Conto alla rovescia
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ore 6
ecco questo nuovo vizio fare capolino nella mia pacifica quotidianità. Chissà da dove è sbucato? Forse questo profumo mi ricorda proprio il Checco, che se ne sta su una spaziosa, lucente, dorata e maledettissima spiaggia messicana! Ahhrghh! Ma vi rendete conto? Io qui, a trangugiare caffè, che in verità sembra più zucchero condito di caffè perché detesto i gusti amari; e lui là, sotto una verde palma a fare CONTATTO. Perché proprio questo è andato a fare: contatto. Già dalla parola è tutto un programma, un bel programmino…”
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Anteprima del libro
Conto alla rovescia - Alessandra Cattori
Alessandra Cattori
CONTO ALLA ROVESCIA
www.altrimediaedizioni.com
facebook.com/altrimediaedizioni
@Altrimediaediz
Copertina: Enzo Epifania /Altrimedia
ph: Enzo Epifania
Titolo dell’opera:
Conto alla rovescia
© 2009 by Alessandra Cattori
ISBN: 978-88-96171-42-4
© Altrimedia Edizioni è un marchio di
Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria
www.altrimediaedizioni.com
Prima edizione digitale: 2015
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Wow! È il momento dei RINGRAZIAMENTI, sono quasi emozionata! Leggo sempre con curiosità questa introduzione nei libri e adesso tocca a me scriverne una tutta mia. Data l’opportunità mi verrebbe voglia di ringraziare un milione di persone; chissà se mai mi ricapiterà di poter scrivere una cosa del genere? Ma immagino che se lasciassi libera la mia ispirazione nessuno leggerebbe queste righe che diventerebbero sicuramente pagine; quindi per la vostra gioia ridurrò drasticamente la mia vena di riconoscenza verso le persone incontrate dalla mia nascita fino a ora (33 anni di incontri fortunati…).
Naturalmente il grazie più grande, immenso e sentito va alla mia splendida famiglia: Mamy, Papy, Luca, Matteo e Sara; senza dimenticare la mia super nonna Amanda da cui spero di aver ereditato almeno alcuni dei suoi tanti pregi. Che dire? Una famiglia come la nostra non si incontra mica tutti i giorni, e quando l’ho scelta dovevo essere particolarmente ispirata… Grazie!
Se vi state chiedendo cosa c’entri l’elogio dei miei familiari con Conto alla rovescia... beh… tutto fa brodo, no? e visto che il libro è mio, ne approfitto un pochino, giusto no?
Il secondo grazie va alla mia seconda famiglia: gli amici! Alcuni hanno ispirato diversi personaggi di questo libro… quindi non faccio nomi! Così, tu amico che stai leggendo, dovrai per forza arrivare in fondo al romanzo per vedere se in qualche modo qualcosa di te è finito tra queste pagine. E se non ci sei non fa niente: conti ugualmente tantissimo, è stata solo una questione di spazio, di senso della storia, di momento di scrittura e di tua fortuna…
Un altro grazie va a coloro (ci saranno?) che non conosco ma che leggeranno questo libro: anzi forse a voi va proprio il grazie più doveroso. Coraggio! e GRAZIE!!!
E naturalmente grazie agli organizzatori del Premio La Città dei Sassi
e alla giuria che ha selezionato Conto alla rovescia
tra i romanzi meritevoli di pubblicazione. Che bellissima sorpresa! Senza di voi non avrei mai potuto scrivere questi ringraziamenti perché la storia narrata avrebbe continuato a stare nascosta tra le mie disordinatissime scartoffie.
E adesso basta con la gratitudine! Buona lettura! Sempre che non vi siate già stancati troppo con queste mie felici elucubrazioni…
MENO 128 GIORNI / lunedi
Sammy, Pippo, Kuki, Seo, Nathy, Ago, Cerbo. Forse se i miei amici avessero avuto dei nomi un po’ più normali, anche la mia vita sarebbe stata leggermente meno sconclusionata. Eppure il mio nome è classico, importante e antico anche: Alessandra. Alessandra deriva dal greco Alexandrus e significa la protettrice degli uomini (ma non sarebbe forse meglio essere meno generosi e proteggere prima se stessi? magari proprio dagli uomini?). A ogni modo i miei amici invece sembrano tutti usciti da un cartone animato giapponese tradotto prima in inglese e poi adattato ai nostri schermi; almeno per quel che riguarda il nome.
In questa situazione non potevo che trovarmi un ragazzo, o come dice la nonna di lui, un fidanzato, con un nome interessante, autorevole e storico: Checco. Anche lui un po’ manga lo sembra, con quegli occhioni azzurri che ruotano sempre alla ricerca di qualcosa - e non di qualcuna
, come i maligni potrebbero insinuare - da scoprire, studiare e analizzare.
E chissà ora dove stanno scrutando quelle meraviglie?
Mi piacerebbe saperlo visto che ci sono solamente 10416,6 miseri chilometri che ci separano attualmente; e questi diecimilioniquattrocentosedicimilaseicento metri ci separeranno ancora per alcune ore, precisamente tremilanovantasei. Per chi non fosse proprio un genio in matematica e per non accollarvi il disturbo di andare a cercare la calcolatrice nei vecchi scatoloni della scuola impilati in cantina, vi dirò subito che corrispondono esattamente a quattro mesi, nove giorni e tre ore… magari anche qualche minuto in più.
Adesso è mattina, il caffè sta rumorosamente risalendo la canna della moca e il suo aroma invade prepotentemente il mio irregolare monolocale. Non ho mai bevuto caffè, io. Mai fino a poche settimane fa; ora ecco questo nuovo vizio fare capolino nella mia pacifica quotidianità. Chissà da dove è sbucato? Forse questo profumo mi ricorda proprio il Checco, che se ne sta su una spaziosa, lucente, dorata e maledettissima spiaggia messicana! Ahhrghh! Ma vi rendete conto? Io qui, a trangugiare caffè, che in verità sembra più zucchero condito di caffè perché detesto i gusti amari; e lui là, sotto una verde palma a fare CONTATTO. Perché proprio questo è andato a fare: contatto. Già dalla parola è tutto un programma, un bel programmino…
Ma figurati mon amour, lo sai che non hai nulla da temere, è lavoro
. Lavoro, lavoro… Su una tiepida spiaggia assolata, a intrattenere le povere turiste spaesate, che sculettano con i loro mini-bikini iridescenti e che magari si danno pure al topless. Lui dice che si deve dedicare in ugual misura ai due sessi, ma è ancora da verificare, e poi, come dice lo psicologo della mia rivista femminile preferita, il maschio è cacciatore. Per cui: dedicarsi alle turiste, farle ridere, divertire e perfino farle giocare a bocce.
Ma chi l’avrà poi inventato il lavoro dell’animatore di contatto? Non bastava l’animatore del tennis? quello dello sci nautico? e quello dei balli latino americani? No, ci voleva proprio lui, quello di contatto; e lo doveva proprio fare il mio Checco.
Volevo andarci anche io, con lui, in Messico. Se nell’ultimo decennio non mi fossi rimpinzata di biscotti e patatine, avrei potuto fare addirittura la coreografa. Sono sempre stata una brava ballerina; forse mi iscriverò a una scuola di danza moderna.
Comunque non ci posso andare, io, in Messico. Sono diventata una persona impegnata, mi sento quasi un’adulta; tutto a un tratto mi ritrovo con un appartamento tutto mio, una macchina tutta mia e dulcis in fundo addirittura un lavoro. Non tutto mio, purtroppo; ho dei superiori e ricevere ordini non è proprio la mia passione. Mi piacerebbe fare un lavoro indipendente. Ho molti hobby, faccio dei bei lavoretti con la pasta di sale e sono un fenomeno con i palloncini snodabili, quelli che in un baleno si trasformano in un simpatico cagnolino o in un innocuo coccodrillo.
Forse la vita dovrei proprio prenderla così, alla leggera, facendo solo le cose che mi piacciono e quando ne ho voglia. Senza pensieri soffocanti sui doveri e sulle responsabilità; e chi lo dice poi che la vita deve essere sforzo e sacrificio? (A parte mio padre naturalmente, lui lo ripete in continuazione, come un disco rotto).
Potrei andare nelle piazze, vestita in modo stravagante, piazzare ai miei piedi un bel cappello a bombetta di quelli che portavano i nonni, e creare tante figure colorate. La mia preferita è il fiore ma sono necessari due palloncini e allora non so se il santo vale la candela. Insomma: come lo sbarco il lunario? Anche se non credo che sarebbe proprio il palloncino del gambo a mandarmi definitivamente in rovina.
È dura, se facessi solo quello che amo, probabilmente non riuscirei più a fare una delle cose che mi piace di più: gozzovigliare! Scordarsi le mangiate al ristorante senza chieder i soldi a papà. Ma sarà meglio rinunciare al ristorante o sorbirsi un ennesima predica sulla vita e sul diventare adulti?
Sarebbe bello però, vivere senza pensieri, ma proprio senza pensiero alcuno, neanche quello di farsi la ceretta o spalmarsi la crema antirughe attorno agli occhi. Vivere alla giornata, magari su un’isoletta sperduta a raccogliere noci di cocco, con le ascelle non depilate potendo così dimenticare le atroci torture da Silk-epil. A ogni modo una via di mezzo tra i doveri e i piaceri bisognerebbe trovarla, una via di mezzo che penda però vertiginosamente verso i piaceri. Ma quando ti alzi la mattina con quella sensazione di oddio mi aspettano 8 ore infernali incollata su una sedia (evviva il ristagno di liquidi nelle cosce), con gli occhi in fiamme dalle radiazioni dello schermo del PC (dicono che faccia così male), con il collo indolenzito dal tenere la cornetta del telefono con la spalla e con le cervicali dure e rigide perché tutto lo stress va a finire proprio lì, allora comincio ad avere qualche dubbio sulla pendenza della mia via di mezzo.
Chissà attualmente come pende quella del Checco? Mi risulta difficile immaginare che si alzi al mattino disperato perché deve infilarsi il costume da bagno, le infradito ultimo grido e il modello più in
degli occhiali da spiaggia di Ralph Lauren. É anche vero che non bisogna giudicare senza conoscere e senza vedere. Forse chiederò di anticiparmi le ferie autunnali in modo da poter fare uno studio scientifico sull’argomento. Non sarebbe uno spiare e controllare il mio Checco, sarebbe una ricerca approfondita sulle difficoltà e sofferenze che incontrano gli animatori di contatto nello svolgimento del loro ostico lavoro. Anzi, perché chiedere le ferie? Potrei addirittura pretendere che la ditta per cui lavoro mi paghi il viaggio e il soggiorno in Messico; potrei pubblicare i risultati della mia analisi e la ditta guadagnerebbe fama internazionale come impresa impegnata nello studio delle difficoltà incontrate dalle nuove generazioni all’opera in settori lavorativi in via di sviluppo. Sarebbe una bella pubblicità, no? Forse però a una ditta che si occupa di costruzione di lenti a contatto questo non interessa