, durante il cosiddetto Alto Medioevo: un periodo storico che viene fatto iniziare con il 476 d.C. (l’anno in cui venne deposto l’ultimo imperatore romano d’Occidente Romolo Augusto) e che termina attorno all’anno 1000.
In questa epoca la Chiesa ha un controllo pressoché totale della Cultura, specie di quella a disposizione delle classi meno abbienti. Non sorprende dunque che il canto romano prenda la forma delle laudi, una sorta di ponte creato ad arte per avvicinare sacro e profano. Le laudi mantengono la lingua volgare dei fescennini¹ e accettano persino il loro carattere popolare. Ovviamente però i contenuti di cui abbiamo parlato in precedenza (insulti, allusioni piccanti ecc.) erano totalmente inaccettabili e vennero quindi banditi e sostituiti con episodi tratti dalla vita di Gesù Cristo o da quella dei santi. L’idea delle laudi è semplice ed efficace: utilizzare una forma espressiva nota al popolo per farlo interessare alla religione. Rivestire la musica popolare precedente con contenuti sacri, per avvicinare un nuovo universo di persone alla Chiesa.
Se poi consideriamo che Roma è sempre stata la principale culla della cristianità in tutto il mondo, non faremo sicuramente fatica a immaginare quanto questo canto sia stato in grado di diffondersi per le strade della nostra città. Per decenni dunque nelle vie capitoline si sarebbe cantato di santa Francesca Romana, delle sue virtù di sposa e della sua canonizzazione. E ancora, si sarebbe cantato di san Filippo Neri, del suo amore per la musica e delle sue lezioni di etica:
Vanità di vanità – ogni cosa è vanità
tutto il mondo e ciò che fa
ogni cosa è vanità.²
Ciononostante va detto che, alla fine, il popolo riuscì a scamparla ancora una volta, trasformando le laudi in una forma espressiva più spontanea e colorita. Nel giro di qualche anno infatti persino i canti più illuminati
iniziarono a venire adattati e riscritti da cantastorie e saltimbanchi, andando a rinfoltire un patrimonio musicale molto più vicino alle esigenze reali della gente: nuovi canti, noti col nome di zingarate o norcinate, che ricominciarono rapidamente a parlare di vicende quotidiane, utilizzando un linguaggio tutt’altro che sacro. Ancora una volta riemerge il carattere dei romani come li conosciamo ancora oggi: burloni, ironici e dissacranti.
Questi sono i presupposti che avrebbero portato, nel 1200 circa, a un nuovo, importantissimo capitolo di quella che possiamo definire come la Preistoria della canzone romana. Il primo antenato riconosciuto della nostra canzone popolare è infatti l’ottava, anche nota come romanella: una strofa di otto versi a rime alternate e baciate che, secondo diversi studiosi, rappresenta il canto romano più antico che sia giunto fino a noi³, oltre che l’espressione incorrotta del popolo romano (parole, queste ultime, del compositore e critico Alessandro Parisotti). Non sorprende dunque che, dopo soltanto un secolo di ottave, Roma conosca Er pellegrino, un esemplare di canzone romana davvero molto vicino a come la intendiamo oggi. Il pezzo, di autore ignoto, racconta una divertente bravata. Il protagonista della storia è per l’appunto un pellegrino, giunto da Roma in una locanda senza nome. Dall’altra parte troviamo il padrone di casa, che ha qualche remora ad accogliere il viandante, visto che l’unica stanza disponibile è quella in cui dorme sua moglie.
Soffermiamoci un attimo su queste due figure: il primo è un perfetto personaggio romano ante litteram: è sfrontato, temerario, chiacchierone, audace… Pare quasi uscito da Rugantino⁴! Il secondo rappresenta invece la tipica figura del romano generoso, accogliente e di gran cuore: quello destinato a subire la più classica delle sòle (parola romana usata per parlare di imbrogli e fregature varie). Infatti cosa credete che deciderà di fare il locandiere? Ebbene sì, arriva a cedere per una notte la stanza in cui dorme sua moglie al pellegrino. Il risultato è presto detto: l’intrepido viandante non si limita a godere della gentile accoglienza accordatagli, ma si spinge ben oltre e arriva addirittura a baciare la moglie del locandiere, che va (comprensibilmente) su tutte le furie.
Pellegrino a Roma
in una stampa popolare d’epoca.
pellegrino.tifSe ci pensate, la vicenda messa in scena da Er pellegrino è davvero senza tempo: è la storia del più classico dei romani, sfacciato e affabulatore; quello capace di convincere un estraneo a farlo dormire con sua moglie e di scappare via impunito. Di seguito il testo integrale della canzone, preso da una trascrizione di Anton Giulio Perugini⁵. Ditemi voi se non la si potrebbe cantare ancora oggi:
Pellegrino che venghi da Roma
co’ le scarpe rotte a li pié.
Ohilà, ohilé.
Ciaveressi ’no poco d’alloggio
pe’ alloggiare lo forestié.
Ohilà, ohilé.
Ciò ’na cameretta sola,
dove ce dorma la mia moglié.
Ohilà, ohilé.
[…]
A mezzanotte in punto
er pellegrino s’arza a sedé.
Ohilà, ohilé.
Quer birbone der Pellegrino
ha dat’un bacio a mia moglié!
Ohilà, ohilé.
Comunque, gli anni passano e la lezione di Er pellegrino diventa una specie di standard, pronto a diffondersi e a evolversi. Nel corso del 1400 e del 1500 Roma viene infatti invasa dai cosiddetti canti narrativi: la forma resta quella del poema in rima, ma gli argomenti si fanno sempre più legati alla stretta attualità locale. Un esempio più che valido di canto narrativo è La cena della sposa, un originale romano che poi si sarebbe diffuso in tutta Italia con le opportune variazioni. Il brano può essere definito di tipo cumulativo, perché di fatto va ad elencare, strofa dopo strofa, tutte le cibarie presenti durante un banchetto nuziale:
Che mangerà la sposa la prima sera – la prima sera
che mangerà la sposa la prima sera – che mangerà?
Una fravola inzuccherata
mezzo abbacchio e l’insalata
e mezzo piccioncin – e mezzo piccioncin.⁶
La fame della sposa aumenta col passare delle strofe e l’elenco di cibarie finisce col diventare quasi sconfinato. Il gioco, ancora una volta, è quello della metafora e dell’allusione erotica: infatti l’ingordigia crescente della donna, un tempo timida e inibita, può facilmente venire paragonata a un altro genere di appetiti (quello sessuale, ma anche quello di potere). Anche in questo caso si può parlare di figura romana e ancora oggi nella capitale, quando dobbiamo indicare quelle donne che si presentano in un certo modo salvo poi dimostrarsi l’esatto contrario, siamo soliti dire: «Entra pe’ dritto e se mette de piatto».
In tal senso non sorprende che, in una variante marchigiana della canzone, la sposina finisca addirittura per mangiare il suo marito! Di seguito l’ultima strofa di La cena della sposa, secondo le registrazioni a cavallo tra 1400 e 1500 riportate da Giuseppe Micheli nel suo volume Storia della Canzone Romana⁷:
Che mangerà la sposa la dodicesima sera, la dodicesima sera
che mangerà la sposa, la dodicesima sera, che mangerà?
Una fravola inzuccherata,
mezzo abbacchio e l’insalata,
due sfogliate e una crostata,
tre piccioni viaggiatori,
quattro belli pomodori,
cinque porchi ammazzatori
co’ sei galli cantatori,
sette anguille marinate,
otto indivie scappucciate,
nove botti di bon vino,
dieci olive di Marino,
undici scatole di confetti
e in più dodici pasticcetti
e mezzo piccioncin – e mezzo piccioncin.
Veniamo ora al canto narrativo più celebre in assoluto di questo periodo storico, che è, senza ombra di dubbio, Maramao: una canzone che i nostri nonni hanno imparato ad amare grazie all’indimenticabile Trio Lescano⁸. La Maramao del 1500 non ha però niente a che vedere con un gatto rubacuori passato a miglior vita, ma fa invece riferimento a niente meno che al sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi: i celebri mercenari tedeschi che misero a ferro e fuoco la capitale il 6 maggio del 1527. Ebbene, sembra che Maromau fosse proprio il nome di un capitano invasore: il canto narrativo a lui dedicato andava quindi a descrivere tutte le rapine compiute da questo soldato straniero, a danno dei romani più